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Dinamiche del Mercato del Vino e Scelte Distributive: il caso "Enotria Aziende Vitivinicole"

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Academic year: 2021

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INDICE

Prefazione……….. 1

CAPITOLO 1: Il Mercato del Vino……… 4

Introduzione……… 4

1 Il Vino nei secoli: percorso storico di una bevanda……… 6

2 Il panorama mondiale………... 9

2.1 Superfici vitate……… 9

2.1.1 Produzioni mondiali………. 10

2.2 I consumi………. 13

2.2.1 Variabili chiave dei trend di mercato………... 16

2.3 Gli scambi internazionali………. 17

2.3.1 Sintesi dei principali mercati internazionali……… 19

2.3.2 Il ruolo del “Nuovo Mondo”……… 20

2.4 Il Commercio di vino nel mondo………. 22

3 Il mercato europeo……….. 27

3.1 Situazione del settore vitivinicolo nell’Unione Europea………. 27

3.1.1 Misure legislative adottate in Europa per contenere la produzione…… 27

3.1.2 Importanza dell’UE nel mercato del vino ed evoluzione dei consumi…. 32 3.1.3 Le sfide sul mercato europeo ed internazionale……… 34

3.1.4 Competitività e riforma dell’OCM vino……….. 35

3.2 Paesi produttori storici………. 37

3.3 Il consumo di vino nell’Europa……… 38

4 Il quadro nazionale………. 41

4.1 Il comparto vitivinicolo in Italia……….. 41

4.2 La produzione di vino………. 43

4.3 La classificazione dei vini in Italia……….. 48

4.4 I consumi………. 50

4.5 Export: mercati principali……… 53

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Introduzione……….. 58

1 Definizioni del marketing……… 60

1.1 I principi del marketing……… 63

2 Il Marketing mix dei vini……… 65

2.1 Prodotto vino……… 65

2.2 Il Prezzo……… 71

2.3 La Distribuzione………... 74

2.4 La Comunicazione……… 86

3 Le vie della vendita sono infinite……… 93

3.1 Vola il fatturato all’export……… 96

3.2 Prezzi troppo alti………. 100

3.3 Lo sfuso un mondo a parte……… 102

4 Le più grandi aziende italiane nel comparto vitivinicolo………... 104

CAPITOLO 3: La Distribuzione……… 111

Introduzione……… 111

1 La grande distribuzione: ruolo degli intermediari nella distribuzione…… 113

2 Il sistema distributivo in Italia: lo scenario………. 115

2.1 Evoluzione del rapporto tra consumatore e distribuzione moderna………... 116

3 Ruolo della grande distribuzione nel mercato del vino……….. 117

3.1 Il caso Coop Italia………... 119

3.1.1 Coop e il mondo del vino……… 120

3.1.2 L’accordo Coop Italia – Slow Food………. 122

3.2 Il progetto Conad……… 123

3.2.1 La “Vineria” Conad……… 124

4 Prospettive future del vino nella GDO……… 128

5 La distribuzione attraverso il canale tradizionale……….. 130

5.1 Il Canale Tradizionale nel mercato del vino………... 131

5.1.1 Le enoteche……… 132

5.1.2 Il canale HORECA………... 136

5.1.3 I grossisti……… 140

6 Vino di qualità: il rapporto controverso tra il canale tradizionale e la grande distribuzione……… 142

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7 Punti di forza e punti di debolezza del vino confezionato italiano…………. 144

7.1 La produzione ed il fatturato del vino confezionato………. 145

7.2 I paesi esteri verso i quali si rivolge l’export……… 149

7.3 Le attività di marketing per il mercato interno e per il mercato estero…… 150

7.4 I vantaggi del vino italiano esportato all’estero……… 152

CAPITOLO 4: Il caso “ Enotria Aziende Vitivinicole”……… 155

Introduzione……… 155

1 Vitivinicoltura nel Cirotano: cenni storici………... 156

1.1 Il Settore Vitivinicolo Calabrese……… 158

2 Profilo dell’azienda……… 162

2.1 La storia……….. 162

2.2 Localizzazione e struttura………... 164

3 Analisi interna della filiera………... 166

3.1 Competenze tecniche e qualità dei mezzi di produzione……… 166

3.2 Tipologia e marketing mix di ciascun prodotto……….. 168

3.3 Efficienza dei servizi commerciali………. 170

3.4 Attitudine dei consumatori e della stampa nei confronti dei prodotti……… 171

3.5 La Distribuzione………. 172

3.6 Valutazione delle strategie precedenti………. 176

4 Strategie di marketing dell’Azienda vitivinicola Enotria……….. 178

4.1 Enotria Aziende Vitivinicole e Valorizzazione Territoriale……….. 179

4.2 Progetto di Valorizzazione dell’Immagine di Enotria Aziende Vitivinicole.. 181

4.3 Enotria e il Consorzio per la Tutela e la Valorizzazione di Vini Cirò D.O.C. 184 4.4 Prospettive future: principali step………... 185

Conclusioni: Ipotesi Futura di Progetto di Marketing Territoriale… 187

Riferimenti Bibliografici……….. 192

Indice dei Grafici……….. 195

Indice delle Tabelle………... 196

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Prefazione

FINALITÀ DEL LAVORO

La globalizzazione dei mercati, l’ampliamento del commercio internazionale ed il repentino sviluppo tecnologico ed informatico hanno determinato, soprattutto dalla seconda metà degli anni ottanta, profondi mutamenti del sistema strategico dell’organizzazione aziendale. L’introduzione di tecniche gestionali orientate alla qualità totale ed ai processi, il ricorso all’outsourcing, cioè alla esternalizzazione di attività strategicamente non rilevanti, una politica di marketing “client oriented”, una sempre più marcata differenziazione dell’offerta definiscono continuamente i confini della competizione.

In questo scenario ciascuna impresa è chiamata ad identificare il proprio spazio in funzione del proprio posizionamento strategico, della propria volontà di competere e delle competenze tecniche che la contraddistinguono.

Il mercato del vino era caratterizzato sino a qualche anno fa da una dimensione prettamente nazionale, se non regionale, dove i circuiti di produzione, trasformazione, commercializzazione e consumo si risolvevano, per la maggior parte, in aree geografiche abbastanza ristrette. Gli stessi consumi erano segmentati territorialmente e privilegiavano le produzioni e i produttori caratteristici del territorio. Tale assetto si muove verso una sempre maggiore mobilità delle preferenze dei consumatori e una maggiore ampiezza degli sbocchi commerciali dei produttori. Tutti i produttori, nazionali ed europei dovranno infatti confrontarsi con nuovi competitor non solo sui mercati internazionali ma anche su quelli interni. Com’è possibile dunque conciliare la profonda frammentazione del sistema competitivo italiano ed europeo con la necessità di competere in un mercato sempre più globale e con competitor spesso di dimensioni enormemente più elevate?

Ad un numero crescente di nuovi consumatori e ad un numero sempre più alto di mercati emergenti, risponde un drappello di imprese di dimensioni sempre più ampie in grado di proporre prodotti di ottima qualità a prezzi estremamente concorrenziali e in grado di sviluppare marchi riconosciuti sul mercato internazionale, costruire rapporti privilegiati con le grandi aziende distributive e investire pesantemente in attività promozionali e pubblicitarie. All’opposto le piccole e medie imprese, asse portante del

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comparto vinicolo italiano, devono affidarsi a modelli competitivi che tengano conto della minore disponibilità di risorse finanziarie, manageriali e organizzative ma che allo stesso tempo permettano un presidio dei mercati internazionali.

Nel mercato nazionale la crescita inarrestabile delle grandi superfici della distribuzione moderna ha ridisegnato gli equilibri tra vino di qualità e canale di vendita tradizionale. La dicotomia tra qualità e quantità porta sempre più spesso le aziende a diversificare la produzione con la creazione di una nuova linea per l’uno o per l’altro canale. Ma il cliente finale sarà in grado di percepire una reale differenza di qualità o rafforza l’idea di essere vittima di una differenziazione soltanto del packaging? E come reagiranno gli intermediari ad una simile confusione?

Ci si chiede allora quale sia la migliore soluzione per rimanere competitivi sui diversi mercati, e se gli strumenti di gestione a disposizione siano efficaci per il controllo e per l’implementazione di una strategia.

