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Prima di affrontare l’indagine approfondita delle architetture rinascimentali faentine occorre gettare uno sguardo sulla città di Faenza, vista nelle sue componenti sociali e culturali, e sulla signoria manfrediana.13

Come quasi tutte le città dell’Italia padana, anche a Faenza la composizione sociale era frutto di un ben marcato livellamento verso il basso delle componenti aristocratiche, avvenuta in età comunale e nella prima età della signoria manfrediana. Il risultato era stato l’emergere di una classe borghese di mercanti, cambiatori, notai, che già nel Quattrocento poteva essere considerata la nuova aristocrazia urbana, nonostante questa classe non avesse ancora abbandonato le redditizie attività che le avevano consentito di emergere, per dedicarsi solo allo sfruttamento fondiario, fenomeno che si avrà solo nel Cinquecento e definitivamente nel Seicento. Questa classe a Faenza è formata da alcune famiglie su cui si appoggerà di volta in volta la signoria manfrediana (o ne verrà tradita): sono i Calderoni, i Laderchi, i Pasi, i Ragnoli, i Severoli, i Viarani, gli Zanelli, gli Zuccoli e altre.14 La parte popolare

svolgeva una funzione importante, come si vide nel 1478, quando fu proprio il popolo a rivoltarsi contro Carlo e Federico Manfredi e a insediare al loro posto il fratello Galeotto; meglio sarebbe dire che il popolo fu usato come grimaldello per porre fine alla signoria di Carlo da parte dei suoi avversari politici, i Riario e gli Sforza. La componente ecclesiastica, nei suoi rami secolari (capitolo della Cattedrale e parroci) e religiosi (monaci e frati), aveva ovviamente una parte fondamentale nelle questioni artistiche. Si ricorda qui solo la parte svolta dai canonici della Cattedrale nella prosecuzione della fabbrica maianesca al termine dell’episcopato di Federico Manfredi, o lo stretto rapporto tra la signoria e l’ordine dei Servi di Maria fin dal Trecento.15

Una parola a parte merita la presenza a Faenza di una vasta componente di popolazione forestiera. Nel contesto in cui si muove questa tesi, è ovviamente opportuno ricordare che gli artigiani dell’edilizia (in particolare gli scalpellini) erano in gran parte di origine toscana o ticinese (o comunque lombarda).16 Non

è mai stato messo bene in luce, però, il fatto che molti membri della corte di Carlo Manfredi (ma anche del padre Astorgio ii), in particolare gli uomini d’arme, provenissero dalla Lombardia e dalle terre del duca di Milano.17 È probabile che

13 Per approfondimenti sulla vicenda storica, politica e sociale faentina nel Quattrocento cfr. Cattani 1990.

14 Cfr. BCFa-SR, 1470.

15 Cfr. Mazzotti-Corbara 1975, pp. 13-14.

16 Marco Bettoli ha censito gli scalpellini operanti nel Quattrocento a Faenza, cfr. Bettoli 1992-93, pp. 52-62.

17 Si dà qui conto di alcune evidenze archivistiche relative a lombardi a Faenza, senza pretesa di esaustività: BCFa-SR, 1452, luglio 12 («Matheus de Carafrido de Cremena territorii Valsacine famulus DD. Astorgii de Manfredis»); 1473, giugno 6 («Juliano el Vezolla de Placentia, famulo Manfredorum»); 1474, marzo 19 («Leo q. Andree de lacu Lugani»); 1474, agosto 31 («Antonio de Placentia armigero D. Caroli de Manfredis»); 1474, agosto 31 («magister Stefanus de Lacu Maiori»); 1475, gennaio 7 («Petrucinus Venturini de Cremona stipendiarius Domini Caroli»); 1476, febbraio 14 («Vigiolam de Placentia», lo stesso Giuliano nominato in precedenza); 1477, gennaio 29 («Guglielmus de Novaria armiger Domini Caroli de Manfredis» e «Zeorgius de

