• Non ci sono risultati.

Anche prima degli anni di Carlo Manfredi, numerosi erano stati gli interventi architettonici e a scala urbana attuati da suo padre e dai suoi avi, come gli edifici allineati lungo la via Emilia, l’antico decumano della città romana. Si trattava, come già accennato, del ponte delle Torri (fig. 97), della torre dell’Orologio, del portico di Astorgio i davanti al palazzo Manfrediano, della Zecca, dell’Ospedale della Domus Dei (fig. 98), della Rocca (fig. 99). Non si trattava però di interventi organici, volti a fornire un nuovo aspetto alla città, che anzi continuava a mostrarsi decrepita e disordinata, ben lontana dagli ideali di città prospettati dagli umanisti. Carlo non intervenne solo sul rinnovo architettonico della piazza, ma portò la sua attenzione anche sulla sistemazione di tutte le strade principali della città;284

i cronisti contemporanei e successivi danno un’interpretazione negativa di queste 284 Oltre a altre piccole operazioni che però documentano un interesse per il decoro complessive, come l’eliminazione del ‘Pedrone’ (cfr. par. 3.1.1.) e l’eliminazione di taverne e bordelli (non si sa se mai attuata), suggeritagli dal poeta di corte Angelo Lapi nel carme De sceptro Karoli Manfredi dum succedit Astori patri, cfr. Angelo Lapi, Carmina et epistulae, BCFa, ms. 43, cc. 54v-56v, vv. 51-54.

97. Romolo Liverani, Veduta

del Ponte di Faenza sul Lamone

136

operazioni, quasi fossero frutto di un tiranno impulsivo e non ben attento a valutare le conseguenze delle sue azioni. Ricostruendo attentamente il quadro complessivo, invece, si dimostra che Carlo doveva essere ben conscio di ciò che faceva e che perseguiva un ideale di ordine urbano simile a quello che stavano realizzando (o erano in procinto di realizzare) altri signori della Romagna e dell’Italia padana. Volendo, si potrebbe attagliare benissimo anche a Carlo il topos classico, usato per Augusto e poi per molti signori rinascimentali, che trovò la sua città di legno e la ricostruì in pietra.

3.4.1. L’abbattimento dei portici

L’opera che forse esacerbò più di tutte gli animi dei faentini verso Carlo e suo fratello Federico fu la distruzione coatta dei portici medievali in legno. Ed è comprensibile, dal momento che demolire i portici significava distruggere anche le stanze che potevano trovarsi al di sopra di essi, e privare le case di quegli spazi misti tra pubblico e privato, e in cui si svolgevano le più disparate (e sovente ben poco igieniche) attività. Se a ciò si aggiunge il fatto che non sempre i proprietari delle case furono indennizzati, si può avere il quadro perfetto della rischiosità sociale e politica della situazione

I vari cronisti faentini forniscono notizie lievemente differenti quanto ai tempi e ai luoghi in cui si attuò la politica di demolizione dei portici. Mettendo insieme tutte le informazioni, però, si vede che l’opera coinvolse l’intera città, o quanto meno le strade principali. La contemporanea cronaca Ubertelli traccia due fasi dell’operazione e fornisce l’importante dato della somma complessiva dei danni

98. Faenza, Ospedale della Domus Dei o Loggia degl’Infantini, dopo la ricostruzione ottocentesco.

137

(20.000 lire), pari circa alle entrate annue di Carlo del 1470:285

Del istesso mese [agosto 1472] il Signor Carlo havendo il pensiero all’ornamento della città fece buttare a terra tutti i portici dal capo della Piazza sino all’hospitale di porta Imolese, et dall’altro capo sino a Porta Montanara, con anco dall’altra banda sino a Porta da Ponte, il che fu danno a molti cittadini in tutto per più di vintimilla lire, con tutto che esso rifacesse i danni ad alcuni e perciò s’inimicò più di cento cittadini. [...] 1473. Quest’anno del mese di maggio il Signor Carlo fece buttar giù i portici da S. Biagio sino a Porta Ravegnana solo da man destra, e da sinistra cioè dal canto di S. Biagio gli fece sanare. E poi fece anco atterrare i portici da S. Catherina sino alla Croce di S. Maria, et in molti luoghi della città.286

Il cronista forlivese Andrea Bernardi (detto Novacula) non si lascia sfuggire l’avvenimento, che pur riguardava Faenza e non Forlì, ricollegandolo alle lotte tra Carlo e Galeotto. Di grande interesse la notazione che, oltre a far demolire, Carlo pretendeva che le case così messe a nudo avessero tutte lo stesso colore, per «inobelire» la città, esattamente come farà alcuni anni più tardi Ludovico il Moro.287

