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DA GOGOL’ AL NOVECENTO

6.3. IL «REVISORE» DI GOGOL’-MEJERCHOL’D

La rappresentazione del Revisore del 1926 è dunque il frutto di una lunga esperienza di regia e recitazione vissuta da Mejerchol’d. La possiamo considerare il culmine dell’intera vicenda del regista, oltre che un tentativo di portare ad unità l’intera opera gogoliana e la vita privata dell’autore ucraino con i suoi dubbi, le sue incertezze e i suoi misteri. Come scrive Rudnickij riguardo a questa messinscena, Mejerchol’d aveva deciso di rappresentare attraverso il Revisore: “Gogol’ come la Russia”:

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Mejerchol’d si prefisse lo scopo di mettere in scena non il Revisore, ma Gogol’, come un tutt’uno artistico, Gogol’ come stile, e Gogol’ come un mondo a parte, Gogol’ come la Russia.40

Mejerchol’d rifiuta le maschere della commedia dell’arte e l’intera gamma dei dispositivi del teatro da baraccone. Propone invece di vedere il Revisore dal punto di vista di Merežkovskij, che lo aveva definito enigmatico.41 E decide di mescolare le diverse fasi della produzione dell’autore ucraino senza rispettare la rigida distinzione in tre fasi diverse adottata dai critici. Per la messinscena, che avrebbe richiesto un anno e quattro mesi di lavoro, Mejerchol’d arriva ad approfondire la sua ricerca sull’autore fino al punto di recarsi a Roma e frequentare i posti dove il drammaturgo aveva passato gran parte del suo tempo durante il soggiorno italiano. Mejerchol’d frequenta dunque i luoghi, dove un solitario Gogol’ aveva passato le sue giornate dedicando delle righe alla situazione dell’Impero russo e all’anima slava. Mejerchol’d rilegge quello che Gogol’ leggeva, frequenta i musei e vede i quadri che Gogol’ aveva visto. Solo in seguito, con M.M. Korenev, inizia a ristabilire i passaggi del testo soppressi dalla censura ed elabora il testo per la sua messinscena.

Dopo molte correzioni, il testo finale risulta composto da quindici episodi, raccolti in cinque atti, intitolati ed elaborati a partire da diverse opere gogoliane, come pure i personaggi provengono dalle diverse fonti che animano lo spettacolo (La prospettiva Nevskij; Il Matrimonio; I Giocatori; Le Anime morte; Il Diario di un pazzo; I Racconti di Pietroburgo). Il testo

40 Rudnickij, K., Režisser Mejerchol’d cit., p. 352. “Мейерхольд задался целью сыграть

не «Ревизора», но Гоголя – как некое художественное целое, Гоголя – как стиль и Гоголя – как особый мир, Гоголя – как Россию.” (traduz. nostra).

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presenta un montaggio che ricorda la coeva tecnica cinematografica. Ecco la successione degli episodi: 1. La lettera di Čmychov – pis’mo Čmychova (dal Revisore); 2. Un affare imprevisto – Nepredvidennoe delo (dal Revisore); 3. Il Narvalo – Edinorog (da La prospettiva Nevskij); 4. Dopo Penza – Posle Penzy (dal Revisore); 5. Scena eseguita con tenero amore – Ispolnena nežnejščeju ljubov’ju (Variante del Revisore); 6. La processione – Šestvie (dal Revisore); 7. Intorno a una bottiglia di Tolstobrjučka – Za butylkoj tolstobrjuški (dal Revisore); 8. Un’elefante piegato sulle gambe – Slon povalen s nog (dal Revisore); 9. Le bustarelle – Vzjatki (dal Revisore); 10. Il signor Finansov – Gospodin Finansov (dal Revisore) 11. Baciami – Lobzaj menja (dal Revisore) 12. La benedizione – Blagoslovenie (dal Revisore) 13. Sogni su Pietroburgo – Mečty o Peterburge (dal Revisore); 14. Un trionfo come si deve – Toržestvo kak toržestvo (dal Revisore) 15. Incredibile confusione; Scena muta – Besprimernaja konfuzija (dal Revisore e da Diario di un pazzo).42

Oltre che prevedere questo ardito montaggio, la rappresentazione contempla pure, a più riprese durante il suo svolgimento, che si pronunci la famosa frase di Puškin – “Com’è triste la nostra Russia” «Боже, как грустна наша Россия». Era la frase con cui il poeta aveva reagito alla lettura delle Anime Morte.

