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CAPITOLO 1: Il Mercato del Vino

3.1.4 Competitività e riforma dell’OCM vino

Con la riforma dell’OCM del 2000, rispetto alle tendenze descritte che proprio negli stessi anni hanno manifestato la loro influenza, l’Unione europea ha attivato una serie di

11 Fonte: Pomarici E., Tedesco R., (2005), Competitività del sistema del vino: Italia e

Australia a confronto. In VQ, n.6, dicembre 2005

12 Fonte: Arisi S. (2005), l’Australia del vino punta su ricerca e ambiente. In VQ, n.6,

interventi finalizzati al miglioramento strutturale, quali la ristrutturazione dei vigneti, e alla qualità, attraverso una normativa stringente relativa alle limitazioni delle pratiche enologiche, alle classificazioni e all’etichettatura. Altri interventi, quali lo sviluppo delle associazioni di produttori e delle altre forme organizzative della filiera, seppure previsti, non hanno di fatto avuto spazio adeguato, e non vi sono stati interventi specifici in azioni di promozione, commercializzazione e ristrutturazione organizzativa delle imprese vitivinicole, che sono stati invece probabilmente i fattori chiave di successo dei paesi del resto del mondo (in particolare Australia e Stati Uniti).

Le politiche di contenimento dell’offerta, associate al mantenimento della rete protettiva (distillazioni, magazzinaggi), non hanno portato al permanere di un adeguato livello dei prezzi, anche perché molte delle opportunità aperte dalla crescita di nuovi mercati sono state colte dai concorrenti. Forse quindi l’intervento è stato ancora mirato troppo al sostegno (peraltro i redditi degli agricoltori di molte aree hanno subito il forte ribasso dei prezzi delle uve) e non abbastanza ad accrescere la competitività, i cui fattori chiave, oltre agli adeguamenti strutturali dei vigneti, sono le capacità di marketing e di concentrazione dell’offerta, i rapporti con la distribuzione e la gestione delle filiere (solo un’adeguata valorizzazione delle uve può consentire infatti il rinnovo dei vigneti). Nelle conclusioni del working paper della Commissione di febbraio 2006 “Wine Common Market Organisation” si afferma chiaramente come, data la situazione attuale della competizione internazionale, per mantenere l’impegno verso la ricerca di maggiore competitività non sia sufficiente continuare negli sforzi di incontro tra offerta e domanda e accelerare il tasso di rinnovo dei vigneti e razionalizzazione delle strutture produttive, ma sia necessaria la modernizzazione dell’industria vinicola a tutti i livelli, dall’imbottigliamento alle vendite e al marketing, così come la ristrutturazione delle cantine, l’organizzazione dei produttori e la promozione dei prodotti, specialmente nei mercati potenzialmente più interessanti. Queste considerazioni non hanno forse trovato spazio adeguato nel successivo documento di proposta di riforma della OCM.

Un’ultima riflessione riguarda l’Italia, che si presenta di fronte a queste sfide con una situazione in chiaroscuro. Nel commercio extra-UE è il primo paese esportatore in volume (35% del totale) ma in valore è superata nettamente dalla Francia (51% del totale contro il 30% dell’Italia). Rispetto all’intero ammontare delle esportazioni (comprese quelle tra i paesi UE), l’Italia è il secondo paese esportatore a livello mondiale con 2.863 milioni di Euro (media 2001/03), un valore che è meno della metà rispetto alla Francia, ma circa il doppio di Spagna ed Australia.

Sui principali mercati di importazione ha posizioni di preminenza: negli Stati Uniti, Italia ed Australia si contendono il primato per quantità di vino esportato, mentre i prodotti francesi perdono progressivamente terreno; in Gran Bretagna, è preceduta nettamente da Francia ed Australia ed i prodotti italiani si collocano su fasce di prezzo più basso rispetto ai concorrenti (mentre gli acquisti si spostano da vini a denominazioni ai vini da tavola e IGT); l’Italia è infine il primo fornitore della Germania, anche se con quote decrescenti.