Item ancora lui288 se mese a fare inobelire dita sova cità, fare lanzolare tute le sove

strade, e più ancora che per forza era necesarie che tute colore che aveva palaze overe case insuse li strate maestre a tute ie feva | cumandamente chi non avese la faciata di

285 Come si può dedurre dai rendiconti di Nicolò Ragnoli, cfr. per esempio BCFa-SR, 1471, marzo 26.

286 A. Ubertelli, Delle cose di Faventia dall’anno 1343 all’anno 1478, BCFa, ms. 45, cc. 571r e 572r.

287 Cfr. Schofield 1992, p. 158.

288 Va notato che, seppure si stia parlando della signoria di Carlo, la frase precedente ha come soggetto Federico; non è chiaro dunque se Bernardi accrediti addirittura a Federico l’opera di rinnovamento urbano. 99. Virgilio Rondinini, Planimetria Faventiae, dettaglio della Rocca (BCFa).

138

subite la dovese fare; e se ‘lcune de quilli non avese apude la posibilitade, i era forza de vendre dite sove case ad altre che potese fare tale so edeficio. Item ancora fe’ murare una gram parte dela dita sova cità intorne, pure el tenpo de la dita gram carestia; siché per li rasone asegnate a loro dui frateli ie fu forcia d’aquistare dite so popule per nomice, zoè, dite Carle e Fedrico, come di sopra; considirande dite popule che l’onipotente eterne Idio non voglia dala criatura racionale se ne le lore posibile. E dite Carle e Fedrico voleva da lore quele che lore non potea; e tuta via lore male tratava; e per queste ce ne fui alcune di lore che molte s’atristone, per mode come homine desperati se partine e andone a Vinecia a pregare dite Galavote che volese tornare inseme come Lancilote a casa sova [...].289

Bernardino Azzurrini, circa un secolo dopo lo svolgimento dei fatti, ma sulla scorta della cronaca Ubertelli, così ricorda:

1472. Demolitio porticum (sic) Faventiae. Die 20 augusti D. Carolus de Manfredis, dominus Faventiae, de eius ordine fecit demoliri [cfr. Mittarelli col. 344] a terra porticos, videlicet ab angulo plateae usque ad portam Pontis manu sinistra, ab angulo plateae usque ad portam Ravignanam manu dextera, ab angulo plateae usque ad hospitale domus Dei portae Imolensis manu sinistra, et ab angulo dictae plateae usque ad portam Montanariam manu dextera, cum magno stridore et rumore omnium civium dictae civitatis, et cum danno eorum plus viginti millia librarum bononiensium, non obstante quod dictus D. Carolus ad aliquem civem refficeret aliquid ex damno passo. Deinde de anno 1473, octava mensis maii, praefatus D. Carolus, non saturatus de illo facto, de novo fecit demoliri alios porticos ab angulo domus Petri Tonii de Minardis, quae tendit versus ecclesiam sanctae Trinitatis, alias S. Petri Celestini, usque ad sanctam Catterinam et ad crucem copertam, et postea ubique locorum, ut sapientia sua magis elucesseret, et ob id acquisivit magnam moltitudinem civium pro inimicis; utinam de hoc bene faciat.290

È interessante l’inciso «ut sapientia sua magis elucesseret», non necessariamente da intendersi come una notazione di carattere ironico da parte del cronista,291 ma

forse da vedere come segno di apprezzamento (mitigato dalla precisa annotazione dell’entità dei danni subiti da alcuni cittadini), a un secolo dallo svolgersi degli eventi, dell’operato di Carlo. D’altrone, liberalitas e magnificentia, le virtù del principe, si esprimevano secondo il pensiero umanistico proprio nell’attività edificatoria per il beneficio (in questo caso a lungo termine, e non compreso agli inizi) dello stato.292

Il manoscritto Zuccoli, dell’inizio del Seicento, descrive la vicenda come avvenuta poco dopo il taglio degli alberi intorno a Faenza (1477), per non dare ricetto alcuno alle truppe dei fratelli Galeotto e Lancellotto, e unendo quindi i due episodi quali cause scatenanti della cacciata di Carlo e Federico:

il Signor Carlo, per sospetto del Signor Lancilotto che era in Forlì, fece una tagliata intorno a Faenza con danno e ruina di tutti gli interessati, e con odio di tutta la città. Il qual danno et odio dopo assai crebbe grandemente, quando il Signor Carlo poco poscia di improviso fece atterrare tutti i portici che avevano nelle strade maestre, non per altro che per abbelire la città, la quale per questo si può comprendere aveva i portici di legno di mala vista e fatti con poco ordine quasi per tutte le strade. E tale novità, pel danno e ruina che fece, concitò grandi lamenti e rumori nelle persone, dicendo che se pure avea

