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comporta un minor ricorso a operazioni agronomiche

di tipo meccanico e limita

l’uso di concimi, ormoni,

stimolanti ecc. sulle piante

sintomatiche.

Allo scopo di realizzare un’indagine rappresentativa della realtà trentina, sono stati individuati 14 meleti, ubi- cati nelle principali zone a vocazione frutticola della provincia, per un tota- le di 13.705 piante da sottoporre a va- lutazione sintomatologica. Durante i rilievi in campo, tuttavia, sono emersi dei limiti sulla modalità di registrazio- ne dei dati: mediante i rilievi riporta- ti su foglio Excel (in righe e colonne) non è possibile infatti registrare l’an- damento curvilineo dei filari, le carat- teristiche topografiche del terreno e l’entità dell’eventuale disallineamento della fila rispetto alle direzioni princi- pali presenti nel frutteto. Per ovviare a ciò si è pensato pertanto di utiliz- zare un Aeromobile a Pilotaggio Re- moto (più comunemente “drone”) per realizzare delle immagini ad altissima risoluzione dei 14 frutteti. Una volta scattate le foto dall’alto è possibile, con l’utilizzo di software topografici, trasformare le immagini in mappe e restituire informazioni “metriche”: la distanza tra i filari e tra le piante, la quota e la pendenza. Fatto questo, a ognuna delle 13.705 piante mappate è stata associata la classe sintomatica corrispondente. Con queste informa- zioni è stato possibile condurre un’a- nalisi geografica e statistica dei dati per capire se i sintomi della moria si manifestassero in maniera aggregata oppure casuale. Si è deciso di utiliz- zare il test BB join count (Cliff & Ord 1981 Spatial Processes Models and Applications, Pion Ltd.) per valutare la presenza di un’autocorrelazione spaziale statisticamente significativa (p<0,05). Nella quasi totalità dei casi è stato possibile rigettare l’ipotesi che l’aggregazione spaziale dei sinto- mi avvenga in maniera casuale. Sola- mente per un appezzamento sui 14 all’interno dei singoli frutteti colpiti

ovvero se l’insorgenza del fenomeno si distribuisca nell’appezzamento in maniera aggregata oppure casua- le (random). Questa informazione è fondamentale per indagare se e come alcune caratteristiche del suo- lo possano favorire la comparsa della moria. Per colmare questa lacuna, in collaborazione con il dott. Flavio For- nasier del CREA di Gorizia e sulla base di numerosi sopralluoghi a frutteti colpiti, è scaturita l’idea di classificare le piante in base allo stato fisiologico e realizzare con questi dati una “map- pa” da utilizzare per la successiva ela- borazione geostatistica.

La moria del melo si manifesta per- lopiù durante la fioritura, ossia nel momento di massimo stress fisio- logico per la pianta. Il sintomo più evidente è l’avvizzimento dei maz- zetti fiorali, a partire dai rami basali e in estensione a tutta la chioma in modo più o meno diffuso. General- mente in questi casi entro qualche giorno si giunge al totale dissecca- mento della pianta. Nei casi con sin- tomatologia meno marcata, con uno stato di sofferenza evidenziato da fo- glie di dimensioni ridotte e di colore verde chiaro o giallognolo, le piante solitamente sopravvivono anche se spesso con una vigoria ridotta. Alla luce di queste conoscenze e dopo una serie di osservazioni in campo, si è giunti alla definizione di 4 classi sintomatiche.

Al fine di disporre di informazio- ni più dettagliate sul manifestarsi della moria nel corso degli anni, sono state previste ulteriori 4 clas- si, relative ai sintomi su piante so- stituite nel frutteto in esame dopo l’anno di impianto e prima del 2018, anno del rilievo (Tabella 1).

Classe 1 Pianta sana: nessun sintomo

Classe 2 Pianta sintomatica: foglie di dimensioni ridotte e di colore chiaro

Classe 3 Pianta deperita: vegetazione in stato di sofferenza evidente e presenza di mazzetti fiorali avvizziti Classe 4 Pianta morta: completo disseccamento della chioma

Classe 5 Pianta sana da sostituzione post impianto Classe 6 Pianta sintomatica da sostituzione post impianto Classe 7 Pianta deperita da sostituzione post impianto Classe 8 Pianta morta da sostituzione post impianto

Tabella 1

monitorati non si osserva una signifi- cativa aggregazione di tutti i sintomi: è il caso di quattro filari lunghi poco meno di cento metri per un totale di 485 piante e la configurazione deci- samente “allungata” del frutteto ha abbassato la potenza diagnostica del test statistico scelto. È pur vero che in altri sporadici casi la disposizio- ne di un singolo sintomo all’interno dell’appezzamento risultava casuale: si tratta comunque di una sola classe sintomatica tra tutte quelle presenti nel frutteto e quando questa presen- ta un numero limitato di occorrenze rispetto al totale delle piante.

