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L'emissione di azioni con voto multiplo. Risultati di una verifica empirica.

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Specialistica in Banca, Finanza

Aziendale e Mercati Finanziari

TESI DI LAUREA

L'emissione di azioni a voto multiplo.

Risultati di una verifica empirica.

Candidato: Massimo Bragazzi

Relatore:

Prof. Roberto Barontini

Controrelatore: Prof.ssa Paola Ferretti

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Indice

Indice ... 1

Introduzione ... 3

Capitolo 1: Corporate Governance e principio di proporzionalità del voto ... 7

1 La teoria dell’agenzia ... 7

1.1 Comportamenti opportunistici dell’agente ... 11

1.2 Possibili soluzioni attuabili dal principale ... 12

2 L’assetto proprietario ... 13

2.1 Concentrazione proprietaria e l’identità degli azionisti rilevanti 13 2.2 Il principio di proporzionalità del voto... 15

2.3 Le deviazioni dal principio “un’azione - un voto” ... 16

3 La letteratura empirica... 26

Capitolo 2: Il principio “un’azione - un voto” e le sue deviazioni nell’evoluzione normativa ... 35

1 Il quadro normativo italiano ... 36

1.1 Dal Codice napoleonico del 1808 al Codice civile del 1942 ... 36

1.2 La legge n. 216 del 1974 ... 43

1.3 La riforma del diritto societario del 2003 ... 45

1.4 Il Decreto Competitività del 2014 - Il dibattito sull’introduzione del voto plurimo ... 51

2 Le deviazioni dal principio di proporzionalità nel panorama europeo ed internazionale ... 65

2.1 L’ordinamento francese ... 71

2.2 L’ordinamento tedesco ... 76

2.3 L’ordinamento USA ... 78

3 L’Action Plan 2012 e il Libro Verde della Commissione Europea del 2013 ... 85

(3)

1 L’event study ... 87

2 Metodologia seguita e dati raccolti ... 98

3 Risultati empirici ... 104

Conclusioni ... 117

Bibliografia ... 122

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Introduzione

Con l’introduzione del Decreto Competitività (D. Lgs. 24 giugno 2014, n.91, poi convertito, con relative modifiche, dalla L. 11 agosto 2014, n.116) sono state introdotte nel nostro ordinamento significative novità in materia societaria, tra cui l’istituto del voto maggiorato e del voto plurimo.

Tramite il riconoscimento di questi due strumenti, si assiste al definitivo tramonto del principio di proporzionalità, che la letteratura economica e giuridica ha considerato per un lungo periodo come il criterio ideale di ripartizione del rischio economico sopportato e il potere di indirizzo e controllo della società, attraverso la stretta corrispondenza tra numero di azioni possedute e numero di voti attributi.

In base al principio, il controllo dell’impresa veniva affidato al soggetto che aveva effettuato l’investimento più consistente (e quindi in possesso del maggior numero di azioni), col presupposto che quest'ultimo accollandosi un rischio maggiore, avesse di conseguenza il maggior incentivo ad agire nell’interesse collettivo, e specularmente, minori incentivi a perseguire interessi personali in conflitto con l’interesse della società.

Questo ragionamento, rappresenta un punto di incontro tra l’interpretazione economica sopraesposta e quella giuridica caratterizzata dal rispetto del principio di “democrazia plutocratica”: in altri termini chi più investe ha diritto, in proporzione, ad un maggior numero di voti, e di conseguenza un maggior potere di indirizzo della società e allo stesso tempo ha diritto ad una maggiore quota degli utili e/o delle perdite realizzati.

Malgrado il principio “un azione – un voto” sia stato fatto proprio in molti ordinamenti nazionali, non è mai stato imposto come regola cogente o inderogabile, infatti è rimessa alle società la possibilità di deviare da esso con certi gradi di libertà. Tali deviazioni (anche definite come Control Enhancing Mechanisms” o “CEMs”), tra cui rientrano le azioni a voto multiplo, consentono di esercitare il potere di indirizzo e controllo dell’impresa, pur detenendo una frazione minoritaria del capitale investito.

La letteratura economica, sia teorica che empirica, ha condotto innumerevoli studi volti ad indagare gli aspetti positivi e negativi del principio di proporzionalità e delle sue molteplici deviazioni. È stato evidenziato come, a

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seconda del tipo di struttura di voto adottato, possano sorgere differenti tipi di conflitti di interessi fra azionisti e management e sugli incentivi dei detentori di partecipazioni rilevanti a gestire al meglio l’impresa, come varia il funzionamento del mercato del controllo societario (che a sua volta muta a seconda che la società risulti a proprietà concentrata o dispersa) e gli effetti sulle decisioni finanziaria (tra cui ritroviamo la scelta se quotare o meno la società in borsa). I contributi dei vari autori portano spesso a risultati discordanti e la ragione di tale fatto è spesso legata a differenze nel campione d’indagine, nelle metodologie adottate e dei periodi storici analizzati.

Il ventunesimo secolo si apre all’insegna di radicali cambiamenti in ambito societario, che consistono in un’accelerazione del processo di globalizzazione dei mercati finanziari e ad un correlato rinnovamento delle ideologie economiche finalizzate all’armonizzazione finanziaria in ambito europeo.

In questo contesto, sia a livello europeo che internazionale, la questione del diritto di voto nelle società di capitali assume un ruolo sempre più rilevante, tanto che la Commissione Europea ha ritenuto opportuno promuovere e finanziare studi e ricerche relative a come il principio “one share – one vote” sia stato recepito all’interno dei vari Paesi membri e dalle società ivi locate; per poi fornire pareri e raccomandazioni ai legislatori nazionali al fine di raggiungere una maggiore uniformità nella disciplina delle società di capitali. Dallo studio effettuato dall’Institutional Investor Services, dallo studio legale Sherman & Sterling, dallo European Corporate Governance Institute per conto della Commissione Europea nel 2007 è emerso con chiarezza come il principio di proporzionalità valga come regola dispositiva e suppletiva negli ordinamenti dei vari Paesi oggetto dell’analisi, rimettendo alle società la possibilità di deviare da esso mediate l’introduzione di CEMs (che risultano differenti da Paese a Paese).

Il principio “un’azione – un voto” è rimasto un caposaldo del nostro ordinamento dall’emanazione del Codice civile del 1942, nonostante possibilità di emettere azioni con voto limitato alle sole deliberazioni dell’assemblea straordinaria introdotta dalla legge n. 216 del 1974 (azioni di

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risparmio) e la maggiori modifiche introdotte dalla riforma del diritto societario del 2003 (D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) che consentivano la possibilità di prevedere in statuto “la creazione di azioni senza diritto di voto, con diritto di voto limitato a particolari argomenti, con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative” (art. 2351 c.c., comma 2).

Con il Decreto si deroga all’ultimo esplicito divieto ancora imposto a tutte le società (quotate e non) in materia di attribuzione non proporzionale del diritto di voto alle azioni. Il comma 4 dell’attuale art. 2351 c.c. stabilisce che “salvo quanto previsto da leggi speciali, lo statuto può prevedere la creazione di azioni con diritto di voto plurimo anche per particolari argomenti o subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative. Ciascuna azione a voto plurimo può avere fino ad un massimo di tre voti”. La possibilità di emettere azioni a voto plurimo è concessa esclusivamente alle società chiuse, mentre permane tale divieto per le società quotate. Quest’ultime hanno però la facoltà di attribuire più di un voto ad una azione tramite l’istituto delle azioni a voto maggiorato (con il limite massimo di due voti per azione). L'unico caso, in cui è consentita la presenza di azioni a voto plurimo in società quotata, si presenta qualora la società abbia emesso tale categoria di azioni anteriormente all’ammissione alla quotazione.