Il più basso valore unitario delle esportazioni italiane (rispetto principalmente al prodotto francese) può essere in questo momento un punto di forza che permette di reagire meglio alle sfide della concorrenza. Tra i problemi che però occorre mettere in evidenza vi è la fortissima frammentazione del tessuto produttivo italiano, tanto che da alcuni studi affermano che solo poche imprese sono in grado di competere con successo nella fascia premium dei mercati internazionali13; ulteriore limite è la dipendenza dalle esportazioni di vino sfuso, che hanno avuto un vero e proprio crollo negli ultimi anni e non sono state sufficientemente sostituite dalle esportazioni di vino da tavola confezionato, mettendo in crisi intere aree geografiche del nostro paese. Una situazione dunque in cui a importanti successi e posizioni di preminenza si accompagnano difficoltà di sistema, con numerose imprese e ampie aree geografiche del paese che non riescono a valorizzare il proprio prodotto, ricorrono in modo sistematico al sostegno delle misure di protezione dell’OCM e non sono in grado di realizzare adeguate strategie di marketing e distributive capaci di rendere profittevole l’attività.

3.2 Paesi produttori storici

Sette sono i paesi dell’Europa, aderenti alla comunità europea, che storicamente producono vino: Francia, Italia, Germania, Spagna, Portogallo, Austria e Grecia.

La Francia, culla della viticoltura moderna, è attualmente il Paese che esporta di più e soprattutto vini definiti di prima fascia di prezzo, aventi perciò un elevato valore aggiunto.

Anche in questo Paese si sono avute delle riduzioni di superficie vitata e di produzione, oggi i vigneti in Francia ricoprono un’area di circa 900 mila ettari e la produzione totale di vino è di 57,7 milioni di ettolitri.

13 Fonte: Rabobank (2003), Wine is business. Rabobank International, Food &

L’Italia è attualmente il secondo Paese produttore a livello mondiale. Negli ultimi anni si sono registrati una contrazione delle quantità di vino prodotte ed un aumento delle esportazioni. Il mercato del vino da tavola attualmente sta attraversando un momento di stasi in termini di vendite, soprattutto per i vini bianchi. La produzione totale di vino è di 52,6 milioni di ettolitri.

La Spagna, pur possedendo la superficie vitata più vasta del globo (circa 1.200.000 ettari, equivalenti a più del 15% della superficie mondiale), nella graduatoria dei Paesi produttori si posiziona solo al terzo posto dopo Francia e Italia, questo perché è caratterizzata dall’avere un clima caldo e arido che causa carenze idriche, le quali limitano significativamente la produttività.

La produzione di vino in Spagna comunque è di 32,9 milioni di ettolitri.

Per quanto riguarda la Grecia e il Portogallo, Paesi che producono diverse tipologie di vino, le produzioni di vino non sono molto elevate rispetto agli altri paesi europei, infatti, non supera i 3.680.000 ettolitri la Grecia e il Portogallo non va oltre i 5.650.000 ettolitri. Nei Paesi dell’Europa centro-settentrionale (Germania e Austria), a causa della mancanza di temperature elevate e di radiazione solare, solitamente sono i vini bianchi a dare i risultati migliori, la produzione complessiva tedesca è di 10,7 milioni di ettolitri di vino, mentre quella dell’Austria è di 2,2 milioni di ettolitri.

3.3 Il consumo di vino nell’Europa

In base ad una indagine condotta dalla filiale spagnola della Nielsen di Barcellona sono emersi dati interessanti riguardanti il consumo di vino nei seguenti otto Paesi dell’Unione Europea: il Belgio, la Danimarca, i Paesi Bassi, la Germania, l’Irlanda, l’Italia, la Spagna e il Regno Unito.

L’analisi evidenzia l’esistenza di comportamenti differenti tra i Paesi del Nord e quelli del Sud Europa.

Nei Paesi del Nord, il vino viene consumato prevalentemente entro le mura domestiche (in Irlanda addirittura la percentuale sul totale dei consumi raggiunge il 75%). I Belgi però fanno eccezione: il loro “approccio” al vino è molto simile a quello dei Paesi meridionali, dove i consumi si ripartiscono equamente tra “fuori casa” e “all’interno delle mura domestiche”.

