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Sviluppo del difetto di UTA Grazie all’alta selettività dell’analiz-

zatore che permette di individuare le molecole sulla base della mas- sa accurata (∆ m/z < 5 ppm) e del pattern isotopico è stato possibile la quantificazione in modalità tar- geted di 4 precursori dell’AAP (IAA; N-(3-indolyacetyl)-L-alanine, IAA-Ala; N-(3-indolyacetyl)-DL-aspartic acid, IAA-Asp; methylated indol-3-acetic acid, Me-IAA) e dello stesso AAP at- traverso l’analisi degli standard puri. Come si osserva in Figura 1, la pro- ta essere una delle più suscettibili. In

seguito, è stato osservato non solo in Europa, ma anche in Australia, Nuova Zelanda e USA. L’aroma caratteristico di questo off-flavour, ricorda fiori di acacia, naftalene, straccio bagnato, cera, smalto e vernice e porta alla perdita del tipico bouquet del vitigno e conseguente perdita di qualità del prodotto. Il principale responsabile di questo difetto è 2-aminoacetofenone (AAP) che si forma principalmente per degradazione ossidativa non enzima- tica dell’acido indol-3-acetico (IAA) catalizzata da radicali dell’ossigeno (ossidrile, ·OH e superossido, O2-; Ho-

enicke et al. 2002 J. Agric. Food Chem. 50:4303-4309). A seconda del vino, l’AAP può avere una soglia sensoriale che va da 0,5 a 1,5 μg/L. L’IAA, auxina principale delle piante, si può trovare all’interno dell’uva e quindi del mosto non solo in forma libera, ma anche legato a zuccheri e amminoacidi, mo- dalità utilizzata dalla pianta per accu- mulare molti dei suoi metaboliti. Un altro composto di interesse nello svi- luppo di UTA è il triptofano (TRP), un amminoacido con ruolo di nutriente azotato per il lievito. Questo amino- acido, presente in uva e mosto viene metabolizzato dal lievito durante la fermentazione alcolica portando allo sviluppo di indoli, precursori dell’AAP. Secondo un’opinione diffusa e unani- me, l’UTA ha quindi origine già nel vigneto, infatti la gestione del suolo e la nutrizione azotata possono influ- ire sui contenuti di TRP e IAA natural- mente presenti in uva. Non essendo sempre possibile intervenire tempe- stivamente e in modo adeguato su tali dinamiche è importante valutare delle pratiche enologiche che posso- no impedire o ritardarne la comparsa di questo difetto nel vino finito.

Il piano sperimentale

Il lavoro condotto presso i laboratori dell’Unità di Chimica Vitienologica e Agroalimentare, mirava ad appro- fondire la valutazione dell’efficacia di alcuni coadiuvanti enologici (tannino di galla, TNG; tannino ellagico, TNE; tannino d’uva, TNU; acido ascorbico, ASC; glutatione, GSH), addizionati in

duzione di AAP in sei giorni di riscal- damento non sembra essersi con- clusa mostrando un fenomeno in regolare crescita. Nel vino prodotto senza alcun trattamento (control- lo) si raggiungono i 4 µg/L di AAP, mentre i campioni trattati con ASC riportano i valori di produzione più bassi (max 0,8 µg/L), confermandolo come miglior prodotto utilizzato nel ridurre lo sviluppo potenziale di UTA. I tannini mostrano una buona effica- cia, soprattutto per il TNG che non raggiungendo però i risultati ottimali dell’ASC, mentre il GSH è il coadiu- vante con minor effetto protettivo, raggiungendo concentrazioni di AAP pari al controllo. Come atteso, l’IAA libero e legato nel tempo tendono a diminuire (Fig. 2) andando incon- tro a degradazione ossidativa che

li trasforma in parte in AAP. Il calo si dimostra però più accentuato nel caso del vino di controllo e del vino fermentato in presenza di GSH. Que- sto si ripercuote infatti in una produ- zione maggiore di AAP. Molto inte- ressante notare che i vini fermentati in protezione con ASC e TNU, pro- ducono durante la fermentazione un contenuto di IAA minore rispetto agli altri coadiuvanti/antiossidanti utilizzati, fornendo quindi una con- centrazione di precursore più bassa. Al contrario, TNE e TNG producono un contenuto totale di IAA in media più elevato del campione di control- lo, ma nonostante questo formano durante l’invecchiamento una con- centrazione AAP limitata, soprattutto nel caso del TNG che non supera la soglia olfattiva.

