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Se confrontata con la fulminea partenza sotto Federico Manfredi, la prosecuzione del cantiere della Cattedrale dopo la sua cacciata mostra un notevole rallentamento. La responsabilità della fabbrica passa dai Manfredi alla cittadinanza e al Capitolo e la costruzione delle navate procede lentamente, non senza incertezze sull’esecuzione del progetto maianesco, fino ai primi anni del xvi secolo. Solo nel 1581, però, la Cattedrale sarà consacrata dal vescovo Annibale Grassi, e a quella data l’architettura della chiesa (ma non il suo apparato decorativo) può dirsi completa e conforme a quanto ancora visibile.

4.3.1. La costruzione delle navate da Galeotto Manfredi all’età pontificia

I lavori documentati negli anni di Galeotto e Astorgio iii sembrano testimoniare, a fronte di un modesto incremento volumetrico dell’edificio, una volontà di perfezionamento strutturale e ornamentale di quanto costruito da Federico. La causa di questo rallentamento è forse la maggior cautela praticata da Galeotto nei confronti dei ceti dirigenti cittadini, e in particolare la probabile fine delle pratiche vessatorie messe in atto da Federico per ottenere finanziamenti nel minor tempo possibile. La direzione del cantiere sembra essere condivisa, a partire dal 1478, tra i Manfredi, la cittadinanza, e la gerarchia ecclesiastica (vescovo e capitolo),

42. Leonardo da Vinci, Cattedrale di Faenza (o S. Spirito?), (Parigi, Institut de France, da Savioli 1988) 43. Firenze, S. Spirito.

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mentre prima il vescovo (in quel caso diretto rappresentante anche della signoria manfrediana) era pressoché l’unico responsabile dell’andamento della fabbrica. A questo proposito, è interessante leggere quanto riportato nella posteriore (ma degna di fede) cronaca Borsieri:

[...] eiecto post absolutam superiorem Templi divi Petri partem Friderico una cum fratre Carolo, suffectoque huic Galeotto, Civitas, quod reliquum erat fabricae, perficiendum in se totum suscepit. In primis quatuor cives videlicet pro porta pontis D. Gregorium de Bazolinis, pro porta imolensi ser Zanfranciscum Lodovici (Milcettae), pro porta montanaria Ritium de Armeninis, pro porta ravignana D. Melchiorem de Tonduciis omnium suffragiis sub die xxv Junii mcccclxxviii (Reform. an. eiusedem fol. 57) constituit deditque eis auctoritatem ut una cum D. Luca de Paxiis presint Episcopatus redditibus, et eos fideliter custodiant et provideant quod convertantur in fabricam Ecclesie sancti Petri, ac idem faciant de redditibus aliorum benefitiorum que tenebat D. Federicus de Manfredis que non sint adhuc in aliquem alium collata etc. Quantum verum interea de publico aerario erogaverit eundem in finem, non facile dixerim, deficientibus rerum hisce annis subsequentibus actarum commentariis. Verosimile tamen est, c viros ut antea, sic deinceps in eiusdem fabricae subsidium liberalissimos se praestitisse.132

Borsieri evidenza qui che l’incarico di portare a termine l’edificio fu assunto non tanto da Galeotto, quando dalla «Civitas», dalle magistrature cittadine faentine.133 L’affermazione non è del tutto vera, ma certo testimonia il fatto che la

chiesa iniziata da Federico era stata assunta, almeno informalmente, quale tempio civico dai faentini, esautorando in parte le istituzioni ecclesiastiche: anche per la Cattedrale, dunque, come per le logge della piazza, si può vedere un interesse della cittadinanza a proseguire l’opera iniziata dai due fratelli Manfredi, a testimonianza dell’importanza e delle rappresentatività attribuite a questi interventi di scala non solo architettonica ma anche urbana. Ci si può anche chiedere perché l’intervento federiciano non fu sottoposto a una simile ‘tutela’ da parte delle magistrature cittadine: certo la personalità di Federico e Carlo rendeva impensabile un’eventualità del genere, ma si può anche presumere che, dal momento che il transetto e le cappelle absidali costruite entro il 1477 probabilmente erano aderenti alla chiesa antica, ma non ne intaccavano la volumetria, la cittadinanza non sentisse ancora minacciata la sua influenza sulla chiesa civica, cioè la Cattedrale.

