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Il Comitato delle Regioni: l’incidenza delle sue caratteristiche strutturali sulla effettiva rappresentatività delle istanze regionali nel circuito decisionale comunitario.

Cfr. Adele Anzon, I poteri delle Regioni nella transizione dal modello originario al nuovo assetto

costituzionale, G. Giappichelli Editore – Torino 2003. 20

L’espressione è di Andrea Scrimali in Le regioni italiane e la formazione del diritto comunitario

nell’attuazione del titolo V della Costituzione, in Quaderni regionali 2005 n. 2pag. 367 e ss. 21

Lo sviluppo è “necessariamente regionale” nel senso che esso passa attraverso l’eliminazione degli squilibri tra aree territoriali tramite il coinvolgimento attivo e diretto delle stesse realtà regionali interessate, le uniche in grado di segnalare le priorità di intervento e di indicare gli strumenti dello sviluppo stesso. L’espressione è di Rojo Salgado La exigencia de partecipacion regional en la Union

Tra gli strumenti istituiti a livello comunitario per offrire visibilità alla dimensione substatale si rammenta il Comitato delle Regioni, introdotto dal Trattato di Maastricht e costituito da un apposito collegio composto da “rappresentanti di

collettività regionali e locali” (art. 263 TCE – 198 A TUE)22.

Quest’ultimo insieme, al Consiglio economico e sociale costituisce un effetto evidente della ricerca di una maggiore legittimazione democratica dell’Unione.

Con il Trattato sull’Unione Europea, dunque, ha trovato rappresentanza all’interno di un organismo strutturato il ruolo delle entità territoriali substatali, regionali e locali, all’interno dell’Unione attraverso l’istituzione del Comitato delle Regioni, avente la funzione di emettere pareri destinati, in via principale, al Consiglio e alla Commissione secondo quanto disposto inizialmente dall’art. 198 TUE.

Tale organo, non assurto ad oggi al rango di istituzione, arricchendo la categoria delle strutture comunitarie con funzione consultiva, con i propri pareri contribuisce ad orientare la Commissione ed il Consiglio nell’esercizio dei rispettivi ruoli decisionali e quindi a formare gli atti comunitari.

Al fine di garantire una rappresentanza equilibrata degli interessi dei diversi livelli di governo substatuali (equilibrio territoriale), che al tempo stesso realizzasse e contemperasse l’equilibrio politico e geografico la ripartizione dei seggi è stata strutturata fin dall’inizio in modo da coinvolgere tutte le articolazioni territoriali interne (regioni, Province o contee, comuni e città).

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L’istituzione di tale organo avviene in una fase complessa in cui l’ente territoriale, locale e regionale, deve fare i conti con i problemi connessi al processo ineludibile di globalizzazione, alla crisi dello stato sociale e alla realizzazione del Mercato unico e dell’Unione economica e monetaria. La creazione del Comitato delle regioni rappresenta la premessa istituzionale ed il fattore di convergenza delle due forme di regionalismo, quello “top down” e quello “bottom up”. In tale fase si assiste lentamente al trapasso della politica europea per le regioni alla politica europea delle regioni, come sottolineato da autorevole dottrina. Cfr. Giorgio Berti, Regionalismo europeo nella prospettiva del Trattato di Maastricht, in Le

Regioni 1992, n. 5 p. 1203 e ss.

Al problema dell’equilibrio territoriale necessario a garantire un’equa distribuzione dei seggi tra i differenti livelli di governo substatali è stata data una soluzione differente da parte dei singoli Paesi membri a seconda sia della tipologia delle articolazioni territoriali interne sia del differente grado di autonomia attribuito alle medesime sia a livello politico-istituzionale interno sia nei rapporti con le Istituzioni comunitarie.

In Italia la metà dei seggi è andata alle Regioni (12) l’altra metà è stata equamente divisa tra governo comunale e provinciale.

Per quel che concerne l’equilibrio politico, ovvero la distribuzione per appartenenza partitica, interno alle delegazioni nazionali, (equilibrio derivante dalla combinazione del dato politico-partitico con il dato politico – territoriale), esso non riproduce né rispecchia necessariamente l’equilibrio politico elettorale del paese di appartenenza della delegazione nazionale. La distribuzione dei seggi relativamente alle singole delegazioni nazionali non rispecchia nemmeno le aree geografiche presenti nel singolo paese (equilibrio geografico).

La nascita e l’evoluzione del Comitato delle Regioni trovano la propria ratio nell’esigenza di incrementare il tasso di democraticità del processo decisionale comunitario. Nel corso degli anni si è registrata una tendenza verso il c.d. spill-over, ovvero verso l’appropriazione di competenze più estese di quelle originariamente ascritte all’organo, attraverso il gioco degli implied powers.

