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COLTURE DI COPERTURA E CONTROLLO DELLA FLORA INFESTANTE

L’INSERIMENTO DELLE COLTURE DI COPERTURA NELL’ORDINAMENTO PRODUTTIVO AZIENDALE

2.3 COLTURE DI COPERTURA E CONTROLLO DELLA FLORA INFESTANTE

La crescente diffusione di sistemi colturali basati su un ridotto impiego di input (e quindi anche su tecniche semplificate di lavorazione del terreno), determina frequentemente l’insorgenza di problemi relativi al controllo delle piante infestanti. In un sistema convenzionale infatti le energiche lavorazioni a cui viene sottoposto il terreno, costituiscono uno dei principali strumenti di lotta alle malerbe. Di contro, le tecniche di lavorazione ridotta (lavorazione minima e non lavorazione in particolare) non arrecando alcun disturbo alla flora reale tendono ad accelerare la diffusione di molte specie vivaci e perennanti. Nei primi anni di adozione, per queste tecniche si rende quindi necessario un più attento e puntuale impiego degli erbicidi residuali e dei trattamenti chimici disseccanti che nel suo insieme risulta spesso superiore a quello necessario nei sistemi convenzionali (Bonari et al., 1991).

Il ricorso alle colture di copertura costituisce uno dei metodi più interessanti per limitare l’utilizzazione di prodotti chimici soprattutto nel caso della non lavorazione. Le specie che hanno mostrato una maggiore efficacia in tal senso sono risultate: frumento tenero, segale e avena tra le graminacee e veccia vellutata, trifoglio incarnato, trifoglio sotterraneo tra le leguminose (AA.VV., 1993; Johnson et al., 1993).

Le colture di copertura possono controllare indirettamente la flora infestante secondo diversi meccanismi: competendo con le malerbe per l’acqua, gli elementi nutritivi e la luce; formando una barriera fisica che contrasta l’emergenza e lo sviluppo delle giovani piantine; producendo delle sostanze allelopatiche in grado di inibire la germinazione dei semi e lo sviluppo delle malerbe (Steinsiek et al., 1982; Sarrantonio, 1990).

I primi due meccanismi sono essenzialmente ascrivibili all’effetto "mulch", il quale può derivare sia dalla presenza sulla superficie del terreno di specie in attivo accrescimento, sia dai residui della copertura vegetale devitalizzata. Per la creazione di una pacciamatura "viva" occorre fare ricorso a specie perenni o in grado di autoriseminarsi, con un portamento prostrato capaci di formare il più rapidamente

42 possibile. un manto vegetale fitto e compatto in grado di competere energicamente con le infestanti.

Diverse leguminose sono capaci, in virtù del loro habitus vegetativo, di formare un "mulch" vivente che funge da barriera nei confronti delle infestanti in via di accrescimento. A questo riguardo, il trifoglio sotterraneo si è dimostrato particolarmente adatto, sia perché caratterizzato da un portamento strisciante, sia perché all’inizio dell’estate termina il proprio ciclo vegetativo riprendendolo nell’autunno seguente. Ciò rappresenta un indubbio vantaggio per la coltura da reddito, poiché viene ridotta l’eventuale competizione per gli elementi nutritivi e soprattutto per l’acqua, in un periodo critico come quello estivo.

Enache e Ilnicki (1990) in un triennio, hanno studiato l’influenza sulla popolazione di infestanti e sulla resa del mais di tre tecniche di lavorazione del terreno (convenzionale, minima, non lavorazione) in presenza di "mulch" vivente oppure devitalizzato formato da trifoglio sotterraneo. La biomassa totale delle infestanti è apparsa significativamente ridotta dalla presenza della leguminosa; la produzione di biomassa utile e totale del mais, nel caso di non lavorazione con presenza di "mulch" vivo è risultata comparabile a quella ottenuta nel sistema convenzionale in assenza di pacciamatura vegetale. Tuttavia occorre considerare che il "mulch" vivente, eccetto alcune eccezioni, può anche influenzare negativamente l’emergenza, lo sviluppo e la resa della coltura da reddito, rendendo spesso necessari interventi come sfalcio, disseccamento, discatura, ecc. (Griffin e Dabney, 1990; White e Worsham, 1990). Per la formazione di una pacciamatura morta si ricorre preferibilmente a specie con habitus vegetativo assurgente e con ritmo di accrescimento lento che non consente di coprire rapidamente il terreno (caratteristiche che non le rendono adatte alla formazione di una copertura viva). Tra queste specie, la segale, l’avena, l’orzo ed il frumento tenero tra le graminacee e la veccia vellutata tra le leguminose sono risultate le più rispondenti. La loro azione nei confronti delle infestanti è ascrivibile ad un effetto fisico e/o allelopatico esercitati ambedue dai residui presenti sulla superficie del terreno (Cochran et al., 1977; Lal et al., 1991). La produzione di composti allelopatici può verificarsi durante il ciclo biologico della pianta oppure nel corso dei processi di decomposizione dei residui; tali sostanze svolgono la funzione di inibire la germinazione e lo sviluppo di altre piante; da qui la possibilità di impiegare le "cover