Emblematici di questo cambiamento di direzione sono i nomi dei quattro cittadini incaricati della fabbrica: spariti i fedelissimi di Carlo e Federico Manfredi (Ragnoli e Glutoli),134 i nuovi soprastanti (Gregorio Bazzolini,135 Gianfrancesco

132 Cit. in Gian Marcello Valgimigli, Memorie storiche di Faenza, BCFa, ms. 62, vol. xi, pp. 209-210.

133 Ciò sembra confermato da un grosso fascicolo di documenti riguardanti la costruzione della Cattedrale e copiati dai partiti degli Anziani e il cui originale era nell’archivio Comunale, distrutto durante la guerra. Cfr. BCFo-RP, Carte Romagna, b. 486, n. 35, cc. 7v-19v.

134 Ma il canonico Pietro Fenzoli avrà di nuovo l’incarico di soprastante negli anni seguenti. Cfr. BCFa-SR, 1486, novembre 24.

135 Personaggio di notevole influenza, fu cavaliere, dottore di legge e ricoprì la carica di priore degli Anziani nel 1478 (cfr. BCFa-SR, 1478, gennaio 3). Risulta fedele di Galeotto fin da subito, visto che fu da lui inviato a Lorenzo de’ Medici come mandatario (cfr. ivi, 1477, dicembre 14), a Sisto iv per ottenere la decadenza di Carlo da vicario di Faenza (cfr. ivi, 1478, gennaio 3), a Girolamo Riario per ottenerne in moglie una figlia (cfr. ivi, 1478, gennaio 10).

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Milzetti,136 Giovanni Battista Armenini detto ‘el Rizio’, Melchiorre Tonducci)137

sono espressione dei quattro rioni cittadini, oltre a provenire da famiglie tenute in disparte negli anni carolini e rimesse in auge da Galeotto.138 Oltre a questi

personaggi, esponenti della classe cittadina, sono documentati anche due canonici deputati dal Capitolo a occuparsi della fabbrica: sono Graziadeo Diaterni e Cristoforo Severoli.139

Diversi sono i documenti relativi al cantiere in età galeottiana; in effetti, questi anni sembrano caratterizzarsi per un’attenzione al perfezionamento (strutturale e decorativo) di quanto già impostato da Federico, a favore probabilmente di una effettiva funzionalità liturgica della chiesa.

Dal punto di vista decorativo, si segnalano due importanti interventi. L’arca di san Savino (fig. 5) è collocata alla fine del 1478 nella nuova cappella di S. Andrea, a destra del presbiterio, forse con qualche aggiustamento che ne pregiudica tuttora l’esatta comprensione della forma origniaria.140 È poi documentato un contratto

per la vetrata141 da porre nell’oculo che doveva illuminare la parete orientale del

presbiterio; essa è andata perduta in seguito alla costruzione dell’abside poligonale. L’opera, allogata dai canonici al notaio Gaspare Cattoli,142 deve rappresentare una

scena di fondamentale importanza nella vita di Pietro (eponimo della chiesa), ovvero la scena di Cristo che cammina sulle acque e trae in salvo Pietro che sta per annegare (la cosiddetta scena della ‘Navicella’):

[...] dictus ser Gaspar teneatur et promisit facere imaginem Domini Nostri Jesu Christi existentem super aquas et dextera ipsius liberantem b. Petrum Apostolum qui mergebatur in fluctibus; et unam navis vel saltem mediam navim, in qua sint alii Apostoli turbati vento existente in dictis aquiis, cum frexis circum ornantibus dictum occulum, prout est designatum in quadam carta penes dictos d. Canonicos existentem, et de pulcris vitris coloratis, et quod dicte imagines possint videri et discerni stando in dicta ecclesia in choro et corpore dicte ecclesie ab hominibus et personis inspicientibus [...].

