• Non ci sono risultati.

Introduzione

Se il vino è diventato un fenomeno di costume, sicuramente del merito va anche alla grande distribuzione e all’attenzione che ha saputo rivolgere a questo mercato, diventando, grazie alle proprie dimensioni ed alle milioni di persone che ogni giorno affluiscono nei punti di vendita, sicuramente una grande vetrina, elemento imprescindibile per le strategie di molte case vinicole. Il capitolo aprirà con un’introduzione al ruolo degli intermediari nelle negoziazioni commerciali a cui seguirà un’analisi del sistema distributivo alimentare italiano.

Vedremo come è cambiato lo scenario in questi ultimi venti anni, qual era la concezione del prodotto vino e quali le politiche di vendita e d’acquisto delle grandi superfici, confronteremo queste osservazioni con quanto accade oggi; quali sono le esigenze dei consumatori, quanta attenzione questi dedicano al reparto vino e quali sono stati i passaggi delle diverse catene per renderlo sempre più attrattivo. Per riuscire meglio a capire, ho analizzato gli approcci al mondo del vino di due gruppi leader nella grande distribuzione alimentare italiana, Coop Italia e Conad Italia, ripercorrendo le tappe fondamentali dell’evoluzione nei consumi del vino, come viene oggi percepito dai consumatori e come le aziende vinicole, anche le più prestigiose, hanno accolto le diverse iniziative intraprese per aumentare le vendite e qualificare l’intero reparto. Procederò con una attenta analisi del cosiddetto canale tradizionale , che come vedremo nel mondo del vino assume connotati ben diversi da ciò che una vecchia concezione del termine voleva. Affronteremo la distribuzione nel canale tradizionale, che nel mercato del vino si traduce in canale horeca (hotel-ristoranti-café) ed enoteche, analizzeremo come questi hanno affrontato i mutamenti del mercato con l’entrata in modo massiccio della grande distribuzione nel settore, il loro nuovo approccio alla domanda di una clientela sempre più esperta e sofisticata, il rapporto con i fornitori e le strategie di differenziazione implementate. Dopo aver osservato il comportamento di enoteche, ristoranti e bar a fronte di una maggiore attenzione della clientela al prodotto ed al servizio, traccerò le mie considerazioni sul rapporto tra grande distribuzione e canale tradizionale, sulla possibile coesistenza per i grandi vini di qualità su entrambi i canali e

come alcune case di produzione hanno affrontato questo conflitto d’interessi, e capire se si può realmente parlare di problema.

1 La grande distribuzione: ruolo degli intermediari nella distribuzione

“Gli intermediari rendono possibile il flusso dei beni e dei servizi dallo stadio della produzione a quello dell’impiego. Ciò è reso necessario dal divario esistente tra l’assortimento di beni e servizi realizzato dal produttore e l’assortimento richiesto dall’ acquirente. Il divario in questione è determinato dal fatto che l’impresa produce, generalmente, una larga quantità di una limitata varietà di prodotti, mentre il consumatore acquista solo una limitata quantità di una vasta scelta di prodotti44”.

Le distanze fisiche, sociali e psicologiche tra produttori e consumatori possono essere tali per cui l’utilizzo di intermediari diviene indispensabile per rendere efficace l’incontro tra domanda e offerta. Il ricorso ad un circuito di distribuzione per la commercializzazione di un prodotto è dovuto all’impossibilità per il produttore di adempiere in modo efficiente ai compiti ed alle funzioni inerenti a rapporti di scambio conformi alle attese di potenziali clienti. Se da un lato comporta per le aziende una perdita di controllo su alcune fasi della commercializzazione, dall’altro, la scelta di un canale di distribuzione riveste un’importanza strategica: la scelta deve essere infatti compatibile tanto con le attese del segmento target quanto con gli obiettivi stessi dell’azienda.

Un canale commerciale ha dunque l’obiettivo di trasferire i beni dal produttore al consumatore. Esso colma il divario di spazio e di possesso che separa coloro che producono i beni e i servizi da coloro che ne fruiscono.

La perdita di efficienza ed una crescita dei costi di distribuzione stimolano le aziende a cercare procedure di distribuzione sempre più valide e a razionalizzare le operazioni di gestione.

Il privilegio dei distributori rispetto alle imprese produttrici, nella commercializzazione di prodotti e servizi, deriva da una serie di fattori che qui di seguito brevemente esamineremo.