Ritengo che la miglior risposta a questi interrogativi possa arrivare solo da un’attenta analisi del mercato, osservando in primo luogo i principali canali distributivi (con un focus su due gruppi leader nella grande distribuzione alimentare italiana e sui due principali canali tradizionali: horeca ed enoteche) in modo da avere un’idea chiara e precisa sulle preferenze dei consumatori, ed in secondo luogo analizzando un’azienda vinicola rappresentativa di un’intera zona di produzione. L’analisi avrà inizio con una descrizione dell’azienda e di tutti gli elementi principali che ne caratterizzano la filiera, individuando punti di forza ed eventuali inefficienze. Vedremo come in base ai dati forniti potrà essere implementata una strategia orientata al cliente in grado di aumentare la competitività dell’azienda sui mercati nazionali (GDO e canale tradizionale) ed internazionali, e come sarà quindi possibile conciliare qualità e quantità.

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STRUTTURA

Il lavoro è diviso in 4 capitoli.

Nel primo capitolo verranno analizzate tutte le componenti che caratterizzano il mercato del vino, prima a livello mondiale e poi nazionale. L’obiettivo è di capire le dimensioni raggiunte oggi da questo mercato, che come vedremo è in continua evoluzione, tanto sotto l’aspetto della produzione quanto sotto l’aspetto dei consumi. Verranno quindi osservate le tendenze sia dei mercati con una consolidata tradizione enoica, sia dei mercati del cosiddetto Nuovo Mondo e le relative potenzialità di crescita.

Il secondo e il terzo capitolo sono dedicati al mercato italiano ed in particolar modo al marketing del vino e alla distribuzione del prodotto vino, con riguardo ai due principali canali di distribuzione del vino, grande distribuzione organizzata e canale tradizionale, inteso come enoteche ed horeca. Anche qui verranno analizzate le continue evoluzioni che hanno distinto questi ultimi anni e capire i motivi di tanto interesse intorno al prodotto. Verranno esaminati quindi non solo gli aspetti economici, ma anche quelli sociologici e cosa oggi il vino rappresenta.

L’ultimo capitolo come ho già anticipato è dedicato ad un caso aziendale, Enotria Aziende Vitivinicole, per capire come e quali strategie possono essere implementate per rimanere competitivi sui diversi mercati. Si partirà da un’analisi interna della struttura aziendale, mostrandone i limiti di alcune scelte gestionali, ma anche le potenziali capacità per costruire dei progetti di sviluppo in modo da migliorare la sua posizione competitiva sui mercati.

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CAPITOLO 1: Il Mercato del Vino

Introduzione

Da oltre un decennio il mercato del vino ha subito una profonda mutazione nei comportamenti relativi al consumo, alla produzione ed alle modalità di commercializzazione. Nel primo capitolo esamineremo il mercato vitivinicolo in tutti i suoi aspetti fondamentali, sia per ciò che concerne il mercato internazionale che quello nazionale. L’analisi ha inizio con uno sguardo a quello che succede nel mondo e come gli equilibri, in questo mercato, siano in continua evoluzione. L’obiettivo è capire l’interesse che ruota intorno al prodotto vino e come le esigenze di tutti gli attori del settore siano in continuo fermento. E’ sotto gli occhi di tutti, anche del consumatore più distratto, che il mondo del vino è stato gradualmente rivalutato, grazie ad un profondo lavoro di miglioramento qualitativo sul prodotto, iniziato già da alcuni anni in cantina e destinato a modificare, nel prossimo futuro, anche la morfologia tradizionale del vigneto in termini sia di nuove varietà, sia di nuove forme di gestione. Dopo anni di discussione sulla riforma dell’organizzazione comune del mercato vitivinicolo, nel marzo 1999 è stato approvato, all’interno del pacchetto di “Agenda 2000”, il regolamento CE 1493/99, che fissa il quadro normativo nell’ambito del quale potranno delinearsi i futuri scenari della filiera vitivinicola. L’applicazione di questa riforma rappresenta un’ottima opportunità per il rinnovamento e l’aumento di competitività del settore vitivinicolo; ciò vale per le aziende che hanno raggiunto un livello di eccellenza, che sono stimolate a crescere e a migliorarsi sempre più, ma anche e soprattutto per quelle che devono ancora consolidarsi su un terreno sempre più sconvolto dalla competizione con i Paesi a viticoltura emergente come Stati Uniti, Australia, Cile, Argentina, Sud Africa, ed altri. Ad una crescita dei Paesi produttori del cosiddetto Nuovo Mondo, si affianca una crescita costante dei consumi in quei territori con scarsa tradizione enoica, mentre, nei tradizionali mercati di consumo si assiste ad un sensibile calo della domanda, ma ad una crescente e intensa ricerca della qualità del prodotto.

La globalizzazione del mercato del vino è ormai una realtà con cui si è costretti a fare i conti, visto che i Paesi della nuova viticoltura guadagnano costantemente posizioni di

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mercato rispetto a quelli della viticoltura tradizionale (l’Europa in genere). Nei Paesi dove manca la tradizione enoica, che solo l’Europa può vantare, è stata impostata una politica che persegue la coltivazione di alcuni vitigni europei – ormai definiti internazionali – che offrono buone prestazioni in qualsiasi areale; si tratta soprattutto di varietà francesi come Merlot, Cabernet, Chardonnay e Sauvignon. Esistono buone prospettive anche per l’italianissimo Sangiovese, di cui sembrano essersi “innamorati” i produttori e i consumatori d’oltre oceano.

I nuovi Paesi vitivinicoli, inoltre, possono contare su tecniche e tecnologie moderne che consentono di ottenere vini di buona qualità a bassi costi di produzione. Non ci troviamo di fronte a piccoli produttori appassionati, ma a vere e proprie industrie, che raggiungono dimensioni – in ettari coltivati a vite e numero di ettolitri di vino prodotti – impensabili per l’Europa (anche per il tipo di conformazione del territorio, oltre che per il tipo di struttura delle aziende agricole) e quindi in grado, da sole, di essere competitive.

Per l’Italia una via d’uscita importante, per sostenere la sfida del mercato globale, probabilmente, potrebbe essere il patrimonio di vitigni autoctoni che costituiscono la sua vera identità e che, proprio perché ubiquitari e legati ad una certa tradizione eno-gastronomica e culturale, sono difficilmente trasferibili in altre nazioni. Considerando che circa un terzo del totale della produzione nazionale viene esportato in tutto il mondo, per le aziende vinicole italiane capire ed anticipare le tendenze dei mercati internazionali risulta una carta vincente nell’implementazione di nuove strategie per competere in nuovi mercati. Sono veramente pochi i prodotti della terra che come il vino vengono determinati e personalizzati nelle loro caratteristiche qualitative dall’“ambiente”, inteso nell’accezione più ampia del termine, che non si limita ai soli fattori pedologici e climatici: il vino oggi è, di fatto, anche messaggero di storia, cultura e tradizione del territorio di produzione. La competitività, pertanto, non può essere ridotta al solo rapporto “prezzo/qualità” o peggio ancora “prezzo/quantità”; al di là di questi parametri, ci deve essere l’assoluta convinzione che i vitigni saranno pure esportabili, ma non lo sarà con essi il territorio di origine, dato che le condizioni pedoclimatiche e storico-culturali di ogni singola zona sono uniche ed irripetibili. Ovviamente questo ragionamento vale solo se la zona di produzione ha dei prodotti meritevoli, di grande qualità. L’analisi del mercato vitivinicolo si baserà principalmente su dati statistici tratti dagli istituti operanti nel settore, opportunamente elaborati per riviste specializzate, per associazioni o per enti di promozione del prodotto vinicolo.

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1 Il Vino nei secoli: percorso storico di una bevanda

La storia del vino è un po’ la storia stessa dell’umanità. Risulta quindi difficile tracciarne con precisione il corso: ogni civiltà, ogni impero, ogni vicenda politica e di potere ha avuto le proprie storie di vino, più o meno legate agli eventi stessi che hanno delineato il corso della storia.

Non pretendo con queste poche righe di aggiungere qualcosa a quanto già scritto o detto da illustri esperti di tutto il mondo. E’ mio intento soltanto presentare in modo semplice e sintetico le tappe fondamentali dello sviluppo di questa straordinaria bevanda, nella certezza che la conoscenza, seppure superficiale, di questo cammino ci permetta di apprezzare e capire meglio il vino di oggi.

La storia del vino muove i primi passi in Oriente, nella culla della civiltà.

La Bibbia, nella Genesi, ci riferisce di Noè, che appena uscito dall’arca pianta una vigna e ne ottiene vino, fornendoci testimonianza del fatto che le tecniche enologiche erano ben conosciute già in epoca prediluviana.