Non mancano personaggi inventati, come il piccolo capitano in blu, una specie di ombra di Chlestakov, così presente, così vivo da colpire per la sua inaspettata inutilità. Al contempo, diminuisce l’importanza della figura

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Danilov, S., Gogol’ i teatr cit., p. 253. Traduzione italiana tratta da Picol-Vallin, B.,

del Sindaco, che nelle prime rappresentazioni ottocentesche risultava sempre una figura centrale dello spettacolo.

Un’elaborazione simile del testo gogoliano da parte di Mejerchold’ costringe la critica a non limitarsi alla conoscenza del solo Revisore. Occorre conoscere a fondo l’intera opera gogoliana, ma anche la critica che l’aveva commentata: Mejerchol’d, oltre che a Merežkovskij, si ispirava ai formalisti russi (Ejchenbaum, Tynjanov, Šklovskij). Possiamo anticipare che la stessa tecnica verrà utilizzata da Fo, quando costruirà i suoi testi sul montaggio di brani tratti da diversi classici, dal repertorio popolare e anche dagli archivi, traducendoli a livello religioso, sociale e politico. Per esempio, per Morte accidentale di un anarchico Fo si servirà dell’immagine della burocrazia elaborata dall’autore ucraino. Non solo: abbiamo già avuto modo di notare come nella figura del Matto si potessero scorgere allusioni ad altre opere gogoliane, dal Diario di un pazzo al Cappotto. Come pure abbiamo avuto modo di osservare che nel testo del 1970 ricompariranno ulteriori suggestioni della drammaturgia mondiale, tra le quali un posto di rilievo lo occupa il teatro dell’assurdo di Beckett. Per Fo, come già per Mejerchol’d, saranno importanti le riprese operate anche attraverso i simboli.

Infatti la messinscena mejerchol’diana si pone alla confluenza di simbolismo, futurismo, neo-costruttivismo e teatro di piazza. Il punto d’arrivo è la trasformazione dell’opera gogoliana in chiave di realismo grottesco, proprio a partire dalla prossimità del riso gogoliano con l’orrore e la paura. Per questo Mejerchol’d impone ai suoi attori di rifiutare la comicità clownesca. D’altra parte, anche la scena è spostata. L’azione del Revisore mejerchol’diano non si svolge più nella provincia remota, bensì in

quella Pietroburgo dove il drammaturgo aveva vissuto i suoi anni principali. Ed è una Pietroburgo così oscura da far rabbrividire gli spettatori sovietici. Prendendo a piene mani dall’assurdo e dalla forma aneddotica del testo gogoliano, gli episodi devono volgere dal comico al tragico, dal realismo al bizzarro, dal vero all’assurdo, al punto da spiazzare per la mutevolezza, che d’altro canto rende giustizia alla multiformità dell’opera dell’autore ucraino. I continui mutamenti nel testo, nei personaggi e negli ambienti rendono questa Pietroburgo un luogo enigmatico: è in fondo “la città delle nostre anime”,43

che Gogol’ stesso avrebbe voluto vedere portata in scena.

Alla sequenza inquietante delle scene fa da accompagnamento un rumore continuo: grida, muggiti, colpi battuti su diversi materiali, gorgoglio d’acqua, esclamazioni corali e una musica che comprende i valzer e le romanze di Glinka, Varlamov e Dargomyžskij. Il rumore dura per tutto lo spazio della rappresentazione: vale a dire per quattro ore, interrotto solo da silenzi ancor più dirompenti, e accompagna lo svolgimento in un crescendo fino all’esito finale, che diventa addirittura apocalittico. Per rendere il finale più efficace, e più fortemente tragico, proprio come aveva auspicato Gogol’. L’arte del teatro – come dice Mejerchol’d agli attori – deve costruirsi sul contrasto, come nelle nature morte fiamminghe.44 E di contrasti, verbali, visivi e sonori la messinscena mejerchol’diana del Revisore era piena.

