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COLTURE DI COPERTURA E DISPONIBILITÀ IDRICHE DEL TERRENO

L’INSERIMENTO DELLE COLTURE DI COPERTURA NELL’ORDINAMENTO PRODUTTIVO AZIENDALE

2.2 COLTURE DI COPERTURA E DISPONIBILITÀ IDRICHE DEL TERRENO

Il contenuto di acqua disponibile presente in un terreno agrario costituisce, in assenza di irrigazione, uno dei principali fattori limitanti la resa delle colture a ciclo primaverile-estivo. In condizioni di forte stress idrico, il mantenimento sulla superficie del terreno dei residui colturali, unitamente ad una riduzione delle lavorazioni, consente di limitare le perdite per evapotraspirazione e quindi sembra conservarne più a lungo l’umidità del terreno nel periodo estivo (Blevins et al., 1971; Hill e Blevins, 1973). In quest’ottica è fondamentale l’impiego di colture di copertura intercalari che contribuiscono ad aumentare la consistenza dei residui e quindi l’“effetto mulch” da essi derivato. Con questa espressione si intende la stabilizzazione delle condizioni chimico-fisiche e biologiche del primo strato di terreno derivante dalla presenza, sulla sua superficie, di una significativa quantità di materiale organico in lenta decomposizione (Catizone e Meriggi, 1993). La diminuzione dell’evaporazione è dovuta all’ombreggiamento e all’effetto “barriera” nei confronti del vapore acqueo, prodotti dalla pacciamatura. Inoltre, migliorando sensibilmente la capacità d’infiltrazione idrica, essa determina un sufficiente contenimento dei fenomeni di ruscellamento ed erosione superficiali (Scott Smith et al., 1987). Per questo motivo, l’inserimento delle “cover crops” è frequentemente associato all’adozione di tecniche semplificate di lavorazione (in particolare la semina diretta o non-lavorazione) che consentono il mantenimento in superficie della maggior biomassa possibile e di ottenere pertanto un adeguato” indice di copertura” (Jones et al., 1969). Gli effetti di queste tecniche di lavorazione, che si vanno così a sommare a quelli delle “cover crops”, sono riassumibili in una generale riduzione della macroporosità e nel tendenziale incremento della sostanza organica e della stabilità di struttura nello strato più superficiale del terreno.

Il maggior contenuto di umidità talvolta osservato nei terreni non lavorati rispetto a quelli sottoposti ad aratura, viene spesso attribuito proprio all’effetto "mulch" (Nelson et al., 1977; Gantzer e Blake, 1978). Blevins et al. (1971), confrontando queste due tecniche su una coltura di mais, hanno rilevato una maggiore percentuale di umidità

38 nel terreno non lavorato e con residui di Poa pratensis L. (tra la fine di maggio e la metà di settembre) che si è tradotta in una resa granellare superiore della coltura da rinnovo (70 q ha-¹) rispetto a quella ottenuta con la lavorazione convenzionale (60 q ha-¹). Questi risultati sono stati confermati da una ricerca di Moschler et al. (1967), condotta su un rotazione biennale segale-mais, da cui è emerso un maggiore contenuto di umidità nello strato superficiale del terreno (0-15 cm) nel caso della semina diretta del mais, in particolare nella prima metà del ciclo vegetativo. In quattro dei tredici siti di prova, il conseguente incremento delle rese granellari è stato del 44 % rispetto a quelle ottenute con la lavorazione convenzionale mentre, nelle altre nove, i risultati ottenuti sono stati dello stesso ordine.

Unger (1978), in Texas, ha riscontrato un aumento del contenuto di acqua disponibile, per il sorgo seminato direttamente nel mulch vegetale, di 6 mm per ogni tonnellata di residui apportata per ettaro. In Ohio, Triplett et al. (1968), hanno rilevato, tra metà giugno e metà settembre, una quantità media di acqua disponibile nello strato di terreno tra 0-46 cm di profondità, pari a 43, 44, 53 e 59 mm, rispettivamente nel caso di terreno arato, non lavorato con rimozione di eventuali residui presenti, non lavorato con presenza di residui e non lavorato con una quantità doppia di residui. Gallaher (1977) ha osservato una maggiore disponibilità di acqua per il mais e la soia se seminati all’interno del mulch formato da residui di segale disseccata rispetto alla semina nelle stoppie rimaste sul terreno dopo la raccolta della coltura precedente. L’incremento della resa granellare è stato rispettivamente del 46 e 30% per il mais e la soia.

In definitiva, comunque, il fattore che più incide sulla ritenzione idrica è probabilmente la quantità di residui colturali presenti sulla superficie del terreno (Greb et al.,1967; Wilhelm et al., 1986).