Fra i popoli più antichi, gli Egiziani furono sicuramente maestri abili e depositari delle tecniche enologiche. Con la cura e la precisione che li distingueva, tenevano registrazioni accurate di tutte le fasi del processo produttivo, dal lavoro in vigna alla conservazione. Ne abbiamo testimonianza dai numerosi geroglifici che rappresentano con grande ricchezza di particolari come si produceva il vino dei faraoni. Paradossalmente possiamo dire di sapere tutto e niente del loro vino, ovvero sappiamo come lo facevano, ma non possiamo purtroppo sapere che sapore avesse!

Grazie ai Greci e ai Fenici il vino arrivò in Europa. I poemi omerici testimoniano ampiamente la presenza e l’importanza del vino. A quel tempo il vino si diffuse proprio in terre come l’Italia, la Francia e la Spagna che sarebbero diventate, poi, i principali luoghi di produzione.

All’epoca dell’Impero Romano, la viticoltura si diffuse enormemente, raggiungendo l’Europa settentrionale. I più celebri scrittori non lesinavano inchiostro per elargire i propri giudizi e decantare le virtù dei vini a loro più graditi. Si scrisse tanto sul vino che oggi non è difficile ricostruire una mappa vinicola della penisola al tempo dei Cesari. Le tecniche vitivinicole conobbero in quei secoli notevole sviluppo: a differenza dei Greci, che conservavano il vino in anfore di terracotta, i Romani cominciarono ad usare barili in legno e bottiglie di vetro, introducendo, o quantomeno enfatizzando, il concetto di

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“annata” e “invecchiamento”. Fu a partire dal secondo secolo che si cominciò a dare importanza alla coltivazione della vite in Borgogna, nella Loira e nella Champagne. Nei secoli bui del Medioevo il potere assoluto della Chiesa influì fortemente sullo sviluppo della vitivinicoltura, così come sullo sviluppo di ogni altro campo della vita sociale e artistica. Il vino, ma soprattutto il buon vino, era ancora più sinonimo di ricchezza e prestigio e l’eccellere nella produzione di qualità divenne per alcuni ordini ecclesiastici quasi una ragione di vita. I Benedettini, diffusi in tutta Europa, erano famosi per il loro vino e per il consumo non proprio moderato che ne facevano.

Quando Bernardo, ex monaco benedettino, fondò nel 1112 l’ordine dei Cistercensi, fu dato ulteriore impulso al tentativo di produrre vini di alta qualità specialmente in Borgogna, obiettivo alimentato anche dalla forte competizione tra le abbazie. Diversa era la situazione a Bordeaux, città dominata non dal potere ecclesiastico, ma da interessi commerciali con l’Inghilterra: i grandi Chateaux di Bordeaux producevano vini di pregio per gli inglesi, i loro migliori clienti, che non potevano contare su un’interessante produzione locale. Questo legame vinicolo tra Francia e Inghilterra, nonostante qualche peripezia, è destinato a durare nei secoli. Proprio in questo periodo si comincia a delineare il ruolo centrale della Francia nella produzione di grandi vini, ruolo che soltanto successivamente ha conosciuto degli antagonisti tra cui l’Italia.

Gli ultimi secoli della nostra era sono stati testimoni di uno sviluppo straordinario delle tecniche vitivinicole. L’arrivo della cioccolata dall’America, del tè dalla Cina, del caffè dall’Arabia e la diffusione di birra e distillati nel XVII secolo, rese la vita difficile al vino, che perse il primato di unica bevanda sicura e conservabile. Questo ha spinto i produttori a cercare la migliore qualità per competere con i nuovi arrivati. L’evoluzione tecnologica nella lavorazione del vetro rese più facile la realizzazione di bottiglie sempre più adatte ad ogni diverso tipo di vino e la scoperta del sughero rese possibile condizioni di conservazione del prodotto quasi perfette. Nella regione Champagne si cominciò a parlare di un monaco benedettino, Dom Perignon, famoso per il suo perfezionismo quasi maniacale e per il suo straordinario vino. Molti non sanno che l’obiettivo di Dom Perignon era quello di ottenere un vino perfettamente fermo, ma i suoi sforzi erano frustrati da un clima e da un terreno che facevano inesorabilmente rifermentare il vino nelle bottiglie rendendolo spumeggiante.

Nel XVIII secolo si consolidò la tendenza a produrre vini più intensi, sicuri e fermentati a lungo. Cominciò ad affermarsi in questo contesto il “porto” come straordinario vino da lungo invecchiamento. Intanto i grandi Chateaux di Bordeaux continuavano a

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produrre vini di pregio per i loro migliori clienti, gli inglesi, che non hanno mai potuto contare su una produzione locale di quantità (e tanto meno di qualità).

Il XIX secolo ha vissuto la massima euforia vitivinicola. L’economia nazionale di molti paesi si basava sulla produzione di vino. Ma prima della fine del secolo, doveva abbattersi il grande flagello della “filossera”, un parassita che colpisce le radici della vite europea. Quasi tutti i vigneti d’Europa andarono distrutti o furono gravemente danneggiati. La soluzione, non certo indolore, fu quella di ripartire da zero innestando la vite europea sulla radice americana immune alla filossera.

La rivoluzione industriale ha cambiato, negli ultimi decenni, il mondo del vino.

Grazie alle tecniche di refrigerazione dei vasi vinari, paesi caldi come la California e l’Australia hanno cominciato a produrre vini eccellenti, grazie anche ad uve di eccezionale qualità. Il Nuovo Mondo ha avuto la capacità, grazie alla mancanza di convenzioni e condizionamenti, di imparare in fretta e raggiungere risultati straordinari in pochissimo tempo.

Nel nostro Paese si è sempre pensato di saper fare il vino meglio degli altri. Senza dubbio l’Italia è un Paese straordinariamente vocato alla viticoltura (non dimentichiamo che i Greci la chiamavano Enotria, terra del vino). Purtroppo però questa vocazione del territorio non è stata mai sfruttata appieno. Pesano come un macigno le parole di quel viticoltore francese che negli anni ’50 disse al grande Veronelli: “Voi da uve d’oro fate vini d’argento, noi da uve d’argento facciamo vini d’oro”. Purtroppo aveva ragione! Dal Medioevo ad oggi in molte zone d’Italia è cambiato ben poco nel modo di allevare viti e fare vino. Per i più, vige ancora la cultura del “vino del contadino” come massima lussuria enologica, finendo per scambiare per buon vino prodotti instabili e spesso maleodoranti. Da alcuni anni per fortuna qualcosa sta cambiando. Sempre più aziende cominciano a lavorare sulla qualità, sulla bassa resa per ettaro e sull’applicazione di criteri scientifici in fase di vinificazione. Così al fianco di Sassicaia, Tignanello e compagnia stanno sorgendo una gran quantità di vini eccellenti che nulla hanno da invidiare ai grandi vini francesi, californiani o australiani.

Il potenziale dell’Italia vitivinicola è immenso e le aziende lo hanno capito. D’altra parte i consumatori si dividono ancora in “bevitori” e “degustatori”, i primi (ancora la maggioranza) affezionati al vino della casa e un po’ incuranti della qualità, i secondi più consapevoli del fatto che il vino può essere un’opera d’arte.

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2 Il panorama mondiale

2.1 Superfici vitate

La superficie vitata mondiale nel 2002 si è attestata a 7,4 milioni di ettari, confermando sostanzialmente il livello dell’anno precedente1. Da sottolineare che le statistiche Fao al riguardo non distinguono le superfici investite ad uve da vino da quelle ad uve da tavola.

L’area del mondo con la maggiore estensione di vigneti resta l’Unione Europea2, con 3,32 milioni di ettari ed una quota del 45%, seguita dall’Asia con 1,5 milioni di ettari (il 20% dell’intera superficie vitata mondiale), in larga misura investiti ad uva da tavola. Lento ma costante sembra essere intanto il depauperamento del patrimonio viticolo dell’Europa extra-Ue, che nel 2002 contava 1,22 milioni di ettari, l’1% in meno del 2001 ed il 20% in meno rispetto alla seconda metà degli anni novanta, quando i vigneti si estendevano per 1,5 milioni di ettari.

In lieve aumento invece la superficie americana, passata dagli 880 mila ettari del 2001 agli 890 mila del 2002. L’incremento è decisamente più significativo se l’ultimo dato viene confrontato con gli 810 mila ettari registrati in media nella seconda metà degli anni novanta.

Con 300 mila ettari, il 36% dei quali situati in Sud Africa, il continente africano conferma anche nel 2002 una quota pari al 4% della superficie vitata mondiale.

Stabile al 2% anche la quota dell’Oceania, che nel 2002 ha totalizzato 160 mila ettari contro i 140 mila dell’anno precedente.

