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La riforma del diritto societario del 2003

Capitolo 2: Il principio “un’azione un voto” e le sue deviazioni nell’evoluzione

1 Il quadro normativo italiano

1.3 La riforma del diritto societario del 2003

Il D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 6 “Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge delega 3 ottobre 2001, n. 366″, ha profondamente innovato la disciplina del diritto societario italiano, allo scopo di:

• allineare il nostro ordinamento in materia societaria con la normativa comunitaria, al fine di favorire la nascita, la crescita e la competitività delle imprese, anche attraverso il loro accesso ai mercati interni ed internazionali dei capitali;

• definire con chiarezza i compiti e le responsabilità degli organi sociali; • semplificare la disciplina delle società tenendo conto delle esigenze delle

imprese e del mercato concorrenziale;

• ampliare gli ambiti dell’autonomia statutaria tenendo però conto degli interessi contrapposti;

• prevedere la possibilità, i limiti e le condizioni di emissione di strumenti finanziari non partecipativi e partecipativi a disposizione delle varie esigenze delle imprese109.

Si tratta della prima riforma, dopo quella del 42’ (quindi ad una distanza di sessant’anni) che attenua il principio di proporzionalità e che attribuisce ai privati una maggiora autonomia statutaria.

In base all’art. 2346 c.c., comma 4, “A ciascun socio è assegnato un numero di azioni proporzionale alla parte del capitale sociale sottoscritta e per un valore non superiore a quello del suo conferimento. Lo statuto può prevedere una diversa assegnazione delle azioni” consentendo la possibilità, a seguito di pattuizioni, di determinare una distribuzione delle azioni tra i soci in misura non proporzionale al conferimento effettuato. Questo comporta l’assegnazione di azioni di valore superiore ai conferimenti eseguiti da uno o

108 LA SALA G. P., 2011.

più soci e allo stesso tempo l’assegnazione di azioni di valore inferiore ai conferimenti effettuati ad altri soci. Fermo restando che l’assegnazione non proporzionale è ammessa purché “il valore dei conferimenti non sia inferiore all'ammontare globale del capitale sociale” (art 2346 c.c., comma 5).

L’art. 2351 c.c. (post-riforma del diritto societario 2003), recita110:

• “Ogni azione attribuisce il diritto di voto” (art. 2351 c.c., comma 1). Tale formulazione (che è rimasta invariata rispetto al Codice del 1942) afferma che ogni azionista ha diritto di voto, ma è interessante notare che non sia espressamente prevista la regola “ogni azione attribuisce il diritto a un voto”;

• “Salvo quanto previsto dalle leggi speciali, lo statuto può prevedere la creazione di azioni senza diritto di voto, con diritto di voto limitato a particolari argomenti, con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative. Il valore di tali azioni non può complessivamente superare la metà del capitale sociale” (art. 2351 c.c., comma 2). La norma consente ai privati una maggiore autonomia statutaria nel regolare al meglio i propri interessi, prevedendo la possibilità di introdurre forti limitazioni alla correlazione tra azione e voto, anche senza la previsione di vantaggi patrimoniali per il socio diminuito nel voto. Rispetto alla formulazione precedente, si consente a tutte le società per azioni (anche non quotate) la possibilità di emettere azioni prive di diritto di voto, derogando al principio “nessuna azione senza voto”111;

• “Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può prevedere che, in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto, il diritto di voto sia limitato ad una misura massima o disporne scaglionamenti” (art. 2351 c.c., comma 3). È prevista la possibilità, per uno stesso soggetto, di ricorrere ad un sistema di voto scalare o di introdurre un tetto massimo al diritto di voto, in relazione alla quantità di azioni da questo possedute. Le azioni con diritto

110 Sul punto, cfr.: ABRIANI N., “Commento all’art. 2351 c.c.”, in Commentario Cottino e altri, Bologna, Zanichelli, 2004; SAGLIOCCA M., “Il definitivo tramonto del principio “un’azione, un voto”: tra azioni a voto multiplo e maggiorazione del voto”, in Riv. not., 2014, V, p. 921; ANGELICI C., “La riforma delle società di capitali. Lezioni di diritto commerciale”, Padova, Cedam, Edizione: 2, 2006.

di voto scaglionato, attribuiscono un incremento del diritto di voto in misura meno che proporzionale rispetto alla quantità di azioni possedute dallo stesso soggetto112, mentre la presenza di un tetto massimo al diritto di voto comporta che ogni azione possa esercitare un voto fino al raggiungimento di una determinata soglia, oltre la quale i diritti di voto eccedenti non possono essere esercitati113. Si ribadisce quindi l’inderogabilità del principio generale per il quale il potere (di voto), pur essendo attribuibile in misura inferiore al rischio, non deve invece mai essere superiore al rischio;

• “Non possono emettersi azioni a voto plurimo” (art. 2351 c.c., comma 4). Il divieto è rimasto immodificato rispetto alla previgente normativa; • “Gli strumenti finanziari di cui agli articoli 2346, sesto comma, c.c.114 e