289 Bernardi 1895, pp. 16-17. 290 Azzurrini 1905-21, p. 241. 291 Cfr. Godoli 1993.

139 in animo di abbellire la città, ciò poteva fare con più commodità e meno degli | astanti

ed interessati, e gli spiaceva che a tale ruina avesse acconsentito il Vescovo ancora.293

La cronaca Ubertelli, dunque, rimane la fonte più attendibile per stabilire l’effettivo progresso dell’operazione. Le demolizioni avvennero nell’estate del 1472 e nella primavera del 1473. Nel 1472 sono abbattuti i portici di tre delle strade principali, quelle di porta Imolese, Montanara, Ponte, sempre solo su un lato. Azzurrini attribuisce a questa fase anche le demolizioni nella strada di porta Ravegnana, che Ubertelli ricorda nella seconda fase, quella del 1473, insieme al risanamento dei portici sull’altro lato (sinistro) della stessa strada. Alla seconda fase risalirebbero poi le demolizioni nell’attuale via S. Maria dell’Angelo, nei pressi del monastero di S. Caterina (fig. 100). Golfieri ricorda nel 1473 anche la demolizione dei portici di via Carbonaria e via Fiera,294 ma non è chiara la fonte di questa

notizia.

A quest’operazione scamparono ben pochi portici, e non è certo che avrebbero resistito molto se Carlo non fosse stato cacciato. L’esempio più eclatante è certamente quello dei portici delle case dei Severoli e di altre famiglie, posti sul lato sud della via omonima (fig. 101); è possibile che i portici di proprietà di questa importante e ramificata casata siano stati risparmiati proprio per l’influenza dei loro proprietari. Ma il fatto che siano stati demoliti quelli di via S. Maria dell’Angelo, cioè la loro immediata prosecuzione verso ovest, lascia pensare che anche quelli 293 Lodovico Zuccoli, Memorie della città di Faenza dall’origine sino al 1608 lasciate dal Zuccoli cittadino faentino, BCFa, ms. 24.

294 Cfr. Golfieri 1977, p. 132. 100. Il centro storico di Faenza, evidenziati in rosso i portici demoliti da Carlo Manfredi, in arancione quelli conservati.

140

dei Severoli li avrebbero seguiti a breve. La mappa Rondinini documenta ancora i portici di via Severoli, oltre a un brevissimo tratto di portici all’imbocco dell’attuale via xx Settembre, adiacente al portico degli Orefici, e a due lunghi tratti porticati contrapposti, nell’attuale via Dionigi Strocchi, all’estremità settentrionale della città, salvati probabilmente dal fatto di trovarsi in un’area completamente periferica e poco interessante per Carlo. Lo stesso discorso si può fare per i portici delle case del Borgo, anch’essi puntualmente registrati nella mappa Rondinini. Si salvarono inoltre, ma ciò è quasi ovvio, i portici adiacenti alle chiese, come quello dei Servi, di S. Agostino, di S. Ippolito, di S. Lorenzo; quest’ultimo è oggi l’unico rimasto (fig. 102), essendo stato inglobato nella chiesa nel Settecento, mentre gli altri sono stati vittime dei rinnovamenti delle chiese e delle facciate nello stesso secolo. I portici eccelsiastici erano però ben diversi da quelli demoliti: lignei questi, a colonne lapidee e archi quelli. Si trattava di edilizia decorosa e di pregio, anche per gli occhi di Carlo Manfredi. Infine non venne toccato il portico della locanda del Leone, attuale palazzo Zauli Naldi di piazza, essendo di proprietà dei Manfredi.295 Ultimo

a essersi salvato, ma non è certo che a quella data fosse già stato costruito, fu il portico dell’Ospedale Domus Dei, e anche in questo caso è facile capire il motivo: si trattava di una grande struttura pubblica, il cui portico nobilitava l’inizio della seconda parte della strada di porta Imolese, proprio nel punto dove si trovavano le mura medievali e cominciava l’addizione voluta da Astorgio ii e da suo figlio Carlo.296

Oltre alle cronache, restano solo pochi altri documenti, dal momento che quest’operazione era sicuramente la meno appariscente tra le altre promosse da Carlo e Federico, ma non per questo meno importante per la regolarizzazione del tessuto 295 Cfr. BCFa-SR, 1482, novembre 9.

