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Comunicazione olistica

Nel documento Dal complesso al semplice (pagine 73-78)

3. Si fa per dire

3.2. Comunicazione olistica

Normalmente viene posta una precisa distinzione tra il sistema di comunicazione dei primati, fondato sull’uso di un sistema di versi e gesti altamente efficace seppur limitato, in cui ogni dato ‘enunciato’ trova il suo significato dalla sua interezza e non dalla somma degli elementi portatori di significato e il linguaggio umano che, d’altra parte, è normalmente definito come un sistema analitico e basato sulla grammatica. Limitarsi a una visione di questo tipo, tuttavia, significa nella prospettiva adottata da Wray (1998, 2000, 2002), trascurare una caratteristica fondamentale della nostra comunicazione linguistica attuale: molto di ciò che diciamo è di tipo formulaico, pre-memorizzato in unità multi-parole pronte per un rapido recupero, senza alcun bisogno di applicare regole grammaticali (Becker, 1975; Ellis, 1996; Nattinger e DeCarrico, 1992; Sinclair, 1991; Wray e Perkins, 2000). In altre parole, producendo e comprendendo linguaggio operiamo in parte in maniera olistica, attraverso il ricorso a una gamma di tipi di stringhe prefabbricate di parole che, rientrando tutte sotto l’indicazione di sequenze formulaiche, possono essere caratterizzate dal fatto di essere:

- intrinsecamente olistiche (non richiedendo l’intervento della grammatica per essere formate);

- semanticamente olistiche (pur “suonando” grammaticalmente formate, portano con sé un significato che oltrepassa quello delle singole parti); - articolate in una precisa forma socialmente riconosciuta, per convogliare

In effetti, ad uno sguardo più approfondito, è innegabile considerare che le sequenze formulaiche rappresentino solo raramente l’unico modo in cui è possibile esprimere una data idea ma, proprio per questa ragione, è importante soffermarsi sul fatto che molto spesso sono senza alcun dubbio il modo preferito attraverso cui si decide di trasmettere un preciso messaggio (Gibbs, 1989, 2007, 2012; Van Lancker Sidtis et al., 2012, 2013). Così, ad esempio, calandoci all’interno di una dimensione conversazionale effettiva, se è vero che ‘Per cortesia, potresti realizzare un atto di gentilezza nei miei riguardi?’ è di fatto un enunciato comprensibile, sarà comunque molto più probabile che lo stesso messaggio venga confezionato in un assai più comune ‘Puoi farmi un favore?’ (Wray, 2002). Più nello specifico, ad essere preferibilmente espressi in formule olofrastiche sono quegli enunciati che, assolvendo determinate funzioni (prime fra tutte, richiedere, comandare, contrattare), sono accomunati dal fatto di essere utilizzati al fine di provocare determinate reazioni nell’ascoltatore. Per dirla nelle parole della stessa Wray (1998), sono quelle espressioni di cui ci serviamo per far sì che gli altri cambino il nostro mondo per noi sia a livello fisico – ‘mi passi il sale?’; sia mentalmente – ‘raccontami cosa è successo’; sia in relazione alla sfera emotiva – ‘dimmi che mi ami’.

In questa prospettiva sembra plausibile che il vantaggio nel loro essere formulaici sia racchiuso nel fatto che tali enunciati sono così resi all’ascoltatore più facili da riconoscere e da comprendere, cosa che evidentemente è nel pieno interesse del parlante, trattandosi di enunciati direttivi. Essendo prefabbricate, le sequenze formulaiche assolvono la funzione di alleggerire la pressione sui meccanismi di produzione linguistica, evitando l’oneroso passaggio attraverso il lavoro di generazione di un enunciato ogni qualvolta si voglia dire qualcosa. Così, tre tipi di sequenze possono essere identificate come particolarmente vantaggiose per il parlante nelle reali situazioni comunicative:

- le espressioni formulaiche che, come abbiamo visto, alleviano il processo di produzione rappresentando semplicemente la scelta automatica e il modo abituale di esprimere un’idea comune;

- le pause riempitive, sequenze relativamente scarne dal punto di vista del contenuto semantico espresse in maniera più o meno automatica nel momento in cui la pianificazione dell’espressione potrebbe altrimenti causare un’interruzione nella produzione (es. E’ davvero una domanda interessante; Un’altra cosa che vorrei dire…);

- Gli enhancers di memoria: anche in questo caso, sequenze formulaiche che consentono l’accesso ad un tipo di informazione altrimenti difficilmente recuperabile (es. Come quando fuori piove è la stringa utilizzata per ricordare facilmente il valore dei semi delle carte nel gioco del poker).