L’indagine si è concentrata sugli acquisti di tipo “off-trade”, cioè su quelli in cui il consumo è generalmente fatto presso il domicilio dell’acquirente, che si

contrappongono a quelli “on-trade”, dove invece, il consumo viene fatto direttamente nel luogo di acquisto (hotel, ristoranti e caffè ad esempio) e, ha posto l’attenzione su canali distributivi come iper e supermercati, superettes e negozi specializzati, mentre ne ha esclusi altri quali i grossisti, l’acquisto diretto presso il produttore e l’autoconsumo. Dal 1997 al 2000 le tendenze sui consumi domestici si sono rivelate molto differenti a seconda dei Paesi considerati: le vendite “off-trade” sono aumentate fortemente in Irlanda (+ 24%), Belgio (+ 17%) e Paesi Bassi (+ 14%), Stati tradizionalmente consumatori di birra, sono invece risultate stabili in Germania e in flessione in Danimarca e Spagna.

Confrontando, invece, il dato del 2000 con quello del 1999 si riscontra quasi ovunque un aumento della spesa per il vino, le eccezioni sono rappresentate dalla Germania (- 4%) e dalla Danimarca (- 9%). Gli incrementi più significativi si sono avuti in Belgio (+ 38%) ed in Irlanda (+ 34%).

L’indagine evidenzia inoltre come il volume d’affari che ruota attorno al vino cresce in maniera quasi esponenziale rispetto al volume delle vendite, questo significa che il consumatore quindi acquista quantitativi maggiori ma, allo stesso tempo, deve sostenere spese sempre più elevate.

Un altro aspetto emerso dall’indagine coinvolge i punti vendita degli otto paesi oggetto di studio. In questi Stati infatti, si è registrata una graduale diminuzione del loro numero (-14,1% dal 1991 al 1997), sebbene si sia registrato un aumento della popolazione. Tale tendenza può essere giustificata sottolineando come la distribuzione, in questi ultimi anni si stia concentrando dando vita a grandi centri commerciali, super e ipermercati. Questo fenomeno risulta essere molto accentuato nei Paesi dell’Europa Nord

Occidentale, mentre in altri come Spagna e Italia, peraltro forti consumatori di vino, assume entità leggermente inferiori, garantendo così, almeno per il momento, la sopravvivenza dei piccoli dettaglianti.

Il wine business ha ormai assunto un grado strutturale di complessità del tutto paragonabile a quello di altre industry, solitamente più accreditate presso la comunità degli studiosi di marketing. Tra le ragioni di tale complessità, in questo paragrafo poniamo in evidenza la completa sostituzione dei processi di consumo tradizionali con nuovi modelli:

 quelli tradizionali – espressione prima dei paesi produttori di più alto lignaggio e storia, Italia e Francia in testa – sperimentano da anni un’evoluzione del concetto di prodotto (che parte da una tradizione di funzionalità pura) e generano volumi in

costante calo, sebbene permangano ancora leader. Questi stili di consumo trovano il riferimento d’acquisto – con significative differenze tra paese e paese – negli esercizi del grande dettaglio, nell’approvvigionamento diretto (il cosiddetto sfuso) e in un peso ancora forte dell’autoconsumo;

 quelli moderni – fortemente caratterizzati, sia nei paesi produttori che in quelli non-produttori, da un connotato fashion, spesso sconfinante nel turismo – hanno trainato la rivitalizzazione del prodotto e ne affermano un nuovo profilo valoriale, a forte segno simbolico. Questi stili di consumo hanno il riferimento tradizionale – nei paesi produttori – nel dettaglio specializzato e in certi strati dell’ho.re.ca. In anni molto recenti, ad esempio, a livello mondiale si è andato prepotentemente sviluppato, come canale specifico, la formula del wine bar, peraltro ricca di varianti interne14.

14 Fonte: A. Mattiacci, F.Ceccotti, V.de Martino, “Il Vino come prodotto cognitivo:

indagine esplorativa sui comportamenti giovanili”; Convegno Internazionale “Le Tendenze del Marketing”; Università Cà Foscari, Venezia 21-22 Gennaio 2006.

