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Il presunto fondamento pantomimico del linguaggio formulaico

Nel documento Dal complesso al semplice (pagine 78-84)

3. Si fa per dire

3.3. Il presunto fondamento pantomimico del linguaggio formulaico

Pantomime is characterized by the features of narrative, time and space… (Royce, 1992: 191)

In un’ottica di superamento dell’ipotesi protolinguistica avanzata dalla linguista Wray, prendendo le distanze dall’idea per cui «in a holistic protolanguage, the door for creative engagement with the communication system is firmly closed» (Wray, 2008 :262), la nostra idea è che, a fondamento della stabilità e a garanzia della permanenza delle espressioni olofrastiche nel repertorio protolinguistico, sta il fatto che i primi proto-parlanti in risposta a bisogni condivisi creassero nuove espressioni olofrastiche agganciate al contesto, ciascuna riferita a situazioni complesse di notevole rilevanza e frequenza all’interno della comunità (Arbib, 2005). Ma da dove hanno avuto origine le espressioni olofrastiche del protolinguaggio olistico? Nello scenario evolutivo proposto all’interno di questo lavoro, l’ipotesi è che le strategie comunicative olofrastiche abbiano trovato uno sviluppo in parallelo alle modalità comunicative proprie della pantomima e, basandosi su meccanismi originariamente non collegati specificamente alle abilità linguistiche, abbiano sin dall’inizio avuto un significativo aggancio al contesto d’uso, trovando realizzazione a partire da quei centri cognitivi deputati alla realizzazione dell’azione complessa (in gioco nella pantomima). Nello specifico, il sistema specchio per il grasping (Arbib, 2002, 2012; Rizzolatti e Arbib, 1998) avrebbe giocato un ruolo chiave nello sviluppo delle abilità pantomimiche (Corballis, 2011) che consentono di riprodurre intenzionalmente azioni ed eventi del mondo in maniera non linguistica (Donald, 1991; Zlatev, 2008). Una rilevanza di primo piano è riconosciuta al sistema specchio nella misura in cui, a differenza di quanto accada negli altri animali, negli umani esso si avvia anche nell’ambito di

situazioni in cui non è presente l’oggetto verso cui il movimento è diretto (Fadiga et al., 1995). In altre parole, il sistema specchio rappresenterebbe un cambiamento cruciale nel percorso evolutivo del linguaggio in quanto, negli animali umani, esso risponde attivamente anche agli atti intransitivi – come gli atti pantomimici – e non solo a quelli transitivi (Iacoboni, 2008).

The mechanisms that support language in the human brain evolved atop a basic mechanism not originally related to communication. Instead, the mirror system for grasping, with its capacity to generate and recognize a set of actions, provides the evolutionary basis for language parity – the property that an utterance means roughly the same for both sender and receiver […] To place the holophrastic view within the context of the Mirror System Hypothesis, note that much of pantomime is holophrastic […] It becomes plausible, but not uncontroversial, to assert that many of the “protowords” of the earliest protolanguages were unitary utterances or holophrases more akin in their meaning to whole action-object frames than to the verbs or nouns (Arbib, 2012 :256).

Negli ultimi anni, nell’ambito delle indagini sull’origine del linguaggio, l’interesse degli studiosi si sta orientando sempre più di frequente nella direzione dei cosiddetti “scenari pantomimici” (Arbib, 2005, 2008, 2012; Donald, 1991, 2001; Tomasello, 2008, Zlatev, 2008). La capacità di poter ricorrere alla pantomima al fine di comunicare contenuti complessi senza dover far affidamento su significati convenzionali prestabiliti e il fatto che questo tipo di comunicazione appaia naturale e universale (Bellew, 2011), in effetti, rendono la pantomima un