È da sottolineare come la novità riguarda esclusivamente la deroga all’ultimo divieto alla deviazione dal principio di proporzionalità, in quanto già in tempi passati si era sviluppato un dibattito tra i nostri giuristi nazionali circa l’opportunità di introdurre nel nostro ordinamento le azioni a voto multiplo. A livello europeo, invece, è facile rilevare come molti Paesi europei avessero già consolidato la possibilità di emettere le azioni a voto plurimo nel relativo ordinamento nazionale (ad esempio nei Paesi Bassi, in Svezia, in Finlandia e in Norvegia, nonché nel Regno Unito e in Irlanda). Per quanto riguarda le azioni a voto maggiorato (o loyalty shares), queste erano addirittura previste come regola di base per le società quotate francesi dall’introduzione della legge n°90-1258 del 31 dicembre 1990.

Il dibattito sull’applicazione più o meno rigida del principio “one share – one vote” è tornato in auge negli anni recenti, circa la necessità, fatta emergere dalla Commissione Europea, di favorire e incentivare l’effettuazione di investimenti con un orizzonte temporale di lungo periodo da parte degli azionisti (ad esempio tramite l’introduzione di strumenti come le azioni a voto

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multiplo). Sulla scia di queste impostazioni, il legislatore italiano, con il decreto Competitività del 2014, ha voluto adeguare la disciplina finanziaria e societaria, consentendo l’introduzione del voto plurimo e del voto maggiorato in Italia. Allo stesso tempo, tali strumenti dovrebbero consentire alle imprese di ridurre il ricorso ad altri meccanismi di separazione tra proprietà e controllo tendenzialmente più opachi, come ad esempio gruppi piramidali e partecipazioni incrociate.

Lo scopo della tesi è condurre un’analisi empirica diretta a valutare se l’introduzione del voto multiplo all’interno delle società quotate italiane è stata accolta positivamente o meno dal mercato, tramite la conduzione di un event study. Tramite questa metodologia è possibile verificare se sui titoli azionari oggetto di analisi, nei periodi immediatamente antecedenti e seguenti la diffusione della notizia, si siano registrati degli extra rendimenti o dei volumi di contrattazione anomali statisticamente significativi. In caso in cui i dati siano significativi si valuterà in base al segno se l’introduzione del voto multiplo sia stato accolto favorevolmente o meno all’interno delle società.

La tesi è strutturata in quattro capitoli. Il primo capitolo tratta della Corporate governance e della letteratura teorica ed empirica riguardante l’adozione del principio di proporzionalità del voto all’interno delle società e le deviazioni da esso. Il secondo capitolo contiene un excursus storico di come il principio di proporzionalità sia stato recepito all’interno della legislazione italiana, confrontandolo con la disciplina azionaria di altri Paesi europei ed extraeuropei. Il terzo capitolo descrive come vengono raccolti i dati relativi ai volumi e ai prezzi di contrattazione delle società quotate italiane e il metodo con cui quest’ultimi sono elaborati per il raggiungimento dell’obiettivo dello studio. Si procede poi ad illustrare e discutere i risultati ottenuti dall’event study circa l’introduzione delle azioni a voto multiplo.

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Capitolo 1: Corporate Governance e

principio di proporzionalità del voto

La corporate governance comprende tutti quei processi, regole, relazioni e sistemi aziendali attraverso cui una società viene diretta e controllata1, nonché le modalità con cui vengono definiti gli obiettivi aziendali ed i mezzi per il raggiungimento e la misurazione dei risultati raggiunti.

Detto in altri termini, la corporate governance consiste essenzialmente nel bilanciamento fra gli interessi - potenzialmente divergenti - degli stakeholders di un'azienda (i soci di controllo, i soci di minoranza, gli amministratori della società, ecc.…) ed è volta a garantire una corretta ed efficiente gestione dell’impresa2.

Le principali tematiche affrontate dalla corporate governance sono state formulate già dal 1838 da Adam Smith3, che ha messo chiaramente in luce i problemi connessi alla separazione tra proprietà e controllo. Jensen e Meckling (1976) focalizzano l’attenzione soprattutto sull’analisi dei due principali soggetti dell’impresa: gli azionisti (principal), ossia coloro che detengono il diritto di proprietà sulle attività aziendali e i manager (agent) a cui spetta il governo dell’impresa4.

1

La teoria dell’agenzia

La teoria dell’agenzia si propone di analizzare il rapporto esistente tra azionisti e manager. In tale ottica “un sistema perfetto di corporate governance dovrebbe fornire ai manager i giusti incentivi per prendere tutte

1 v. SHAILER G., “An Introduction to Corporate Governance in Australia”, Pearson Education Australia, Sydney, 2004.

2 v. HAIDAR J. I. "Investor protections and economic growth", Economics Letters, Elsevier, vol. 103(1), pages 1-4, April 2009.

3 “…the directors of such companies [joint stock companies] however being the managers rather of other people’s money than of their own, it cannot well be expected that they should watch over it with the same anxious vigilance [as if it were their own]”. v. SMITH A., “The wealth of the Nations”, Ward Lock, London, 1838. Citazione ripresa da MALLIN C. A., Corporate governance (second edition), Oxford University Press Inc., New York, 2007. 4 v. JENSEN M. C., MECKLING W. H., “Theory of the firm: managerial behaviour, agency costs and ownership structure”, Journal of Financial Economics, October, 1976, v. 3, n. 4.

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le decisioni di investimento e di finanziamento in un’ottica di massimizzazione del valore”5.

Uno dei principali contributi alla teoria è quello di Jensen e Meckling (1976)6. Gli autori fanno parte della corrente teorica della “visione contrattualistica dell’impresa”, in base alla quale tutti i rapporti instaurati dalla società con gli stakeholders (sia interni che esterni) sono influenzati dalla natura dei contratti stipulati dalla società stessa. Riportando le loro parole:

“The private corporation or firm is simply one form of legal fiction which serves as a nexus for contracting relationships and which is also characterized by the existence of divisible residual claims on the assets and cash flows of the organizations which can generally be sold without permission of the other contracting individuals”.

L’impresa è quindi definita come una “finzione giuridica”, che tramite l’instaurazione di contratti permette di mettere in relazione i vari stakeholders. Quest’ultimi avranno ovviamente interessi in conflitto tra loro, nel presupposto che ognuno di essi tenda a massimizzare la propria utilità. L’impresa raggiunge l’equilibrio tra gli interessi grazie alla contrattualizzazione, esplicita o implicita, delle relazioni che la compongono7. Il tentativo di bilanciare interessi contrapposti costituisce l’essenza della teoria dell’agenzia.

In una concezione utopistica, capace di garantire una soluzione a tutte le problematiche, gli azionisti potrebbero assumere i manager sulla base di contratti che prevedano come questi ultimi debbano agire in risposta a qualsiasi scenario si verifichi e come ripartire i profitti derivanti dalla gestione. Tuttavia, dato che nel mondo reale ciò non è attuabile, si rende necessario ricorrere a sistemi di incentivi e di monitoraggio del management.

Fama (1980)8 sempre nell’ottica della teoria contrattualistica dell’impresa analizza come la separazione tra proprietà e controllo possa costituire una forma efficiente di organizzazione economica. Le funzioni solitamente

5 v. DALLOCCHIO M., TAMAROWSKI C., “Corporate governance e valore. L’esempio di Telecom Italia”, Egea, Milano, 2005.

6 v. JENSEN M. C., MECKLING W. H., 1976.

7 v. FAMA E. F., “Agency problems and the theory of the firm”, Journal of Political Economy, vol. 88, n. 2, 1980.

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associate all’imprenditore, di gestione e assunzione dei rischi, vengono considerate come fattori separati che confluiscono all’interno dell’insieme dei contratti costituenti la società.

La presenza di un mercato dei capitali e di un mercato del lavoro efficienti determina un alto livello di concorrenza tra le imprese esercitando un effetto disciplinante sulle stesse. Allo stesso tempo comporta l'evoluzione di dispositivi di monitoraggio efficienti delle prestazioni del management e dei singoli membri.

