INTORNO ALLO SCAMBIO DELLA PERSONALITÀ
3.3. IL COMPORTAMENTO DELL’IMPOSTORE
Come dice Fo nel suo Manuale minimo dell’attore, non basta travestirsi e mettere la maschera, bisogna saper anche agire,13 quindi il comportamento – in virtù del quale Jurij Lotman distingue lo sciocco (дурак) dal folle (сумасшедший), e che poteva anche determinare lontananza o vicinanza tra re e buffone – rappresenta un secondo oggetto di analisi per i protagonisti delle nostre due commedie. Scrive Lotman:
La contrapposizione binaria dello scemo e del folle può essere analizzata come generalizzazione di due antinomie: scemo vs intelligente e intelligente vs folle. Insieme essi formano una struttura ternaria: scemo-intelligente-folle. Lo scemo e il folle in questa costruzione non sono sinonimi, ma antonimi, poli estremi. Lo scemo è privo di una pronta reazione alla situazione che lo circonda. Il suo comportamento è totalmente prevedibile. […] Per questo i suoi atti sono assurdi, ma totalmente prevedibili. […] Terzo elemento del sistema è il comportamento insensato, il comportamento del folle. Esso si differenzia per la libertà ulteriore che il suo portatore riceve nel violare i divieti, nel poter compiere atti, vietati all’uomo “normale”. Questo conferisce alle sue azioni il carattere dell’imprevedibilità. Quest’ultima qualità, distruttiva come sistema di comportamento costantemente attivo, inaspettatamente si rivela molto efficace in situazioni fortemente conflittuali.14
Entrambi i drammaturghi forniscono rappresentazioni efficaci dei rispettivi personaggi. Gogol’ mette in scena Chelstakov come “un po’ citrullo, o, come si suol dire, senza sale in zucca” (p. 494);15
mentre Fo presenta un Matto molto intelligente, capace di farsi pagare per le sue pseudo-prestazioni, in grado di correggere la grammatica del commissario, di vantare conoscenza dei codici penali, insomma di esibire un
13 Fo, D., Manuale minimo dell’attore. Einaudi, Torino 2009, p. 22. 14
Lotman, Ju., La cultura e l’esplosione. Feltrinelli, Milano 1993, p. 56.
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comportamento pienamente rispettoso delle regole sociali: “Non può! O la camicia di forza o niente. Sono un matto, e se lei mi mette le manette… articolo 122 del codice penale: «chi impone in veste di pubblico ufficiale strumenti di contenzione non clinici o comunque non psichiatrici a un menomato psichico così da procurargli crisi del suo male, incorre in reato punibile da cinque a quindici anni»” (p. 13).
Se utilizziamo la struttura ternaria proposta da Lotman, ossia la successione sciocco-intelligente-folle, notiamo che Chlestakov viene promosso durante la commedia da sciocco a intelligente: egli infatti riesce a strappare soldi da funzionari veri. Il Matto di Fo, invece, è intelligente fin dall’inizio, nonostante un documento certifichi la sua insania: “Ma io sono un matto: matto patentato!”(p. 10). Sempre a proposito del Matto, notiamo come la sua finzione, il suo “ridere” delle regole sociali non possa che condurre all’autodistruzione, in quanto, come ha osservato Bachtin, il riso del folle è il riso della morte.16
I due autori introducono dunque gli impostori seguendo due schemi differenti: per Gogol’ proprio l’impostura conduce il protagonista dalla stupidità all’intelligenza, prima che sia rivelata la verità; per Fo, invece, l’impostore è un matto-intelligente, che marcia verso l’autodistruzione nel momento stesso in cui contribuisce a rivelare la verità.
L’impostura si coniuga quindi all’abito mentale, oltre che all’abito fisico. Essa è correlata alla follia, ma anche all’intelligenza: ciò significa che un impostore deve saper rapportarsi alla realtà che lo circonda e tradurla in modo appropriato alle proprie finalità. Nel caso di Gogol’ abbiamo a che fare con una impostura diffusa nella società slava orientale, come
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dimostrava la diffusione degli aneddoti e la quantità di opere che se ne ispiravano: per questo il suo protagonista diventa impostore in maniera pressoché passiva, e solo in un secondo momento approfitta di una situazione che riconosce. Il Matto di Fo, invece, è il principale artefice della situazione stessa: è lui che crea le condizioni per cui l’impostura abbia successo e determini le regole del gioco; è lui, infine, a soccombere sotto il peso della verità, dopo essere stato spogliato dell’abito ufficiale. L’impostore di Gogol’ è un personaggio del proprio tempo, specchio di una condizione generalizzata della società russa e del suo rapporto col potere centrale: “Non prendertela con lo specchio se hai il muso storto” (p. 491),17
questo il detto popolare che Gogol’ mette in esergo alla sua commedia. Il Matto di Fo è invece un impostore-sovversivo, che intende far luce sulle aberrazioni del potere e dire la verità a chi lo sta ascoltando.
È da ricordare, solo per fare pochi esempi, che sotto l’abito della follia ha trovato rifugio pure l’Amleto shakespeariano, che coglie l’opportunità di tramare a suo piacere la vendetta fingendosi matto; nonché Tristano, che si finge buffone per salvare Isotta. Nel caso di Gogol’ dobbiamo pensare che sotto l’impero di Nicola I era molto più auspicabile apparire sciocchi che folli: di folli veri o presunti erano già pieni gli orrendi manicomi; della follia si aveva paura, e spesso essa era collegata dai contemporanei addirittura al male assoluto, alla negazione della divinità, attraverso dei quadri mentali che sono stati ricostruiti da Foucault nel libro Storia della follia nell’età classica.18
La follia avrebbe condotto Chlestakov ad una fine amara, in un modo o nell’altro; l’essere un po’ sciocco, e
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«На зеркало неча пенять, коли рожа крива» p. 5.
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soprattutto l’essere capace di trasformarsi per breve tempo in intelligente, gli consente di fuggire col bottino della sua truffa.