Da notare comunque il notevole passo in avanti di questo continente dagli inizi degli anni novanta ad oggi. Tra il 1990 ed il 1994, infatti, la sua superficie vitata è risultata in media di 60 mila ettari, per passare agli 80 mila del quinquennio successivo, mentre ha superato i 120 mila già agli inizi del nuovo millennio.

All’interno del continente oceanico il paese trainante è sicuramente l’Australia con i suoi 140 mila ettari.

1 Fonte: Ismea su dati Fao.

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Grafico 1.1: Produzioni mondiali di vino Sud America 6% Africa 4% Unione Europea 45% Resto Europa 17% Asia 20% Oceania 2% Nord-Centro America 6% Fonte: Elaborazione Ismea su dati Fao.

2.1.1 Produzioni mondiali

Secondo l’Office International de la Vigne et du Vin (Oiv), la produzione mondiale di vino dovrebbe aver raggiunto nel 2004 il livello di 294,6 milioni di ettolitri, un dato in deciso aumento rispetto all’anno precedente, quando gli ettolitri furono 264,9. Grazie ad una buona annata, l’Europa aumenta il suo peso a livello mondiale, attestandosi a una quota del 70,6% del totale prodotto nel mondo, con la Francia che conferma la sua leadership produttiva, seguita a ruota dall’Italia, mentre più staccata è la Spagna. Questi tre Paesi rappresentano da soli 150 milioni di ettolitri, guidando la classifica dei principali Paesi produttori mondiali; seguono, al terzo posto, gli Stati Uniti, con poco meno di 20 milioni di ettolitri, l’Argentina con più di 15 milioni di ettolitri, l’Australia con meno di 14 milioni di ettolitri, la Cina con circa 11 milioni di ettolitri, la Germania con poco più di 10 milioni di ettolitri e poi a scendere Sud Africa, Portogallo, Cile e Romania. Sul 2003, solo la Cina non aumenta la propria produzione e viene sopravanzata dall’Australia nella graduatoria.

Negli ultimi cinque anni, la produzione vinicola mondiale si è stabilmente mantenuta su un livello superiore ai 27 milioni di tonnellate. Di tale ammontare, nel 2002 il 60% è stato prodotto dall’Unione Europea, per un valore complessivo di oltre 16 milioni di

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tonnellate. Del rimanente 40%, una quota importante di tale produzione - quasi il 19% - si localizza nel continente americano .

In tale area, il contributo principale deriva dagli Stati Uniti al Nord e da Argentina e Cile al Sud, rispettivamente con 2,4 e 2,8 milioni di tonnellate di vino.

Seguono, nell’ordine, l’Europa Orientale che – con Romania, Ungheria e Russia – contribuisce al 9% della produzione mondiale, l’Asia (5%) ed infine Oceania ed Africa. In merito a queste ultime aree, è importante sottolineare che, pur occupando una quota sostanzialmente marginale (pari rispettivamente al 4,2% ed al 3,3%), le produzioni vinicole di tali continenti sono sostenute quasi esclusivamente da Australia, Nuova Zelanda e Sud Africa, che vengono considerati, visti gli imponenti tassi di crescita produttiva e la rilevante capacità di penetrazione sui mercati, i principali artefici dell’espansione produttiva del cosiddetto Nuovo Mondo.

Cresce il peso del Nuovo Mondo nel panorama vinicolo mondiale, a spese dei paesi tradizionalmente produttori come Italia e Francia, è quanto emerge dai primi dati di stima sulla produzione di vino ottenuta complessivamente in Europa, America, Australia e Sud Africa, che insieme rappresentano circa l’80% del quantitativo mondiale e, una peculiarità distintiva della offerta mondiale di vino riguarda l’elevato grado di concentrazione geografica mostrata in tabella 1.1.

Considerando i singoli Paesi produttori, si può immediatamente rilevare come anche la difficile campagna del 2002, non abbia messo in discussione la leadership vinicola di Francia e Italia. Storicamente sono, infatti, questi due Paesi a contendersi il primato produttivo internazionale, con volumi complessivi pari, nel 2002, rispettivamente a 52 e 44,6 milioni di ettolitri.

Nel contesto europeo, (dati 2003), la Francia ha archiviato una performance negativa che ha spinto il dato d’Oltralpe a quota 47,3 milioni di ettolitri; Parigi, nonostante il calo, si conferma capitale mondiale del vino, con una produzione di oltre 3 milioni di ettolitri superiore a quella italiana.

Al vigneto Italia è sfuggito, del resto, anche il secondo miglior piazzamento nella classifica mondiale, occupato ora (dati 2003) dalla Spagna. In controtendenza Madrid, da meno di 40 milioni di tonnellate registrate nel 2002 si è spinta infatti ben oltre la soglia dei 44 milioni (a tanto è ammontata invece la produzione italiana); un bilancio decisamente positivo riscontrato anche nel vicino Portogallo, dove le stime indicano un volume di vino di 7,1 milioni di ettolitri, in crescita del 13,6% rispetto al dato 2002.

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La Grecia completa la lista dei Paesi europei che hanno fatto segnare una crescita produttiva in occasione dell’ultima vendemmia (2003), infatti da 5 milioni di ettolitri, la produzione si è spinta fino a 5,8 milioni di ettolitri, aumentando del 16%. In calo la Germania, duramente colpita dalla siccità e dal caldo torrido estivo, con una produzione di soli 8 milioni 300 mila ettolitri, in calo del 21% su base annua e del 15% rispetto alla media del triennio 2000-2002.

La classifica mondiale, comunque, nonostante l’avvicendamento al secondo posto tra Italia e Spagna, conferma la quarta posizione degli USA, seguiti da Argentina e Australia. Negli Stati Uniti, dopo il balzo in avanti del 2002, la produzione di vino ha segnato una contrazione del 4%, scendendo anche sotto la media 2000-2002 (-2,5%). Nell’area del Nuovo Mondo è andata male, l’anno scorso, anche in Australia, a causa delle pesanti perdite da siccità; in dodici mesi Camberra ha visto scendere la produzione di oltre il 15% (da 11,7 a meno di 10 milioni di ettolitri), anche se il risultato appare meno negativo se rapportato alla media del triennio 2000-2002.

L’Argentina, intanto, si è spinta nel 2003 a quota 17,6 milioni di ettolitri, migliorando del 2,8% il dato produttivo del 2002; un risultato che seppure in crescita non è però dei migliori, specialmente se paragonato ai 19 milioni di ettolitri del 2001.

Annata boom in Sud Africa che ha superato ormai nella classifica mondiale anche la Germania, in tutto sono stati prodotti 8,6 milioni di ettolitri, contro poco più di 7 milioni del 2002. Anno su anno le stime 2003 indicano un progresso di oltre il 20%, ancora più marcato (+26%) rispetto alla media 2000-2002. Ottima performance anche del Cile a quota 6,7 milioni di ettolitri, contro i 5,6 milioni del 2002 (+18,8%).

E’ vero che accanto ai nomi storici della viticoltura internazionale, fondamentalmente Francia, Italia e Spagna, si vanno oggi affiancando numerosi Paesi emergenti: globalmente i Paesi a più recente tradizione vinicola hanno sottratto, durante il 2003, ulteriori quote all’Europa. Sommando i dati produttivi di USA, Argentina, Australia, Sud Africa e Cile si ottiene il 30% del totale ottenuto con l’aggiunta della produzione europea, mentre nel triennio 2000-2002 lo stesso rapporto indicava per il Nuovo Mondo un peso relativo del 28%, contro il 72% dei Paesi UE.

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Tabella 1.1- Principali Paesi produttori di vino (dati 2003 in ettolitri) Il trend della produzione mondiale

Paesi Media 1990-1994 Media 1995-1999 2000 2001 2002 2003 Var. % 2003/02 Francia 56.214.860 57.590.800 59.741.000 55.338.000 51.967.000 47.314.000 -9,0 Italia 61.060.360 56.104.146 54.087.520 52.293.000 44.604.130 44.096.415 -1,1 Spagna 30.440.800 29.509.200 45.572.000 33.937.000 39.419.000 44.380.000 12,6 Germania 10.802.480 9.601.000 9.852.000 8.891.000 10.500.000 8.300.000 -21,0 Portogallo 7.916.700 6.778.630 6.693.500 7.425.800 6.265.000 7.115.000 13,6 Grecia 3.676.000 4.184.060 5.000.400 4.276.610 5.000.000 5.800.000 16,0 Stati Uniti 17.574.600 20.994.200 26.600.000 23.000.000 25.400.000 24.384.000 -4,0 Argentina 17.150.767 18.489.180 16.841.527 19.135.233 17.124.499 17.605.000 2,8 Australia 4.317.168 6.208.000 8.060.000 10.350.000 11.740.000 9.940.000 -15,3 Sud Africa 7.382.004 7.952.578 6.949.168 6.470.774 7.188.310 8.684.000 20,8 Cile 3.373.516 4.168.858 6.419.370 5.451.790 5.623.230 6.682.221 18,8 Fonte: elaborazioni Ismea su dati Fao e altre fonti.