L’efficacia del mulch è, inoltre, direttamente connessa alla sua permanenza sul terreno e questa, a sua volta, dipende dalla rapidità di decomposizione dei residui vegetali e quindi dalla composizione chimica della biomassa stessa (contenuto percentuale di lignina e cellulosa in particolare). In tal senso, la pacciamatura vegetale formata dalle graminacee è molto più resistente alla decomposizione rispetto a quella delle leguminose.

39 influenzati dal tipo di gestione e dalla tecnica dell’avvicendamento, soprattutto per quel che riguarda la scelta dell’epoca di disseccamento della copertura vegetale. Infatti, se da una parte può risultare vantaggioso far crescere quanto più a lungo possibile la copertura, in modo che produca una maggiore quantità di sostanza secca (Sullivan et al., 1991), dall’altra, ritardarne la devitalizzazione implica un sensibile aumento dell’acqua da essa utilizzata. Questo può rivelarsi un vantaggio qualora, in annate piovose, si desiderasse asciugare velocemente i terreni ed anticipare pertanto la semina della “cash crop”, ma, in condizioni meteoriche ordinarie, può comportare seri rischi di stress idrico nelle prime fasi di sviluppo della coltura che segue (Moschler et al., 1967).

Munawar et al. (1990) hanno riscontrato che disseccando la segale da due a tre settimane prima della semina della coltura principale (mais) si evitano problemi di competizione idrica e si migliora la conservazione dell’umidità del terreno da parte dei residui vegetali. Qualora l’andamento pluviometrico fosse favorevole, la devitalizzazione può essere posticipata fino a 7-10 giorni prima della semina successiva, come suggerito da Ewing et al. (1991).

E’ infine doveroso ricordare che le colture di copertura possono anche determinare un leggero incremento del contenuto di umidità del terreno nei giorni successivi al loro interramento; questo effetto è particolarmente utile quando si verificano brevi periodi di siccità nelle prime fasi vegetative della coltura da reddito (7-14 giorni come riportato da Bond e Willis) (1969).

L’aumento dei processi d’infiltrazione costituisce un altro importante meccanismo con cui le colture di copertura possono migliorare le disponibilità idriche del suolo (Gulick et al., 1994). La copertura vegetale consente di ridurre notevolmente l’energia delle gocce di pioggia aumentando di conseguenza il tempo di permanenza dell'acqua sulla superficie del suolo. Questo determina una apprezzabile riduzione dei rischi di compattamento e di formazione di “croste” superficiali che sono di ostacolo all’infiltrazione dell’acqua. Inoltre, nei terreni caratterizzati da una accentuata pendenza, il “mulch” contribuisce a ridurre sensibilmente la velocità di scorrimento dell’acqua superficiale e quindi i fenomeni erosivi (Meisinger et al., 1991).

Alcuni Autori hanno dimostrato come la quantità di acqua infiltrata sia strettamente correlata alla percentuale di superficie di terreno coperto da materiale vegetale

40 (Triplett et al., 1968). Ovviamente, l’indice di copertura dei residui è condizionato dal tipo di lavorazione principale adottata e dalla specie utilizzata come copertura: l’aratura profonda lascia il suolo quasi del tutto scoperto, l’utilizzo di un chisel consente una copertura del 70-80%, la discatura di circa il 65% mentre la non lavorazione permette virtualmente di mantenere sul terreno tutti i residui colturali (Blevins, 1981).

La limitazione dei fenomeni erosivi da parte delle cover crops contribuisce, in molti casi, a contenere l’inquinamento ambientale (Catizone e Meriggi, 1993) e ad evitare altri fenomeni dannosi quali la perdita di porzioni superficiali di terreno agrario che porta ad una riduzione delle rese delle colture. Risulta evidente che questi fenomeni rappresentano non solo un problema ambientale, ma anche economico (Bonari, 1993). In questo contesto, l’introduzione di una coltura di copertura può risultare particolarmente vantaggiosa negli ambienti in cui la produzione di residui da parte della coltura principale è scarsa (es: cotone e soia) e laddove questi si decompongano rapidamente (Scott Smith et al., 1987).

In tre diversi sistemi colturali che prevedevano, per il mais in asciutta, l’aratura del terreno, la non lavorazione senza colture di copertura e la non lavorazione con la trasemina della Coronilla varia L., Hall et al. (1984) hanno misurato l’entità del processo erosivo, il ruscellamento superficiale e il movimento degli erbicidi. Nel caso di non lavorazione si è osservata una riduzione significativa dei tre processi analizzati, risultata particolarmente evidente in presenza della copertura vegetale offerta dalla leguminosa.

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2.3 COLTURE DI COPERTURA E CONTROLLO DELLA