Si ipotizza che la proprietà non abbia alcuna influenza significativa nella gestione, in quanto gli azionisti non hanno necessariamente il controllo sulle decisioni aziendali.

Gli azionisti, come soggetti che si assumono il rischio d’impresa, si espongono quindi alle perdite derivanti da eventuali errori decisionali del management. Tuttavia, la presenza di un mercato dei capitali e di un mercato del lavoro efficienti determina un alto livello di concorrenza tra le imprese esercitando un effetto disciplinante sulle stesse. Allo stesso tempo comporta l'evoluzione di dispositivi di monitoraggio efficienti delle prestazioni del management e dei singoli membri.

Inoltre, grazie al mercato dei capitali, gli azionisti hanno la possibilità di ridurre il rischio specifico della singola società tramite opportune strategie di diversificazione, rimanendo esposti al solo rischio di mercato. Questo concetto è espresso della “teoria del portafoglio”, in cui si afferma che il portafoglio ottimale per ogni investitore deve essere composto da una pluralità di titoli, i cui andamenti non devono essere strettamente correlati tra loro, in modo tale che gli impatti favorevoli e sfavorevoli prodotti dalle diverse tipologie di rischio sui singoli titoli tendano a compensarsi tra loro.

Ogni azionista di minoranza che acquisti una partecipazione confida che il prezzo pagato rifletta i rischi assunti e spera che il titolo sia quotato correttamente in un’epoca successiva, consentendogli ottenere un certo ritorno economico in base alla sua esposizione al rischio; egli avrà quindi interesse affinché esista un mercato dei capitali capace di valutare in modo efficiente i prezzi dei titoli delle imprese nelle quali ha investito.

Un mercato dei capitali efficiente consente di fornire inoltre una valutazione dell’andamento della società e indirettamente della capacità di gestione della stessa da parte del management, influenzando per tale tramite il mercato del

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lavoro. Quest’ultimo, a sua volta, esercita effetti disciplinanti sia all’esterno che all’interno dell’impresa.

Nel primo caso si tratta della pressione esercitata dal mercato dei “new managers” sui dirigenti, dato che nuovi manager possono essere assunti per sostituire il management della società qualora lo stesso non ottenga delle performance soddisfacenti.

Oltre alla minaccia di sostituzione dei manager, un’altra importante modalità di incentivazione è legata alla remunerazione e agli incentivi che verranno erogati ai manager, strumenti che dovrebbero essere correlati positivamente alla performance. Nel caso in cui il sistema di incentivazione del management si rivelasse inadeguato, la società potrebbe perdere manager capaci (attratti da una più alta remunerazione offerta da un’impresa concorrente) o non essere in condizione di trovare soggetti qualificati in grado di sostituire efficacemente i manager con performance scadenti. Un ulteriore meccanismo di controllo interno che è inoltre rappresentato dai dipendenti dell’impresa, in particolare quelli con incarichi direttivi. Da una parte, il compito del top management è quello di stimolare e misurare la capacità produttiva dei manager di livello inferiore. Quest’ultimi a loro volta esercitano un controllo di tipo “bottom-up” sui loro superiori. I “lower” manager competono tra loro per migliorare la propria posizione (e remunerazione) e ambiscono a sostituire i top manager qualora costoro si rivelino poco competenti.

Se la competizione è estesa anche tra i top manager stessi (non facenti parte del consigli di amministrazione della società), allora quest’ultimi potrebbero rappresentare le figure migliori per controllare l’attività del CdA dato che sono i soggetti più informati e reattivi alle criticità delle performance aziendali. Tuttavia, una volta ottenuto un ruolo all’interno del consiglio d’amministrazione, il top management potrebbe trovare più vantaggioso rinunciare alla competizione interna per assumere comportamenti collusivi a danno degli azionisti.

Secondo Fama, per ovviare al problema, la soluzione prevede l'inclusione di amministratori indipendenti (outside directors) nel consiglio d’amministrazione: queste figure esterne non hanno un ruolo esecutivo, ma

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hanno il ruolo fiduciario di monitorare le prestazioni della gestione e tutelare gli interessi di tutti gli azionisti9.

La motivazione che spinge gli outside directors ad effettuare controlli a tutela degli azionisti è garantire la propria integrità. Infatti, essi, pur di non sopportare costi in termini di reputazione se le prestazioni di impresa dovessero essere negative, sarebbero spinti a monitorare il management con più attenzione rispetto ai manager della società.

1.1

Comportamenti opportunistici dell’agente

Nella relazione principal - agent possono verificarsi due tipologie di problemi. Uno è definito come “problem of risk sharing” e si presenta quando il principale e l’agente hanno atteggiamenti diversi nei confronti del rischio. Il problema deriva dal fatto che il principale e l’agente possono preferire differenti scelte d’investimento in conseguenza alle diverse preferenze di rischio10.

L’altro problema è denominato “agency conflict” e deriva dalla divergenza di interessi tra le parti, comportando l’insorgere di costi di agenzia. Tali costi comprendono: costi di controllo, derivanti dall’attività di monitoraggio dell’agente, sostenuti dal principal; costi di riassicurazione che derivano dall’attività dell’agent, nell’intento di convincere il principal della bontà del suo comportamento; e costi residuali, dove confluiscono tutti i costi derivanti da altri conflitti di interesse non comprese nelle altre due categorie.

Meritano di essere citati altri due aspetti legati al “agency conflict”: il problema dell’azzardo morale “moral hazard” e quello della selezione avversa “adverse selection”.

Il problema dell’azzardo morale, anche definito come opportunismo post-contrattuale, si verifica qualora l’agente non rispetti i vincoli e/o gli impegni a lui assegnati dal principale. Si tratta perciò di un’inadempienza dei propri doveri contrattuali da parte dell’agente.

9 v. FAMA E. F., 1980, Cfr. WATTS R. L., ZIMMERMAN, J. “Auditors and the Determination of Accounting Standards, an Analysis of the Lack of Independence” Working Paper GPB 7806, Univ. Rochester, Graduate School of Management, 1978.

10 v. EISENHARDT K. M., “Agency theory: an assessment and review”, The Academy of Management Review, vol. 14, n. 1, January, 1989.

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La selezione avversa si verifica invece nella fase precontrattuale e sorge a seguito dell’impossibilità da parte del principale di verificare la veridicità delle informazioni che sono state fornite dall’agente nel momento dell’assunzione. Potrebbe infatti accadere che l’agente abbia dichiarato di possedere capacità che invece non ha, o viceversa.

1.2 Possibili soluzioni attuabili dal principale

Si è cercato quindi di migliorare il contratto al fine di allineare le azioni dei manager agli interessi degli azionisti11 e sono state individuate due principali meccanismi di intervento attuabili dagli azionisti:

i) creare un sistema di monitoraggio efficace (che includa le attività di auditing ed il sistema di controllo interno e la fissazione di limiti di budget) e migliorare il sistema informativo aziendale per ridurre le asimmetrie informative tra azionisti e management.

ii) legare la retribuzione del management alle performance aziendali (anche detti Outcome-based contract). La presenza di un piano d’incentivazione cerca di far convergere gli obiettivi del management con quelli della proprietà, stabilendo una remunerazione fissa a cui viene aggiunto un compenso variabile in base agli obiettivi di performance conseguiti, obiettivi che vengono stabiliti preventivamente dalla proprietà. Si può ricorrere ad esempio al meccanismo delle stock option in cui si prevede l’attribuzione al manager di un certo numero di azioni ad un prezzo prestabilito qualora raggiunga determinati obiettivi di performance, come per esempio investimenti in R&D, utili non solo per incrementare la capacità produttiva dell’azienda ma soprattutto per limitare il comportamento opportunistico del manager. In questo modo il manager sarà incentivato a incrementare il valore dell’impresa almeno fino a quando deterrà le azioni.

