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Migranti e “nuovi cittadini”

5. QUARTO CAPITOLO

5.5 Migranti e “nuovi cittadini”

Nonostante il rapporto tra arte e ideologia sia ovviamente cambiato contestualmente ai mutamenti sociali, non si può comunque negare il ruolo determinante che la cultura svolge nel creare barriere, nel delimitare confini, nel legittimare l’esclusione di gruppi emarginati, nel riprodurre disuguaglianze. In quest’ambito è possibile affermare che i musei, per certi versi, rappresentino un’esclusione “istituzionalizzata”, in quanto sono «prodotti e strumenti di un sistema volto ad affermare e a promuovere i valori dominanti della società e quindi, sia pure in maniera indiretta, a subordinare o rifiutare valori alternativi» (Ames citato da Sandell, 1998). Il tema della rappresentazione è quindi strettamente legato alla storia delle istituzioni culturali: si tratta, nel caso dei musei, di prodotti di una concezione “eurocentrica” del mondo, rappresentativi dei valori dominanti dell’Europa colta dei secoli passati, nonché delle politiche culturali dei singoli Stati e dei movimenti nazionalisti operanti al loro interno. E’ ovvio quindi che nella maggior parte dei casi queste istituzioni non riflettano gli attuali valori delle società multiculturali e che siano percepite da molti come istituzioni esclusive.

Bisogna perciò ricordarsi che in quanto istituzioni sociali e parte integrante della cultura pubblica, i musei non esistono come entità isolate, ma incarnano e riflettono i valori, le attitudini, le priorità e le ideologie delle società in cui sono inscritti, e nella misura in cui si dimostrano istituzioni veramente dinamiche, anche i musei evolvono in risposta ai cambiamenti che hanno luogo al di fuori delle loro mura: non si limitano a rispecchiare i mutamenti della società, ma come agenti di cambiamento essi possono a loro volta contribuire a modellarli.

Vediamo quindi come il fenomeno migratorio comporti, conseguentemente all’affermazione di nuovi bisogni sociali, culturali e di cittadinanza, un aumento della domanda di servizi ad essi correlati: è sempre più richiesta la capacità delle istituzioni culturali locali di percepire i migranti come audience di riferimento nell’ambito della relazione, della produzione e della fruizione culturale, oltre ai consolidati circuiti dell’intervento sociale, dell’animazione territoriale o della pedagogia interculturale (Curti Dal Pozzolo, 2002). Tra i fattori che impediscono l’accesso alle istituzioni museali da parte degli immigrati, e dunque la possibilità che il museo diventi un luogo privilegiato per il dialogo interculturale, Vincenzo Simone sottolinea infatti una diffusa chiusura istituzionale e culturale: i problemi sembrano riguardare gli orari, il linguaggio troppo “alto” e l’assenza di mediazioni culturali che possano superare la

barriera della comprensione del significato delle collezioni e delle relative spiegazioni. Ai musei come luoghi di incontro e scambio interculturale, gli immigrati prediligono quindi le piazze e i mercati, oppure quelle istituzioni culturali collocate all’interno dei parchi cittadini. I musei non devono puntare sull’identità culturale ma sulle relazioni e sul legame delle esperienze di vita che questo pubblico ha come bagaglio culturale: devono essere concepiti come strumento per conoscere meglio la città in cui i nuovi cittadini vivono, e offrire occasioni di incontro, per diventare luogo di scambio, di conoscenza, di dialogo e di esperienze condivise.

Le esigenze più sentite risultano quindi di tre tipi: una riguarda la conoscenza della popolazione residente sul territorio, la sua provenienza, i profili culturali e di comportamento delle diverse comunità; una seconda esigenza è quella di un

aggiornamento sulle migliori pratiche museali per questo tipo di pubblici; una terza,

infine, molto sentita, è la possibilità di ricevere supporto per una comunicazione

efficace con le comunità, che si avvalga di canali specifici e condivisi, che anche le

comunità di migranti riconoscano come qualcosa di specificamente dedicato ad esse (Bollo, Gariboldi, Di Federico, 2009).

Le difficoltà di gran lunga prevalenti (soprattutto fra quanti non hanno ancora posto in atto iniziative per questo target) risultano proprio quelle legate alla comunicazione: in particolare sotto i due aspetti del contatto con i gruppi/le associazioni di migranti adulti (mentre per i bambini il canale efficace è la scuola) e della mediazione linguistica. Molti operatori si chiedono come entrare in contatto con le comunità di riferimento, da parte delle quali ravvisano o suppongono possibili resistenze: il tema della motivazione e degli stili di approccio risulta, perciò, cruciale. In generale, emerge la necessità di una maggiore conoscenza dei bisogni e delle caratteristiche di questo tipo di pubblici, anche abbattendo preconcetti reciproci (Bollo, Gariboldi, Di Federico, 2009). In un contesto sociale, politico e demografico in rapido mutamento, dove il fenomeno migratorio non rappresenta più un’emergenza ma una realtà strutturale, i musei sono oggi chiamati sempre più di frequente ad assumere una prospettiva radicalmente diversa e a farsi promotori di dialogo interculturale.