Nell’esercizio della propria funzione consultiva il Comitato delle Regioni agisce in piena autonomia rispetto a tutti gli altri organi istituzionali dell’U.E. con la conseguenza che all’interno del processo decisionale comunitario forte è il peso politico offerto dai pareri nonostante la loro formale non vincolatività, soprattutto nei

casi in cui il primo intervenga spontaneamente, di propria iniziativa al di fuori dei casi in cui è prevista la sua consultazione obbligatoria23.

Esso, fin dalla sua costituzione, è stato dichiaratamente considerato come la sola risposta istituzionale a quel tempo possibile per cercare di individuare un punto accettabile di equilibrio fra la dimensione statale, alla quale resta riservato il ruolo di governo all’interno dell’Unione, e la dimensione regionale e locale.24

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Il parere costituisce l’atto tipico con cui il Comitato delle Regioni formalizza il suo out-put consultivo, elaborato al termine di un processo al quale partecipano attori e realtà associative esterni al sistema istituzionale dell’U.E, quali il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa, CCRE, e l’Assemblea delle Regioni d’Europa, ARE. Mentre rispetto alle strutture associative che articolano gli interessi di base, territoriali e non, il parere costituisce un momento di aggregazione della domanda politica, rispetto alle istituzioni comunitarie incaricate di convertire questa domanda in decisioni vincolanti il parere costituisce il trait d’union di tale processo di conversione.

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Il Comitato delle Regioni istituito con il Trattato di Maastricht nel 1992 ha ben presto esercitato un significativo ruolo pur avendo limitati poteri consultivi e non essendo inizialmente coinvolto nel processo decisionale comunitario. Grazie al suo carattere rappresentativo di realtà istituzionali in evidente rafforzamento in tutti gli Stati membri e quale organo funzionale alle politiche di coesione comunitaria, il Comitato ha dimostrato fin dai primi anni una capacità espansiva, come confermato dai successivi trattati che ne hanno rafforzato e implementato le funzioni. Se il Trattato di Amsterdam del 1997 non ha recepito le proposte del Comitato che avevano avuto buona eco nella Conferenza intergovernativa, per un ampliamento del suo ruolo consultivo e propositivo, per l’attribuzione di una valenza istituzionale e per l’affermazione della legittimazione diretta ad adire la Corte di Giustizia per la violazione del principio di sussidiarietà, con il Trattato di Nizza del 2000 il Comitato delle regioni ha visto ampliato il proprio ruolo con l’attribuzione del potere di autoorganizzazione, l’estensione dei casi di consultazione obbligatoria, la sua introduzione nel processo decisionale. Tra le novità del nuovo art. 263 TCE vi è la necessità, quale requisito essenziale per la nomina a membro del Comitato, della titolarità di un mandato elettorale nell’ambito della collettività regionale o locale o la responsabilità politica dinnanzi ad un’assemblea eletta. Tale novità è certamente la più importante in quanto collegando mandato europeo a mandato elettivo nazionale, dà una particolare legittimazione al Comitato quale organo rappresentativo di secondo grado. Piuttosto deludente appare l’esito delle dichiarazioni sul futuro dell’Unione europea assunte dai Consigli europei di Nizza e Laeken e dei successivi lavori della Convenzione. Non appaiono infatti sensibilmente rafforzate le competenze del Comitato in relazione alla partecipazione ai processi decisionali. Non è inoltre stata riconosciuta a tale organo la legittimazione diretta ad adire la Corte di Giustizia sui temi del regionalismo e a salvaguardia delle proprie prerogative. Per ulteriori approfondimenti si rinvia a Mario P. Chiti Regioni e Unione europea dopo la riforma del Titolo V della Costituzione : l’influenza della giurisprudenza costituzionale in Le Regioni n. 6/02 pag. 1401 e ss.

Le prerogative attribuite a tale organismo si sostanziano in forme di partecipazione consultiva nei processi decisionali comunitari.25

Nonostante lo spazio di intervento e coinvolgimento del Comitato sia tutt’altro che irrilevante, stante l’ampiezza dei settori in cui è richiesta in via obbligatoria la sua consultazione, resta tenue la effettiva capacità di influenza nel circuito decisionale comunitario sia per la natura non vincolante del potere attribuito sia per l’uso che se ne è fatto nella prassi.

A rendere poco significativa e comunque a frenare l’emersione delle realtà regionali attraverso tale organismo, è la stessa composizione del Comitato che fa riferimento genericamente a “rappresentanti delle collettività regionali e locali” , rappresentando uno dei maggiori punti di debolezza del medesimo.