Anche sui costumi viene svolta un’attenta riflessione. Mejerchol’d vuole costumi d’epoca, ma mescola foggia russa e foggia ucraina, e mette in contrasto i colori sgargianti di certi personaggi – la moglie del Sindaco – con i toni grigi delle vesti dei funzionari governativi. Chlestakov, da parte

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Gogol’, N., Scioglimento del Revisore, in ID, Opere cit., p. 638.

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sua, è vestito di nero dalla testa ai piedi, contribuendo non poco a rendere le atmosfere assai inquietanti. Alla fine i vestiti diventano specchio della vita e del carattere dei personaggi: era quanto Gogol’ aveva creato con il cappotto di Akakij Akakevič.

Il disorientamento e lo straniamento perseguiti da Mejerchol’d devono risultare non solo dal testo, dai costumi e dalle atmosfere, ma anche dalla scenografia. Un montaggio simile dell’opera gogoliana, dispersa tra luoghi differenti, richiede una scenografia insolita: una scenografia mobile, che dà la possibilità di cambiare sfondo ad ogni episodio. Mejerchol’d ottiene il risultato voluto solo dopo aver discusso e cambiato quattro scenografi.

Il dispositivo scenografico comprende due elementi, uno in parte fisso, l’altro totalmente mobile. Un “muro” semi-ellittico, composto da più pannelli e interrotto da undici porte a due battenti. A destra e a sinistra si trovano due pannelli simmetrici, ciascuno dotato di due porte e formanti un angolo chiuso verso la sala, col risultato di prolungare il dispositivo scenografico: di realizzare, cioè, uno spazio-arena ovale. Le quindici porte, oltre che a creare una sensazione di attesa, servono anche per dividere lo spazio scenico in diversi pezzi e per provocare una visuale esterno-interno. La scenografia semiellittica è composta da cinque muri: sono muri mobili, e la luce illumina i successivi episodi mentre nel buio si svolgono i preparativi per le scene seguenti. Ogni episodio ha la propria scenografia: abbondano gli oggetti in stile Nicola I, che condividono uno spazio strettissimo con una gran quantità di attori, in modo da dare l’impressione di una folla. Una folla, una ressa, dove nessuno può muoversi liberamente: ecco che trova spiegazione la recitazione biomeccanica. Come hanno notato alcuni critici

(Picon-Vallin, Schino e altri), la scenografia mejerchol’diana richiama l’architettura dei teatri di marionette; il movimento degli attori rievoca quello delle marionette stesse. Così viene distrutto il teatro borghese, attraverso un’architettura più vicina al cinema che al teatro; allo stesso tempo, si celebra anche il trionfo del teatro sul cinema: con le sue prospettive che ingrandiscono o riducono le dimensioni degli attori attraverso effetti luminosi. Tutto è contrasto e tutto coesiste: scenografia – oggetti – mobili – attori.

In questa successione di contrasti, in questo affollamento di mobili e di oggetti, è tutto affidato alla maestria dell’attore, che si muove in uno spazio limitato, affollato dai personaggi secondari, che costringe tutti a muoversi in sincronia, come nel teatro delle marionette, e questo contribuisce non poco all’effetto grottesco. Ma che cos’è quella scenografia così affollata per il registra-pedagogo Mejerchol’d se non l’immagine della città moderna, abitata dai lavoratori, modellata sui tempi e i movimenti delle masse?

Tutto richiama il teatro delle marionette, fino alla scena muta finale. Prima del silenzio conclusivo il rumore arriva ad una potenza tale da creare disturbo e turbamento nello spettatore. Alla mobilità frenetica si sostituisce di colpo l’immobilità. A questo punto, dal soffitto scendono dei pupazzi veri e propri, che sostituiscono i personaggi-fantocci,45 creando così quel tableau vivant desiderato dallo stesso Gogol’.

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6.4 DARIO FO: L’UOMO-TEATRO ALLA LUCE DELLE TEORIE DI