2.2 I consumi

Sul lato della domanda, invece, i consumi mondiali di vino possono essere stimati per l’anno 2000 in circa 27,8 milioni di tonnellate, ovvero tra i 6 e i 7 litri di vino all’anno consumati pro capite3. Anche in questo caso, come visto in precedenza per gli aspetti produttivi, poco meno del 58% è riconducibile all’Unione Europea, che si conferma anche il principale mercato mondiale di consumo.

La classifica dei principali mercati di consumo di vino, rispecchia fedelmente quella produttiva, con un’unica ma rilevante eccezione. Se infatti, all’Unione Europea seguono per quote di vino consumato, il Nord America, l’Europa Orientale e l’Asia, con quantitativi sostanzialmente in linea ai livelli produttivi, nel caso di America Latina ed Oceania, si evidenziano importanti surplus produttivi. Entrambe le zone geografiche si caratterizzano infatti per una quota mondiale di consumo vinicolo – pari al 7,8% per il Sud America e solamente al 2,3% per l’Oceania – sensibilmente inferiore alla rispettiva quota di produzione, delineandosi di conseguenza come nuovi e importanti competitor nella produzione mondiale. L’analisi dei singoli mercati di consumo riportata nel

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grafico 1.2 sottolinea, innanzitutto, il forte grado di concentrazione geografica che al pari della produzione, caratterizza anche la domanda di vino.

Grafico 1.2: Principali mercati di consumo di vino

0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% Francia 17,6% Italia 14,5% Usa 9,6% Spagna 7,5% Germania 7,4% Argentina 4,4% Cina 3,9% Sud Africa 3,4% Regno Unito 3,3% Australia 2,1% Altri Paesi 26,3%

Fonte: Elaborazioni Nomisma relativi al 2000.

Ancora, se da un lato è elevata la frazione complessivamente assorbita dai primi dieci mercati mondiali (pari al 73,7% del totale), questa quota rimane inferiore rispetto a quella relativa all’offerta.

In altre parole, si registra, ad oggi, un accresciuto livello di penetrazione del vino anche al di fuori dei tradizionali mercati di consumo. In merito a questi ultimi, resta rilevante il ruolo occupato dai singoli Paesi UE, tra cui spiccano i consumi di Francia (4,9 milioni di tonnellate) e Italia (4 milioni di tonnellate), che si collocano ancora ai primi due posti a livello mondiale, seguiti da Spagna e Germania entrambe con poco più di due milioni di tonnellate.

Italia e Francia producono oltre un terzo del vino mondiale, ma attraversano una fase di evidente difficoltà e nonostante la crescita di nuovi Paesi produttori, che negli ultimi anni si sono affermati sui mercati, i due leader con oltre 100 milioni di ettolitri l’anno, coprono ancora una fetta rilevante dei circa 290 milioni di ettolitri di vino prodotti ogni anno al mondo (altri 50 milioni circa sono realizzati dalla Spagna, 15 dall’Australia e 7

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dal Cile), ma dal punto di vista del mercato devono reinventarsi, in quanto si aggrava la crisi dell’export. Sui mercati europei, la Germania ha importato meno, con una contrazione dei volumi soprattutto per i vini di minore valore, ma la flessione tedesca è stata compensata dalla crescita del mercato del Regno Unito, pochi anni fa marginale, seguito dal lento ma progressivo sviluppo dei consumi nei Paesi del Nord Europa. Su quello che resta il principale sbocco extra-Ue, gli USA, la Francia ha già da tempo ceduto la leadership all’Italia e nel 2004, in termini di fatturato realizzato, è stata sorpassata dall’Australia; un dato quest’ultimo che non lascia ben sperare per il futuro, visto che proprio dal mercato USA sono attesi i maggiori sviluppi nei consumi. Si prevede, infatti, che nel 2008 gli acquisti negli States raggiungeranno quota 27,6 milioni di ettolitri, superando così nei consumi totali, sia l’Italia che la Francia.

Tabella 1.2 – Italia - Francia a confronto

*Ristrutturazione e riconversione campagna 2003-04. ** Gen.-Ott. 2004 e var. % su Gen.-Ott. 2003. Fonte: Agrisole 11-17 feb. 2005, settimanale del sistema agroindustriale.

Complessivamente, le esportazioni vinicole francesi, nei primi dieci mesi del 2004, hanno toccato quota 4.445 milioni di euro, con un calo del 6,1% rispetto a ottobre 2003; diversamente le spedizioni di vino made in Italy hanno raggiunto quota 2.303 milioni con un progresso del 3%. Insomma, il fatturato realizzato all’estero dal vino francese resta rilevante, ma è ormai e, già da qualche tempo, in inarrestabile caduta.

Sia in Francia che in Italia sta, inoltre, crescendo l’esigenza di rivedere le regole sulle denominazioni d’origine considerate poco comprensibili all’estero; per tutti questi fattori il vino made in France è alle prese con una delle più gravi crisi della propria storia.

Il vino italiano, invece, nonostante gli allarmi lanciati forse prematuramente, sta mostrando di tenere il passo e soprattutto di avere una capacità di risposta e di

ITALIA FRANCIA

633.485 Superfici coltivate (ha) 864.478

273.714 di cui: a denominazione d’origine (ha) 545.230 0,9 Superficie media aziendale (ha) 7,0 120 Investimenti sui vigneti* (milioni di euro) 112 53,0 (+20%) Produzione 2004 (milioni di hl) 57,5 (+21%) 2.303 (+3,0%) Esportazione** (milioni di euro) 4.445 (-6,1)

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adattamento ai diversi scenari di mercato; infatti, è rimodulando l’offerta in base al prezzo (privilegiando la fascia media a quella alta) e, cercando nuovi sbocchi di mercato (come i Paesi del Nord Europa oppure dell’Asia) che il vino made in Italy è riuscito a evitare la crisi.

Tra i Paesi extra UE vale la pena ricordare il mercato USA, che detiene quasi il 10% dei consumi totali, con un ammontare pari a 2,6 milioni di tonnellate, e quello cinese che oggi rappresenta il 3,9% del mercato mondiale (con oltre un milione di tonnellate), ma potrebbe esprimere un enorme potenziale di crescita.

Il settore vitivinicolo è stato protagonista negli ultimi anni, di radicali cambiamenti a livello mondiale sia nei volumi prodotti che nella geografia dei mercati di consumo. L’area asiatica, ad esempio, ha fatto segnare nell’arco del quinquennio 1995-2000 un incremento di oltre il 50%.

In maniera analoga sebbene più contenuta, anche l’Oceania e il Nord America hanno registrato una crescita continua dei consumi negli ultimi anni.

L’Unione Europea ha invece mostrato una sostanziale stazionarietà dei consumi, dopo un periodo, primi anni novanta, caratterizzato da un sensibile calo (-11,6%).

Il mercato statunitense, in crescita progressiva, registra peraltro un valore piuttosto ridotto del grado di propensione all’import, a testimonianza di un sensibile e costante apprezzamento dei vini di produzione interna. In tal senso appaiono più appetibili il mercato tedesco, inglese e soprattutto cinese, con una impressionante crescita durante gli ultimi dieci anni, e configurandosi come il settimo bacino mondiale di consumo.

2.2.1 Variabili chiave dei trend di mercato

Vediamo ora le variabili chiave che determinano i trend nel mercato mondiale:

Prodotti: il vino rosso fermo, prodotto fulcro per l’espansione futura del mercato (in virtù anche dei benefici indotti sulla salute), si posiziona verso un livello “premium price”4. I vini del Nuovo Mondo (Cile, Argentina, Sud Africa, Australia, Nuova Zelanda, USA) guidano i volumi delle vendite, dato un rapporto qualità/prezzo decisamente favorevole.

Abitudini di consumo: espansione dei consumi di vino sui mercati a scarsa tradizione, guidata dall’interesse verso bevande con minore titolo alcolometrico rispetto agli

4Si tratta, per il prodotto vino, di un prezzo compreso tra 3 e 8 euro (fonte: Ernst &

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alcolici. Aumento d’interesse del mercato asiatico (Cina in particolare) verso i vini d’uva.