Figura 2

Concentrazione dell’acido indol-3-acetico libero e legato (IAA tot; µg/L) riscontata nei campioni di vino ottenuti da mosti fermentati in presenza di diversi coadiuvanti/antiossidanti

(ASC = acido ascorbico; GSH = glutatione; TNE= tannino ellagico; TNG = tannino di galla; TNU = tannino d’uva) e successivamente sottoposti a invecchiamento forzato (T0 = vino giovane; T3 = 40°C per tre giorni; T6 = 40°C per sei giorni)

Figura 1

Concentrazione del 2-aminoacetofenone (AAP; µg/L) riscontata nei campioni di vino ottenuti da mosti fermentati in presenza di diversi coadiuvanti/antiossidanti (ASC = acido ascorbico; GSH = glutatione; TNE= tannino ellagico; TNG = tannino di galla; TNU = tannino d’uva) e successivamente sottoposti a invecchiamento forzato

(T0 = vino giovane; T3 = 40°C per tre giorni; T6 = 40°C per sei giorni)

Fra le diverse masse di mosto va- lutate, il Pinot bianco si è mostrato come la più suscettibile allo svilup- po di AAP, raggiungendo concen- trazioni nel controllo di circa 4 µg/L di AAP, mentre il Pinot grigio risulta essere la meno predisposta, con un massimo di circa 1,5 µg/L. Il Riesling, che viene normalmente descritto in letteratura come la varietà più su- scettibile all’UTA, in questo studio la partita utilizzata ha dimostrato non essere particolarmente predisposta, con concentrazioni finale di AAP mol- to inferiori al Pinot bianco (max 2,7 µg/L nel controllo).

Conclusioni

Questo studio ha confermato come l’ASC sia il prodotto antiossidante più appropriato nella gestione dello svi- luppo dell’AAP. Con effetto quasi pa- ragonabile, anche il TNG non mostra produzioni di AAP maggiori di 1 µg/L, mentre Il GSH non si è dimostrato molto efficace producendo, dopo in- vecchiamento accelerato, AAP in con- centrazione pari a quella di un vino non protetto. Interessante la valutazio- ne di come i diversi coadiuvanti intera- giscano nella chimica del vino, bloccan- do a volte la formazione dei precursori e altre la formazione dell’AAP.

Circa vent’anni fa fu trasmessa la pri- ma puntata di CSI (Crime Scene Inve- stigation) e da allora divenne molto popolare pensare che qualsiasi ana- lisi chimica potesse essere effettuata in tempi rapidissimi, semplicemente iniettando una sostanza in uno stru- mento chiamato “spettrometro di massa”. Di fatto, le cose non erano e non sono tutt’ora così semplici, però bisogna ammettere che negli ultimi 20 anni le strumentazioni scientifi- che dedite alle analisi chimiche han- no raggiunto livelli prestazionali tali da poter semplificare sensibilmente i vecchi approcci analitici. I sistemi cro- matografici (liquidi e gassosi) accop- piati a spettrometri di massa a triplo quadrupolo e/o ad alta risoluzione (LC-MS/MS, GC-MS/MS, LC-HRMS),

rappresentano le strumentazioni che più hanno contribuito a rivoluzionare il modo di operare.

Nel caso dei metodi finalizzati alla determinazione di residui di fito- farmaci, il punto di svolta è arrivato circa 15 anni fa dall’intuizione di due giovani ricercatori, M. Anastassia- des e S.J. Lehotay i quali, sfruttando le potenzialità degli spettrometri di massa, hanno messo a punto un metodo di estrazione molto sem- plice ma altrettanto efficace che ha rivoluzionato letteralmente l’anali- si multiresiduale. Il metodo è stato chiamato QueChers - Quick, Easy, Cheap, Effective, Rugged and Safe (Anastassiades et al. 2003 JAOAC Int. 86(2):412-31) e nel 2009 è diven- tato metodo ufficiale europeo (EN