2349, secondo comma, c.c.115 possono essere dotati del diritto di voto su

argomenti specificamente indicati e in particolare può essere ad essi riservata, secondo modalità stabilite dallo statuto, la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco. Alle persone così nominate si applicano le medesime norme previste per gli altri componenti dell’organo cui partecipano” (art. 2351 c.c., comma 5). Si osserva come la riforma del diritto societario abbia modificato la regola “nessun voto senza azioni”, consentendo di riconoscere il diritto di voto, seppur solo su specifici argomenti, anche ai soggetti titolari di strumenti finanziari

112 Secondo alcuni autori, tra cui MASSELLA DUCCI TERI B., “Appunti in tema di divieto di azioni a voto plurimo: evoluzione storica e prospettive applicative”, in Riv. dir. soc., 2013, il voto scalare consentirebbe però anche un’attribuzione del voto in misura più che proporzionale rispetto alle azioni possedute, non costituendo una categoria speciale di azioni e non incorrerebbe, di conseguenza, nel divieto di emissione azioni a voto plurimo. 113 Cfr.: BUSANI A., SAGLIOCCA M., “Le azioni non si contano ma si pesano: superato il principio one share on vote con l'introduzione delle azioni a voto plurimo e a voto maggiorato”, in Le società, 2014, X, p. 1048 ss.

114 Art. 2346 c.c., comma 6: “Resta salva la possibilità che la società, a seguito dell'apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o servizi, emetta strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti. In tal caso lo statuto ne disciplina le modalità e condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione”.

115 Art 2349 c.c., comma 2: “L'assemblea straordinaria può altresì deliberare l'assegnazione ai prestatori di lavoro dipendenti della società o di società controllate di strumenti finanziari, diversi dalle azioni, forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti. In tal caso possono essere previste norme particolari riguardo alle condizioni di esercizio dei diritti attribuiti, alla possibilità di trasferimento ed alle eventuali cause di decadenza o riscatto”.

diversi dalle azioni116. Lo strumento finanziario rappresenta quindi “qualunque tecnica di investimento nell’attività dell’ente e diversa dall’investimento azionario e da quello obbligazionario strettamente inteso”117, destinato unicamente al servizio della società per azioni. L’art. 2348 c.c.118 (modificato nel 2003), consente la possibilità di emettere, tramite previsione statutaria e nei limiti imposti dalla legge, azioni fornite di diritti diversi da quelle ordinarie (sia amministrativi, sia patrimoniali, come ad esempio la partecipazione alle perdite), purché all’interno di ogni categoria le azioni siano dotate di medesimi diritti e abbiano lo stesso valore.

Con questa riforma, il legislatore ha consentito una più ampia deviazione dal principio di proporzionalità del voto, riconoscendo una maggiore libertà alle società di regolare i propri rapporti interni in modo da soddisfare al meglio gli interessi e le esigenze dei singoli soci. Le motivazioni sono da ricercarsi nella “esigenza di ampliare gli strumenti disponibili alla società per attingere a fonti di finanziamento, dando ampio spazio alla creatività degli operatori nell’elaborazione di forme adeguate alla situazione di mercato”119. Il legislatore ha però mantenuto il previgente divieto di emissione di azioni a voto plurimo nei confronti di tutte le società, sia quotate, sia chiuse, onde evitare la possibilità che un piccolo gruppo di azionisti detentore di una partecipazione inferiore al 25% del capitale (in combinazione con l’emissione di azioni senza diritto di voto o con voto limitato fino al massimo della metà del capitale sociale), potesse esercitare il proprio potere di gestione

116 Sul rapporto tra strumenti finanziari partecipativi e azioni, tra i molti, cfr.: OPPO G., “Quesiti in tema di azioni e strumenti finanziari”, in “Liber Amicorum” Campobasso G. F., vol. I, Torino, Utet, 2006; NOTARI M., “Azioni e strumenti finanziari: confini delle fattispecie e profili di disciplina”, in “Banca e borsa”, 2003, I, p. 542; SALANITRO N., “Cenni tipologici sugli strumenti finanziari diversi dalle azioni”, in “Liber Amicorum” CAMPOBASSO G. F., vol. I, Torino, Utet, 2006; COSTI R., Strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi, in “Liber Amicorum” Campobasso G. F., vol. I, Torino, Utet, 2006; CIAN M., Investitori non azionisti e diritti amministrativi nella «nuova» s.p.a., in “Liber Amicorum” Campobasso G. F., vol. I, Torino, Utet, 2006.

117 v. CIAN M., 2006.

118 Art. 2348 c.c.: “Le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti. Si possono tuttavia creare, con lo statuto o modificazioni di questo, categorie di azioni fornite di diritti diversi anche per quanto concerne la incidenza nelle perdite. In tal caso la società, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie. Tutte le azioni appartenenti ad una medesima categoria conferiscono uguali diritti”.

