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Coesione sociale

5. QUARTO CAPITOLO

5.4 Coesione sociale

Il concetto di coesione sociale è ormai divenuto familiare ai più, sebbene in certi casi il suo significato rimanga poco chiaro: in questo contesto il termine descrive una lunga serie di obiettivi di politica pubblica, sulla base dei quali la partecipazione in attività artistiche possa aiutare a ridurre l’esclusione sociale e l’isolamento, instaurando buone relazioni tra gli individui ed i gruppi, promuovendo la comprensione reciproca fra diverse culture e modi di vivere. I progetti di partecipazione possono altresì contribuire, in conseguenza alle circostanze locali, alla coesione sociale in svariati modi, riunendo le persone ed offrendo spazi neutrali nei quali si possano sviluppare amicizie, incoraggiando così l’associazione e la cooperazione (Matarasso, 2003). Tuttavia, sono pochi i progetti che si focalizzano direttamente sull’integrazione culturale, a meno che non sia obiettivo intenzionale fin dal principio: è necessario tenere presente che la comprensione interculturale non è una conseguenza collaterale che possa essere messa in secondo piano, ma traguardo fondamentale da raggiungere. Alcuni progetti, come il Portsmouth home festival, promuovono la comprensione interculturale ed aiutano a riconoscere il contributo di tutte le rappresentanze della comunità: promosso dal Consiglio Cittadino, il festival si poneva l’obiettivo di celebrare il contributo e le culture dei residenti facenti parte delle minoranze etniche (5% degli abitanti). Il cuore del programma era costituito da una serie di eventi programmati e gestiti da gruppi comunitari, con l’aiuto, l’assistenza e il sostegno finanziario del City Arts (HOME: A Celebration of Cultural diversity in Portsmouth, in Matarasso, 2003).

Karp afferma in proposito che «gli allestimenti di opere d’arte, di storia, di etnografia, persino di storia naturale, contribuiscono tutti alla definizione delle identità comunitarie, o alla loro negazione» (I. Karp, 'On civil society and social identity' cit., p.19). Quest’affermazione trova conferma nel rapporto Parekh su Il Futuro della Gran

Bretagna Multietnica: «gli atti di razzismo, di violenza, di pregiudizio e di abuso

razziale non sorgono dal nulla. Non si tratta di incidenti isolati o di atti individuali, avulsi dal tessuto sociale delle nostre vite. Le nozioni di valore, di appartenenza e di merito culturale sono definite e codificate dalle nostre decisioni rispetto a ciò che è o non è la nostra cultura, e dal modo in cui siamo rappresentati (o meno) dalle istituzioni culturali» (The Commission on the Future of Multi-Ethnic Britain, 2000, p. 159). Negli ultimi anni, attraverso la rappresentazione delle comunità incluse all’interno di raccolte e mostre, i musei hanno il potenziale di promuovere la tolleranza, il rispetto inter-comunitario e superare gli stereotipi (Sandell, 2003). Secondo Sandell (2006), infatti, i musei hanno iniziato a «rispondere alle opportunità e alle sfide delle società multiculturali» agendo principalmente in tre ambiti: l’accesso «si concentra sulle minoranze etniche come potenziali pubblici e sui processi attraverso i quali i musei hanno tentato di ovviare alla loro scarsa frequentazione»; la partecipazione «riguarda le strategie poste in essere dai musei per trasformarsi in istituzioni più inclusive attraverso le politiche di sviluppo delle risorse umane, i criteri di allocazione dei finanziamenti e la sperimentazione di nuove modalità di partenariato»;

rappresentazione e comunicazione riguardano «le modalità con cui i musei hanno

incominciato a controbilanciare la mancata o distorta rappresentazione di determinati gruppi e culture nelle loro collezioni e nei loro allestimenti» (Sandell, 2006).

A tal proposito dobbiamo rifarci al concetto di comunità interpretative, già precedentemente preso in analisi, in quanto modello culturale che intende la comunicazione «come una serie di processi negoziati di creazione del significato[…] [e che] accetta che il mondo possa essere spiegato da diverse prospettive, talora in conflitto tra loro. Nel processo del consumo culturale, viene […] riconosciuta l’esistenza di strategie di interpretazione attive nella percezione e nell’elaborazione della conoscenza, come pure la diversità dei background che i partecipanti portano con sé nelle esperienze culturali» (Hooper-Greenhill 2000, p.22). La scelta della narrazione, quindi, come strumento di valorizzazione e mediazione dei patrimoni culturali, vede la necessaria partecipazione attiva del pubblico, italiano e straniero, che

permetta di trasformare i musei in zone di contatto (Clifford, 1999): spazio di tensione produttiva, caratterizzato da frontiere mobili e basato più sul rispetto della differenza che sull’ibridità che annulla lo scarto tra identità distinte. Narrazione, quindi, come strumento di mediazione dei patrimoni culturali in quanto processo relazionale che connette le comunità interpretative tramite gli oggetti (Pecci, 2008).

I musei, come metaforiche “zone franche”, devono perciò operare per «collocarsi nelle intersezioni, negli spazi in cui i soggetti e le distinte identità culturali possano dialogare e agire, trasformarsi ed essere trasformati» (Garc_a Canclini, 2006, p. 166). Assumendo questa nuova funzione, i musei possono diventare spazi “ neutrali” dove le differenze e le reciproche difficoltà di comprensione, comunemente vissute come limiti e cause di conflitto, si trasformino in un valore aggiunto, in nuove «opportunità per l’esercizio della cittadinanza attiva».

Le arti sono altresì importanti anche perché offrono l’opportunità di contatto intergenerazionale, e ci tengo a sottolinearne l’importanza specialmente perché quest’incontro si riflette poi in una riduzione dell’ansia che i più anziani proiettano sulla generazione giovanile, a loro lontana e verso la quale esprimono timori e diffidenza. La scarsità per quanto riguarda le opportunità di giovani ed anziani di avere contatti sociali, fanno perciò del progetto culturale un contributo prezioso alla coesione sociale (Worpole, 1992): l’impatto positivo della partecipazione a progetti culturali potrebbe quindi aiutare a ridurre paura della criminalità e promuovere la sicurezza nel quartiere.

I residenti più anziani, che sono spesso colti da ansia o si sentono minacciati dai giovani del luogo, dicono generalmente di sentirsi diversi dopo aver lavorato fianco fianco nel corso di attività artistiche: anche se il potenziale del lavoro artistico nel ridurre la paura dei giovani diffusa fra i cittadini più anziani rimanga senza prove visibili, la risposta positiva incontrata in una serie di progetti, come il lavoro del Proper Job Theatre fatto tra bambini e pensionati al Bagshaw Museum (Intergenerational Contact e Crime, Fear and Offending, in Matarasso, 2003), suggerisce che questo genere di attività dovrebbero essere prese in considerazione come mezzo per affrontare seriamente queste problematiche.