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CAPITOLO 2 CASO STUDIO: LA CODIFICA IN EAD DEL FONDO

2.3 Metodologia 50

2.3.4 Codifica EAD 63

Le linee generali per la strutturazione della descrizione archivistica utilizzate, sono quelle che partono, come già detto, dalle indicazioni del gruppo delle Bonnes Pratiques de L’EAD.

Il livello di struttura dell’inventario è costituito da 5 livelli di descrizione, identificabili nei valori dell’attributo EAD @level di:

• “fonds”, per l’elemento <archdesc>;

• “subfonds”, per il primo componente <c> dell’elemento <dsc>;

• “series”, per i vari componenti <c> all’interno del livello “subfonds”;

• “subseries”, per i vari componenti <c>, all’interno del livello “series”;

• “item”, per i vari componenti <c>, all’interno del livello “subseries”.

Il fondo Jean Cocteau non è costituito esclusivamente – come ricordavamo - da una tipologia documentaria ma da differenti componenti quali foto, disegni, ecc.. Si è scelto quindi di dare la

possibilità di inserire diversi “subfonds” all’interno della struttura. Il “subfonds” dei manoscritti resta il più consistente e, soprattutto, quello di maggiore rilievo e da inserire nel CCF. E’ stato comunque codificato anche il “subfonds” delle fotografie.

Per quel che riguarda i manoscritti, all’interno del “subfonds” le varie “series” indicano la varie classificazioni dell’inventario che è organizzato in suddivisioni letterarie, nello specifico sulla tipologia delle opere. Avremo quindi i romanzi, il teatro, il cinema, ecc.

All’interno dei vari livelli di “series”, le “subseries” identificano solitamente l’opera specifica che ha al suo interno i vari ed eventuali “item”. Si specifica che l’ ”item” non rappresenta esclusivamente una singola unità archivistica all’interno dell’inventario Cocteau. Tenendo conto che i lettori della BHVP possono richiedere giornalmente di visionare solo un limitato numero di codici, si è scelto di dare il codice all’unità archivistica e non al singolo documento. Esso rappresenta quindi uno o più fascicoli di solito condizionati in buste. Solo in casi estremamente particolari si è scelto di inserire ulteriori specifiche utilizzando il valore “otherlevel”. Questo anche perché – in linea di massima - la politica della BHVP, è quella di non utilizzarlo anche se non espressamente sconsigliato.

All’interno dell’elemento obbligatorio <eadheader>, l’elemento inglobante che fornisce le informazioni bibliografiche e descrittive relative allo strumento di ricerca, sono state fornite le informazioni relative all’autore della codifica, il software utilizzato, la lingua di codifica e la varie norme ISO per la codifica (Figura 7). Le ISO in questione sono: per i codici della nazioni la ISO 3166-1 Codes for the

representation of names of countries and their subdivisions, per le date la ISO

8601 Data elements and interchange formats - Information interchange -

Representation of dates and times, per la rappresentazioni dei nomi delle

lingue la ISO 639-2b Codes for the Representation of Names of Languages, per l’identificazione delle biblioteche e degli istituti correlati la ISO 15511 Information and documentation -- International standard identifier for

libraries and related organizations (ISIL) e infine per i codici di scrittura la

norma ISO 15924 Codes for the representation of names of scripts.

Figura 7

Figura 8

Per quel che riguarda l’elemento <archdesc> (Figura 8), che è l’elemento comprendente tutta le descrizione archivistiche, sono state

inserite al suo interno le informazioni relative alla tipologia del fondo, il codice identificativo del fondo stesso, le date estreme, la lingua di codifica dell’inventario, l’istituto di conservazione del fondo (che potrebbe anche essere differente da chi si è occupato della codifica) , le informazioni su come è stato classificato e organizzato il fondo.

Va però precisato che il fondo Jean Cocteau è più simile a una collezione di documenti d’archivio che a un vero e proprio fondo archivistico in senso stretto47 ma, nonostante ciò, la biblioteca ha

preferito dare all’attributo @level contenuto in <archdesc> il valore di “fonds” e non di “collection”, come si è solito fare appunto per le collezioni archivistiche. Si è scelto di considerare gli attributi più prettamente “archivistici” per differenziare i fondi specialistici dalle grandi collezioni dei cataloghi generali. Normalmente per le collezioni archivistiche si utilizzano i valori: “collection”, “file” e spesso si utilizza “otherlevel” specificandone il nome del livello che si vuole attribuire.

All’interno dell’elemento <dsc>, che ingloba gli elementi che costituiscono la descrizione archivistica, si trovano i vari livelli dei componenti <c>. Come consigliato dal gruppo delle buone pratiche, si è scelto di avere un solo elemento <dsc> al quale non si è dato alcun valore ID in quanto ritenuto superfluo.