Attraverso un’analisi comparativa tra le funzioni delle sequenze formulaiche che caratterizzano il linguaggio umano e le funzioni che le espressioni olistiche nella modalità “versi e gesti” sembrano assolvere nei primati non umani, Wray tenta di dimostrare una stretta correlazione che possa essere intesa come elemento a testimonianza di una visione continuista. Abbracciando l’idea già esposta precedentemente da Reiss (1989), la linguista pone l’accento sul fatto che i versi dei primati non umani possano essere ascritti a quattro dei cinque tipi di categorie di atti linguistici identificate da Searle (1979, 1983): commissivi – includono minacce e offerte; direttivi – includono la richiesta di cibo e di grooming, la manifestazione di dominanza e di sfida; espressivi – includono i saluti e i collanti sociali; assertivi – includono la comunicazione della presenza di cibo. Come appare abbastanza chiaro, le funzioni delle espressioni olistiche nei primati non umani possono essere considerate in analogia con le espressioni olistiche di cui ci si serve nel linguaggio umano: in entrambi i casi vi si ricorre

nell’ambito di interazioni sociali al preciso scopo di determinare una manipolazione nell’ascoltatore, volta a conferire vantaggio e beneficio al parlante. Intendere le occorrenze caratteristiche del protolinguaggio nei termini di olofrasi, vale a dire nei termini di espressioni multisillabiche convoglianti un significato complesso indipendente dalle parti, significa aprire la strada ad un modello che intenda dar conto della capacità linguistica nei termini pragmatici dell’azione. In linea principio è possibile avere messaggi olistici con ogni tipo di significato tuttavia, due limitazioni intrinseche al sistema olistico – laddove esso operi da solo – determinano vincoli rigidi sulla qualità e il tipo di messaggi che possono essere sostenuti (Tallerman, 2006). La prima limitazione incide sul numero totale di messaggi che il sistema può supportare. Ogni messaggio deve essere mantenuto distinto, dal momento che la sua forma olistica è il solo mezzo per convogliare il significato associato. Se, come assunto dalla linguista, il carattere distintivo di ogni emissione è ottenuto per contrasto fonetico, ne consegue che il numero possibile di messaggi distinti dipenda sostanzialmente da due elementi: il primo risiede nell’abilità del parlante di pronunciare, e in quella dell’ascoltatore di percepire, dal momento che le differenziazione dei messaggi è affidata esclusivamente alle distinzioni fonetiche; l’altro risiede nella capacità di memoria, a cui sono strettamente connessi sia il numero delle stringhe facilmente richiamabili alla mente (memoria a lungo termine) sia la lunghezza massima di ciascuna stringa (memoria di lavoro). La seconda limitazione crea una soglia sulla frequenza con cui una data stringa è utilizzata. È solo attraverso il suo utilizzo che una stringa di suoni può essere acquisita da un nuovo parlante e richiamata nella memoria di ogni altro individuo. Senza la possibilità di far riferimento ad alcun indizio morfologico interno, una stringa poco utilizzata non potrebbe essere ricostruita e, una volta dimenticata, sarebbe semplicemente persa. Per essere

mantenuto nel repertorio, un messaggio deve stabilire un equilibrio tra la specificità e la frequenza risultante.

In effetti, la modalità di comunicazione attraverso espressioni formulaiche, per come presentata da Wray nei termini di automaticità, astrattezza e arbitrarietà, sembra ricadere appieno nelle difficoltà incontrate dall’impianto esplicativo della comunicazione propria del modello del codice. È bene sottolineare come, proprio a partire da questo punto, la nostra posizione all’interno di questo lavoro prende in maniera decisa le distanze dalla proposta della linguista che, se da un lato si fa portavoce di un’aspra critica nei confronti del modello composizionale di protolinguaggio, tra l’altro reo di non essere in grado di fornire una risposta circa l’origine delle proto-parole, dall’altro lato avanza una proposta di protolinguaggio che, partendo dall’assunto che le espressioni olistiche siano arbitrarie, incorre di fatto nello stesso errore. In effetti, un approccio arbitrarista non tiene adeguatamente conto del fatto che le espressioni – qualunque sia la loro forma – nascono in un contesto particolare e sono dunque legate all’evento a cui si riferiscono (Tallerman, 2007, 2012). La nostra idea, più nello specifico, è che le espressioni formulaiche derivino dalle espressioni complesse della pantomima, presentando in origine un legame motivato e iconico con l’evento descritto. In aggiunta a ciò, come vedremo più avanti nel corso del lavoro, il nostro intento è dimostrare come, lungi dall’essere considerate nei termini di metafore morte (Gibbs, 1997, 2007) o di routine cristallizzate, le espressioni formulaiche vengano elaborate non in maniera meramente automatica ma attraverso processi che mettono in gioco anche la valutazione on-line degli indizi propri del contesto extra-linguistico.

Nel documento Dal complesso al semplice (pagine 73-78)

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