296 Per l’ospedale e l’ampliamento delle mura, cfr. Appendice C.

101. Romolo Liverani, Portici

di via Severoli

(Faenza, collezione privata)

141

urbano. In alcuni casi, i portici vengono nominati perché sotto di essi venivano rogati atti notarili: è il caso di un portico di tal Luca di Marco di Zanone, nella cappella di S. Cassiano (si tratta quasi certamente di uno dei portici abbattuti in via S. Maria dell’Angelo), o di quello di ser Benedetto Mengazzi in piazza, o di quello di tal Giovanni Battista Rainaldi vicino a S. Maria foris Portam.297 Nell’archivio

notarile è presente anche un documento importante, già citato a proposito del portico degli Orefici: nel 1472 è abbattuto anche il portico antistante la cattedrale, e due proprietari delle botteghe sottostanti sono in lite per la ricostruzione dei loro banchi.298 È probabile che fosse stato demolito solo il tratto di portico verso il

corso, visto che quello della casa dei Mengazzi era ancora in piedi nel 1476, come detto poco sopra. In effetti, il sito oggi occupato dal portico degli Orefici era allora tagliato in due da un vicolo, che sboccava in piazza quale diretta prosecuzione di vicolo Diavoletto. Possibile dunque che le case a sud del vicolo avessero perso il portico, contrariamente a quelle situate a nord. Inoltre, la Mappa del Capitolo (1565) registra un portico lungo tutto il lato della piazza antistante la Cattedrale: probabile dunque che, dopo la parziale distruzione di Carlo, i portici fossero stati ricostruiti.

Come si presentavano i portici demoliti? Erano quasi certamente in massima parte formati da stilate lignee che reggevano architravi anch’essi lignei, un tipo ben documentato a Bologna (casa Isolani, palazzo Grassi, ecc...) e in alcuni paesi del 297 Cfr. BCFa-SR, 1468, settembre 25; 1476, febbraio 13; 1507, settembre 10. La casa dei Mengazzi corrispondeva probabilmente alle proprietà della medesima famiglia, registrate nel 1603 in occasione della costruzione del portico degli Orefici. L’ultimo portico citato, invece, era scampato alla distruzione per il fatto che si trovava in zona periferica.

298 Cfr. BCFa-SR, 1472, giugno 5. È da notare che il secondo litigante Marco Nicolucci, porta lo stesso cognome del proprietario della seconda bottega nell’elenco dei proprietari stilato dal capomastro Scardavi nel 1603.

102. Faenza, Chiesa di S. Margherita.

142

contado bolognese (San Giovanni in Persiceto, Pieve di Cento), ma sicuramente allora molto diffuso in tutta l’Emilia e la Romagna, ad esempio a Imola.299 Ne

resta documentazione, oltre che nella schematica rappresentazione della mappa Rondinini, anche in un acquerello di Romolo Liverani, che rappresenta il lato sud di via Severoli (fig. 101):300 Alcune delle stilate sono state sostituite, o più

probabilmente ricoperte, da pilastri in mattoni. Nell’acquerello sono visibili però anche altri tipi di portici: due case con portici ad arco a tutto sesto, forse una sostituzione posteriore dei portici lignei, e una con portico a quattro archi a sesto acuto, al posto della neogotica casa Valenti. Era questo dunque un portico più antico, esempio di edilizia nobiliare o borghese risalente al Trecento o ai primi del Quattrocento: forse si trattava della casa originaria dei Severoli.301

3.4.2. I portici negli statuti faentini

Gli anni di Carlo ii Manfredi sono compresi tra due diverse relazioni degli statuti di Faenza, quelli del 1414302 e quelli del 1527;303 gli uni erano in pieno

vigore durante le operazioni architettoniche e urbane descritte, gli altri ne sono forse influenzati. In entrambi i casi si trattava dei regolamenti che normavano con precisione ogni singolo aspetto della vita pubblica fino alle leggi sull’uso del suolo, sulla pulizia delle strade, sulle attività permesse nella pubblica via. In entrambi i testi sono poche le norme relative ai portici, ma comunque sufficienti per far comprendere qualcosa di più su queste strutture.