Panorama geografico: crescita nei mercati dell’Est asiatico (Cina, Giappone, Corea del Sud, Singapore) in virtù di un cambiamento nei gusti dei consumatori e un’attrazione verso i vini del Nuovo Mondo. Rapida crescita del continente africano dovuta ad una espansione del turismo oltre che ad un miglioramento qualitativo della produzione domestica. Nei Paesi dell’Europa Occidentale la crescita è guidata dai mercati a scarsa tradizione vinicola, in virtù di una solida posizione economica (Regno Unito, Germania, Svizzera) e di un cambiamento dei gusti dei consumatori.

Prezzi: incremento nei prezzi “reali” dei vini, guidati da una espansione della domanda verso prodotti a maggiore qualità, sia dei mercati tradizionali del Vecchio Mondo, sia dalle varietà del Nuovo Mondo come Pinot Nero e Zinfandel (vitigno più conosciuto in Italia con il nome di Primitivo).

Distribuzione: l’incremento delle vendite retail attraverso super e ipermercati ha determinato un’espansione dei consumi da parte di specifici gruppi di consumatori (per esempio i giovani). Canali di vendita alternativi come Internet trovano ancora molte difficoltà di inserimento.

Marketing: la formazione di articolati portafogli prodotti ad opera delle multinazionali e non solo, offre al consumatore una varietà di prodotti a differenti livelli di prezzo. Competizione: inasprimento della concorrenza tra le multinazionali come Diageo (Gran Bretagna), LVMH (Francia), E&J Gallo (USA) e i produttori regionali come Mercian (Giappone) e Mondavi (California).

2.3 Gli scambi internazionali

Dai primi anni novanta ad oggi, gli scambi internazionali di vino, intesi come l’insieme dei volumi esportati, sono notevolmente aumentati. Si è passati dai 4,7 milioni di tonnellate annue dei primi anni novanta, agli oltre 6 milioni registrati mediamente nel nuovo millennio.

Nella graduatoria dei principali Paesi esportatori per volumi, nel 2001 l’Italia ha mantenuto la leadership, ridimensionando però il distacco dalla Francia, terza la Spagna. In termini di introiti è la Francia saldamente in testa, seguita da Italia e Spagna, le quali coprono parte importante delle loro esportazioni con vino sfuso contro il vino di pregio dei transalpini. Complessivamente i tre Paesi hanno realizzato nel 2001 il 63%

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del volume totale5. Sul fronte degli introiti invece, la quota complessiva dei tre Paesi è stata nel 2001 del 64%, ma la Francia da sola si è aggiudicata il 37%.

A crescere invece è stato il ruolo dei Paesi dell’emisfero Sud. Passi da gigante sono stati compiuti dall’Australia, che nella graduatoria mondiale si colloca attualmente al quarto posto sia in termini di volumi che di corrispettivi, con 380 mila tonnellate di vino esportate nel 2001, contro le 310 dell’anno precedente e le 180 mila esportate mediamente nella seconda metà degli anni novanta. Nel 2003-04 le esportazioni australiane hanno toccato i 2,4 miliardi di dollari, cifra raggiunta e superata nel 2005-06 dove si è raggiunta quota 2,75 miliardi di dollari. Seppure nell’ultimo biennio la crescita non sia stata spettacolare, è necessario considerare che il periodo dal 1996 al 2003 ha visto un incremento eccezionale dell’export di vino man mano che all’estero aumentava rapidamente l’apprezzamento per i vini australiani. Grandi produttori di vino stranieri hanno investito nelle cantine australiane, mentre società australiane hanno assunto partecipazioni di controllo in aziende enologiche di paesi come la Francia e il Cile.

Anche il Cile ha registrato progressi notevoli negli ultimi anni, tanto che nel 2001, scavalcando gli USA, si è piazzato al quinto posto con 310 mila tonnellate di vino esportate, ovvero il 55% della sua produzione.

Anche la Nuova Zelanda sta emergendo sulla scena vitivinicola mondiale con i risultati positivi che riguardano soprattutto i valori di esportazione, più che le quantità, fattore che sembrerebbe ricollegato a un cambio di posizionamento verso l’alto dei vini neozelandesi. Secondo Chris Yorke, global marketing director di New Zealand Winegrowers, così come riportato da Decanter, se è vero che Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia restano i principali mercati di sbocco per i vini neozelandesi, dei segnali fortemente positivi sono stati lanciati dai mercati secondari, Canada, Irlanda e Danimarca, tutti con crescite a due cifre. La Nuova Zelanda si sta forse staccando dall’Australia, cercando di compiere quel salto qualitativo e nell’immaginario del consumatore che può far avvicinare la Nuova Zelanda al nostro Vecchio Continente. Anche per questa ragione è stato annunciato da parte del Governo neozelandese il lancio di un progetto di ricerca sul Sauvignon Blanc da ben diciassette milioni di dollari. Il progetto di ricerca è stato affidato al Marlborough Research Centre e alla Auckland University e ha come obiettivo comprendere a fondo la caratterizzazione chimica ed

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aromatica del Sauvignon Blanc coltivato in Nuova Zelanda, così da poter procedere, nel breve-medio periodo, a studiare tecniche agronomiche ed enologiche che possano estrarre o accentuare le componenti aromatiche maggiormente gradite al consumatore. Se la Nuova Zelanda galoppa sul fronte qualitativo, l’Australia, in virtù anche di dimensioni diverse, sta cercando di adottare una politica vitivinicola di lungo respiro. E’ infatti notizia recente (fonte Federdoc) che l’Australia del vino ha lanciato un piano strategico a 18 anni. Il nuovo piano strategico, frutto del lavoro dei più grandi professionisti del mondo del vino australiano, avrà i seguenti obiettivi:

 anticipare i bisogni del mercato;

 influenzare la domanda del consumatore;  costruire un successo durabile.

L’idea è quella di fornire una risposta ai problemi che i vini australiani stanno ora affrontando (crescita della concorrenza da parte degli altri nuovi paesi produttori, diminuzione del prezzo al litro nell’export, concentrazione delle reti di vendita al dettaglio, dollaro australiano forte).

Da sottolineare anche le progressioni registrate dall’export sudafricano, passato da poche decine di migliaia di tonnellate alle 180 mila registrate nel 2001.

Analizzando i Paesi acquirenti si osserva che, anche nel 2001, il primato in termini di volumi spetta alla Germania con 1,13 milioni di tonnellate importate, seguita da Regno Unito, un milione circa, e Francia con poco più di 500 mila tonnellate. Se consideriamo invece il valore del vino, si annota un ribaltamento della graduatoria, con la leadership del Regno Unito, seguito da Stati Uniti e Germania. Solo nona la Francia, in virtù di una domanda estera indirizzata verso vini sfusi a prezzi contenuti. L’Italia in questa graduatoria figura nell’insieme degli altri Paesi.

2.3.1 Sintesi dei principali mercati internazionali

Francia: tra i Paesi considerati, il mercato francese rappresenta quello dove il vino è maggiormente diffuso. La frequenza di consumo è medio-alta (inferiore rispetto all’Italia) anche se le quantità consumate a pasto sono leggermente superiori. I francesi prediligono il consumo del loro vino, in particolare della tipologia dei rossi. Il consumatore francese tende poi a spendere una quota considerevole per l’acquisto di vini da pasto, probabilmente in virtù di una cultura del consumo di qualità superiore e di un profilo del consumatore più aristocratico che in altri Paesi.

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Germania: il grado di penetrazione del vino è molto alto (sugli stessi livelli del mercato italiano) anche se la frequenza di consumo è inferiore. Per il mercato tedesco si configura un consumatore medio più “elitario” rispetto a coloro che puntano sulla “popolare” birra, sulla base di una condizione socio-economica più elevata e, conseguentemente, di un maggiore potere d’acquisto. Il vino rosso resta la tipologia privilegiata anche se la vocazione produttiva tedesca dei vini bianchi, si riflette anche sulla propensione al consumo di questo vino, molto più elevata rispetto ad altre nazioni. Circa la metà dei consumatori però si orienta prevalentemente su prodotti francesi e italiani, e, marginalmente, su spagnoli, californiani e australiani.

Regno Unito: il numero dei consumatori è in media con quelli degli altri Paesi ma la frequenza di consumo, come per la Germania, è decisamente più ridotta, connotando l’attitudine degli inglesi ad un consumo di “socialità” legato o al fine settimana o ad occasioni speciali. Il profilo del consumatore britannico medio è completamente differente: giovane, metropolitano ed economicamente e socialmente più elevato. Causa una ridottissima produzione interna, il mercato di riferimento è quello internazionale, con una netta supremazia dei prodotti francesi e australiani, mentre italiani, cileni, sudafricani, spagnoli mantengono un livello di preferenza decisamente inferiore.