4 Il quadro nazionale

4.1 Il comparto vitivinicolo in Italia

Negli ultimi quarant’anni il vino italiano ha consolidato la sua posizione nel mondo, raggiungendo dei traguardi che sino a qualche anno fa erano impensabili. E’ stato un processo lungo e complesso che ha avuto, nell’esaltazione della qualità, dell’origine e della territorialità dei vini, dei momenti fondamentali. Tutto ciò, però, è stato possibile grazie alla rivisitazione sia delle pratiche agronomiche nelle campagne, sia all’incessante evoluzione della ricerca e dell’applicazione della scienza enologica nelle cantine. In questo modo i vini italiani hanno compiuto un deciso salto di qualità, anche dal punto di vista organolettico, recuperando quel gap di conoscenze ed esperienze che in passato li aveva fortemente penalizzati sui mercati internazionali. Oggi l’Italia occupa una posizione di primo piano nel mondo grazie proprio all’ammodernamento e allo svecchiamento delle cantine dal punto di vista tecnologico e strutturale e dall’efficacia dei protocolli enologici moderni applicati sia dalle grandi che dalle piccole aziende. In passato i vini italiani si sono segnalati all’attenzione internazionale per la capacità di rompere gli schemi, affiancando alla produzione tradizionale una ampia schiera di vini che hanno fatto dell’innovazione la loro cifra stilistica e sono riusciti ad interpretare meglio di altri i gusti e le esigenze del consumatore internazionale, tenendo alta, in un momento molto difficile, l’immagine del vino italiano.

L’Italia è il secondo paese produttore su scala mondiale. Qualche cifra chiave permette di tratteggiare lo stato della filiera in Italia. Il mondo del vino ha un giro di affari di 8.000 milioni di euro; l’intero patrimonio della filiera vitivinicola (compreso il valore degli impianti e strutture legate alla produzione di vini, liquori, distillati e aceti balsamici) sfiora i 50 miliardi di euro15.

Un vigneto con una superficie di circa 800 mila ettari che producono mediamente 50 milioni di ettolitri all’anno. La produzione italiana rappresenta, in media, il 21% della produzione mondiale e il 34% di quella dell’Unione Europea; la vendemmia del 2006 è stata di 51,5 milioni di ettolitri a fronte di una media quinquennale, 2001/2005, di 48,9

milioni di ettolitri16. Una produzione ripartita in quattro grandi comparti (Nord Ovest; Nord Est; Centro;Sud ed Isole) con la Sicilia e la Puglia che coprono da sole il 29% della superficie del vigneto italiano.

Un vigneto invecchiato e in riconversione verso produzioni più qualitative; una superficie ed un volume di produzione in diminuzione da almeno 10 anni, principalmente nel Centro e nella Sardegna.

La produzione di vino in Italia vanta 476 denominazioni, delle quali 358 DOC – DOCG e 118 IGT; le aziende vitivinicole sono circa 800 mila che dispongono in media da 1 a 2 ettari di vigneto e le aziende imbottigliatrici sono 30 mila.

Il sistema cooperativo resta preponderante (cantine sociali, consorzi di produzione e strutture associate di commercializzazione). La cooperazione rappresenta infatti circa la metà della produzione nazionale; 400 mila addetti, considerando le “unità di lavoro annuale”, sono direttamente legati alla produzione. La filiera in senso lato, comprendente cioè gli addetti dell’indotto (fornitori di tappi, bottiglie,…) e della commercializzazione, coinvolge fino a 700 mila unità17.

Dai dati del 5° Censimento Generale dell’Agricoltura18, si registra una superficie nazionale ad uva da vino di 675.580 ettari di cui il 35% destinabili alla produzione di vini DOC e DOCG e il restante 65% a vini da tavola e IGT (Indicazione Geografica Tipica). Le aziende del comparto sono 770.206, di cui il 90% produce vini da tavola o IGT, mentre solo il 14% si dedica alle DOC-DOCG (la somma naturalmente non da 100 poiché la stessa azienda può realizzare congiuntamente le due produzioni). La superficie viticola che ad esse fa riferimento è di circa 675 mila ettari, equivalenti ad appena il 5% della SAU (Superficie Agricola Utilizzabile) nazionale.

Da rilevare è il confronto con i censimenti precedenti, infatti negli ultimi venti anni i vini da tavola e IGT hanno inesorabilmente perso terreno, tanto da risultare dimezzati nel 2000 rispetto al censimento del 1982, sia in termini di aziende che di superficie investita.