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ciò debba giustificarsi con la presenza di Carlo a Milano tra gli anni ’50 e ’60 del Quattrocento, in qualità di ostaggio mandato da suo padre agli Sforza per garantire la pace in Romagna. Analizzando i documenti dell’archivio notarile, massicce presenze lombarde si trovano anche tra i membri dei frati Minori Osservanti, chiamati a Faenza da Astorgio ii, nonché tra gli Agostiniani Eremitani del convento di S. Giovanni Evangelista e tra i Domenicani,18 il che lascia pensare a

un’affiliazione anche di questi ultimi due conventi faentini alle correnti riformiste e osservanti, particolarmente presenti in Lombardia. Interessante anche la presenza a Faenza di Opizzone di Lampugnano e di suo figlio Alessandro, il primo esponente di rilievo della corte manfrediana in quanto scalco di Carlo;19 probabile che la

residenza in Romagna di questo membro dell’importante e nobile consorteria dei Lampugnani di Legnano sia dovuta alla disgrazia in cui era caduta questa famiglia per via della sua ostilità al regime sforzesco.20 Tra l’altro, a questo personaggio si deve

la costruzione della prima cartiera faentina (situata a Castel Raniero), un genere di attività strettamente legata alla diffusione della cultura e all’attività tipografica.21

Al vertice della vita politica, sociale ed economica della città era ovviamente la famiglia signorile. I Manfredi si erano insediati quali signori di Faenza nel 1313 e avrebbero conservato la signoria fino all’arrivo di Cesare Borgia, nel 1501, seppure con alcuni intervalli, specialmente nel xiv secolo. Nel Quattrocento, personaggio di notevole levatura era stato Astorgio ii (signore dal 1443 alla morte, avvenuta nel Zanjacobus de Parma»); 1477, marzo 12 («magister Johannes de Mediolano marzarius»); 1478, gennaio 3 («Antonius de Placentia armiger D. Karoli de Manfredis»); 1485, maggio 7 («Johannis de Briantia armigeri Manfredorum»); 1492, marzo 27 («magister Johannes de Regni de Mediolano marzarius»); 1500, maggio 21 («Johannes de Mediolano credencierius [...] ad officium credentie D. Astorgii de Manfredis»).

18 Cfr. BCFa-SR, 1470, gennaio 14 (Agostiniani); 1470, febbraio 3 (Domenicani); 1483, marzo 4 (Osservanti). Da notare che i Serviti erano invece in maggioranza faentini, segno di una più antica presenza sul territorio (dagli inizi del Trecento), cfr. BCFa-SR, 1474, settembre 2.

19 Cfr. BCFa-SR, 1478, gennaio 3; 1492, marzo 27. 20 Cfr. Vaglienti 2004.

21 Cfr. BCFa-SR, 1470, marzo 7; 1473, febbraio 13; 1473, febbraio 15.

6. Sperandio Savelli, Medaglia di Carlo Manfredi. 7. Sperandio Savelli, Medaglia di Galeotto Manfredi.

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1468), che era riuscito a conservare la signoria di Faenza e a mantenere quella di Imola per il nipote Taddeo a costo di continui voltafaccia nel gioco delle alleanze italiane; aveva inoltre dato il via (come si vedrà) alla stagione rinascimentale faentina e ai lavori di rinnovamento del palazzo di residenza e della piazza. Alla morte, aveva lasciato lo stato al figlio primogenito Carlo (fig. 6), che lo reggerà in una velata diarchia con il fratello Federico, vescovo di Faenza. Secondo una sorta di “leggenda nera” calata sui due, la straordinaria avidità del vescovo avrebbe alienato anche a Carlo i favori del popolo, fino alla sua cacciata dalla città nel 1477. È più probabile che il denaro accumulato dai due (e soprattutto dal vescovo), lungi dal servire solo per soddisfare i vizi che la vox populi attribuì a Federico (comunque non insoliti nei prelati rinascimentali), dovesse essere utilizzato anche per i grandi lavori urbani e architettonici da loro promossi. In ogni caso, nel dicembre del 1477, al termine di una breve sommossa popolare, si insedia come signore della città Galeotto (fig. 7), fratello di Carlo e Federico. Egli fu assassinato nel 1488 in una congiura in cui l’elemento passionale nascondeva il piano (non riuscito) di inserire a forza Faenza nell’orbita sforzesca;22 sventato questo progetto dai Fiorentini, lo stato manfrediano

passa sotto il protettorato mediceo, seppure formalmente il potere spettasse ancora al giovanissimo Astorgio iii Manfredi, figlio di Galeotto.23 Infine, Cesare Borgia

farà calare il sipario definitivamente sulla signoria manfrediana nel 1501, con la cattura e la successiva uccisione dell’ultimo legittimo signore di Faenza.24