Negli Statuti del 1414, alcune norme sono relative ai portici della piazza, altre ai portici anonimi che saranno demoliti da Carlo. Il primo accenno ai portici è relativo a quelli di proprietà del Comune: non è certo che si tratti dei portici della piazza (come si è visto, l’uso quattrocentesco era che venissero costruiti a spese dei privati, che ne conservavano anche la proprietà), potrebbero anche essere portici situati in altre zone della città. In ogni caso, incaricato della loro manutenzione è il podestà: «statuimus et ordinamus quod omnia bona Comunis Faventie, scilicet [...] porticus [...] recuperentur et manutenentur per potestatem [...]».304 Un riferimento

preciso al portico del palazzo del Podestà è in una norma che impedisce ai calzolai e altri artigiani di lavorare sotto il detto portico, se non nei pressi del muro sopra il quale (qua sembra esserci un accenno all’uso delle botteghe sotterranee) lavorano:

statuimus et ordinamus [...] quod calzolarii et alii artifices habitantes juxta plateam vel juxta palatium potestatis Faventie supra stratam porte Pontis, non possint stare in via ad laborandum sub porticu dicti palatii, nisi juxta murum super quo laborent, et a

299 Cfr. Lazzari-Montanari 2003, p. 162.

300 Faenza, collezione privata. Pubblicato in Golfieri 1977, p. 134.

301 Ma secondo Golfieri si trattava di una delle case dei Viarani, altra famiglia tra le più antiche e influenti. Cfr. Golfieri 1977, tav. xii.

302 Statuta Faventiae 1930. Anche a Imola i portici sono ben presenti negli Statuti medievali, con norme molto simili a quelle faentine. Cfr. Montanari-Lazzari 2003b, pp. 174-177.

303 Faventiae Ordinamenta 1527. 304 Statuta Faventiae 1930, p. 79.

143 dicta banca versus viam stare, nisi starent inter banchas magnas super quibus laborant

magistri, pena cuilibet contrafacienti v sol. bon. pro qualibet vice.305

Un altro articolo informa su due particolari attività (ludica e religiosa) che si svolgevano in una piazza medievale, e riguarda l’impedimento ai musici girovaghi di cantare (‘canere franciscum’) sotto i portici della piazza nei momenti in cui un frate predicatore sta tenendo il suo sermone:

Quod nullus cantet franciscum sub porticibus Comunis. Statuimus et ordinamus quod nullus audeat vel presummat canere franciscum, vel alias cantiones, vel aliud cantare sub porticibus Comunis vel sub becharia, tempore quo aliquis | Frater in campo vel sub porticu predicabit. Et nullus audeat stare ad audiendum tales cantilenas; et quilibet qui contrafecerit, solvat Comuni pro banno 5 sol. bon. ex auditoribus, et cantor 20 lib. bon. Et quilibet possit accusare, et habeat medietate banni. Et potestas teneatur facere preconizari in platea Comunis.306

Infine, gli Statuti non mancano di dire qualcosa anche sulla sorveglianza notturna che era praticata sotto i due portici della piazza (dei mercanti, sotto il palazzo Manfrediano, e dei merciaioli, o dei Sartori, sotto il palazzo del Podestà):

De custodibus nocturnis eligendis qui habeant stare de nocte ad custodiendum sub porticibus mercatorum et marzariorum. Item statuimus quod eligantur quattuor custodes nocturni, expensis Comunis Faventie, qui stare teneatur et debeant ad custodiendum sub porticibus stationes mercatorum et alias stationes que sunt juxta plateam et circa pertinentias ipsius platee; duo quorum custodum stare teneantur et debeant sub porticibus stationum dictorum mercatorum. Et alibi ubicumque eis melius visum fuerit; et alii duo custodes debeant stare sub porticibus stationum merzariorum.307

Il primo articolo finalmente riguardante i portici di minor pregio, quelli abbattuti da Carlo, è indicativo della situazione di disordine propria di una città medievale: «Quod non fiat aliquod porcile sub porticibus. Ordinamus quod non fiat aliquod porcile sub porticibus civitatis Faventie, ita quod publice videantur a transeuntis, sub pena et banno 20 sol. bon.».308 Le ragioni anche igieniche dell’opera di Carlo

sono ben evidenti: se era necessaria una norma per impedire l’installazione di porcili sotto i portici, significa che la pratica era di uso comune. Lo stesso si può dire per le attività connesse alla mascalcia, in quanto un articolo è dedicato precisamente a impedire che si salassino cavalli, giumente e asini nella strada pubblica o sotto i portici: «Quod mareschalchi non salessent equos in [s]trata sillicata. Statuimus quod aliquis marescalchus non possit sallassare equos, jumenta vel asinos in strata publica sellicata sub porticibus; et qui contrafecerit, solvat pro banno x sol. bon. pro qualibet vice; medietas cujus banni sit accusatoris et alia Comunis».309 Altre