Si è inoltre dato un valore”in-depth” all’attributo @type di <dsc> in quanto il dettaglio di descrizione scende quanto più possibile in profondità a dei livelli di <item>.

47

Si rimanda al capitolo 3, paragrafo 3.2.

Figura 9

Per l’elemento di descrizione archivistica <c> si è scelto di usare, come strettamente raccomandato dal gruppo delle Bonne pratiques e dagli utilizzatori francesi, esclusivamente degli elementi <c> annidati (Figura 10) e mai gli elementi <c> numerati.

Figura 10

L’EAD infatti, permette anche di avere dei livelli di descrizione numerati da 1 a 12 (il livello massimo di dettaglio di descrizione archivistica) indicati come <c1>, <c2>, ecc. Tali elementi, sebbene possano apparire a prima vista più convenienti perché esplicitamente il livello facilitandone la visualizzazione in fase di lavoro, vengono caldamente sconsigliati. Questo per una motivazione eminentemente pratica in quanto, in caso di necessità di eliminazione o integrazione di uno dei livelli ne deriverebbe il conseguente obbligo di modifica di tutti i livelli “figli”. La pratica di utilizzare le <c> numerate è tipica del mondo anglofono, soprattutto di quello nordamericano. Inizialmente, poi, il largo utilizzo di questa tipologia era dovuto al fatto che la codifica in EAD avveniva per la maggior parte per retro conversione

dei fondi, in particolar mondo di fondi che non avrebbero più avuto bisogno di successive implementazioni o modifiche. Per questa ragione, in questi casi specifici, le componenti <c> numerate non risultano un problema.

Nella pratica quotidiana, invece, quando si codifica in fase di inventariazione di fondi o nel caso in cui questi possono essere ulteriormente implementati con nuove acquisizioni, come accade nelle biblioteche, tale pratica appare infelice e poco pratica.

All’interno di ogni elemento <c> di livello “item” (Figura 11) è stato individuato un numero minimo di attributi ed elementi di descrizione da utilizzare. Avremo sempre, quindi, un attributo @id (che identificherà in maniera univoca l’elemento) oltre, ovviamente all’attributo @level di valore “item”. All’interno dell’elemento <c> avremo l’elemento obbligatorio <did> (che raggruppa gli elementi che identificano le informazioni principali dell’unità documentaria descritta) che conterrà a sua volta l’elemento <unitid> (che specifica il codice identificativo che il ricercatore indicherà per la consultazione dei documenti). Al suo interno avremo l’elemento <unittitle> che identificherà il nome (spesso creato e attribuito dalla biblioteca) dell’unità descritta, un elemento <physdesc> (che contiene i vari elementi che descrivono le caratteristiche fisiche della documentazione) con al suo interno almeno l’elemento <extent> ad indicare la quantità di cui è composta l’unità. Infine, quando presenti, verranno sempre indicate le notizie riguardanti l’acquisizione dell’unità con l’elemento <acqinfo>. Essendo il fondo costituito da acquisizioni differenti e volendo evidenziare la provenienza di ogni singola unità, si è scelto di indicare l’acquisizione ad ogni livello e non al livello gerarchico superiore.

Figura 11

Si è, inoltre, scelto di non utilizzare l’elemento <note> in quanto esso non può essere indicizzato e le informazioni contenute (spesso tutte le informazioni, anche rilevanti, che persone non esperte tendono a inserirvi non sapendogli dare giusta o migliore collocazione) non verranno recuperate tramite nessun motore di ricerca e potranno essere reperite solo risalendo alla descrizione del fondo o del manoscritto cui le note sono riferite.

Si preferisce inserire alcune informazioni aggiuntive, ritenute rilevanti, all’interno dell’elemento <scopecontent>, che a differenza delle note, è indicizzabile anche se, tuttavia, viene consigliato esclusivamente per delle descrizioni subordinate sintetiche del fondo o di parte del fondo stesso; non deve essere tuttavia considerato come un contenitore di informazioni che non si sanno collocare in altro modo. Nella formattazione del fondo codificato <scopecontent> apparirà come una sorta di “cappello” introduttivo.

Ci si è trovati in alcuni casi, in presenza di manoscritti di opere (poesie per lo più) inedite scritte in margine di minute di opere invece conosciute e/o edite. Si ci è posti quindi il problema di come indicare questa particolarità in EAD permettendo di mettere in evidenza queste informazioni e consentendo, oltre alla visibilità, una reperibilità degli

elementi. Si è optato per inserire un elemento <scopecontent> nel quale spiegare brevemente la particolarità ed elencando i poemi inediti all’interno di elementi <title> tipizzati con il valore di “poema” (Figura 12).