Senza ripercorrere in maniera dettagliata le vicende biografiche di Carlo Manfredi, basterà dire che due elementi caratterizzano la sua azione di governo nei dieci anni in cui reggerà la signoria: la sua ostinatezza nel mantenere l’indipendenza e l’integrità del territorio faentino in un contesto regionale quanto mai ostile, e la strettissima dipendenza (unico tra i signori di Romagna) dal re Ferdinando d’Aragona. Il primo aspetto si evince da un gran numero di lettere degli oratori sforzeschi in Romagna: Carlo non volle mai scendere a patti con il duca di Milano e per i primi anni della sua signoria fu oggetto di estenuanti attenzioni (mai approdate a nulla, forse anche per via di una certa misantropia di Carlo) da parte lombarda per convincerlo alla causa sforzesca; anzi, dai documenti trapela da parte di Carlo una persistente dichiarazione di fedeltà (perlomeno di facciata) al suo legittimo signore, il Papa, sentimento assente invece nella gran parte degli altri signori romagnoli.25 Inoltre, egli non volle mai cedere il castello di Oriolo Secco

22 Cfr. Pellegrini 1999, pp. 107-110.

23 Per profili biografici abbastanza aggiornati ed esaustivi su questi personaggi, oltre che su Ottaviano, figlio di Carlo, cfr. Lazzarini 2007a-b-c-d-e-f.

24 Del tutto ininfluente sarà la brevissima parentesi (ultimi mesi del 1503) del rientro in città di Francesco-Astorgio iv Manfredi, figlio naturale di Galeotto. La città passerà poi sotto il dominio veneziano fino al 1509, per poi ritornare definitivamente sotto il dominio papale.

25 Cfr. Duranti 2007, pp. cxviii-cxxii. A questo proposito, va sottolineato che i Manfredi furono la sola famiglia signorile romagnola a poter vantare tra i suoi membri un vescovo della città dominata nel corso della seconda metà del Quattrocento. Ciò non riuscì mai, ad esempio, ai Bentivoglio di Bologna o ai Manfredi di Imola, nonostante i tentativi in proposito: Anton Galeazzo Bentivoglio non vide mai ratificata dal papa la sua elezione a vescovo di Bologna da parte dei canonici della Cattedrale, mentre Taddeo Manfredi tentò inutilmente di fare nominare suo figlio Sigismondo (cfr. ASMi, Carteggio Visconteo Sforzesco, Potenze estere, Romagna, 1470, dicembre 25). Per estendere il campo, si può notare che ciò non avvenne neanche in casi di signorie più importanti e facoltose, come i Gonzaga o gli Este, nonostante la quantità di cardinali e alti prelati espressi da queste famiglie. Ciò è probabilmente dovuto alla volontà papale di insediare come vescovi figure che potessero fungere da parziale contrappeso all’iniziativa politica del sovrano, e tutelare quindi

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(Riolo Terme) e la valle del Senio, conquistata dal padre Astorgio ii e storicamente parte del contado imolese, al cugino Taddeo Manfredi, signore di Imola e al suo successore Girolamo Riario; cessione che fu invece realizzata nel 1477 da Galeotto (e forse già prima dal vescovo Federico) per cattivarsi le simpatie (senza grandi risultati) del potente vicino imolese.26 Sul fronte orientale, invece, Carlo acquistò

dal vescovo di Ravenna la torre di Oriolo,27 fondamentale caposaldo del sistema

difensivo faentino verso Forlì, e successivamente la fortificò secondo un originale pianta esagonale (forse di paternità maianesca?) (figg. 8-9).

Forse più interessante dal punto di vista storico-artistico è il rapporto di fiducia che sempre legò Carlo al re Ferdinando d’Aragona e al suo plenipotenziario nell’Italia settentrionale, Federico da Montefeltro. Il signore faentino stipulò una gli interessi pontifici in città più o meno lontane da Roma (e, nei casi citati sopra, decisamente filo- sforzesche). L’eccezione faentina va dunque vista forse nel quadro dei rapporti tutto sommato buoni tra Carlo Manfredi e il papa, che probabilmente vedeva in Faenza un argine allo strapotere degli Sforza in Romagna, almeno fino al momento (1472) in cui gli interessi dei Riario e degli Sforza iniziarono a coincidere.