16 Fonte : Assoenologi.

17 Fonte: Ambassade de France en Italie, Le secteur vitivinicole italien, mission

économique, 07/05/03.

18 Pubblicato nel settembre 2002, il 5° Censimento Generale dell’Agricoltura ha fornito

un quadro dettagliato sulle caratteristiche strutturali delle aziende agricole, zootecniche e forestali, riferito all’annata agraria novembre 1999 – ottobre 2000.

Tabella 1.4- Aziende e superfici investite nelle coltivazioni agrarie

(n° di aziende ed ettari di superficie)

Totale Legnose agrarie Vite per vino Vite per Doc-Docg Vite per altri vini Aziende* 2.551.822 1.858.535 770.206 108.711 694.894

Quota sul totale 100,0% 72,8% 30,2% 4,3% 27,2%

Superficie agricola

utilizzata 13.212.652 2.457.994 675.580 233.522 442.057

Quota sul totale 100,0% 18,6% 5,1% 1,8% 3,3% *Riferite alla superficie agricola utilizzata.

Fonte: elaborazione Ismea su Censimento Istat 2000.

Una netta espansione si è registrata negli anni novanta per le denominazioni d’origine, specie in termini di superficie. Tale dato è di particolare importanza, poiché rivela come la produzione nazionale italiana sia sempre più rivolta alla qualità ed alla valorizzazione dei propri vitigni autoctoni piuttosto che di quelli “internazionali”.

Secondo i dati del Censimento ISTAT 2000, oltre un quarto (26%) del vigneto Italia è frazionato tra aziende che non hanno più di un ettaro investito ad uva da vino; all’estremo opposto, quelle con più di 10 ettari vitati coprono il 20%. Tale frammentazione è ancora più marcata nel segmento dei vini da tavola e IGT per contro nel segmento delle denominazioni d’origine solo il 10% della superficie è attribuibile ad aziende con meno di 1 ettaro di vigneto, mentre ben il 35% ad aziende con oltre 10 ettari, a dimostrazione di una maggiore concentrazione degli assetti proprietari.

4.2 La produzione di vino

Secondo i dati ISTAT, la vendemmia 2003 ha segnato la peggior annata nella viticoltura italiana dell’ultimo trentennio, in termini di volumi produttivi. Con una produzione pari a circa 44 milioni di ettolitri, il biennio 2002-2003 verrà sicuramente ricordato come uno dei più avari. Tale risultato è da attribuire in parte a fattori di lungo periodo, ma soprattutto ad avversità climatiche. Inverno troppo asciutto, seguito da gelate primaverili e da piogge estive hanno caratterizzato il 2002, estate troppo calda e siccitosa il 2003. Scendere sotto il livello minimo del 2002 non era negli auspici, né nelle attese dei viticoltori; la produzione, del resto, aveva già segnato il record negativo

degli ultimi trent’anni in occasione della vendemmia del 2002, quando essa era piombata sotto i 45 milioni di ettolitri.

Si pensava, insomma, che peggio di così non potesse andare e invece il fondo il “vigneto Italia”, lo ha toccato proprio nella campagna del 2003, al termine di un’estate torrida e siccitosa che ha avuto il solo pregio di tenere alto il livello qualitativo.

I risultati pubblicati dall’ISTAT, sulla base delle diverse stime regionali indicano, nel 2003, un quantitativo totale di 44 milioni di ettolitri19, inferiore dell’1,1% a quella del 2002.

Su un totale di 75 milioni di quintali di uve vendemmiate, il raccolto di quelle da vino è ammontato, nel 2003, a 61,6 milioni, facendo segnare un aumento dell’1% rispetto al 2002. E’ andata bene nelle regioni del Sud, dove il raccolto è aumentato del 4,5% su base annua; al Nord invece la produzione ha fatto registrare un esiguo +1,5%; mentre il Centro Italia ha accusato, al contrario, una pesante performance, con un raccolto di uva da vino inferiore del 9%.