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2

L’assetto proprietario

L’assetto proprietario viene definito come «la distribuzione dei diritti di proprietà tra i vari soggetti che partecipano alla vita dell’istituto», dove per diritto di proprietà si intende sia il diritto/dovere di governo dell’istituto, ossia il diritto di prendere le decisioni aziendali, sia il diritto dovere di godere dei risultati aziendali12.

L’assetto proprietario influenza fortemente la corporate governance, in quanto permette di determinare chi ha diritto a nominare i rappresentanti negli organi di governo e le modalità di distribuzione del risultato della gestione aziendale.

In particolare, tre aspetti dell’assetto proprietario hanno una grande importanza nel governo societario:

– la concentrazione o dispersione dell’azionariato; – l’identità degli azionisti rilevanti;

– il principio di proporzionalità e le deviazioni da quest’ultimo, tramite l’utilizzo dei c.d. Control Enhancing Mechanisms (CEMs).

I tre aspetti saranno analizzati nei paragrafi successivi.

2.1

Concentrazione proprietaria e l’identità degli

azionisti rilevanti

La concentrazione azionaria misura il potere degli azionisti di influenzare gli organi di governo e di controllare il top management. Si possono verificare sostanzialmente tre situazioni alternative:

1. l’imprenditore possiede il 100% della società, con una coincidenza tra principal e agent; gestirà l’impresa cercando di massimizzare la propria utilità, non solo in termini economici, ma anche attraverso ulteriori benefici quali: prestigio, rispetto, stima, disponibilità di risorse superiori a

12 v. ZATTONI A., “Corporate governance”, Collana Management, vol. 10, Egea, Milano, 2006, pp. 146-147.

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quelle necessarie, ecc. Di conseguenza non sarà necessario sostenere costi di agenzia, data l’assenza di conflitti d’interessi tra le parti.

2. l’imprenditore cede parte del capitale di rischio ad azionisti non coinvolti nella gestione, ma continua a governare l’impresa. In questo caso la separazione parziale tra proprietà e controllo comporta un potenziale conflitto di interessi tra l’azionista di maggioranza e gli azionisti di minoranza;

3. la società è quotata sul mercato e il capitale di rischio è frazionato tra un elevato numero di piccoli azionisti, nessuno dei quali possiede quote del capitale significative. La separazione tra proprietà e controllo determina un conflitto di interessi tra i manager e gli azionisti.

Negli ultimi due casi la presenza di conflitti d’interesse comporta il sorgere di costi di agenzia, che cresceranno all’aumentare del grado di separazione tra proprietà e controllo. Costi che risulteranno essere molto elevati nelle società ad azionariato diffuso, dove è massima tale separazione.

L’identità degli azionisti influenza la scelta degli obiettivi e della strategia aziendale, in quanto differenti azionisti possono perseguire scopi strutturalmente diversi tra loro. Si possono distinguere le seguenti categorie:

• le famiglie imprenditoriali; • le banche;

• lo Stato;

• gli investitori istituzionali.

Le famiglie imprenditoriali tendono al raggiungimento di obiettivi di medio-lungo termine, anche legati agli obiettivi della famiglia. Le banche consentono un più facile accesso al mercato del credito. Lo Stato dispone di ingenti risorse finanziarie, ma è orientato a considerare aspetti economici diretti (come la redditività aziendale) e indiretti (come l’occupazione, il benessere dell’economia locale ecc.). Gli investitori istituzionali protendono alla creazione di valore azionario, allo scopo di ottenere alti rendimenti dalla vendita della loro partecipazione nel momento del disinvestimento.

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2.2 Il principio di proporzionalità del voto

Secondo il “Report of the High Level Group of Company Law Experts of 2002”, il principio di proporzionalità è così definito: “proportionality between ultimate economic risk and control means that share capital which has an unlimited right to participate in the profits of the company or in the residue on liquidation, and only such share capital, should normally carry control rights, in proportion to the risk carried. The holders of these rights to the residual profits and assets of the company are best equipped to decide on the affairs of the company as the ultimate effects of their decisions will be borne by them”13.

Il principio “un’azione - un voto” (one share - one vote) prevede quindi che ogni soggetto che investa denaro in una società riceva un voto per ogni azione societaria che possiede, con una conseguente proporzionalità tra rischio economico sopportato e potere di indirizzo e controllo della società. Solitamente le azioni che rientrano in questo principio sono denominate azioni ordinarie.

Analizzato da un punto di vista giuridico il principio di proporzionalità del voto, fa si che le azioni avendo tutte le medesime caratteristiche e ugual valore, possano circolare in modo più rapido e sicuro, rendendo di conseguenza il titolo maggiormente liquido e negoziabile. Allo stesso tempo, l’uguaglianza dei titoli comporta una riduzione degli oneri informativi a carico degli investitori.

Dal punto di vista economico, il sistema di voto proporzionale permette di affidare il controllo dell’impresa al soggetto che abbia apportato maggiori risorse nell’impresa (e possieda quindi il maggior numero di azioni). Quest'ultimo sostenendo un rischio maggiore, avrà più interesse a curare il buon andamento della società e ad agire nell’interesse collettivo, nonché, allo stesso tempo, avrà meno incentivi a raggiungere obiettivi privati che si

13 v. WINTER J., SCHANS CHRISTERNSEN J., GARRIDO GARCIA J.M., HOPT K.J., RICKFORD J., ROSSI G., SIMON J., “Report of the high level group of company law experts on issues related to takeover bids”, Brussels, 10 January 2002.

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pongano in conflitto con quelli della società. Inoltre, può aumentare la contendibilità del controllo14.

Occorre sottolineare come una forte concentrazione dei diritti di voto in capo a un solo soggetto possa esasperare i cosiddetti problemi di agenzia fra azionista di maggioranza e di minoranza.

L’azionista di controllo può avere infatti incentivi a estrarre benefici privati dall’impresa nella misura in cui il valore di tali benefici è superiore alla riduzione di valore che ciò causa alla propria partecipazione. Inoltre, la presenza di azionisti di controllo riduce il rischio di scalate e, per questa via, l’azione disciplinante del mercato.15

2.3 Le deviazioni dal principio “un’azione - un voto”

Sebbene sia ampiamente riconosciuta la validità del principio di proporzionalità, gli ordinamenti giuridici spesso permettono alle imprese di deviare in una certa misura da esso,tramite i cosiddetti “Control Enhancing Mechanisms” o “CEMs”. Il loro tratto caratteristico consiste nel “potere di indirizzare le scelte d’impresa e quindi la destinazione dell’intero capitale investito, pur detenendone una frazione minoritaria, grazie alla parcellizzazione del possesso azionario e la diserzione da parte dei piccoli azionisti delle assemblee, in ragione della c.d. apatia razionale che ne orienta la condotta”16.

Il loro tratto caratteristico consiste nel “potere di indirizzare le scelte d’impresa e quindi la destinazione dell’intero capitale investito, pur detenendone una frazione minoritaria”17.

I “CEMs” permettono all’azionista di maggioranza di conservare il controllo della società e la possibilità di estrarre benefici privati a discapito dei soci di

14 v. JENSEN M. C., MECKLING W. H., 1976.

15 v. ALVARO S., CIAVARELLA A., D’ERAMO D., LINCIANO N., “Le deviazioni dal principio un’azione-un voto e le azioni a voto multiplo”, in Quaderni giuridici della CONSOB, 2004. 16 v. MONTALENTI P., “I gruppi piramidali tra libertà d’iniziativa economica e simmetria del mercato”, in Rivista delle società, 2008, II-III p. 326.

17 v. MONTALENTI P., “I gruppi piramidali tra libertà d’iniziativa economica e simmetria del mercato”, in Rivista delle società, 2008, II-III p. 326.