26 Cfr. ASMi, Carteggio Visconteo Sforzesco, Potenze estere, Romagna, 1468, giugno 6; 1468, luglio 3; 1470, maggio 28; 1477, settembre 30.

27 Cfr. BCFa-SR, 1473, aprile 21; 1474, aprile 1. La vendita aveva ovviamente avuto il consenso di papa Sisto iv, trattandosi di bene di proprietà ecclesiastica, il che può apparire in contrasto con il desiderio del papa di creare uno stato romagnolo per il nipote Girolamo Riario. Del resto, Girolamo entrò in Imola solo nel 1473, e la vendita di Oriolo era certamente stata pianificata già in precedenza. Probabile quindi che nei primissimi anni ’70 Sisto iv vedesse ancora in Carlo un alleato fidato e non un ostacolo ai progetti riareschi.

8. Oriolo (Faenza), Torre manfrediana, esterno. 9. Oriolo (Faenza), Torre manfrediana, pianta.

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condotta con il re dal 1472 fino alla fine della sua signoria, e addirittura nel 1477, vista ormai vacillante la sua permanenza al potere, decise di chiedere in sposa una figlia del re per suo figlio Ottaviano.28 Questo passo non bastò a salvare la

signoria di Carlo, che rimase comunque un protetto del re Ferrante e visse per qualche tempo a Napoli. I documenti non forniscono molti elementi di indagine a proposito degli eventuali rapporti culturali e artistici tra le corti di Faenza, Urbino e Napoli. Urbino potrebbe essere stata un tramite per l’arrivo a Faenza di spunti antiquarii e idee albertiane; quanto a Napoli, non va dimenticato che Giuliano da Maiano operò lungamente, dopo Faenza, anche nella capitale aragonese: forse una presenza a Napoli di Carlo (che comunque morì prima dell’arrivo alla corte aragonese di Giuliano, nel 1488) non è del tutto casuale se si pensa che il loggiato sul giardino della villa di Poggioreale è molto simile al doppio loggiato della piazza faentina, come si vedrà nel prossimo capitolo.

La perdita dell’archivio manfrediano genera non poche ombre sull’esatta ricostruzione della consistenza patrimoniale della famiglia e sulle sue fonti di rendita. Qualche considerazione si può fare a partire dai documenti dell’archivio notarile e in particolare dai rendiconti delle spese che il tesoriere di Carlo Manfredi, Nicolò Ragnoli, compilava anno per anno e registrava presso il notaio Alberto 28 Per la condotta, cfr. BCFa-SR, 1472, gennaio 21; 1472, settembre 19; 1473, novembre 12; 1476, marzo 24. Per il matrimonio, cfr. ivi, 1477, settembre 10 e ASMi, Carteggio Visconteo Sforzesco, Potenze estere, Romagna, 1477, ottbre 22; 1477, ottbre 25; 1477, novembre 8; . La figlia chiesta in sposa si chiamava Maria: Ferdinando ebbe due figlie naturali con questo nome, la prima, da Diana Guardato, sposò nel 1458 Antonio Todeschini Piccolomini, la seconda, da Eulalia Ravignano, sposò nel 1486 Gian Giordano Orsini di Bracciano. Ovvio che la figlia in questione è la seconda. È dunque quasi certo che il matrimonio, seppure deciso, non fu mai effettivamente celebrato, dal momento che Ottaviano morì nel 1499 celibe e senza figli, e ciò a causa della rovina politica di del padre Carlo.

10. Leonardo Scaletti (?), Pala

Bertoni (Faenza,

Pinacoteca Comunale).