Scendendo nel dettaglio regionale, si nota come la Sicilia, più abituata alla siccità, abbia sofferto meno le alte temperature, con un 5,5% in più rispetto all’anno precedente. Significativo anche l’aumento della Puglia che per 6.089 milioni di ettolitri supera del 9,1% il risultato del 2002.

Anche per il 2003 la leadership spetta al Veneto con un incremento dell’7,6% su base annua. Rimanendo al Nord si registrano flessioni in Emilia Romagna (-6,6%), in Piemonte (-2%) e in provincia di Bolzano (-7,2%), alle quali si contrappone il buon risultato del Friuli Venezia Giulia (+10,6%) e del Trentino Alto Adige.

Al Centro, al solo incremento dell’Umbria si contrappone il forte calo produttivo delle Marche (-25,3%) e del Lazio (-14,6%). Limitata al 2% la perdita della Toscana.

Nel Sud il solo Abruzzo ha accusato una riduzione consistente, -12,8% su base annua. La produzione di vino del 2003, come quella degli anni precedenti, è stata caratterizzata da un sostanziale equilibrio tra vini bianchi e rossi-rosati, sono stati infatti ottenuti 20,73 milioni di ettolitri dei primi contro i 20,96 milioni dei secondi. Differenze piuttosto marcate si evidenziano invece a livello regionale.

Tabella 1.5- La produzione di vino in Italia

Produzione di vino e mosto in Italia

Fonte: ISTAT. Dati ISMEA - UIV al °7 settembre 2006, (in .000 di hl).

La produzione italiana, sebbene molto diffusa su tutto il territorio nazionale, appare molto concentrata in particolari aree rappresentate da Veneto, Emilia Romagna, Puglia e Sicilia.

Con la vendemmia 2004 l’Italia si è confermata come secondo Paese produttore di vino in Europa con 51 milioni di ettolitri, dei quali 24,6 di vini bianchi e 26,3 rossi o rosati. E’ quanto è emerso al Vinitaly dalla Tavola Rotonda su “Vino, benessere e salute” organizzata da Coldiretti e Città del Vino, sulla base dei dati Istat relativi ad una vendemmia giudicata di qualità grazie all’andamento climatico favorevole con giornate calde e notti fresche e all’abbassamento della temperatura che ha favorito una ottimale maturazione delle uve. L’Italia può contare su un patrimonio di 453 vini Docg, Doc e 2002 2003 2004 2005 2006 Var.06/05 Piemonte 2.329 2.282 3.262 3.054 3.360 10,0% Valle d’Aosta 16 18 22 20 20 0,0% Lombardia 1.123 856 1.168 1.100 1.100 0,0% Trentino A. A. 1.063 1.076 1.269 1.057 1.189 10%/15% Veneto 6.847 7.369 8.843 7.093 6.916 0/-5% Friuli Venezia Giulia 1.006 1.113 1.344 1.159 1.078 -5/-10% Liguria 93 106 91 84 86 0/5% Emilia Romagna 5.682 5.305 7.155 6.608 6.608 0,0% Toscana 2.319 2.264 3.166 2.780 2.919 5% Umbria 776 812 1.078 998 1.028 0/5% Marche 1.258 940 1.248 1.206 1.182 0/-5% Lazio 2.859 2.441 2.492 2.362 2.540 5%/10% Abruzzo 3.808 3.319 3.585 3.469 3.208 -5/-10% Molise 307 274 328 390 342 -10/-15% Campania 1.761 1.655 1.878 1.826 2.100 15,0% Puglia 5.580 6.089 7.610 8.348 8.348 0,0% Basilicata 309 284 201 267 267 0,0% Calabria 531 476 485 539 472 -10/-15% Sicilia 6.209 6.553 6.964 7.283 7.283 0,0% Sardegna 729 856 943 924 924 0,0% ITALIA 44.604 44.086 53.135 50.566 50.968 0,8%

Igt. La produzione di vino Doc o Docg rappresenta un terzo del totale (33%) mentre quella a Indicazione Geografica Tipica IGT oltre un quarto (27%). Il fatturato del settore è stimato pari a 8,5 miliardi di Euro.

Grazie ai dati di Union Camere possiamo analizzare il valore aggiunto del settore vinicolo aggiornato al 2003. Sono dati interessanti, che danno l’idea del peso del settore

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