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minoranza, con un apporto limitato di capitali. Si tratta di meccanismi che consentono di ottenere una separazione tra proprietà e controllo ed altresì di ampliare il controllo esercitato dall’azionista a parità di capitale investito18. La dissociazione tra diritti economici e diritti di voto influenza il rapporto di agenzia tra azionisti di controllo / management e la minoranza degli investitori: “first, misaligns insiders interests from the maximization of the overall shareholders’ value in taking some key management decisions, second, the use of CEMs may allow insiders to retain enough voting power to prevent the threat of proxy contests or hostile takeovers which are the most powerful mechanisms to limit agency costs in diffused ownership structures”19.

I “CEMs” che permettono agli azionisti di ampliare il controllo aumentando il potere di voto, consistono in20:

– azioni a voto multiplo: sono azioni che conferiscono ai loro possessori diritti di voto differenti a parità di capitale investito. In alcuni paesi lo stock può essere dello stesso tipo, ma alcune azioni hanno più diritti di voto, mentre in altri le azioni prevedono l'acquisizione di più diritti di voto per gli azionisti che hanno detenuto le stesse per un certo periodo di tempo prestabilito;

– azioni senza diritto di voto (senza privilegio): sono azioni che non conferiscono diritti di voto al loro possessore e non concedono nessun diritto patrimoniale (ad esempio una preferenza nella distribuzione dei dividendi) per compensare l’assenza del diritto di voto;

– azioni senza diritto di voto con privilegio: l’azionista gode di un privilegio sui diritti patrimoniali a fronte dell’assenza del diritto di voto. Ad esempio, le azioni senza diritto di voto potrebbero concedere un privilegio sulla

18 v. SHERMAN & STERLING LLP - INSTITUTIONAL SHAREHOLDER SERVICES (ISS) – EUROPEAN CORPORATE GOVERNANCE INSTITUTE (ECGI), “Report on the Proportionality Principle in the European Union. Proportionality Between Ownership and Control in EU Listed Companies”, 18 May 2007.

19 v. CENZI VENEZZE F., “The Costs of Control-Enhancing Mechanisms: How to Regulatory Dualism Can Create Value in the Privatization of State-Owned Firms in Europe”, LLM Paper, Harvard Law School, August 29, 2013.

20 v. SHERMAN & STERLINGLLP - INSTITUTIONAL SHAREHOLDER SERVICES (ISS) – EUROPEAN CORPORATE GOVERNANCE INSTITUTE (ECGI), 2007.

(19)

distribuzione dei dividendi, garantendo un dividendo minimo o un dividendo più elevato;

– gruppi piramidali: questa situazione si verifica quando un soggetto (ad esempio una famiglia o una società) controlla una società che detiene il controllo su un’altra società, processo che può essere ripetuto per più volte. Questo meccanismo si basa sull'idea che la separazione tra proprietà e controllo può essere ottenuta concatenando più società. Più è alto il numero di società coinvolte nella piramide, maggiore è la deviazione dalla proporzionalità tra proprietà e controllo.

Altri CEMs possono essere utilizzati per rafforzare il controllo. La loro caratteristica è quella di “cristallizzare gli assetti di governo societario, impedendo che i diritti di voto si concentrino al di là di determinate soglie in capo a un unico soggetto”21.

Distinguiamo tra22:

– azioni prioritarie: sono azioni che conferiscono ai possessori determinati poteri decisionali o di veto, indipendentemente dalla percentuale di azioni possedute. I diritti attribuiti ai titolari di azioni prioritarie variano da società a società e possono spaziare dal diritto a proporre specifici candidati al consiglio di amministrazione, al diritto di nominare direttamente i membri del consiglio di amministrazione o di porre il veto su una decisione presa all'assemblea generale. Una particolare classe di azioni prioritarie sono le Golden shares, emesse a beneficio delle autorità governative e che consentono a queste ultime di mantenere il controllo nelle imprese privatizzate tramite l’assegnazione di diritti superiori rispetto a quelli usualmente assegnati alla normale partecipazione azionaria. Le golden shares permettono allo Stato, ad esempio, di bloccare le acquisizioni, di limitare i diritti di voto e / o la possibilità di esercitare il potere di veto.

– certificati di deposito: sono strumenti finanziari emessi sul mercato che hanno come sottostante azioni di una fondazione che amministra i diritti di

21 v. S. ALVARO, A. CIAVARELLA, D. D’ERAMO, N. LINCIANO, 2004.

22 v. SHERMAN & STERLINGLLP - INSTITUTIONAL SHAREHOLDER SERVICES (ISS) – EUROPEAN CORPORATE GOVERNANCE INSTITUTE (ECGI), 2007.

(20)

voto delle azioni, mentre ai detentori di tali strumenti spettano i soli diritti economici;

– limiti al diritto di voto: consistono in restrizioni che proibiscono agli azionisti di esercitare un numero di diritti di voto oltre una certa soglia, indipendentemente dal numero di azioni possedute. Ricade in questa tipologia la regola "una testa - un voto", in cui ciascun membro ha diritto a un voto singolo, indipendentemente dal numero di azioni possedute;

– limiti al possesso azionario: l’azionista non può detenere una partecipazione azionaria superiore ad una certa soglia;

– maggioranze qualificate: nello statuto sociale viene stabilito che per assumere alcune decisioni occorre una maggioranza dei voti superiore a quella prevista per legge.

Oltre ai CEMs già citati, possiamo trovare ulteriori meccanismi tra cui23: – le partnership limitate da azioni: si tratta di forme giuridiche autorizzate in alcuni Paesi europei, come Francia e Germania. In Italia troviamo la società in accomandita per azioni, caratterizzata dalla presenza di due categorie di soci (senza avere due classi di azioni) che godono di differenti diritti: i soci accomandatari hanno una responsabilità illimitata e gestiscono l’impresa, mentre i soci accomandanti rispondono nei limiti del conferimento effettuato e non possono amministrare la società;

– partecipazioni incrociate: si tratta del caso in cui l’azienda A detiene una partecipazione nell’azienda B, la quale a sua volta partecipa al capitale dell’azienda A. Sono ricompresi in questa classe anche i casi in cui la partecipazione è circolare, ovvero X possiede una partecipazione in Y, che la possiede in Z, che a sua volta la possiede in X;

– patti tra azionisti: sono alleanze, informali o formali, tra azionisti che mirano a impedire cambiamenti del controllo o a rafforzare il potere di voto in assemblea.

23 v. SHERMAN & STERLINGLLP - INSTITUTIONAL SHAREHOLDER SERVICES (ISS) – EUROPEAN CORPORATE GOVERNANCE INSTITUTE (ECGI), 2007.

(21)

Secondo studi teorici le deviazioni dal principio di proporzionalità tra diritti di voto e patrimoniali possono avere effetti significativi24:

1) sul funzionamento del mercato del controllo societario;

2) sui conflitti di interessi fra azionisti e management e sugli incentivi dei detentori di partecipazioni rilevanti (cosiddetti blockholders) a gestire al meglio l’impresa;

3) sulle decisioni finanziarie (tra cui la decisione di quotazione in borsa). Di seguito vengono approfonditi i tre argomenti, ponendo a confronto i vantaggi e svantaggi che ne derivano a seconda della struttura di voto adottata.

2.3.1

Mercato del controllo societario

Nel caso di una società a proprietà dispersa, l’adozione di un sistema di voto proporzionale può risultare ottimale in presenza di diversi potenziali acquirenti caratterizzati da una diversa capacità di creare valore e da un diverso livello di benefici privati del controllo.

Il motivo è da ricercarsi nel fatto che mediante il sistema proporzionale si riesce ad evitare che un offerente inefficiente (che possieda ampi benefici privati del controllo) possa acquisire il controllo a discapito degli altri offerenti, che sarebbero invece in grado di valorizzare meglio l’impresa25.