Tale espressione è, difatti, suscettibile di comprendere enti ed articolazioni territoriali del più vario livello e della più varia struttura, non essendo riferita esclusivamente ad istituzioni dotate di autonomia politica e legislativa.

In tale situazione emerge come l’istituzione del Comitato non appaia finalizzata a favorire specificatamente la partecipazione di enti autonomi dotati di autonomia legislativa costituzionalmente garantita.26

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L’attività consulenziale svolta dal Comitato è esercitatile nei confronti della Commissione, del Consiglio dei Ministri e del Parlamento europeo.

La debolezza di tale apporto risiede nella non vincolatività del parere reso, benché siano di recente stati incrementati i campi e settori della consultazione obbligatoria. A seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam si è esteso l’obbligo di consultazione del Comitato delle Regioni a settori tutt’altro che insignificanti quali l’istruzione, la cultura, la sanità pubblica, le reti transeuropee di infrastrutture dei trasporti delle telecomunicazioni e dell’energia ecc. Da ultimo sono stati inseriti i trasporti, la protezione dell’ambiente, la formazione professionale, l’applicazione del Fondo sociale europeo, la tutela e sicurezza del lavoro, la promozione dell’occupazione.

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Non innovano sostanzialmente in tale direzione né rafforzano la posizione delle regioni dotate di autonomia politica le novità introdotte a Nizza , secondo cui i membri del Comitato debbono essere titolari di cariche elettive, ossia responsabili dinnanzi alle assemblee elettive regionali o locali. Tale disposizione benché contenga un’apertura ad una concezione genericamente istituzionale delle regioni , non innova in ordine alla posizione ed al peso politico delle entità rappresentate nel Comitato. Né è prova

La disomogeneità delle diverse entità che compongono il Comitato, da un lato, costituisce la principale ragione che ha impedito il formarsi di un fronte compatto e determinato ad utilizzare al massimo le potenzialità attribuite a tale organo, dall’altro, ha fatto emergere il disagio delle regioni dotate di poteri legislativi che si sono impegnate in forme associative ed in incontri informali tra i loro organi esecutivi, esprimendo l’aspirazione ad un trattamento differenziato e ad un vero e proprio “statuto” che valorizzi il loro specifico ruolo nelle sedi comunitarie.

Inoltre, la natura collegiale del Comitato, precludendo in radice l’attribuzione a ciascuna regione di una individuale soggettività nell’ordinamento comunitario, consente alle regioni di partecipare all’esercizio di un tenue potere di influenza nella formazione della volontà finale degli organi comunitari, nel circuito decisionale.

In tal modo, uniformandosi il trattamento e la posizione dei membri provenienti dalle più disparate realtà substatali presenti all’interno dei singoli Stati membri, non viene favorita specificatamente o comunque valorizzata in alcun modo la partecipazione di quegli enti istituzionali dotati di autonomia legislativa costituzionalmente garantita, quali, appunto, le Regioni italiane o enti omologhi degli altri ordinamenti (Lander tedeschi e austriaci, Comunità autonome spagnole, ecc.).

La laconicità della formula utilizzata in ordine alla composizione del Comitato, utilizzando una espressione del tutto generica che pare equiparare la posizione di ogni entità sub statale indipendentemente e a prescindere dalla corrispondenza a regioni o altre forme di articolazione interna degli Stati.27

il fatto che non sia stato introdotto il principio della rappresentanza integrale delle regioni dotate di competenza legislativa.

27

Come è stato rilevato da alcuni Autori, la promiscuità nei Trattati dell’impiego del termine regione e collettività o entità locale lascia intendere come a livello comunitario si faccia tuttora un impiego di tali concetti in maniera assai lontana dal significato istituzionale interno attribuito ai medesimi.

Altri luoghi del Trattato mostrano di presupporre un concetto di regione diverso da quello istituzionale (art. 154, 2° comma, 158, 2° comma, 174, 2° comma). Quando si utilizza il termine regione o si impiega l’aggettivo regionale si allude in realtà non ad entità istituzionali, ma semplicemente ad entità

La ragione di tale genericità sta nell’esigenza di comprendere enti locali del più vario livello e della più varia struttura.

Come è noto, nei diversi Stati membri dell’Unione la situazione è estremamente variegata esistendo le articolazioni e strutture più diverse ed essendo difficoltoso rintracciare elementi di omogeneità.

Tale circostanza costituisce il fondamentale limite del Comitato delle Regioni precludendo il formarsi tra gli esponenti delle singole entità substatali rappresentate, del formarsi di un fronte compatto e determinato sfruttare tutte le potenzialità delle funzioni attribuiti a tale organismo.