Diminuzione dei contatti: il numero e la complessità degli scambi aumentano in modo proporzionale al numero dei soggetti. Un sistema di scambio centralizzato (con intermediari) permette di ridurre il numero di transazioni necessarie all’incontro tra domanda e offerta.

44 Fonte: Louis W. Stern e Adel I. El-Ansary, Marketing Channels, Prentice-Hall,

Assortimento più ampio: i consumatori acquistano piccole quantità di prodotti molto diversificati, mentre le imprese producono grandi quantità di prodotti poco diversificati. Gli intermediari creano un vasto assortimento che permette ai consumatori di acquistare una grande varietà di prodotti in una sola operazione, riducendo il tempo e la fatica necessari alla ricerca di determinati beni di cui necessitano.

Economie di scala: gli intermediari, raggruppando i prodotti offerti da più fabbricanti, esercitano le funzioni di loro competenza per un volume più elevato rispetto al produttore. Ad esempio i costi sostenuti da un venditore al servizio di un grossista possono essere ripartiti tra diversi produttori. In tal modo la funzione di vendita viene esercitata a un costo minore rispetto all’impiego di una forza di vendita propria per contattare singoli dettaglianti.

Migliore assistenza: conoscendo meglio le esigenze del cliente finale, l’intermediario può garantire tempi di consegna ridotti, assistenza post-vendita più efficace ed una serie di altri vantaggi.

L’esistenza degli intermediari nel canale distributivo è giustificata fin tanto che le parti del processo di scambio riterranno che questi svolgano le proprie funzioni meglio di quanto potrebbero farlo loro direttamente o altre istituzioni esterne al circuito esistente. Nel paragrafo successivo vedremo come si sta evolvendo il sistema distributivo italiano, sia in chiave economica che sociale.

2 Il sistema distributivo in Italia: lo scenario

Dalla fine degli anni novanta in poi il sistema distributivo italiano si è andato sempre più avvicinando ai modelli commerciali già affermati nei Paesi europei più avanzati: è aumentata la dimensione media dei punti vendita e l’incidenza della distribuzione moderna sul totale delle vendite del largo consumo.

Oggi in Italia il settore distributivo sembra sempre più caratterizzato dall’accesa concorrenza sui prezzi che coinvolge le grandi catene commerciali. La crescente attenzione dei consumatori al rapporto qualità/prezzo, nonché alle caratteristiche dei punti vendita in termini di servizio offerto, ha comportato un radicale mutamento nel posizionamento dei prodotti di marca. E ha anche accelerato lo sviluppo delle marche private, quelle cioè a marchio del distributore45.

I prodotti agroalimentari sono tra quelli più interessati e coinvolti nella competizione tra le varie catene distributive. Infatti, i punti vendita giocano la loro immagine e la loro capacità di attrazione proprio sui prezzi, sulla qualità, sul servizio e sulla continuità dell’offerta relativi ai prodotti agroalimentari. In quest’ottica, per rispondere alla sempre maggiore richiesta di varietà da parte del consumatore, assistiamo al progressivo aumento sia dell’ampiezza che della profondità dell’assortimento con la contestuale crescita del numero di referenze che vengono proposte a scaffale. L’ampiezza e la profondità dell’assortimento dei prodotti agroalimentari di qualità rappresentano per molte insegne un’importante variabile strategica di differenziazione. Ed è proprio il ruolo tattico che hanno assunto i prodotti agroalimentari che spinge i distributori ad una sempre maggiore pressione sui produttori, che vengono spesso messi in difficoltà, anche a causa degli elevati costi di transazione generati dalla frammentazione della struttura produttiva nazionale.

Sebbene il processo evolutivo stia avvicinando la distribuzione nazionale a quella di altri Paesi occidentali considerati più avanzati sotto questo aspetto, l’Italia non abbraccia completamente il modello americano o francese, tanto per citarne due, ma propone un suo modello.

In particolare nel Meridione continua a rimanere spazio anche per gli operatori commerciali di piccola e media dimensione. Una lunga tradizione nel commercio ha

45 Fonte: Analisi condotta da Information Resources e pubblicata da www.agraeditrice.com

lasciato i segni sulla struttura della rete distributiva in Italia. E quest’aspetto, che per molto tempo è stato considerato come un limite strutturale dei retailer italiani difficilmente superabile, si sta invece rilevando come un punto di forza. Dopo anni di chiusure e di nuvole nere che si addensavano sulle aziende di dimensioni minori, oggi il tessuto della piccola distribuzione dimostra una vitalità senza precedenti. Il sistema distributivo italiano conta circa 860 mila esercizi commerciali, con un saldo positivo, tra nuove aperture e chiusure registrate nel 2001, di 12 mila punti vendita, 8 mila dei quali situati nelle regioni del Sud Italia.