43 crops" come degli "erbicidi naturali" lasciando i loro residui sulla superficie del terreno dopo l’eventuale sfalcio o disseccamento (Sarrantonio, 1990). La segale, tra le colture di copertura, sembra quella più efficace nel ridurre la pressione delle infestanti soprattutto a foglia larga, sia per la grande quantità di residui che produce sia per le caratteristiche allelopatiche che sembra manifestare (Raimbault et al., 1990 e 1991; Liebl et al., 1992; Barnes e Putnam, 1986).

Weston (1990) ha riscontrato che la segale consente, rispetto ad altre graminacee come avena ed orzo, un maggiore controllo nei confronti delle infestanti che si prolunga anche nei 45 giorni successivi alla data del suo disseccamento. In alcuni casi la segale mostra una capacità di controllo della flora spontanea che varia dal 50 al 90% in virtù dell’effetto combinato delle sostanze fitotossiche prodotte e dell’azione competitiva svolta dalla coltura e dai residui colturali (Shilling et al., 1986; Warnes et al., 1991). In genere, l’effetto allelopatico viene esercitato soprattutto nelle prime settimane successive all’emergenza della coltura principale, proprio nel periodo in cui quest’ultima si presenta più indifesa nei confronti delle malerbe. In ogni caso i migliori risultati sono stati ottenuti lasciando i residui delle coperture vegetali sulla superficie del terreno, in quanto incorporarli in profondità significa annullare l’azione delle sostanze inibitrici che potrebbero subire una rapida decomposizione da parte della microflora tellurica (Worsham, 1991).

Interessante risulta in questo contesto il quantitativo di residui presenti sulla superficie del terreno dopo il trattamento devitalizzante, in quanto può influenzare direttamente sia la percentuale che l’epoca di emergenza di molte infestanti. A tale riguardo Mohler e Teasdale (1993) hanno ottenuto risultati apprezzabili utilizzando una quantità doppia o quadrupla di residui di veccia vellutata e segale, opportunamente distribuiti sulla superficie del terreno. Al di sotto di questa pacciamatura i valori di illuminazione e temperatura sono risultati sufficientemente bassi da ridurre l’emergenza di molte specie infestanti (Amaranthus retroflexus L., Chenopodium album L., Echinochloa

crus galli L.) procrastinandola altresì nel tempo. In molti casi però, la quantità di

residui che normalmente la veccia e la segale lasciano sul campo dopo la loro soppressione non consente un sufficiente controllo di molte altre infestanti rendendo così necessario il ricorso a trattamenti chimici supplementari (Teasdale e Mohler, 1993).

44 Talvolta gli stessi residui delle colture di copertura, al pari di una pacciamatura viva, possono causare l’insorgenza di fenomeni competitivi con la coltura principale per la produzione di sostanze allelochimiche scarsamente selettive e/o per lo scarso contatto tra il seme della coltura principale ed il terreno. Naturalmente, particolare cura dovrà essere posta nel limitare quanto più possibile questi effetti sopprimendo tempestivamente le colture di copertura prima che raggiungano elevati livelli di competitività e favorendo con opportune pratiche colturali una distribuzione uniforme dei loro residui sul terreno.

Sebbene in alcuni casi le coperture vegetali possano, per un periodo limitato, ridurre la competizione esercitata dalle infestanti sulla coltura principale e limitare, di conseguenza, il ricorso ad erbicidi residuali di pre-emergenza (Worsham, 1991).

Nel lungo periodo, non sembra comunque possibile basare le strategie di controllo delle malerbe esclusivamente sull’impiego delle colture di copertura; anche in considerazione del difficile controllo delle specie perenni sarà comunque necessario ricorrere all'impiego degli erbicidi seppure in epoche diverse e a dosaggi ridotti (Eadie et al., 1992).

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CAPITOLO 3

EFFETTI DELLE COVER CROPS SULLA FERTILITA’