136 Solo una decina di anni dopo, Gianfrancesco Milzetti dimostra di aver cambiato fazione, visto che, insieme ai Ragnoli, a Bartolomeo Pasi, a Papiniano Albicelli e ad altri, risulta tra i principali avversari di Galeotto, tanto da ordire una prima congiura contro di lui. Cfr. BCFa-SR, 1487, aprile 7-9.

137 Melchiorre Tonducci, dottore di leggi, fu vicario generale di Galeotto. Cfr. BCFa-SR, 1485, marzo 1.

138 Negli anni di Astorgio iii, i soprastanti alla fabbrica proverranno dal consiglio di reggenza incaricato di occuparsi del governo dello stato, ad esempio Gabriele Calderoni e Battista Cavina. Cfr. BCFa-SR, 1491, maggio 20 e 1498, ottobre 29.

139 Cfr. BCFa-SR, 1480, agosto 3. Entrambi i canonici otterranno in patronato cappelle delle nuova Cattedrale.

140 Cfr. Ferretti 2010, pp. 123-126. Cfr. BCFa-SR, 1478, dicembre 17. Le carte conservate nella raccolta Piancastelli potrebbero fornire nuovi spunti per la lettura dell’ordine originario dei pannelli. Cfr. Savioli 1988, p. 91.

141 Cfr. BCFa-SR, 1486, settembre 19.

142 Si è sempre ritenuto (cfr. Grigioni 1923, p. 171) che l’opera sia stata materialmente realizzata dal notaio Cattoli, come farebbe anche pensare la scelta dei verbi utilizzati nel contratto (es. «promisit facere» e non «promisit fieri facere», o simili). Risulta davvero stupefacente che un’opera di tale importanza per la sua collocazione sia stata realizzata da un dilettante, e si può con più ragionevolezza congetturare che il notaio fosse solo l’intermediario (e possibilmente colui che offrì l’opera) tra i canonici e l’artista, rimasto anonimo.

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Il programma iconografico scelto per questa vetrata è piuttosto complesso per la tecnica utilizzata e per la notevole distanza (dal coro, ma anche dalla navata) a cui doveva essere vista l’opera:143 si ha l’impressione che non molto sarebbe stato

distinguibile di questa quantità di figure, a dispetto della finalità educativa per «hominibus et personis inscipientibus» che si attribuiva a questa rappresentazione. È interessante però notare che i canonici possedevano un cartone per questa vetrata, forse richiesto a qualche artista di vaglia, faentino o forestiero, che avrebbe reso ben chiara la scena. Un’altra vetrata «ad amandolam» (qui probabilmente si intende di forma circolare più che rimandare all’iconografia della figura ‘in mandorla’) è commissionata dal canonico Angelo Salecchi a Feliciano figlio del predetto ser Gaspare Cattoli; questa volta la vetrata deve raffigurare la Madonna e deve essere collocata nella sacrestia.144

Sempre a proposito dell’avanzamento del cantiere, la bibliografia faentina in genere ritiene che i lavori di età galeottiana si siano limitati alla costruzione della 143 Forse, ma il condizionale è d’obbligo, la vetrata sarebbe risultata distintamente visibile anche dall’esterno almeno una volta all’anno. In effetti, è stato notato (si ringrazia Marco Mazzotti per la segnalazione) che il sole all’alba del solstizio d’estate (non a caso vicinissimo anche alla data della festa di san Pietro, il 29 giugno) entra dall’oculo della facciata e colpisce il centro esatto dell’abside (cfr. anche par. 4.3.2.). Forse nel presbiterio originale, prima della costruzione dell’abside poligonale, la vetrata sarebbe stata all’altezza esatta dell’oculo di facciata, e avrebbe quindi intercettato in quest’occasione i raggi del sole, rendendola così visibile anche dall’esterno. Essendo l’orientamento della Cattedrale medievale identico a quello della Cattedrale manfrediana, è altamente probabile che tale accorgimento astronomico fosse stato già messo a punto nella fabbrica antica: è possibile, ad esempio, che il raggio di sole mattutino entrasse dalla finestra (o finestre) della facciata e colpisse l’altare, che si trovava in posizione nettamente sopraelevata rispetto alla navata grazie alla presenza della cripta.

