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99 comma 1 della legge 20 del 1994, non ha impedito alla Corte di Cassazione, anche se

solamente al termine di un percorso interpretativo che ha richiesto diversi pronunciamenti nel tempo, di schierarsi a favore di una (seppur limitata) sindacabilità degli atti amministrativi da parte del Giudice contabile, in ciò analogamente a quanto consentito a qualsiasi Giudice, nei limiti cioè del rispetto della regola di ragionevolezza.

Al riguardo, appare opportuno ripercorrere le tappe del percorso ermeneutico operato dalla Cassazione.

In un’importante sentenza del gennaio del 2001 (la n. 33 del 29 gennaio 2001) i giudici di legittimità, investiti del problema dei limiti di sindacabilità, da parte del Giudice contabile, di scelte discrezionali operate dall’Amministrazione, si erano espressi nel senso che a quest’ultimo, in sede di verifica della compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell’ente, non doveva consentirsi alcun sindacato su tali decisioni se riferito fino “all’articolazione concreta e minuta dell’iniziativa intrapresa dal pubblico amministratore”, ritenendo, la valutazione dei mezzi utilizzati per attuare scelte discrezionali, ammissibile esclusivamente nel caso in cui tali mezzi avessero manifestato una “assoluta ed incontrovertibile estraneità” rispetto ai fini.

Si trattava peraltro di uno scrutinio da operarsi ex ante, e non ex post, ovvero con riferimento al momento della scelta operata dagli amministratori, e non, viceversa, alla luce dei risultati positivi o negativi che successivamente potevano considerarsi originati da tale scelta. 166

Al Giudice contabile doveva precludersi, in altre parole, l’individuazione dei fini pubblici rispetto ai quali valutare la compatibilità delle scelte amministrative, perché ciò avrebbe “falsato ab origine” il risultato del giudizio di congruità, dal momento che ciò che poteva considerarsi congruo rispetto a un fine poteva non esserlo altrettanto con riferimento ad un altro.

La tesi veniva sviluppata in una successiva sentenza del maggio 2003 (la n. 6851 del 6 maggio 2003) nella quale si ribadiva che la presenza di una “norma specifica che preclude al giudice contabile di sindacare nel merito le scelte discrezionali della PA”,

166 Cosi Cass. SS.UU. 29 gennaio 2001 n. 33, in Foro Italiano, 2001, I, 1171 ss. con nota di D’AURIA

G., Responsabilità amministrativa e insindacabilità di scelte discrezionali di amministratori pubblici, avente ad oggetto la nota vicenda riguardante le spese sostenute dal Comune di Milano per inviare alcuni giornalisti italiani ad una mostra sul disegno industriale italiano organizzata a Shanghai nel 1983; in tale occasione i giudici di legittimità, in tema di limiti esterni del sindacato del giudice contabile sulle scelte discrezionali, affermano che “la Corte dei conti, nella sua qualità di giudice contabile, può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell'ente pubblico; ma, per non travalicare i limiti esterni del suo potere giurisdizionale, una volta accertata tale compatibilità, non può estendere il suo sindacato all'articolazione concreta e minuta dell'iniziativa intrapresa dal pubblico amministratore, la quale rientra nell'ambito di quelle scelte discrezionali di cui la legge stabilisce l'insindacabilità e può dare rilievo alla non adeguatezza dei mezzi prescelti dal pubblico amministratore solo nell'ipotesi di assoluta ed incontrovertibile estraneità dei mezzi stessi rispetto ai fini.”

Autore: Antonio Guerrieri, La responsabilità degli esponenti di società a partecipazione pubblica e il giudice

contabile, Tesi di dottorato in Diritto ed Economia dei Sistemi Produttivi, Università degli Studi di Sassari

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doveva costituire un limite “esterno” alla giurisdizione contabile (e solo alla giurisdizione contabile) tale da precludere allo stesso giudice qualunque interpretazione autonoma dei fini pubblici perseguiti dall’ente, per evitare che tale giudizio potesse condurre fino a sostituire “le sue scelte a quelle dell’Amministrazione nell’esercizio del potere discrezionale ad essa istituzionalmente devoluto con una valutazione ex post e senza adeguata comparazione tra costi sostenuti e risultati perseguiti”.

Questa interpretazione, la quale, peraltro, nei suoi aspetti “discriminatori” nei confronti della (sola) giurisdizione contabile, aveva sollevato pesanti critiche in dottrina, 167 veniva superata dalla stessa Corte in pronunciamenti successivi, in considerazione della rilevanza, oramai assunta sul piano della legittimità e non più soltanto della mera opportunità, dalla violazione ai c.d. criteri di economicità ed efficacia prescritti dalla normativa generale di cui all’art. 1 della legge sul procedimento amministrativo.

In sostanza, attraverso “il cavallo di Troia dei criteri di economicità ed efficacia” 168 la Cassazione abbatteva ogni ostacolo frapposto in precedenza al sindacato sulla discrezionalità amministrativa da parte del Giudice contabile; e ciò perché oramai tali criteri dovevano considerarsi “una regola di legittimità dell’azione amministrativa, la cui

osservanza può essere oggetto di sindacato giurisdizionale, nel senso che lo stesso comporta il controllo della loro concreta applicazione, essendo lo stesso estraneo alla sfera propriamente discrezionale.”

In altre parole, la corretta verifica della legittimità dell’azione amministrativa non poteva più prescindere dalla “ragionevole proporzionalità” tra obiettivi conseguiti e costi sostenuti, e la stessa individuazione degli obiettivi istituzionali dell’ente pubblico, nei confronti dei cui amministratori o dipendenti si procedeva in sede contabile, non doveva più considerarsi questione attinente ai limiti “esterni” della giurisdizione, bensì a quelli “interni”, comportante cioè, nel caso, un mero “error in judicando” e non più invasione della sfera discrezionale.

Da ciò il corollario per cui, dovendo considerarsi, tali criteri di economicità ed efficacia, vere e proprie “clausole generali” nell’ordinamento, la verifica della loro osservanza, da parte del giudice, non doveva più considerarsi sindacato sulla discrezionalità amministrativa, ma controllo (seppur limitato) sulla legittimità dell’atto.

Effetto principale di questa nuova impostazione era la rideterminazione del concetto stesso di discrezionalità amministrativa, la quale non poteva più configurarsi in

167 Vedi PINOTTI C. ne La violazione dei principi di economicità, efficacia e pubblicità può essere accertata dal giudice contabile solo attraverso un controllo di ragionevolezza che va tenuto distinto dal controllo sul potere “discrezionale”: Sezioni Unite della Cassazione, atto terzo, nota a Cass.

SS.UU. 28 marzo 2006 n. 7024, in Contratti dello Stato ed Enti Pubblici 2006, p. 622.

Autore: Antonio Guerrieri, La responsabilità degli esponenti di società a partecipazione pubblica e il giudice

contabile, Tesi di dottorato in Diritto ed Economia dei Sistemi Produttivi, Università degli Studi di Sassari

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