Stati Uniti: nonostante ben l’80% del consumo di vino sia rappresentato da vini nazionali, il vino è paradossalmente spesso considerato un prodotto di importazione. Ha raggiunto un alto grado di penetrazione, essendo preferito sia durante i pasti (vini locali in prevalenza, il californiano Zinfandel su tutti) che in occasioni speciali (vini esteri). Il profilo del consumatore di vino statunitense è giovane, trendy e sofisticato, di livello socio-economico medio-alto. È attirato da vini d’oltreoceano, italiani e francesi su tutti, con una notevole propensione ai vini rossi, ben strutturati e ricchi di estratto. Si registra quindi un notevole incremento degli higher-price.

2.3.2 Il ruolo del “Nuovo Mondo”

Il ruolo dei paesi emergenti in ambito produttivo è in continua crescita.

La progressione più importante riguarda due Stati, il Cile e l’Australia; la quota dei cinque principali nuovi paesi produttori (Stati Uniti, Argentina, Cile, Australia e Sud Africa) è salita moltissimo nel decennio 1990-1999; è raddoppiata in soli 6 anni; era del 20,3% nel 1991.

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Il Paese sudamericano in soli 30 anni ha aumentato le esportazioni vinicole passando dalle 8 mila tonnellate, calcolate come media nel decennio 1970-1979, alle 156 mila tonnellate (quasi il 3,1% sul totale mondiale) nel decennio 1990-2000.

L’export, visto il calo che stanno subendo i consumi interni, assume un’importanza strategica sempre più rilevante per il settore vitivinicolo cileno, la quota di prodotto uscita oltre i confini nazionali è passata dall’1,7% degli anni ’70 al 40% degli anni ’90. Tale tendenza si è accentuata ulteriormente nell’anno 2000, il Cile è diventato il quarto paese fornitore nel mondo con un totale di 353 mila tonnellate, quota che corrisponde al 64% della produzione nazionale. Le esportazioni cilene si sono sviluppate rapidamente sfruttando la situazione economica nazionale che permette di avere costi di produzione inferiori rispetto agli altri Paesi, di conseguenza i prezzi di vendita del vino, che presenta una discreta qualità, risultano essere molto concorrenziali, va specificato però che la maggior parte delle vendite all’estero viene realizzata da un numero limitato di aziende.

L’altro Paese latino-americano che ha visto aumentare in modo costante le proprie esportazioni di vino è l’Argentina, si è passati dalle 20 mila tonnellate degli anni ’70 alle 95 mila degli anni ’90, con un picco massimo di esportazione di 215 mila tonnellate nel 1995.

L’Australia è il secondo Paese che ha fatto registrare i maggiori aumenti di volume di vino esportato, i dati evidenziano come da una media di 6 mila tonnellate negli anni ’70, si sia giunti alle 157 mila tonnellate tra il 1990 ed il 2000. La crescita registrata negli ultimi anni è netta: nel 2000 l’export australiano ha toccato le 317 mila tonnellate di vino, con un incremento del 14% rispetto all’anno precedente.

Nel mese di Giugno 2007, il Direttore generale dell’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (O.I.V.), Federico Castellucci, ha presentato i primi risultati delle vendemmie dei Paesi dell’emisfero Sud. La sua relazione è stata particolarmente centrata sul peso che rappresentano questi paesi nella sfera vitivinicola mondiale; a fronte di un aumento continuo delle superfici vitate e della produzione, rimane stabile dal 1995, in questa parte del mondo, il consumo che si situa intorno al 12% del valore complessivo mondiale; in aumento l’export, passato in vent’anni dall’1,7% al 23%. In presenza dei consulenti commerciali ed agricoli in carica presso le rispettive Ambasciate a Parigi, sono stati presentati i dati statistici dei nove principali paesi produttori dell’emisfero sud, membri o osservatori del OIV, cioè il Sudafrica,

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l’Argentina, l’Australia, la Bolivia, il Brasile, il Cile, la Nuova Zelanda, il Perù e l’Uruguay.

Le cifre presentate mostrano che la parte della superficie in vite per tutti i paesi dell’emisfero sud orientale è in crescita continua dal 1995 (in particolare in Australia ed in Cile), per arrivare nel 2006 approssimativamente al 10,9% della superficie mondiale globale.

La parte dell’emisfero sud nella produzione mondiale di vini, esclusi succhi e mosti, aumenta sensibilmente dal 1996 (14,8% della parte mondiale) per raggiungere il 18,5% nel 2006. Il tasso delle esportazioni di vini dei paesi dell’emisfero sud che era trascurabile negli anni 80 (1,7%), ha conosciuto da allora un aumento costante per situarsi nel 2006 al 23,2% del volume delle esportazioni mondiali.

I principali mercati d’esportazione di questa parte del mondo sono in particolare il Regno Unito, gli Stati Uniti ed il Canada. La parte del consumo di vini dei paesi dell’emisfero sud resta stabile dal 1995, situandosi intorno al 12% del consumo mondiale.

2.4 Il Commercio di vino nel mondo

Nell’era della globalizzazione, nessun prodotto e nessun mercato sembra essere più in grado di sfuggire alle improvvise accelerazioni concorrenziali imposte da questo nuovo modello degli scambi mondiali. E tra questi, non fa eccezione il vino. Se fino ad un decennio fa risultava difficile trovare sugli scaffali del supermercato sotto casa qualche bottiglia prodotta oltre i propri confini regionali, oggi su quegli stessi scaffali imperversano vini prodotti addirittura oltre oceano.

Come riportato nello studio realizzato da Nomisma “Il Marketing del vino in Europa”, nel 1970 le esportazioni di vino di Australia, Cile, Stati Uniti e Sud Africa, pesavano per circa l’1% sugli scambi mondiali di vino; trent’anni dopo, tale incidenza è arrivata al 18%, lo stesso livello detenuto dall’Italia, da lunga data il secondo Paese al mondo - dopo la Francia - per volumi di vino esportati. Ma è solo una questione di aperture commerciali e di forti innovazioni tecnologiche nelle reti dei trasporti e della logistica, oppure tale affermazione messa a segno sui mercati mondiali da questi nuovi competitor deriva da capacità produttive e strategie di marketing superiori a quelle messe in campo dal “Vecchio Mondo vinicolo”?

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Per comprendere meglio tali ragioni, ritengo che occorre procedere per gradi, iniziando dall’evoluzione intervenuta negli scambi di vino a livello mondiale.

Nel 2001, il commercio mondiale di vino si è attestato attorno a 6 milioni di tonnellate per un corrispondente giro di affari di circa 13 miliardi di dollari. In tale ambito, come per produzione e consumo, la leadership spetta all’Unione Europea, i cui flussi pesano per circa il 56% delle importazioni e, soprattutto, per oltre il 75% del valore dell’export mondiale di vino.

Tuttavia, pur rappresentando solamente il 6,3% e l’8,5% delle esportazioni complessive, le regioni dell’Oceania e del Sud America, nel giro di un decennio, hanno progressivamente “scalato” le gerarchie del commercio estero di vino, incrementando in maniera impressionante le rispettive quote. Un solo dato rende conto di tale progressione: tra il 1992 e il 2001, l’export di vino dell’Oceania è aumentato del 42%. Una crescita più contenuta ha invece contraddistinto le esportazioni di vino del Nord America (in particolare di quello statunitense) che, pur registrando un aumento in valore del 21% rispetto al 1992, ha mostrato negli ultimi anni una graduale stabilizzazione (in particolare a partire dal 1998).

L’export del continente africano e di quello asiatico, che peraltro occupano un ruolo marginale nel contesto internazionale, hanno mostrato un andamento oscillante, mentre per quanto riguarda l’Unione Europea vanno segnalate diminuzioni nell’export - soprattutto tra il 1999 e il 2001 - a vantaggio dei paesi emergenti, a causa di vendite all’estero cresciute a ritmi inferiori rispetto a quelle realizzate dai diretti competitor. A dispetto di queste tendenze, i principali paesi esportatori di vino a livello internazionale si identificano ancora negli esponenti del “Vecchio Mondo” vinicolo. Nel 2001, i primi tre paesi per valore delle esportazioni erano infatti Francia, Italia e Spagna.

Mentre in volumi i due leader storici - Francia e Italia – presentano quote analoghe (vedi tabella 1.3), in valore emerge che il giro d’affari attivato dagli scambi internazionali francesi è quasi doppio rispetto a quello italiano, il che la dice lunga sulla differente percezione della qualità dei due vini a livello mondiale: 4.790 milioni di dollari per l’export francese contro i 2.290 milioni di dollari di quello italiano.