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Piccinini. Le rendite di Carlo e dei suoi fratelli si basavano sostanzialmente su quattro assi: i mulini, alcune tenute nella campagna faentina, immobili urbani, e le tasse (dazio del sale e gabelle),29 queste

ultime date in appalto a privati. I rendiconti di Ragnoli30 tengono in considerazione

solo l’ultima voce, in quanto si tratta di documentazione relativa al bilancio pubblico del signore, mentre i terreni e i mulini facevano parte del patrimonio privato suo e dei suoi fratelli. Ciò rende solo parziale la conoscenza delle strategie finanziarie manfrediane. Si può comunque evincere che il bilancio pubblico garantisse un’entrata di circa 20.000 lire annue, che coprivano soprattutto le spese militari e in alcuni casi (come si vedrà) alcune spese di fabbrica considerate di utilità pubblica. La documentazione relativa al bilancio privato avrebbe probabilmente fornito utili informazioni a proposito di committenze artistiche e spese suntuarie, ma purtroppo non è pervenuta.31 In ogni caso, è certo che Carlo Manfredi poteva

contare su altre entrate (condotte militari) in misura minore rispetto ai suoi vicini Girolamo Riario o Giovanni Bentivoglio, e questo si riverberò ovviamente anche sulle reali possibilità di portare a compimento i grandi lavori urbani e architettonici cominciati negli anni ’70 del Quattrocento.

Dal punto di vista artistico, si è sempre insistito (in gran parte a ragione) sull’influenza toscana subita dall’arte faentina del Quattrocento. In effetti, la vicenda pittorica32 è in gran parte dominata dalla figura di Biagio d’Antonio, presente a

Faenza dal 1476 fino ai primi anni del Cinquecento, seppure con diversi intervalli dovuti a periodici ritorni a Firenze e a commissioni romane. Ben documentati sono però anche robusti innesti della scuola ferrarese, come è evidente ad esempio nella Pala Bertoni (fig. 10), oggi conservata nella Pinacoteca Comunale di Faenza, o nei due dipinti (Pietà e Apoteosi di sant’Orsola, fig. 11) conservati al Musée Jacquemart- André, tutti e tre attribuiti recentemente a Leonardo Scaletti.33 I documenti notarili

riportano i nomi di un certo numero di pittori locali (Giovanni da Oriolo, la 29 Cfr. BCFo-RP, Carte Romagna, scatola 487, n. 142, Elenco dei beni di Astorgio Manfredi, ora in possesso della città di Faenza. In questo elenco sono indicate possessioni rurali per più di 5.000 tornature (circa 1.200 ettari), ventisette botteghe in piazza, cinque poste di mulino

30 Cfr. BCFa-SR, 1472, aprile 3; 1473, aprile 21; 1474, giugno 2; 1477, aprile 16.

31 Solo in un caso si è conservata traccia nell’archivio notarile di spese relative all’asse privato, con un prestito concesso a Carlo dal banchiere fiorentino Giovanni Rucellai (per inciso, committente di Leon Battista Alberti), cfr. BCFa-SR, 1474, maggio 18.

32 Per una trattazione aggiornata ed esaustiva della pittura faentina rinascimentale, cfr. Tambini 2009. 33 Cfr. Colombi Ferretti 2013, pp. 51-60. 11. Leonardo Scaletti (?), Apote- osi di Sant’Orsola (Parigi, Musée Jacquemart-An- dré).

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famiglia Scaletti, un Severo di Ludovico da Barbiano, la famiglia Glutoli o Utili, la famiglia Bertoni, forse da identificare con la precedente):34 se ciò è troppo poco per

parlare di una ‘scuola’ faentina, è però probabile che la situazione artistica doveva essere di una certa vivacità.

Per ciò che riguarda la scultura, l’impressione di un contesto Firenze-centrico sembra ancora più accentuata anche se tale considerazione non è sempre da prendere in valore assoluto.35 In particolare, Faenza si riempie a partire dalla metà

del Quattrocento (dall’età di Astorgio ii Manfredi) di opere di matrice fiorentina: si citano solo il busto dello stesso Astorgio (Mino da Fiesole, oggi a Washington, National Gallery, fig. 12), le maioliche robbiane del Duomo, il San Girolamo di Bertoldo di Giovanni (ma a lungo ritenuto di mano di Donatello, conservato alla Pinacoteca di Faenza, fig. 14), l’arca di san Savino in Cattedrale (a lungo attribuita a Benedetto da Maiano e recentemente assegnata da Ferretti ad Antonio Rossellino), e il bassorilievo della Madonna con il Bambino (conservata nel Municipio di Solarolo, ma proveniente dalla rocca manfrediana di quel borgo), variamente data a Desiderio da Settignano o a Francesco di Simone Ferrucci e restituita sempre da Ferretti al Verrocchio (fig. 13). Non sembra del tutto casuale che si tratti per tutti gli esempi citati di dirette commissioni manfrediane; al contrario, altre opere scultoree degli stessi anni, ma di diversa committenza, sono di mano locale (ma operante in un contesto adriatico-urbinate, come nel caso delle due arche di sant’Emiliano e di san Terenzio e del sepolcro del vescovo Francesco Zanelli) o addirittura germanica (il Crocifisso della Cattedrale). Forse ciò sta a rimarcare ancora una volta una 34 A solo titolo di esempio, cfr. BCFa-SR, 1465, aprile 1; 1470, febbraio 12; 1472, marzo 19; 1477, dicembre 16; 1482, novembre 19; 1486, febbraio 20; 1499, febbraio 6; 1500, maggio 21; 1500, giugno 3; 1508, ottobre 1; 1508, ottobre 3; 1510, dicembre 20; 1521, maggio 15.