2.1 Evoluzione del rapporto tra consumatore e distribuzione moderna

Osservando il comportamento degli italiani, si può notare come il rapporto tra il consumatore e la distribuzione sia notevolmente mutato: da spazio fisico di incontro e presentazione della merce è diventato tramite e garante della qualità e dell’affidabilità dei prodotti; la spesa è passata da attività di routine ad attività razionale di scelta, confronto e giudizio46. Oggi più che mai è la garanzia di quello che si acquista l’elemento trainante per la distribuzione. Elemento di spiccata importanza è la sicurezza sia nei prodotti che nei luoghi d’acquisto. I vari scandali alimentari (in ultimo la cosiddetta mucca pazza) hanno rappresentato un confine, superato il quale sono crollate la fiducia e le certezze che i consumatori riponevano negli operatori e nelle istituzioni nazionali. Oggi, in particolare nel settore alimentare, tutti vogliono sapere cosa c’è dietro le confezioni ben allineate sugli scaffali e come potersi fidare. Ed è da questo punto che parte la mia ricerca, un viaggio attraverso i diversi canali di distribuzione per capire e carpire come viene affrontata dai vari attori questa nuova sfida, in particolare nel variegato mondo del vino, dove è sempre più forte l’esigenza dei consumatori di conoscere e scoprire i segreti, le origini, la storia e le caratteristiche del prodotto vino, divenuto in pochi anni da semplice bevanda da pasto ad elemento caratterizzante di un ben preciso stile di vita.

46 Fonte: Secondo uno studio condotto nel 2001 dalla società Marketing &Trade, le

tendenze in atto sono due: responsabilità dei prodotti attribuita al retailer e ricerca della sicurezza negli acquisti.

3 Ruolo della grande distribuzione nel mercato del vino

In questi ultimi anni si assiste sempre più alla messa in opera di una politica aggressiva da parte delle grandi superfici alimentari sul mercato del vino in Italia.

Dando uno sguardo ai numeri, si può osservare come nel 2002, il 55% dei vini e spumanti consumati dalle famiglie italiane sia stato acquistato presso i principali format della distribuzione moderna, ovvero supermercati e iper. Si registra una crescita dell’assortimento pari al 12% negli iper e al 5% nei supermercati, le referenze si attestano circa su 450 etichette fino a raggiungere quota 750 nei punti vendita con un reparto vini particolarmente caratterizzante; si tratta per la grande maggioranza di vini nazionali, con prevalenza dei vini rossi, mentre i vini esteri variano dall’1 al 4% a seconda delle catene47.

Come per altre attività, le grandi superfici alimentari hanno compreso che il loro successo, nel beverage in generale e nel reparto vini in particolare, passa per un approccio meglio integrato da monte a valle. Le insegne più potenti, tra cui Coop, Carrefour, Conad, Auchan, hanno adottato un approccio globale dell’attività, intervenendo più a monte nello schema di produzione/commercializzazione. Da qualche anno, l’evoluzione delle politiche d’acquisto è stata tale per cui la maggior parte delle insegne ha deciso di ridurre la lunghezza del percorso esistente tra produttori e distributori. Le strategie di sviluppo delle centrali d’acquisto hanno permesso alle insegne di eliminare gli intermediari e di adottare una politica di contrattazione diretta con i produttori, con i gruppi cooperativi e con alcuni commercianti. Per far fronte a questa nuova situazione, e talvolta per proteggersi, questi ultimi hanno acquisito le competenze e gli strumenti necessari alla gestione delle relazioni commerciali fra compratori e manager delle aziende. Tuttavia, l’evoluzione dei comportamenti d’acquisto ha modificato il comportamento dei produttori e dei distributori nei confronti del consumatore. Ci si può aspettare un approccio che avrà la tendenza a trasformarsi in funzione dell’evoluzione del mercato e del suo comportamento.