119 RELAZIONE AL DECRETO LEGISLATIVO 17 GENNAIO 2003, N. 6. RIFORMA ORGANICA DELLA DISCIPLINA DELLE SOCIETA’ DI CAPITALI E SOCIETA’ COOPERATIVE, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366, in Riv. soc., 2003, p. 112.

cristallizzando il controllo societario a fronte di un modesto apporto di risorse120.

Guardando al panorama azionario, si nota come nel tempo, le azioni prive del diritto di voto o con diritto di voto limitato abbiano assunto un ruolo sempre più marginale, a seguito di operazioni di fusione e di delisting e principalmente ad operazioni di conversione delle azioni senza diritto di voto in azioni ordinarie. La causa di questo fenomeno è da ricercarsi da una parte nell’entrata dell’Italia nell’Unione monetaria europea e alla conseguente riduzione dei tassi di interesse nel mercato finanziario, che ha comportato per gli emittenti un aumento del costo dell’emissione di azioni di risparmio (legato al privilegio nel dividendo), notevolmente più alto del costo dell’emissione di strumenti di debito; dall’altra, l’entrata in vigore del T.U.F. e la riforma del diritto societario del 2003 hanno indirettamente sospinto le società emittenti a effettuare operazioni di conversione delle azioni di risparmio in circolazione in azioni ordinarie. Fissando, da un lato, l’obbligo di Opa totalitaria al superamento della quota del trenta per cento del capitale con diritto di voto e, dall’altro, innalzando il quorum, per le delibere delle assemblee straordinarie, dalla maggioranza ai due terzi del capitale sociale presente in assemblea, si ottiene una riduzione dei rischi derivanti dalla conversione di azioni di risparmio e connessi alla diluzione della quota dell’azionista di controllo. Quest’ultimo, di conseguenza è incentivato a intraprendere tali operazioni, anziché ostacolarle. Operazioni di conversione sono state anche effettuate per allinearsi alle preferenze degli investitori istituzionali, i quali sono generalmente avversi all’investimento in strutture caratterizzate dalla presenza di meccanismi di rafforzamento del controllo (come ad esempio le golden shares e i limiti al diritto di voto).

L’unica previsione riguardante la maggiorazione del voto, prima dell’emanazione del Decreto Competitività del 2014, è quella introdotta

120 Cfr. BIONE M., “Il voto multiplo: digressioni sul tema”, in Giur. comm., 2011, V, il quale afferma che il divieto di emissione di azioni a voto multiplo ribadito con la riforma del 2003 aveva il principale scopo di impedire “l’asservimento della società ad azionisti che complessivamente detengano una partecipazione inferiore ad un quarto del capitale, percentuale questa in cui il legislatore ravvisa il limite minimo al di sotto del quale il governo della società non si ritiene trovi più sociale ed economica giustificazione”.

dall’art. 3 del d. lgs. 27 gennaio 2010, n. 27 che ha riscritto l’art. 127 - quater, T.U.F.121.

La citata disposizione permette di inserire nello statuto di una società quotata una clausola che consente, a determinate condizioni, una maggiorazione del dividendo da distribuirsi solo ad alcuni azionisti, riconoscendo, quindi, un “premio” al soggetto che possa vantare un possesso prolungato delle azioni della società, a qualsiasi categoria esse appartengano. Affinché il dividendo possa essere maggiorato, devono essere rispettati dei limiti imposti dalla legge:

• il possesso delle azioni per cui si richiede il beneficio maggiorato deve durare per almeno un anno;

• la maggiorazione complessivamente distribuita non può superare il 10% del dividendo che viene complessivamente distribuito alle altre azioni (viene posto quindi un tetto massimo all'ammontare del premio);

• in ogni caso il premio non può essere conseguito da un azionista singolo oltre una certa misura: se l'azionista possiede una partecipazione che supera lo 0,50% del capitale sociale, la maggiorazione può essere prevista nei limiti di tale soglia;

• il diritto al beneficio non può essere attribuito a chi durante il suddetto periodo abbia esercitato, anche temporaneamente, un’influenza dominante, individuale o congiunta con altri soci tramite un patto parasociale (previsto dall'articolo 122 T.U.F.), ovvero un'influenza notevole sulla società.

121 Art. 127-quater, primo comma, T.U.F.: “In deroga all'articolo 2350, comma 1, del Codice civile, gli statuti possono disporre che ciascuna azione detenuta dal medesimo azionista per un periodo continuativo indicato nella statuto, e comunque non inferiore ad un anno, attribuisca il diritto ad una maggiorazione non superiore al 10 per cento del dividendo distribuito alle altre azioni. Gli statuti possono subordinare l'assegnazione della maggiorazione a condizioni ulteriori. Il beneficio può estendersi anche alle azioni assegnate ai sensi dell'articolo 2442 del Codice civile a un azionista che abbia diritto alla maggiorazione indicata nel primo periodo”.

1.4 Il Decreto Competitività del 2014 - Il dibattito