35 Per una trattazione più approfondita della scultura faentina del Quattrocento, e per alcune considerazioni che puntano a problematizzare l’influsso fiorentino sempre dato per scontato, cfr. Ferretti 2011. 12. Mino da Fiesole, Busto di Astorgio Manfredi (Washington, National Gallery). 13. Andrea del Verrocchio (?), Madonna col Bambino (Solarolo, Palazzo Comunale).

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non precisa dipendenza di Faenza da Firenze, ma per contro un’ampiezza piuttosto variegata dei riferimenti culturali e degli apporti artistici nella città romagnola. Non va poi dimenticato il fatto che Carlo Manfredi nel 1476 assunse alle sue dipendenze Sperandio Savelli, maestro di decisa formazione lombarda e noto soprattutto come medaglista, anche se le parole del contratto di assunzione lasciano pensare che la sua funzione a corte dovesse essere quella di scultore e decoratore a più vasto raggio. In ogni caso, come per la pittura, anche per la scultura è difficile ricondurre il campo delle committenze al solo ambito fiorentino, dimenticando una quantità di indizi, forse meno evidenti ma ugualmente pregnanti, che portano a pensare a Faenza come ricettrice di influssi provenienti anche da Urbino, dalla regione adriatica, dal Veneto e dalla Lombardia.

Infine, una rapida parola va spesa anche sul contesto culturale e letterario. Poche sono le notizie che restano di letterati faentini: l’unico caso in cui si sia conservato un discreto corpus di scritti è quello di Angelo Lapi, che fu maestro dei figli di Astorgio ii. Nei suoi componimenti poetici in latino,36 egli fa spesso riferimento ai suoi

studi svolti a Ferrara presso Guarino Veronese, a ulteriore conferma dell’apertura faentina anche verso l’area padana, e verso un contesto culturale di estrema raffinatezza e di profonda curiosità verso l’Antico. Di altri letterati presenti a Faenza rimangono poco più che i nomi, ricordati da alcuni documenti notarili; tra questi si ricorda Matteo Chiromono da Brisighella, supposto maestro di Carlo Manfredi37

e commentatore della Commedia dantesca.

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Faenza nella seconda metà del Quattrocento è caratterizzata da una notevole somiglianza con le vicine signorie romagnole, ma al contempo sono ben visibili alcune significative differenze. Come per le città vicine, la situazione politica è quanto mai vacillante, ma al contrario dei signori di Imola e di Forlì, i Manfredi 36 Conservati in Angelo Lapi, Carmina et epistulae, BCFa, ms. 32.

37 Cfr. BCFa-SR, 1473, ottobre 14 (maestro Nicolò da Genova, maestro in Faenza, ma in precedenza operante a Urbino); 1486, aprile 20 (maestro Ludovico da Parma, maestro di retorica). Matteo Chironomo è ricordato sempre nello Schedario Rossini, ma solo nella parte degli indici dal momento che nessuna traccia se ne trova nello schedario cronologico vero e proprio. Una sua breve biografia è in Stoppelli 1981. 14. Bertoldo di Giovanni (?), San Girolamo penitente (Faenza, Pinacoteca Comunale).

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decidono di mettere in gioco la loro indipendenza abbandonando, a partire dalla metà del secolo, l’alleanza con gli Sforza, che parevano destinati a diventare potenza egemone della regione, e puntando a ottenere protezione da Venezia, Napoli e Firenze. Se ciò permise a Faenza di mantenere una certa autonomia per circa un