È necessario in questo senso uno spostamento dall’immaginario dell’immigrato senza radici, che ha come unico obiettivo l’integrazione nella società di accoglienza, a quello del trasmigrante, un individuo radicato nel proprio Paese ma che conserva legami multipli, con la terra natia e con chi condivide il processo migratorio: le differenze

culturali intorno al concetto di patrimonio, la conoscenza ed il significato attribuiti al patrimonio culturale della città di “accoglienza”, sono perciò mediate dal vissuto personale pregresso del Paese di origine (osservazioni nate dal programma Un

patrimonio di tutti e dai progetti Museums tell many Stories e Museum As Place For Intercultural Dialogue - MAP for ID, finanziati dal programma Socrates Grundtvig e

coordinato dall’Istituto per i beni culturali dell’Emilia-Romagna).

Trattandosi di un pubblico quasi totalmente nuovo, perché composto da persone con differenti origini sociali e culturali, le proposte più incisive prevedono una co- progettazione e un coinvolgimento del pubblico, sicuramente attraverso la modalità

peer to peer. L’attività deve essere interattiva: in essa la visione occidentale non

dev’essere prevaricante ma deve saper ascoltare e accogliere bisogni e suggerimenti, in modo che i nuovi cittadini diventino attori attivi e non fruitori passivi.

Uno degli approcci più diffusi alla promozione del dialogo interculturale risulta quindi essere il cosiddetto multiculturalismo conoscitivo, che consiste nella promozione nel pubblico autoctono di un maggiore rispetto e riconoscimento delle culture “altre”. Programmi ed iniziative che ricadono in quest’ambito comprendono per esempio le grandi mostre temporanee dedicate alle culture extraeuropee, l’utilizzo degli spazi espositivi per rispecchiare la diversità culturale e sociale della comunità locale, le attività educative per far riflettere sulla rappresentazione delle culture “esotiche” e sugli stereotipi passati e presenti che intorno a esse hanno preso forma.

L’integrazione dei “nuovi cittadini” nella cultura dominante può essere poi sviluppata attraverso programmi e attività per aiutare i migranti ad approfondire la conoscenza della storia, della lingua, dei valori e delle tradizioni del Paese ospite: molte di queste iniziative consistono in visite guidate (e attività correlate) a musei e siti di interesse storico-artistico indirizzate a specifiche comunità, che si sono rivelate solo parzialmente efficaci per la mancanza di un lavoro preparatorio sul campo (si tratta spesso di progetti calati dall’alto, non corroborati da un’analisi approfondita dei bisogni di pubblici sinora largamente esclusi dai circuiti più consolidati della cultura) e di un più diretto coinvolgimento delle comunità immigrate. Altri musei sono poi attivamente impegnati sul fronte dell’educazione degli adulti, e più in particolare nel sostegno all’apprendimento della seconda lingua o di altre discipline.

Un ulteriore approccio è rappresentato dalla cosiddetta programmazione culturalmente

o celebrativa (Sandell, 2004) intorno a oggetti che rivestono un particolare significato per una data comunità, con l’intento di aiutarla a mantenere le radici nella propria cultura d’origine. Nel migliore dei casi, queste iniziative trovano il loro fondamento nelle esigenze dei nuovi pubblici, piuttosto che negli interessi istituzionali o dei curatori. A tal proposito citiamo come esempio il Progetto RIME (Réseau International des Musées d’Ethnographie / Ethnography Museums & World Cultures), che rientra nel Programma Cultura dell’Unione Europea 2007-2013 ed è incentrato sul tema “Modernità e incontri tra le culture”. Il progetto prevede seminari, laboratori scientifici e una mostra itinerante in sei musei europei (vedi www.rimenet.eu)., cui si associa il Progetto READ-ME II (Réseau Européen des Associations de Diasporas & Musées Ethnographiques), che comprende un programma intitolato “[S]oggetti

migranti” e consiste nell’adozione da parte delle associazioni della diaspora di oggetti

museali, al fine di restituire alle collezioni un valore culturale attuale e fare del museo un luogo di confronto e di dialogo. Il progetto prevede, inoltre, la realizzazione nelle diverse sedi museali di laboratori tecnico-scientifici sul tema del valore testimoniale degli oggetti migranti, e di una mostra per il pubblico a Roma svoltasi nel settembre 2012 (Neri, 2011).

Le azioni di mediazione e le attività educative devono perciò coinvolgere sia cittadini autoctoni, sia di altre culture affinché possano condividere i diversi significati e i codici interpretativi posseduti. Si tratta essenzialmente di agire per costruire un approccio corretto ed efficace al dialogo interculturale, intervenendo sulle conoscenze, sulla mentalità e sui comportamenti sia del personale interno, sia del pubblico autoctono e di origine immigrata.

Questo cambiamento di impostazione coinvolge necessariamente tutti i settori dell’istituzione museale e richiede l’acquisizione a livello direzionale di una nuova prospettiva mentale e operativa, nonché la formazione del personale. Esso deve conoscere teorie, linguaggi, esigenze ed esperienze in riferimento all’intercultura, essere in grado di individuare finalità, risorse, strategie e strumenti per agire all’interno dell’istituzione di appartenenza e in situazioni di partenariato inter-istituzionale (ICOM, 2009).