Il test utilizzato per verificare l’esi- stenza dell’aggregazione delle sinto- matologie non dà, però, alcuna infor- mazione riguardo alla “forma” della

correlazione spaziale tra gli stessi sin- tomi, ovvero fino a quale distanza l’in- formazione misurata in un punto si propaghi nelle vicinanze.

Partendo dal presupposto che “ogni cosa è correlata a qualsiasi altra, ma le cose vicine sono più relazionate di quelle lontane” (Tobler 1970 Econ. Geogr. 234-240), si è ipotizzato che la probabilità con cui un sintomo pos- sa ripetersi nello spazio diminuisca esponenzialmente con il quadrato della distanza rispetto al punto in cui il sintomo viene registrato. Que- sta “struttura di autocorrelazione”, chiamata “exponentiated quadratic kernel” è ampiamente utilizzata nelle tecniche di statistica computazionale e dell’apprendimento automatico (Ra- smussen & Williams 2006 Gaussian

Foto 1

Frutteto colpito da moria

Foto 2

Immagine aerea di frutteto con forte incidenza di moria

Processes for Machine Learning, MIT Press). L’obiettivo di questa analisi è quello di avere informazioni riguardo la “potenza” del fenomeno propagati- vo (lunghezza scala). Il procedimento di calcolo è molto laborioso e lungo anche per computer molto potenti, per questo motivo in una prima fase si è effettuata questa analisi ai soli dati di un frutteto (Dambel) che è comun- que un caso esemplare per lo studio del fenomeno della moria (Foto 2). Come riportato in Figura 1, i sintomi tendono a perdere la loro aggregazio- ne solamente a distanze maggiori di 4 metri. In altre parole, nel caso dell’ap- pezzamento di Dambel possiamo dire che attorno a una pianta appartenen- te a una certa classe sintomatica c’è un’alta probabilità di trovare altre piante con gli stessi sintomi e le tro- veremo probabilmente non solo nel-

le immediate vicinanze, ma anche più lontano.

Questo risultato apre nuovi interro- gativi in quanto la lunghezza scala dell’aggregazione è più grande sia della distanza tra le piante, sia del- la distanza tra i filari. È lecito quindi ipotizzare che il “fenomeno moria” non sia legato solamente alle carat- teristiche del singolo melo, ma ad un’interazione di fattori che ha un raggio di azione più esteso dell’area di competenza della singola pianta. I fattori che compongono questa inte- razione e che sono in gioco quando si manifesta la moria non sono an- cora noti e meritano sicuramente di essere individuati: il metodo descritto può indirizzare la futura campagna di acquisizione di misure utili ad appro- fondire maggiormente la conoscenza del fenomeno.

Figura 1

Analisi dell’autocorrelazione spaziale della classificazione sintomatologica del fenomeno moria del melo. L’analisi riguarda il frutteto di Dambel. Il sintomo osservato su una pianta ha un’alta probabilità di venire osservato non solo sulle piante immediatamente vicine, ma fino ad una distanza di 4 metri. La “potenza” dell’aggregazione spaziale diminuisce man mano che ci si allontana dalla pianta. A distanze maggiori di 4 metri l’effetto dell’aggregazione (autocorrelazione spaziale) diventa insignificante.

Distanza (m)

Elaborazioni: Agrometeorologia e Sistemi Informatici, Fondazione Edmund Mach

Aut ocor relazione sp aziale (nor malizzat a) 0 0,00 0,25 0,50 0,75 1,00 1,25 2 4 6

La gestione delle malerbe attraver- so l’impiego di prodotti fitosanitari è una pratica comune per le colture trentine ed in particolare nel melo la molecola maggiormente utilizzata è il glifosate. Il Disciplinare Produzione Integrata trentino (DPI), conforme al sistema di qualità nazionale, am- mette l’impiego massimo di 7 litri per ettaro (p.f. al 30,4% di sostanza atti- va). Il glifosate è stato molto criticato negli ultimi anni perché accusato di avere una correlazione con lo svilup- po di tumori; la commissione UE lo ha ri-registrato per un periodo di 5 anni e sono stati eliminati circa il 50% dei formulati (tutti quelli contenenti l’ammina di sego polietossilata). Date queste premesse è prevedibile che il prodotto non sarà ben presto ri- mosso dal mercato e pertanto a par- tire dal 2015 presso FEM sono state impostate varie prove sperimentali con l’obiettivo di trovare soluzioni alternative all’uso di glifosate, sia di natura chimica che di tipo meccanico, non valutando tuttavia il loro diverso impatto economico. Le strategie inse- rite nella sperimentazione (più di 60 tesi) prevedevano il confronto tra vari

La gestione delle malerbe