I distributori seguono l’evoluzione del mercato del vino, divenuto da prodotto di prima necessità a prodotto di piacere. Essi mettono in opera i mezzi necessari per attirare la clientela allestendo in modo attraente e suggestivo gli scaffali di presentazione dei prodotti vinicoli. Per fare ciò, alcuni conferiscono allo scaffale un aspetto di stand di

degustazione, altri puntano sulla professionalità dei responsabili del reparto per assicurare una consulenza ai clienti. Gruppi come Esselunga e Auchan, stanno puntando sul vino in maniera massiccia e con un approccio serio e professionale, cambiando e a volte rivoluzionando drasticamente le loro politiche nei confronti di questo prodotto, con la creazione di vere e proprie enoteche all’interno dei loro punti vendita. Celle frigorifere con bottiglie di pregio pronte per il consumo, esposizione dei prodotti con moderne rastrelliere, proposte di calici, libri dedicati e accessori di ogni specie sono una bella e forte realtà, che ogni giorno attira sempre più clienti. Grazie a queste nuove tendenze oggi il mercato del vino, che secondo gli analisti si aggira sui 7 miliardi di euro, vede nella grande distribuzione il player principale. La figura del sommelier o del

cavista (cantiniere), sempre pronto a consigliare i consumatori, è ormai un dato di fatto,

dimostrandosi come l’arma vincente della grande distribuzione, anche nei confronti del mondo della produzione. Altre iniziative sono i cosiddetti “week-end scoperta”, una sorta di viaggio virtuale alla scoperta di prodotti eno-gastronomici rari, occasioni in cui vengono praticate politiche di prezzi concorrenziali e che contribuiscono allo sviluppo commerciale di differenti gamme di prodotti tipici.

Nei paragrafi successivi analizzeremo nel dettaglio le strategie di alcune delle maggiori insegne della distribuzione moderna alimentare italiana, le esigenze che hanno portato a determinate scelte, gli obiettivi raggiunti e le previsioni future in questo segmento di mercato.

Grafico 3.1: Quota di mercato dei gruppi per l'aggregato Iper-Super 0% 2% 4% 6% 8% 10% 12% 14% 16% 18% Coop Italia Carrefour Italia Conad Rinascente Auchan Esselunga Interdis Selex Gruppo Pam Sisa Mdo Finiper Despar Sun Sigm a C3 Bennet Crai Lom bardini Altri

Fonte: Distribuzione Alimentare in Italia, Agra 2002.

3.1 Il caso Coop Italia

Coop è la realtà leader della grande distribuzione in Italia ed una delle più importanti industrie italiane di prodotti di consumo sotto uno stesso marchio (1.961 referenze fatte produrre da oltre 300 fornitori)48. Il sistema Coop ha chiuso il 2002 con una base strutturale di 178 cooperative di consumatori, 1.265 punti vendita - per un'area complessiva pari a 1.230.000 mq (mediamente 972 metri quadrati a punto vendita) - ed oltre 47.000 addetti. La base sociale – già arrivata a 4,7 milioni di soci nel 2001 - alla fine del 2002 ha quasi toccato i 5 milioni (4.995.000). Le vendite lorde complessive sono ammontate a circa 9.860 milioni di euro, con un'incidenza delle vendite alimentari dell'84% (+7,4% sul 2001). Le grandi cooperative - attualmente costituite da nove

grandi gruppi e 777 punti vendita (compreso il canale discount a gestione separata), per una superficie di vendita complessiva di 1.065.000 metri quadrati - hanno realizzato vendite lorde per 8.975 milioni di euro, pari al 91% dell'ammontare del sistema e con un incremento sul 2001 del 7,7% (+ 6,3% lo scorso anno). L'articolazione per canale delle vendite di tale aggregato maggiore ha visto ancora la prevalenza dei 532 supermercati Coop di varia dimensione in esercizio al 31-12-2002, con 4.900 milioni di euro, pari al 57% del totale vendite Iper e Super. Con 3.696 milioni di euro i 57 Ipercoop in esercizio a fine anno hanno comunque aumentato la loro incidenza al 43%, contro il 39, 7% del '98. Sono inoltre da ricordare i 374 milioni di euro, realizzati dai 188 punti vendita della rete discount.

Nel 2002 sono stati aperti 11 Iper sul territorio nazionale e i primi due Ipercoop di Zagabria, con i quali Coop è uscita, per la prima volta, fuori dai confini. Da segnalare anche l'apertura di tre grandi strutture superiori ai 3.000 metri quadrati, di due supermercati con area vendita superiore a 2.000 metri quadrati (Portomaggiore, Piossasco e Bibbiena) e di cinque supermercati con area vendita superiore a 1.000 metri quadrati (Bologna, La Spezia, Signa, Castelnuovo ne' Monti e Cordenons).

Per lo sviluppo, i piani delle maggiori Coop prevedevano l'apertura entro il 2005 di 65 punti vendita - tra cui 24 Ipercoop (compresi altri 3 in Croazia) – per un'area di vendita complessiva di circa 230 mila metri quadrati.