candidato particolarmente interessante per chi abbia come obiettivo quello di dar conto dell’evoluzione del linguaggio in chiave naturalistica. Tuttavia, come ben sottolineato da McNeill (2005), una prima grande difficoltà cui si fa fronte nel percorrere questa strada è «the lack of definition of pantomime» (2005 :6) in ambito scientifico. Certi che i prossimi anni di ricerca condurranno a una sua definizione più rigorosa e sistematica, all’interno di questo lavoro ci riferiremo alla pantomima nei termini di un sistema intrinsecamente comunicativo, non convenzionale e motivato (Arbib, 2002), potenzialmente multimodale e a carattere mimetico (Donald, 1991; Zlatev, 2008), basato sui movimenti dell’intero corpo per rappresentare azioni e convogliare significati complessi (Cartmill et. al, 2012) – olistici e non segmentabili (Kirby, 2015) - orientati a uno scopo; un sistema universale open-ended (Arbib, 2012) di atti comunicativi dislocati. Importante sottolineare, a questo proposito, come il displacement (la capacità di riferirsi a eventi non presenti nell’hic et nunc) nella nostra prospettiva sia da intendersi come un’abilità cognitiva a fondamento delle capacità pantomimiche (prima, e protolinguistiche poi), e non nei termini di una caratteristica esterna dei codici comunicativi (cfr. Cap. 2).

Mimesis is a nonverbal representation skill rooted in kinematic imagination – that is, an ability to model the whole body, including its voluntary action-systems, in three-dimensional space […] Mimesis led to the first fully intentional representations early in hominid evolution, and set the stage for the later evolution of language (Donald, 1998 :48)

Basata sui sistemi di imitazione complessa delle azioni – vale a dire sulla capacità di riconoscere e imitare flessibilmente sequenze di azioni complesse altrui come un insieme di movimenti familiari orientati a un obiettivo specifico -, la pantomima si caratterizza come atto intrinsecamente comunicativo (quindi intenzionale) nella misura in cui è di fatto prodotta con l’intenzione di attirare l’attenzione dell’osservatore, di portarlo a pensare a una specifica azione e di suscitare in lui una precisa risposta comportamentale – che si concretizza nella realizzazione dell’azione voluta. Ancora, gran parte della pantomima ha carattere olofrastico, nella misura in cui convoglia un significato complesso nella sua totalità e non in maniera derivabile dalle parti costituenti. Così, nell’esempio classico in letteratura, nel realizzare la pantomima di qualcosa del tipo “è necessario che lui apra la porta”, non sarà possibile rintracciare alcuna separazione fra nome e verbo (per una concezione opposta, vedi Stokoe, 2001) ma il messaggio, nella sua complessità, sarà comprensibile solo sulla base della completa performance mimica. La strategia comunicativa su base pantomimica rientra direttamente nel praxic system dal momento che realizza l’armonia di movimenti in assenza dell’evento cui i gesti, nell’insieme, si riferiscono e, poiché «it is notable that participants may experience a form of “transportation” as consequence of pantomimic representation, as the interaction requires displacement of the experienced world» (Cross et al., 2011 :45), nel percorso evolutivo che ha condotto al linguaggio, può aver verosimilmente gettato le basi per la comprensione di atti intransitivi simbolici. Tuttavia, la comunicazione attraverso la pantomima presenta delle limitazioni. All’aumentare delle situazioni comunicative rilevanti per un insieme di proto-parlanti, è plausibile ipotizzare come sia stato necessario per loro far ricorso a messaggi più densi. Così, sia per chi la produce che per chi l’osserva, la pantomima diviene progressivamente dispendiosa in termini di tempo e di energia. In aggiunta a ciò, nei casi di comprensione