Come sottolineato da alcuni Autori, “la presenza europea delle Regioni

attraverso il Comitato delle Regioni rimane molto parziale e limitata”. Ciò che

impedisce allo stato attuale a tale organo di fungere da camera di rappresentanza delle regioni e di far emergere le istanze provenienti da tali livelli di governo al fine di conferire loro visibilità, sta, oltre che nella tipologia delle competenze esclusivamente di tipo consultivo attribuite al Comitato, all’eterogeneità dei livelli istituzionali interni agli Stati membri e alla diversa intensità del grado di realizzazione del federalismo o del decentramento politico e/o amministrativo.

Da un panorama così frastagliato e non omogeneo discende il fatto che un numero non esiguo di seggi del Comitato delle Regioni è riservato ai rappresentanti delle autonomie locali con la conseguenza di dar origine ad una composizione “mista” pur in presenza di vere e proprie istituzioni regionali.

Ciò provoca, unitamente all’aberrante effetto, come nel caso italiano, che non tutte le regioni sono rappresentate in tale organo, un difetto di individualità nella

geografiche o ad entità socio economiche stanziate su ambiti territoriali non coincidenti, nell’estensione, con gli Stati membri. Nel medesimo senso il termine “regionale” è usato pure per indicare aggregazioni di più stati membri nell’ambito dell’Unione europea per il caso delle unioni regionali. ( tra Belgio, Lussemburgo e paesi Bassi) di cui all’art. IV. 5 del Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa.

rappresentanza, che preclude l’emersione delle specifiche istanze regionali , finendo per dare origine ad “una generica rappresentanza di livelli di governo”.28

Altro limite insito nel funzionamento del Comitato ai fini dell’emersione delle istanze regionali in sede comunitaria deriva dalla natura collegiale dell’organo la quale non può implicare che ciascuna regione abbia individualmente una propria soggettività nell’ordinamento comunitario29.

Occorre comunque segnalare che in occasione dei lavori della Convenzione sul futuro dell’Unione europea e soprattutto con il Trattato di Nizza si è, sia pure parzialmente inciso, sul ruolo e sulla natura del Comitato, tentandosi di ovviare a quelle disomogeneità e alla scarsa rappresentatività dei suoi componenti, prescrivendo che i membri debbano essere “titolari di un mandato elettorale in seno ad una collettività regionale o locale o politicamente responsabili verso una assemblea elettiva” e che la loro appartenenza al Comitato cessi alla scadenza di detto mandato come previsto dall’art. 263 del Trattato stesso.

Il Comitato si avvia, anche grazie a tali accorgimenti, ad assumere sempre più una pregnanza e qualificazione politica e un ruolo attivo di “cerniera” tra Unione e autonomie regionali, anche grazie alla presenza in seno all’Unione di vari paese a struttura federale o regionale (Germania, Belgio, Austria, Spagna, oltre, naturalmente; all’Italia).

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Cfr. Giandomenico Falcon, La cittadinanza europea delle Regioni, in Le Regioni n. 2/01 p. 327 e ss. L’Autore ritiene che contribuirebbe a “diluire la rappresentanza” il divieto di mandato imperativo . Pur sottolineando tali aspetti nell’ambito di una più globale considerazione sulla “cecità comunitaria” alle istanze regionali e all’impossibilità di configurare le regioni come diretti interlocutori politici delle istituzioni europee, l’A. rileva come non possa essere smentito del tutto il rilievo assunto dal Comitato in quanto organo che porta direttamente la voce delle articolazioni territoriali degli Stati nel processo decisionale comunitario.

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Nemmeno la novità introdotta a Nizza, secondo la quale i membri del Comitato devono essere titolari di cariche elettive regionali o locali, ovvero essere responsabili dinnanzi ad assemblee elettive di riferimento pur apparendo una apertura ad una concezione democratica e istituzionale delle regioni, innova la posizione delle entità rappresentate dal Comitato.

L’impulso offerto dal Comitato delle Regioni alla costruzione del modello dell’Europa delle Regioni, si è manifestato nelle iniziative assunte e dalle proposte provenienti dai sei rappresentanti dell’organo chiamati a partecipare, come osservatori, ai lavori della Convenzione. Tali membri hanno presentato in fata 17 gennaio 2003 un rilevante contributo diretto tra l’altro a sancire che il Consiglio e il Parlamento , non possano adottare atti in assenza del parere, se previsto del Comitato delle Regioni e a rivendicare a questi l’accesso alla Corte di Giustizia.

4.1. Il principio di sussidiarietà quale (auspicabile) strumento per l’emersione dei

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