144 Cfr. BCFa-SR, 1492, febbraio 28. Si pone qua lo stesso problema di prima: Feliciano Cattoli fu l’esecutore materiale di questa vetrata o solo l’intermediario? Il fatto che non sia qualificato con il ‘ser’ indica che non era notaio, come il padre.

44. Faenza, Cattedrale, navata centrale vista dalla terza campata.

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terza campata (fig. 44), con le quattro cappelle annesse. L’analisi dei tondi posti sulle volte potrebbe però destare alcune sorprese. In effetti, il tondo affrescato della terza campata mostra l’emblema galeottiano della palma fiorita (fig. 45), con il cartiglio «Iustus ut», abbreviazione del versetto del Salterio «Iustus sicut palma florebit», limpido riferimento alla situazione di Galeotto, che si è sostituito, con preteso atto di giustizia (non ancora però ufficializzato dal pontefice), al (presunto) governo tirannico dei suoi fratelli. Tuttavia, anche il medaglione della quarta campata (fig. 46) è riferibile a Galeotto, come dimostra l’iscrizione in tondo: «Reg[n]ante Galeotto primo de Manfredis Favent[iae] Domino». È sintomatico che al centro del tondo affrescato non ci sia alcun emblema manfrediano, ma il leone rampante con la spada sguainata, emblema araldico di Faenza, segno della nuova forma mista (Manfredi e cittadinanza) di gestione del cantiere. Forse, Federico aveva lasciato incompiuta la costruzione di questa campata (che pure gli viene accreditata), e Galeotto provvide a costruire almeno la volta, se non si vuole pensare a una sostituzione del tondo (ma allora Galeotto avrebbe dovuto, o potuto, sostituire tutti i tondi federiciani, cosa che non fece). Oltre a questo medaglione, però, altri due sono in parte sospetti. Si tratta del medaglione della campata settentrionale del transetto (fig. 47) e di quello della cupola (fig. 48). Il primo ha l’iscrizione dedicatoria di Federico, ma l’emblema al centro è il classico cammello sarcinato con cimiero in forma di caprone, comune a tutti i Manfredi dai tempi di Astorgio i, sormontato però dalla galeottiana palma fiorita. Lo stesso dicasi per il tondo della cupola, in cui però manca l’iscrizione federiciana. Le ipotesi sono due: o la palma

45. Faenza, Cattedrale, tondo affrescato sulla volta della terza campata della navata centrale. 46. Faenza, Cattedrale, tondo affrescato sulla volta della quarta campata della navata centrale. 47. Faenza, Cattedrale, tondo affrescato (con corona esterna in maiolica) sulla volta della campata settentrionale del transetto. 48. Faenza, Cattedrale, tondo affrescato sulla cupola.

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fiorita non era usata dal solo Galeotto ma anche dai suoi fratelli (il che però non è documentato), oppure anche queste due volte sono state completate, perlomeno per le finiture e la parte decorativa, da Galeotto.145

Oltre a queste testimonianze iconografiche, diversi rogiti notarili danno informazioni a proposito dell’avanzamento del cantiere (fig. 49) sotto Galeotto e il figlio Astorgio iii. La presenza di Giuliano da Maiano è testimoniata in cantiere presumibilmente nel 1478 e ancora nel 1481:146 in queste date, il cardinale

Antonio Giacomo Veniero richiede a Lorenzo il Magnifico la presenza di Giuliano (probabilmente a Faenza) a Recanati,147 e nel 1481 viene stilato un documento da

parte dei canonici che obbliga maestro Mariotto, direttore dei lavori in assenza di Giuliano, a lavorare solo alla parte iniziata dal maestro fiorentino, e a attenersi scupolosamente alle sue direttive.148 Evidentemente Giuliano, di ritorno da un

periodo di assenza dal cantiere faentino, aveva constatato che il maestro locale aveva derogato dal suo progetto, forse anche con alterazioni sostanziali, e aveva in questo modo voluto garantire il buon andamento del cantiere secondo i suoi ordini, prima di lasciare di nuovo Faenza per altri incarichi.149 Ancora nel 1499,

come si è visto, a quasi dieci anni dalla morte del maestro, c’è traccia di Giuliano nell’archivio notarile faentino, con un pagamento ai suoi eredi.150

Di un certo interesse è poi una serie di documenti relativa al tetto dell’edificio. Nel 145 C’è anche da dire che tutti gli emblemi cui si è fatto cenno mostrano evidenti restauri e ridipinture risalenti all’Ottocento. Cfr. Liverani 1988, p. 111. Cfr. Corbara 1986, pp. 93-94. 146 Cfr. BCFa-SR, 1478, febbraio 1 e 1481, maggio 18.