Se invece esistesse un solo potenziale acquirente efficiente di un’impresa ad azionariato disperso, questi potrebbe in alcuni casi non riuscire ad acquisire il controllo a causa del verificarsi del problema del free riding. Questo si manifesta nel comportamento opportunistico tenuto dagli azionisti appartenenti ad una società a proprietà dispersa che non riescono ad essere coordinati tra loro per perseguire una strategia comune di risposta all’offerta di uno scalatore, a causa degli elevati costi che si dovrebbero sostenere. In particolare, supponiamo che ogni azionista detenga un piccolo ammontare di azioni tale che pensi che la sua decisione non possa influenzare il risultato

24 v. BURKART M., LEE S., “One Share-One Vote: The Theory”, Review of Finance, vol. 12, 2008.

(22)

della scalata. Allora se gli azionisti ritengono che l’operazione di trasferimento del controllo avrà successo, ognuno di essi potrebbe decidere di vendere le proprie azioni solo quando il valore di queste sarà aumentato per effetto della scalata. Ciò implica che l’acquisizione sarebbe realizzata se il soggetto che propone l’acquisizione pagasse agli azionisti il valore atteso delle azioni con la nuova gestione. Poiché, in tale circostanza, lo scalatore non otterrebbe alcun profitto dall’operazione, l’acquisizione non avverrebbe anche se fosse efficiente26.

Il fenomeno del free riding può essere attenuato ricorrendo ad un sistema di voto non proporzionale in presenza di asimmetrie informative circa la capacità del bidder di creare valore27. Infatti, in assenza di concorrenza tra i potenziali acquirenti è possibile ridurre il prezzo a cui gli azionisti intendono vendere le proprie azioni, riducendo il costo dell’operazione e permettendo di realizzare un più alto numero di operazioni efficienti.

Caso diverso è quello delle società a proprietà concentrata, caratterizzate dall’assenza del problema del free riding. La motivazione è da ricercarsi nel fatto che se un azionista detiene il 50% +1 delle azioni, allora è possibile acquisire il controllo della società solo mediante lo svolgimento di trattative private tra quest’ultimo e il potenziale acquirente. Infatti, gli azionisti di minoranza, anche se si comportassero da free-rider, non riuscirebbero a impedire il realizzarsi dell'operazione. In questo caso quindi è preferibile un sistema di voto proporzionale.

26 v. GROSSMAN S. J., HART O. D, “Takeover bids, the free-rider problem and the theory of the corporation”, Bell Journal of Economics, 11, 1980, p. 42-64.

27 “Si consideri una società che emette n azioni di cui nv azioni con voto. La società è oggetto di un’offerta da parte di un soggetto la cui capacità di creare valore non è nota agli azionisti della società target. Gli azionisti stimano che l’offerente possa creare valore pari a vH o pari a vL (con vH> vL>q) con uguale probabilità. Pertanto il prezzo minimo p a cui questi sono disposti ad aderire all’offerta è una media ponderata di vH e vL: (vH + vL)/2. Poiché il prezzo offerto in equilibrio è lo stesso per tutti i potenziali bidders, l’offerente più efficiente paga meno rispetto al valore che è in grado di generare mentre l’offerente meno efficiente paga più rispetto al valore generato. Ipotizzando benefici privati pari rispettivamente a ZH e ZL, la condizione che deve essere verificata affinché entrambe le tipologie di offerenti possano promuovere un’offerta è la seguente: ZL+(vL-p) nv >K, dove K rappresenta il costo del takeover. Pertanto, la struttura del capitale sociale incide sulla probabilità che si verifichi un takeover. Se l’impresa emettesse solo azioni con voto (n=nv) tale condizione sarebbe più difficile da soddisfare. Al contrario, all’aumentare delle azioni senza voto si riduce il costo di acquisizione del controllo per l’offerente meno efficiente e si facilita quindi la realizzazione di acquisizioni efficienti”. v. ALVARO S., CIAVARELLA A., D’ERAMO D., LINCIANO N., 2004, op. citata.

(23)

Tuttavia, la scalata potrebbe essere influenzata dell’applicabilità della disciplina sull’Opa obbligatoria, che mira a garantire una tutela strumentale alla parità di trattamento e può avere effetti sull’esito della negoziazione e sul prezzo a cui gli azionisti di minoranza possono cedere le loro partecipazioni (in modo da consentir loro di uscire dalla società qualora non gradiscano il cambio di controllo)28. In presenza di OPA obbligatoria il sistema di voto proporzionale promuove la realizzazione di offerte capaci di creare valore e ostacola il realizzarsi di operazioni non efficienti29.

2.3.2

Conflitti di interessi

Come già visto precedentemente, per ridurre i problemi di agenzia tra principal e agent si può ricorrere alla concentrazione proprietaria nelle mani di un singolo azionista, in modo che questi abbia sia l’incentivo sia il potere di monitorare il comportamento dei managers e assicurarsi che l’impresa venga gestita in maniera efficiente. In alternativa, in presenza di un azionariato diffuso, si può anche far ricorso alla cosiddetta disciplina del mercato, in quanto i managers per paura di essere sostituiti gestiscono al meglio la società e – comunque – la possibilità di trasferire il controllo attribuisce la guida dell’azienda ad un soggetto maggiormente capace di creare valore per l’impresa.

L’utilizzo di sistemi di voto non proporzionali può avere effetti positivi o negativi su entrambi i meccanismi sopra discussi.

28 v. BEBCHUK L., “Efficient and Inefficient Sales of Corporate Control”, Quarterly Journal of Economics, 1994, p. 957-993.

29 Il caso di un’impresa a proprietà concentrata è molto simile al caso in cui più offerenti competono per acquisire il controllo di una società a proprietà dispersa. Nel caso di un’impresa a proprietà concentrata i due competitors sono l’azionista di controllo (I), detentore di una partecipazione maggiore del 50% del capitale, e un soggetto esterno (R). Il cambiamento del controllo risulta efficiente solo se il rivale è in grado di generare un maggior valore per azione, ovvero se vR + (ZR/n)> vI + (ZI/n). D’altro canto, il trasferimento del

controllo si verificherà se il prezzo di riserva di I è maggiore di quello di R, vale a dire se vR +

(ZR/anv)> vI + (ZI/ anv). Il rischio di assegnazione del controllo in capo al soggetto meno

efficiente si corre quando colui che crea maggiore valore percepisce minori benefici privati del controllo. La presenza di un sistema di voto proporzionale (n=nv) riduce il rischio di

equilibri inefficienti in quanto riduce il premio del controllo per azione. ”. v. ALVARO S., CIAVARELLA A., D’ERAMO D., LINCIANO N., 2004, op. citata. Cfr.: KAHAN M., “Sales of corporate control”, Journal of Law Economics and Organization 9, 1993, p. 368-379.

(24)

Per quanto riguarda la concentrazione proprietaria, si incentiva l’attività di monitoraggio da parte dell’azionista di controllo in quanto si riducono i costi associati alla detenzione di una partecipazione significativa in una sola impresa30, ossia i costi legati alla mancata diversificazione del portafoglio31, alla detenzione di un asset potenzialmente illiquido e i costi finanziari legati all’acquisto della partecipazione stessa. In altri termini la deviazione dal principio “un’azione – un voto” permette di ridurre tali costi, in quanto l’azionista può controllare una percentuale di voti più che proporzionale rispetto all’investimento effettuato e allo stesso tempo può ridurre il livello di rischio firm-specific che questi deve sostenere32.

Il sistema di non proporzionalità del voto può però influire negativamente sui problemi di agenzia tra azionista di maggioranza e azionisti di minoranza, poiché l’azionista di maggioranza avrà maggiore convenienza ad estrarre benefici privati legati al controllo, ossia benefici di natura pecuniaria e non, che non sono condivisi con gli altri azionisti33. Infatti, con un investimento finanziario inferiore rispetto a quello che sarebbe necessario se valesse il principio di proporzionalità, l’azionista può mantenere il controllo ed ha maggiori incentivi ad effettuare operazioni dannose per la società e vantaggiose per sé stesso (per esempio, operazioni di trasferimento di attività e risorse della società a favore di entità in cui questi ha investito una maggiore quota di capitale a prezzi non di mercato).