La strategia competitiva della Coop punta al prodotto a marchio proprio, che deve essere sicuro, buono, etico, rispettoso dell’ambiente, conveniente, privo di organismi geneticamente modificati e vincolato all’approvazione dei soci. Coop Italia ha implementato un sistema di selezione dei suoi prodotti certificato Iso 9001 e, prima azienda in Europa, ha ottenuto una certificazione etica SA 8000. L'impegno di Coop sul fronte dell'etica è stato di recente riconosciuto anche dal Reputation Institute che, in collaborazione con l'Università Bocconi, ha realizzato un'indagine sulla reputazione delle aziende italiane: Coop è stata valutata prima azienda in Italia per la "responsabilità sociale" e "per l'attenzione all'ambiente".

3.1.1 Coop e il mondo del vino

Dopo un’attenta analisi ed una accurata riflessione sulle evoluzioni della produzione e del consumo, Coop Italia nel 1997 decide di investire nel vino. “Stiamo investendo molto nella progettazione e nella formazione del personale per curare la qualità del

servizio e la gestione del prodotto e degli scaffali. La Coop, che deve fare autocritica sul passato nella vendita di vino, adesso, sebbene in ritardo sulle attuali tendenze, cerca di affermarsi nel mercato del vino di qualità e vuol dialogare con le aziende, chiedendo di condividere la sua idea progettuale. Da una vecchia logica di bianchi/rosati/rossi, si è passati ad una proposta che và dagli spumanti secchi a quelli dolci, dai vini bianchi leggeri e corposi ai vini rosati, dai vini rossi giovani, invecchiati, sino ai vini da dessert. E su questo potenziamento si stanno investendo risorse economiche ed umane. Due saranno gli argomenti forti: il rapporto qualità-prezzo, un parametro che ormai anche i “big” del mondo del vino stanno tenendo in grande considerazione, e l’abbinamento cibo-vino. Tutto questo logicamente incrociato con il rapporto con il territorio, un’operazione culturale prima che commerciale che unisce il punto vendita Coop al suo territorio ed ai suoi vini e prodotti tipici di qualità. Ma, sicuramente, non daremo solo spazio ai vini del territorio, ma anche alle tante buone etichette di livello nazionale (che necessariamente non dovranno essere le 50/60 “blue chips”!)”. Così Sergio Soavi, Category Manager vini di Coop Italia, che in un anno movimentava 180 miliardi di vendite nel segmento vino (l’1% del fatturato complessivo), di cui il 40% negli iper ed il 60% nei super; con il 35% del fatturato in “vini fini”, descrive il progetto Coop in un’intervista rilasciata al “Corriere Vinicolo”. “Il mercato del vino italiano sta dando soddisfazioni - continuava Soavi - e le proiezioni per il futuro sono buone: la “fascia” Coop è passata, in soli 2/3 anni, dai 2 euro e mezzo ai 4/5 euro (con vendite, logicamente, decrescenti). Ma, in alcuni punti vendita (ad esempio, a Ferrara in Emilia Romagna, a Follonica in Toscana, a Perugia in Umbria), dove abbiamo realizzato una politica ad hoc e di qualità sul segmento del vino (creando una sorta di “enoteca” nel supermercato), e dove si vendono Sassicaia, Barbaresco e Sorì Tildin di Gaja, Solaia e Tignanello di Antinori, Giulio Ferrari Riserva della cantine Ferrari, Summus di Castello Banfi, assortimento di livello di Brunello e di Champagne e così via, il vino è il secondo mercato in assoluto (il 78% su “vini fini”, con il 50% dei prezzi sopra i 6/8 euro).

Dopo aver ben analizzato il mondo del vino ed aver sondato i gusti dei consumatori (Coop ha condotto nel 2001 uno studio su 800 clienti, che ha dato grandi risultati), “adesso siamo a buon punto del nostro progetto, che vale chiaramente per l’area supermercati (anche se ci sono tante aree di sovrapposizione con gli ipermercati). Un progetto che, comunque, è condotto con la politica dei piccoli passi: in questa fase quello che Coop Italia vuole - continuava Soavi - è lo scambio di idee, opinioni, progetti. Ma anche fare acquisti, in maniera costante e diretta, di prodotti dalle migliori

aziende italiane, rispettare i prezzi di vendita, migliorare la cura del servizio e della gestione degli scaffali. Insomma, Coop non è un nemico delle aziende italiane del vino,

Documenti correlati