147 A breve, Lorenzo il Magnifico scriverà a Galeotto, cfr. Del Piazzo 1956, p. 44. Giuliano era presente a Faenza ancora nell’ottobre del 1480. Cfr. ivi, p. 121.

148 Cfr. BCFa-SR, 1481, maggio 18.

149 Giuliano era di passaggio il mese successivo a Urbino, per poi recarsi a Loreto per il cantiere della basilica. Quinterio interpreta il documento del 1481 come un riconoscimento da parte del capitolo della responsabilità progettuale di Giuliano solo per la parte della crociera, e contestualmente come un affidamento della parte restante del progetto a Mariotto d’Antonio, pur con l’impedimento di apporre mutazioni alla parte già cominciata da Giuliano. Cfr. Quinterio 1996, p. 262. In realtà, il documento sembra rimarcare proprio una subordinazione (per quanto già fatto e per quanto da farsi) di Mariotto a Giuliano, non una sua responsabilità progettuale sul corpo delle navate: di Giuliano si dice infatti che «fuit et est hedificator et magister dicti hedifitii» (BCFa-SR, 1481, maggio 18).

150 Cfr. BCFa-SR, 1499, agosto 19.

49. Faenza, Cattedrale, pianta con gli stati di avanzamento del cantiere (da Savioli 1988).

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1482, i canonici stipulano un contratto con certo maestro Nevolone di Benvenuto da Solarolo per la manutenzione della copertura della chiesa.151 Il capomastro è

incaricato di curare non solo la manutenzione del tetto («aptare et remittere super coperto dicte ecclesie omnes tegules sive tolos ruptos et amotos desuper dicto coperto») per cinque anni, ma anche di chiudere tutte le buche pontaie («claudere et serrare omnia foramina armaturam existentis in muris dicte ecclesie»). I canonici si obbligano a fornire la materia prima e a provvedere in caso di danni più consistenti rispetto alla manutenzione ordinaria oggetto del contratto. Come contropartita, è consentito a Nevolone di allestire una colombaia sulla cupola dell’edificio: non deve stupire – dimenticando la pur poetica spiegazione di Grigioni152 – questa

forma di pagamento ‘in natura’, visto che l’allevamento di colombi era piuttosto redditizio non solo per scopi alimentari ma anche per la vendita del guano, ottimo concime. Ci si deve interrogare su questo contratto, che potrebbe far pensare a un danneggiamento del tetto a pochi anni dalla costruzione; in realtà è segno che il tetto era appena stato messo in opera e che necessitava, per il futuro, di una continua manutenzione per evitare infiltrazioni. È probabile che nelle prime fasi di cantiere la copertura fosse ancora provvisoria, con diverse perdite d’acqua sulla fabbrica appena costruita (tra gli obblighi a carico dei canonici, preliminari rispetto ai lavori di Nevolone, c’è anche quello di «removere gutas aquarum que pluerunt super dictas ecclesia»). L’incarico di coprire le buche pontaie è indizio di una volontà di dare un aspetto di compiutezza anche ai paramenti esterni. Infine, ci si può domandare se la presenza della colombaia non abbia costituito una deroga al progetto maianesco, cioè se in origine la cupola dovesse essere estradossata, e che per risparmiare sul pagamento del maestro Nevolone non si sia poi deciso di adattare il tiburio quadrangolare tutt’ora visibile (tiburio fra l’altro di più facile costruzione e manutenzione rispetto a una cupola estradossata).153 È un’ipotesi

difficilmente dimostrabile, ma che sarà discussa con più profondità nei prossimi paragrafi. Nel 1488 è poi documentata una colombaia anche sotto il tetto della cappella maggiore:154 questa volta la struttura è concessa al canonico Nomo