Guardando alla disciplina di mercato si è visto che i due meccanismi per mitigare i problemi di agenzia fra azionisti e managers sono la disciplina imposta dal rischio di scalata e il monitoring dell’azionista di controllo

Se si è in presenza di un sistema di voto proporzionale, i due meccanismi sono tra loro inversamente correlati: all’aumentare del numero di azioni

30 v. VILLALONGA, B. e R. H. AMIT, “How do family ownership, control and management affect firm value?”, Journal of Financial Economics, 80, 2006, p. 385-417.

31 v. ADMATI A. R., PFLEIDERER P., ZECHNER J., “Large shareholder activism, risk sharing and financial market equilibrium”, Journal of Political Economy, 105, 1994, p. 1097-1130; BODNARUK A., KANDEL E., MASSA M., SIMONOV A., “Shareholder diversification and the decision to go public”, Review of Financial Studies, 2007, p. 2779-2829.

32 v. GILSON R.J., SCHWARTZ A., “Constraints on private benefits of control: ex ante control mechanisms versus ex post transaction review”, ECGI Law Working Paper n. 194, 2012. 33 v. GROSSMAN S. J., HART O. D, “One share - one vote and the market for corporate control”, Journal of Financial Economics, 175, 1988, p. 175-202.

(25)

possedute da un azionista aumentano sia i suoi diritti patrimoniali, con effetti positivi sugli incentivi a perseguire gli interessi della società.

Nel caso di deviazioni dalla regola “un’azione - un voto”, si nota che al crescere delle azioni possedute, a parità di investimento finanziario, i diritti di voto aumentano in misura più che proporzionale, con una conseguente minor contendibilità del controllo, ma anche un maggiore potere di monitoring sul management.

La minaccia di scalata, oltre a svolgere un ruolo di incentivazione del management, potrebbe influire negativamente sullo stesso. Infatti, i manager nel timore di essere sostituiti potrebbero attuare delle scelte che distruggano valore per l’impresa34, come ad esempio: investire meno in capitale umano specializzato a favore di lavoratori generici35, preferire l’ottenimento di risultati nel breve termine e tralasciare il futuro36.

Più in generale, l’ipotesi che in un mercato contendibile l’efficienza sia incrementata sia ex ante (la contendibilità dovrebbe svolgere un’azione di disciplina sui managers, riducendo i problemi di agenzia derivanti dalla separazione tra proprietà e controllo) sia ex post (la contendibilità permette che i managers vengano sostituiti da dirigenti più competenti) non trova piena conferma nella letteratura empirica di riferimento37.

2.3.3

Decisioni finanziarie

La struttura del voto di una società può avere un impatto anche sulle decisioni finanziarie, in particolare nelle società ad azionariato concentrato. In presenza della regola di proporzionalità, quando un'impresa emette azioni per raccogliere fondi, aumenta il rischio che l'azionista-manager possa perdere il controllo dell'impresa ed i benefici privati ad esso associati;

34 v. PAGANO M., VOLPIN P., “Managers, workers and corporate control”, Journal of Finance 60, 2005, p. 841-868.

35 v. IPPOLITO, “Takeover defenses, firm-specific skills and managerial entrenchment”, Working Paper, University of Oxford, 2006; KNOEBER C.R., “Golden parachutes, shark repellents and hostile tender offers”, American Economic Review, 76, 1986, p.155-167. 36 v. STEIN J., “Takeover threats and managerial myopia”, Journal of Political Economy, 96, 1988, p. 61-80; CHEMMANUR T. J., JIAO Y., “Dual class IPOs, share recapitalizations, and unifications: a theoretical analysis”, ECGI Finance Working Paper n. 129, 2006.

37 v. BURKART M., PANUNZI F., “Takeover”, ECGI Working Paper, 2006. Per un’ulteriore trattazione vedi paragrafo 3.

(26)

pertanto, il manager potrebbe essere disposto a rinunciare a investimenti a VAN positivo.

Se si potesse deviare da tale regola, ad esempio emettendo azioni senza diritto di voto, l’impresa avrebbe la possibilità di raccogliere fondi senza diluire i diritti di controllo dell’azionista-manager. In questo modo si potrebbe quindi alleviare il problema del sottoinvestimento38.

Seguendo lo stesso ragionamento si può ipotizzare che anche la decisione dell’azionista-manager di quotare in borsa la sua società venga influenzata dalla presenza o meno del principio di proporzionalità. Nel caso ove il principio sia valido, in sede di initial public offering (IPO) l’azionista potrebbe trovarsi nella situazione di perdere il controllo e per non rinunciare agli elevati benefici privati connessi a tale posizione, potrebbe scegliere tra varie opzioni tra cui:

- quotarsi, emettendo titoli per l’ammontare richiesto, effettuando allo stesso tempo un investimento proporzionale alle risorse raccolte. Questo richiede all’azionista di controllo un ingente esborso di capitali;

- quotarsi, raccogliendo un ammontare di risorse inferiore a quelle richieste, limitando la crescita dell’impresa e comportando una minore liquidità del titolo sul mercato39. L’azionista di controllo potrebbe non desiderare investire ulteriori risorse nella società o potrebbe non avere disponibilità economiche; - non quotarsi. Così facendo, l’impresa qualora non abbia un adeguato livello di autofinanziamento o non abbia più accesso al mercato del capitale di credito (perché ha superato un certo livello di leva finanziaria ovvero per altri motivi), sarà costretta a rinunciare a investimenti potenzialmente profittevoli. Allo stesso modo, l’impossibilità di derogare al suddetto principio potrebbe indurre le imprese all’adozione di altri meccanismi di separazione tra proprietà e controllo tendenzialmente più opachi, quali gruppi piramidali e partecipazioni incrociate40.

38 v BANERJEE S., “Dual-class Issues and Mitigating the Costs of Corporate Democracy”, Working Paper, 2005; BANERJEE S., MASULIS R.W., “Ownership, Investment and Governance: The Costs and benefits of Dual Class Shares”, ECGI Finance Working Paper, February 2013.

39 v BEBCHUK L., “A rent protection theory of corporate ownership and control”, Harvard Law and Economics discussion paper n. 60, 1999.

40 v MASULIS R.W., PHAM P. K., ZEIN J., “Family business groups around the world: Costs and benefits of pyramids”, Review of Financial Studies, 2011.

(27)

Potendo deviare dal principio “un'azione - un voto” il manager può invece effettuare la quotazione della società, mantenendone il controllo e i relativi benefici, tramite un minor investimento di risorse. L’azionista di controllo potrebbe utilizzare le eventuali risorse “risparmiate” per diversificare meglio la propria ricchezza e ridurre quindi il rischio specifico a cui è esposto. Tramite la quotazione, si consente inoltre alla società di raccogliere i capitali utili alla crescita della società stessa (per fare nuovi investimenti in tecnologie, ricerca, acquisto di macchinari, etc.), oltre ad aumentare la liquidità del titolo.

3

La letteratura empirica

Data la rilevanza delle possibili conseguenze derivanti da un controllo concentrato, la letteratura empirica ha svolto un contributo importante nel valutare le differenze tra le varie teorie concernenti gli effetti positivi e negativi delle deviazioni dal principio di proporzionalità. Sono stati condotti vari studi per indagare sia le motivazioni del ricorso a meccanismi di separazione tra proprietà e controllo, sia gli effetti che questo comporta sul valore di mercato delle imprese41.

Smart e Zutter (2003) evidenziano l’esistenza di una relazione tra il fenomeno dell’underpricing e il sistema di controllo dell’impresa. Confrontando imprese emittenti una sola categoria di azioni (single-class) e imprese caratterizzate dalla presenza di più categorie di azioni, che conferiscono differenti diritti di voto e/o patrimoniali (o dual-class)42, gli autori hanno rilevato che la differenza nei rendimenti è sia statisticamente che economicamente significativa e indica che le dinamiche legate al controllo influenzano l'underpricing. Questo fenomeno è tipico delle operazioni di OPV e IPO e si verifica quando il prezzo di collocamento è inferiore al prezzo di mercato dei titoli al momento della quotazione43.