A contendere un posto sul podio dei principali esportatori mondiali ci sono poi i nuovi competitor (Australia, Cile e Stati Uniti) che infatti si collocano, per valore delle esportazioni, dopo la Spagna. Sebbene non sembri oggi in discussione la leadership mondiale dei Paesi Europei, visti i significativi differenziali esistenti nei quantitativi

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esportati rispetto a quelli dei nuovi competitor (i volumi esportati dalla Spagna sono pressoché doppi di quelli australiani), gli incrementi nel valore di export messi a segno dai nuovi concorrenti tra il 1992 e il 2001 fanno comunque riflettere. Nel giro di un decennio, gli aumenti percentuali dell’export di vino dei nuovi competitor hanno superato, in alcuni casi, il 44%. Dal canto loro, Italia, Francia e Spagna hanno mostrato crescite sensibili (in termini di variazioni percentuali) ma molto più ridotte (comprese tra il + 12% della Francia e il + 56% dell’Italia).

Oltre ai flussi di export, nella comprensione del quadro internazionale del commercio di vino, assume analoga rilevanza l’analisi dei più importanti bacini mondiali di consumo dipendenti dall’import internazionale: in tale ambito, viste le rispettive posizioni detenute a livello mondiale, occorre guardare a Regno Unito, Stati Uniti e Germania. Nel 2001, l’import del mercato britannico è risultato il più importante in termini economici, attivando, con quasi 1 milione di tonnellate di vino importato, un valore complessivamente pari a 2,8 miliardi di dollari. Sono seguiti a ruota gli Stati Uniti, che a fronte di 468 mila tonnellate di vino importate hanno corrisposto un valore superiore a 2,3 miliardi di dollari e la Germania, che si è distinta invece come maggiore importatore mondiale per quantità (1,1 milioni di tonnellate).

Mentre questi tre Paesi del Vecchio Continente si configurano come mercati “consolidati”, nel panorama dei consumi di vino mondiale si sono affacciati negli ultimi anni anche altri mercati “emergenti” come Giappone e Canada che, seppur a fronte di una incidenza ancor marginale sul totale mondiale degli acquisti di vino, nel giro di dieci anni hanno evidenziato crescite percentuali estremamente elevate (il solo Giappone ha aumentato le importazioni, in valore, del 135%).

Dal canto suo, anche il vino italiano ha ampliato la propria capacità di penetrazione sui mercati comunitari ed internazionali, incrementando il valore del proprio export del 56% dal 1992 al 2001, passando da poco più di 1,4 a quasi 2,4 miliardi di dollari.

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Tabella 1.3 – Paesi esportatori di vino6

I PRINCIPALI PAESI ESPORTATORI DI VINO (2001)

Paesi Valore (.000$) % Volume

(tonn.) % Francia 4.787.033 37,8% 1.551.660 23,7% Italia 2.289.075 18,1% 1.537.064 23,5% Spagna 1.138.328 9,0% 904.986 13,8% Australia 997.803 7,9% 486.717 7,4% Cile 645.010 5,1% 376.154 5,7% USA 514.002 4,1% 284.356 4,3% Portogallo 435.559 3,4% 237.166 3,6% Germania 355.307 2,8% 165.129 2,5% Sud Africa 227.567 1,8% 160.072 2,4% Altri Paesi 1.276.875 10,1% 841.148 12,9% Totale Mondo 12.666.559 100,0% 6.544.452 100,0% Fonte: Nomisma.

Oggi il nostro più importante mercato di destinazione è rappresentato dalla Germania che assorbe quasi il 30% dell’export vinicolo italiano, per un valore complessivo di 676 milioni di dollari. Seguono gli Stati Uniti con circa 548 milioni e il Regno Unito, con 233 milioni di dollari7.

Tra i mercati in espansione si segnalano invece quello canadese e soprattutto quello giapponese: nel periodo 1992 – 2001, il valore dell’export di vino italiano in Canada è infatti cresciuto del 183%, superando i 101 milioni di dollari, mentre una performance ancora migliore ha caratterizzato il commercio estero in Giappone dove l’incremento è salito addirittura al 475%. Dall’analisi dell’andamento delle quote di mercato dei principali Paesi esportatori sui mercati di riferimento del prodotto italiano (che poi coincidono con quelli più economicamente rilevanti a livello mondiale), è possibile cogliere sia le dinamiche espresse dall’export del nostro vino sia le potenziali minacce che gravano oggi sulla possibilità di mantenere e ripetere tali ritmi di crescita, in particolare a causa della sempre più agguerrita concorrenza espressa dai nuovi

6 Fonte: Nomisma (a cura di), “Il Marketing del vino in Europa: consumi, canali,

distributori e importatori”, Agra Editrice, Roma 2003

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competitor d’oltre oceano. In tal senso, sul mercato di consumo tedesco si è assistito ad un rafforzamento del prodotto italiano, leader tra i Paesi esportatori con una quota che nel 2001 rappresentava il 33,5% del valore dell’import vinicolo complessivo della Germania. Tale maggiore capacità di penetrazione del vino italiano è andata a scapito delle esportazioni francesi, diminuite nel giro di dieci anni in maniera sensibile (tra il 1992 e il 2001, la quota è passata dal 46% al 32% dell’import totale di vino della Germania).

All’opposto, nel caso del Regno Unito si è verificata una perdita di competitività degli esportatori europei (Francia, Italia e Spagna hanno ridotto la quota dal 70% al 47%) cui si è affiancata una parallela espansione delle vendite dei paesi emergenti (in particolare Australia, Cile e Sud Africa, la cui quota complessiva è passata dal 6% al 33% delle importazioni di vino della Gran Bretagna).

Infine, anche nel mercato statunitense occorre segnalare la progressiva e prepotente affermazione del vino australiano, la cui quota è passata dal 3% del 1992 al 16% del 2001. Tale aumento è avvenuto principalmente a scapito delle produzioni francesi e spagnole, mentre per quelle italiane si è registrata una diminuzione di modesta intensità.

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3 Il mercato europeo

3.1 Situazione del settore vitivinicolo nell’Unione Europea

L’Unione Europea occupa una posizione predominante nel mercato vitivinicolo mondiale: essa rappresenta il 45% delle superfici viticole, il 65% della produzione, il 57% dei consumi e il 70% delle esportazioni. Essa conta oltre un milione e mezzo di aziende vitivinicole che occupano una superficie vitata di 3,4 milioni di ettari, ossia il 2% dell’intera superficie agricola europea. Nel 2004 la produzione di vino ha rappresentato il 5,4% della produzione agricola dell’UE, quota che ha superato il 10% in Francia, Italia, Austria, Portogallo, Lussemburgo e Slovenia. La filiera vitivinicola europea è di gran lunga la più importante nel mondo, coinvolge circa 3,4 milioni di ettari che producono annualmente 180 milioni di ettolitri di vino. La Francia rappresenta il 34% della produzione, davanti all’Italia e alla Spagna. La quota dell’Europa nella produzione mondiale, nonostante rappresenti i tre quarti del volume del vino, è in costante ridimensionamento da almeno un decennio. E’ infatti passata dal 79% del totale nel 1990 al 74% nel 1999.

3.1.1 Misure legislative adottate in Europa per contenere la produzione

Il settore vitivinicolo, in Europa, è soggetto ad una normativa specifica con obiettivi ben precisi che si possono desumere in linea generale dal Regolamento (CE) n. 1493/99 del 17 maggio 1999, relativo all’Organizzazione Comune del Mercato vitivinicolo (OCM vino).

Il principale obiettivo ispiratore dell’attuale OCM vino è stato:

“ riformare e semplificare l’organizzazione comune (OCM) del mercato vitivinicolo, per conseguire un migliore equilibrio tra l’offerta e la domanda sul mercato comunitario e rendere il settore più competitivo a lungo termine”.

Con il 45% delle superfici viticole, il 65% della produzione, il 57% dei consumi e il 70% delle esportazioni, l’Unione Europea detiene un posto di primo piano nel mercato mondiale del vino.

Dal 1994/95 e dopo un lungo periodo caratterizzato da eccedenze strutturali, il mercato comunitario del vino ha raggiunto una situazione generale di equilibrio tra produzione e consumo. In realtà, la produzione comunitaria registra una tendenza significativa al

Figura

Tabella 1.1- Principali Paesi produttori di vino (dati 2003 in ettolitri)  Il trend della produzione mondiale
Tabella 1.2 –  Italia - Francia a confronto
Tabella 1.3 – Paesi esportatori di vino 6
Tabella 1.4- Aziende e superfici investite nelle coltivazioni agrarie
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