Hercolani, che in cambio si obbliga a «cohoperire et cohopertum manutenere», a sue spese, a parte la fornitura dei materiali, che è ancora a carico dei canonici. Si tratta di un contratto molto simile a quello già visto nel 1482, con la differenza che, oltre alla manutenzione, si prevede anche la costruzione del tetto («cohoperire») man mano che il cantiere procederà. L’anno successivo, la stessa colombaia sarà affittata per quattro anni a certi Giovanni Battista carpentiere, Filippo de Rubeis e Francesco Marescalchi, con l’obbligo di provvedere alla sua manutenzione (questa volta non si parla del coperto dell’intera chiesa) «ita quod non pluat in dicta ecclesia et capellis».155 Infine, del 1491 è un accenno a riparazioni resesi necessarie ai muri

151 Cfr. BCFa-SR, 1482, agosto 2. Quinterio stabilisce un parallelo tra questi lavori e i pressoché contemporanei lavori fatti da Giuliano a S. Spirito per il ‘ricignimento’ della parte alta della navata. Cfr. Quinterio 1996, p. 262.

152 Cfr. Grigioni 1923, p. 168.

153 Questo modo di chiudere la cupola è presente a S. Lorenzo (pur se non ricollegabile al progetto originario brunelleschiano), ma non a S. Spirito, dove la cupola è estradossata, e il suo completamento risale proprio all’anno seguente il contratto faentino con il maestro Nevolone. Cfr. Quinterio 1996, p. 262.

154 Cfr. BCFa-SR, 1488, gennaio 15. 155 Cfr. BCFa-SR, 1489, ottobre 24.

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e al tetto.156

Il progredire dell’opera di costruzione è poi testimoniato indirettamente da altri documenti notarili. Ci si può chiedere ad esempio da dove si entrasse nella nuova Cattedrale. Alcuni atti notarili sono rogati nei pressi delle porte della chiesa; si ricorda che i notai non avevano delle sedi specifiche, ma si concentravano con i loro banchi e i loro eventuali scrivani nei luoghi di maggior passaggio, pronti a registrare transazioni che si svolgevano in piazza. Certamente le porte della Cattedrale erano un luogo riconoscibile e di grande frequentazione, ideale dunque per le postazioni provvisorie dei notai. Ebbene, negli anni di Galeotto le porte utilizzate a questo scopo sono sempre quelle del transetto, tuttora esistenti come porte secondarie della Cattedrale, e rivolte una a sud (verso S. Terenzio) e una verso nord (verso S. Salvatore e S. Francesco).157 È probabile che le uniche porte praticabili fossero

proprio queste due, mentre la porta antica, sicuramente ancora esistente sotto il portico medievale, era resa inutilizzabile per la cittadinanza dall’estensione del cantiere al settore orientale della cattedrale.

Ancora, segno di una certa confusione liturgica dovuta al procedere del cantiere è un precetto (1478) fatto dai canonici ai cappellani dei vari altari della chiesa (probabile che si tratti ancora degli altari della chiesa medievale) perché garantiscano un’officiatura regolare degli altari loro affidati:158 è possibile che l’ordine sia stato

emanato in relazione alla situazione incerta degli altari e delle cappelle conseguente al cantiere, con la loro distruzione e spostamento nella nuova Cattedrale. Infine, si ha notizia nel 1483 di lavori di pavimentazione dell’edificio con ‘quadrelli’, probabilmente in cotto,159 e, più avanti, nel 1498, di panche per ascoltare le

prediche,160 segno che alla Cattedrale manfrediana, benché mancante ancora di due

campate, era ormai stato dato un assetto che ne consentiva una fruizione regolare. Quanto alle forme di finanziamento, come si è visto, la cronaca Borsieri testimonia che una prima (presumibilmente ingente) entrata fu costituita dai beni della mensa vescovile, amministrati da Luca Pasi in assenza del vescovo in carica Federico Manfredi. Questo introito, però, dovette cessare alla nomina, nel 1479, del nuovo vescovo Battista Canonici.161 Si mantiene invece costante il numero di