Figura 12

Normalmente infatti, l’elemento <title> viene utilizzato per indicizzare e citare titoli di opere conosciute ed edite. Esso si differenzia da <unititle> che rappresenta invece il titolo, d’origine o creato, proprio dell’unità documentaria descritta. Utilizzando l’attributo @type all’interno dell’elemento <title> si sceglie di utilizzare questa modalità per casi specifici come questo in cui, all’interno di una descrizione che si riferisce a dei manoscritti di un’opera edita si trovano opere non edite, ma pur sempre meritevoli di essere indicizzate e rese quanto più possibile reperibili dai ricercatori.

Tra i sistemi informatici della BHVP non era presente il programma di diffusione ed interrogazione degli strumenti di ricerca in formato XML-EAD scelto come programma per fornire un out-put alla codifica in EAD. Essendo infatti l’EAD una DTD, esso non fornisce gli elementi tecnici per la visualizzazione della codifica.

Lo strumento in questione è il software PLEADE 3.448 scelto

anche per la pubblicazione del CCF. Esso è uno strumento che da al formato XML-EAD una architettura Web, il che permette di navigare all’interno della struttura dell’EAD, offrendo da un lato una navigazione gerarchica e dall’altra parte una ricerca multi criteri.

Non disponendo, come già detto, della possibilità di usufruire dello strumento a causa dei problemi di divieto della struttura (essendo la Biblioteca dipendente dal servizio informatico centrale della città di Parigi, non era possibile accedere a molti servizi, oltre che installare programmi anche gratuiti, senza una lunga e spesso troppo contorta burocrazia di richieste), non si è potuto verificare la visualizzazione della struttura dell’inventario del fondo. Questa verifica è avvenuta solo sporadicamente grazie all’aiuto di colleghi di altre biblioteche che disponevano del servizio e hanno permesso la consultazione.

Dopo una verifica infatti, sono state rese obbligatorie delle modifiche soprattutto per quel che riguarda gli elementi di testo all’interno della codifica.

In primis, sono stati modificati i codici univoci selezionati dalla biblioteca. Questa scelta è stata legata al fatto che PLEADE non legge i simboli grafici quali il “-”, utilizzato come elemento di separazione tra le varie parti di cui era composto il codice assegnato inizialmente dalla BHVP. Essendo l’inventario del fondo Jean Cocteau destinato a far parte del catalogo collettivo dei manoscritti delle biblioteche di Francia, che utilizzano PLEADE per la pubblicazione degli inventari redatti in XML con DTD EAD, si è modificato il codice che é stato così sostituito: il vecchio codice “COCTEAU-4-MS-0002-0002 ” è diventato “MSS 002 (002b)”. Nel vecchio codice “COCTEAU” indicava il fondo speciale, il

48

Cfr. < http://demo.pleade.com/pages/index.html> (ultima consultazione il 22/11/2011).

numero dopo il primo segno di separazione indicava il formato del/dei documento/i, il secondo codice alfabetico indicava che il fondo fa parte del dipartimento dei manoscritti, il secondo codice numerico indicava la serie e l’ultimo codice la sottoserie seguito poi da un’altra serie numerica ove necessario. Nel nuovo codice invece, “MSS” sta per

ManuScrits Specialisé (in quanto all’interno della Biblioteca esiste il

fondo generale dei manoscritti e i fondi specialistici, tra cui quello di Cocteau), la prima sequenza numerica 002 è il codice che indica il fonds

Cocteau (ad ogni fondo specialistico è stato associato un codice

specifico), la seconda sequenza numerica, separata dal resto con una parentesi, 0002 indica la serie e la lettera adiacente indica la sottoserie che, in caso superasse il valore dell’alfabeto francese, verrà continuata ripartendo dalla lettera “a” che sarà seguita da un'altra lettera “a” e a seguire da tutte le altre lettere dell’alfabeto francese. Ad esempio 002aa, 002ab, 002ac, ecc.

Anche per il “subfonds” delle fotografie si è scelto di arrivare a quattro livelli di descrizione (“subfonds”, “series”, “subseries” e “item”). Il fondo è stato ordinato in ordine cronologico, classificando le foto sulla base della loro categoria logica (avremo le foto di Jean Cocteau con la famiglia, ecc.).

Il “subfonds” non verrà integrato al CCF in quanto non costituito da manoscritti. Va specificato che, all’interno del “subfonds” dei manoscritti, sono presenti della fotografie che sono state mantenute all’interno dell’inventario nel caso in cui siano pervenute come allegati ai manoscritti.

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