controversa, i proto-parlanti si sarebbero trovati nella scomoda situazione di dover provare a disambiguare la pantomima, ricorrendo ad una pantomima più elaborata (Kenneally, 2008). Nella pantomima potrebbe essere difficile distinguere, ad esempio, il movimento per “uccello” da quello per “volare”; «If I flap my hands to imitate the flapping wings of a bird, do I mean “fly”? Do I mean “bird”? Do I mean “bird flying”?» (Arbib, 2002 :102). Questa inadeguatezza nel comunicare in modo appropriato significati naturali utilizzando la pantomima naturale potrebbe aver favorito l’invenzione di gesti che potessero in qualche modo disambiguare il significato. Ciò ha fatto sì che si spianasse la strada per la comparsa di gesti sempre più economici e meno ambigui. Nello specifico, quindi, per migliorare la riuscita comunicativa, i segnali mimetici atti alla riproduzione di azioni ed eventi originariamente su base iconica hanno via via perso questo legame di somiglianza divenendo, attraverso un processo di convenzionalizzazione (Burling, 2005; Corballis, 2011), sempre più simbolici e astratti. Un indiscutibile vantaggio legato alla convenzionalizzazione è l’incremento dell’efficienza nell’azione comunicativa: i segni arbitrari, infatti, essendo generalmente più brevi, aumentano la velocità di comunicazione e riducendo, al contempo, il rischio di incomprensione dovuta all’ambiguità. Una volta andati incontro al processo di convenzionalizzazione, la descrizione gestuale di eventi perde il suo originario aspetto mimetico, sganciandosi dall’obbligatorietà del canale visivo e rendendo possibile un graduale coinvolgimento delle vocalizzazioni.

So the notion is that the pantomime would give you the possibility of conveying a rich sense of meanings. The arbitrary gestures would come in to begin to allow you to save effort and avoid ambiguity. The

gesture in the end is conventionalized […] Then the sound come into play, and it can begin to become part of an integrated performance (Arbib, 2005 :119).

Una tale abilità sarebbe resa possibile dal sistema specchio che avrebbe determinato un ampliamento nelle capacità di rappresentazione della corteccia motoria «expanding that to the new use in the vocal system […] There may have been stages where pantomime was entirely vocal» (Arbib, 2005 :121). Ed è proprio in questa fase del percorso evolutivo che ha portato al linguaggio che trova spazio la fase protolinguistica caratterizzata dalla strategia olistica delle verbalizzazioni olofrastiche (che, nella nostra proposta, sarebbe “fossilizzata” nelle moderne espressioni formulaiche).

Attraverso la convenzionalizzazione della pantomima, quindi, resa necessaria dal bisogno di incrementare l’efficacia comunicativa attraverso la disambiguazione, si dà luogo a un insieme aperto di gesti e vocalizzazioni, ciascuno collegato a una situazione complessa familiare (quindi di frequenza e di importanza rilevante per i protoparlanti). Così, nell’ipotesi avanzata in questo lavoro, dapprima la pantomima convenzionalizzata e poi le vocalizzazioni protolinguistiche, devono essere descritte, con Donald (1998), nei termini di retrievable (auto-cueing) familiar action-schemata. Essendo un retaggio delle unità comunicative ancestrali, le espressioni olofrastiche proprie del linguaggio formulaico rappresentano un fossile linguistico vivente (McMahon e McMahon, 2012) delle unità vocali protolinguistiche che hanno trovato sviluppo a partire dai sistemi cognitivi a fondamento dello stadio di comunicazione pantomimica. In questa prospettiva, quindi, con Diana Van Lancker-Sidtis (2011) definiamo le espressioni olofrastiche proprie del linguaggio formulaico nei termini di non-propositional speech and

routinized motor-gestures. Ciò che ci apprestiamo a fare, nel prossimo paragrafo, è verificare la validità di una tale definizione action-oriented del linguaggio formulaico e la plausibilità del suo presunto fondamento pantomimico. Con questo obiettivo, attraverso il riferimento a prove empiriche, proveremo quindi a dar conto della sua possibile neuro-locazione e a sondare, in parallelo, lo spettro di proprietà e funzioni che sembrano caratterizzare il linguaggio formulaico.

Nel documento Dal complesso al semplice (pagine 78-84)

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