41 v. ADAMS R., FERREIRA D., “One share-one vote: the empirical evidence”, Review of Finance, n 12, 2008, p. 5191.

42 v. SMART S., ZUTTER C.J., “Control as a motivation for underpricing: A comparison of dual and single-class IPOs”, Journal of Financial Economics, n 69, 2003, p. 85-110.

(28)

In particolare, si osserva come le imprese emittenti più di una categoria di azioni, in occasione delle IPO, presentano un livello di underpricing inferiore rispetto alle single-class. Se infatti le società, al momento della quotazione, offrono al pubblico i loro titoli ad un prezzo inferiore al presumibile prezzo di mercato, in caso di elevata sottoquotazione dei titoli si genererà un eccesso di domanda degli stessi, favorendo una maggiore dispersione delle azioni presso il pubblico. Ciò potrebbe consentire all’azionista di controllo di proteggersi da eventuali scalate (effettuate tramite rastrellamenti di azioni sul mercato secondario da parte di soggetti esterni).

Questo fenomeno è assente o fortemente ridotto in caso di emittenti dual-class, in quanto i manager di quest’ultime non hanno alcun interesse a creare un azionariato disperso, dato che la struttura del capitale permette già loro di mantenere il controllo sulla società.

Gli autori evidenziano tuttavia due criticità:

• le differenze nella struttura proprietaria sono piccole rispetto alle differenze legate all’underpricing;

• molti studi riportano come i turnover post-IPO siano maggiori per le società caratterizzate da maggiori livelli di underpricing.

Questo limita dunque la possibile l’efficacia dell’underpricing come strumento capace di creare una dispersione della proprietà44.

Tra le varie motivazioni che possono portare all’adozione di una struttura proprietaria caratterizzata dalla presenza di più categorie di azioni, la volontà di estrarre benefici privati del controllo assume un peso rilevante. Infatti, si osserva come le dual-class siano più numerose rispetto alle “single” nelle industrie caratterizzate ex-ante dalla presenza di benefici privati significativi, come avviene ad esempio nelle imprese a controllo familiare45.

A parità di condizioni, gli amministratori delegati della dual-class godono di una retribuzione più elevata rispetto agli amministratori delle società a classe singola. Inoltre, dato che solitamente le imprese dual-class non rientrano nel

44 v. SMART S., ZUTTER C.J., 2003.

45 v. CRONQVIST H., NILSSON M. “Agency costs of controlling minority shareholders”, Journal of Financial and Quantitative Analysis, n 38, 2003, p. 81-112; HOLMÈN M., HÖGFELDT P. “A law and finance analysis of initial public offerings”, Journal of Financial Intermediation, n 13, 2004, p. 324-358; AMOAKO-ADU B., SMITH B. F., KALIMIPALLI M., “Concentrated control and corporate value: a comparative analysis of single and dual class structures in Canada”, Applied Financial Economics, n 19, 2009, p. 955-974.

(29)

profilo di imprese ad alta crescita, i manager evitano di esporsi a problemi di underinvestment46.

La protezione dal mercato per il controllo aziendale ha tuttavia un costo. Controllando le dimensioni dell'IPO e le prospettive di crescita, le azioni ordinarie di imprese dual-class vengono negoziate con più alti rapporti prezzo/utili e utili/vendite rispetto alle single-class e devono fornire un maggior volume di informazioni in fase IPO.

Le imprese con due categorie di azioni si avvalgono inoltre del supporto di investitori professionali (come ad esempio banche d’investimento), ma raramente ricevono sostegno dai venture capital. Questo perché i venture capitalists (VCs) – che, oltre a finanziare le società, svolgono anche un ruolo vitale nel governo societario, sedendo spesso nel consiglio di amministrazione delle società in cui hanno investito – tendono a non gradire una struttura finanziaria che permette ai manager di trincerarsi (entrenchment) e mantenere un controllo accentrato sulla società47.

Come già osservato, una volta effettuata la quotazione della società i manager potrebbero essere estromessi dal controllo societario. Per evitare tale situazione potrebbero utilizzare l’underpricing in fase di IPO per favorire la dispersione dell’azionariato evitando il rischio di scalate ostili. Tuttavia, la sottoquotazione potrebbe rivelarsi troppo onerosa o non garantire un adeguato livello di protezione. Senza considerare che, dato che la struttura proprietaria è dinamica, il livello di dispersione raggiunto in un determinato momento, potrebbe ridursi in epoca futura.

Come sostituto all’underpricing, i manager possono utilizzare uno strumento meno oneroso, che è rappresentato dalla struttura dual-class per rafforzare la loro posizione di controllo nel lungo termine48. Gompers et al. (2010) evidenziano come le azioni a voto multiplo siano utilizzate per mantenere il

46 v. SMART S., ZUTTER C. J., 2003. 47 Ibidem.

48 Ibidem; SCHMID M. M., “Ownership structure and the separation of voting and cash flow rights-evidence from Switzerland”, in Applied Financial Economics, n 19, 2009, p. 1453-1476; DE ANGELO H., DE ANGELO L., “Managerial ownership of voting rights: A study of public corporations with dual classes of common stock”, Journal of Financial Economics 14, 1985, p. 33-69.

(30)

controllo sull’impresa e per questa ragione siano in genere meno negoziate rispetto ad altre categorie di azioni49.

Il ricorso all’emissione di azioni dual-class può essere anche legata alla necessità di reperire ulteriori risorse finanziare al fine di avviare progetti a VAN positivo, senza che ciò comporti la perdita del controllo da parte dell’azionista di riferimento50. Compatibilmente con questa interpretazione, Lehn et al. (1990) riportano come le imprese che decidono di reperire ulteriore capitale azionario emettendo dual-class shares hanno prospettive di crescita migliori di quelle che invece scelgono di non quotarsi51.

In letteratura gli effetti della deviazione dal principio di proporzionalità sono analizzati mediante il ricorso a due differenti metodologie d’indagine:

la prima studia le reazioni del mercato all’annuncio di passaggio da una determinata struttura di voto ad un’altra (come ad esempio, il passaggio da single-class a dual-class, l’unificazione ad un’unica classe azionaria o ristrutturazioni);

il secondo si fonda sulla correlazione fra misure rappresentative del valore dell’impresa (quale, ad esempio, il market-to-book ratio o la q di Tobin) e variabili che misurano la differenza tra diritti di voto e diritti ai cash flows52. Gli studi che si seguono la prima metodologia non pervengono a conclusioni univoche.

Dimitrov (2006) analizza un campione di aziende che hanno deviato dal principio “one-share, one-vote”, affiancando alle azioni ordinarie l’emissione di azioni con diritti di voto limitati. Si tratta di aziende caratterizzate da una proprietà concentrata già prima dell’adozione di una struttura dual-class shares (gli annunci di ricapitalizzazione tramite l’emissione di dual-class

49 v GOMPERS P. A., ISHII J. L., METRICK A., “Extreme governance: An analysis of dual-class firms in the United States”, Review of Financial Studies, 2010, p. 1051-1088.

50 v. DIMITROV V., JAIN P. C., “Recapitalization of one class of common stock into dual-class: Growth and long-run stock returns”, Journal of Corporate Finance, n 12, 2006, p. 342-366. Gli autori evidenziano come i manager non estraggano significativi benefici privati dal controllo tramite una struttura dual-class, ma come questa sia utilizzata per raccogliere risorse da destinare alla crescita della società (consentendo a tutti gli azionisti di ricevere benefici). Concludendo poi che “large managerial voting control without equivalent cash flow rights may be desirable in some circumstances.”

51 v LEHN K., NETTER J., POULSEN A., “Consolidating corporate control: Dual-class recapitalizations versus leverage buyouts”, Journal of Financial Economics, 27, 1990, p. 557-580.

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