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Prove di evoluzione in laboratorio

Nel documento Dal complesso al semplice (pagine 98-152)

3. Si fa per dire

3.6. Prove di evoluzione in laboratorio

Sulla base delle concezioni proprie dell’ipotesi olistica, lo stadio protolinguistico sarebbe stato caratterizzato da singole unità convoglianti significati complessi; più che intese nei termini di proto-parole, in questo caso, le unità minime sono quindi da considerarsi alla stregua di enunciazioni complesse. Come abbiamo visto, anche per questa ipotesi teorica è possibile individuare tracce degli elementi caratterizzanti il protolinguaggio all’interno di comportamenti linguistici moderni; nello specifico, l’attenzione si è focalizzata sul cosiddetto linguaggio formulaico. Sebbene non rappresenti l’unico modo a disposizione del parlante per veicolare messaggi, abbiamo sottolineato come nelle reali situazioni comunicative il ricorso ad un tipo di linguaggio olofrastico, elaborato attraverso una strategia olistica che non richiede alcuna applicazione di regole grammaticali, sia di fatto considerato normale e preferito rispetto alle altre possibilità espressive. In questo senso, il linguaggio formulaico rappresenterebbe una scorciatoia mentale, un minor dispendio di energie, sebbene richieda la valutazione on-line degli indizi contestuali (§ 3.4.). Le sequenze formulaiche assolvono la funzione di alleggerire la pressione sui meccanismi di produzione linguistica - evitando l’oneroso passaggio attraverso il lavoro di generazione di un enunciato ogni qualvolta si voglia dire qualcosa – consentendo di snellire e velocizzare quanto più possibile il

lavoro di comprensione. Come abbiamo già sottolineato, una tendenza ad ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo (in risposta all’idiom principle), se largamente perseguita tra i parlanti moderni deve, a maggior ragione, aver guidato gli scambi comunicativi protolinguistici (in cui, senza poter fare affidamento su un linguaggio ben codificato, lo sforzo doveva essere imponente). All’interno dell’approccio olistico il processo di complessificazione attraverso cui si assiste alla trasformazione dallo stadio protolinguistico al linguaggio moderno pienamente sviluppato avviene tramite l’azione di segmentazione (Wray, 1998, 2000). In questa prospettiva, quindi, il “progresso linguistico” (Stam, 1976) segue una traiettoria analitica, e il frazionamento degli enunciati primitivi (le proto-unità multisillabiche) in parole. A partire dalle forme non strutturate associate ad un complesso significato arbitrario, tale operazione di segmentazione sarebbe avvenuta a partire da casuali corrispondenze tra i proto-enunciati:

1. tebima

“give-that-to-her” 2. kumapi

“share-this-with-her”

Ad esempio, in questo caso, il componente morfologico ma e l’unità significativa “her” compaiono in entrambe le olofrasi: da ciò deriva l’estrazione di tali elementi attraverso la segmentazione e, parallelamente alla creazione di singole parole, la capacità di determinare degli schemi sintattici entro cui costruire poi nuove espressioni linguistiche attraverso l’introduzione di variabili:

1. tebi x

2. ku x pi

“share-this-with-y” x= ma

y= her.

La controversia circa la complessità semantica costitutiva degli elementi propri dello stadio protolinguistico è, come abbiamo visto, strettamente collegata al derivante disaccordo inerente i processi di trasformazione dello stesso protolinguaggio in linguaggio umano moderno e, parallelamente, al più spinoso argomento incardinato sull’individuazione degli elementi essenziali del linguaggio.

Come sottolineato da Butz e colleghi (2007),

including the study of the emergence of artificial languages, in simulation settings, allows us to ask a more general question, namely, what are the minimal initial conditions for the emergence of language?

In accordo agli intenti della nostra trattazione, volgeremo l’attenzione a un modello computazionale capace di dimostrare la plausibilità del processo di segmentazione (detto anche di frammentazione) che poniamo alla base del percorso di transizione, che dalle unità espressive complesse del protolinguaggio olistico ci ha condotto ad avvalerci di linguaggio composizionale strutturato. Nello specifico, presenteremo i lavori di simulazione che hanno permesso a Kirby e colleghi (2004, 214, 2015) di osservare l’emergenza evolutiva della struttura composizionale linguistica all’interno di mini-culture create da loro in laboratorio.

Senza alcun dubbio, non possiamo negare che il linguaggio moderno presenti uno straordinario potenziale di composizionalità (i fonemi, unità minime prive di significato, se combinati insieme, danno vita a sequenze linguistiche un po’ più ampie, i morfemi. Allo stesso modo, la combinazione di morfemi crea unità significative più complesse, e così via). Il paradigma esplicativo dell’Iterated learning si fonda sulla possibilità di un apprendimento tramite osservazione; esso consiste in un processo di trasmissione culturale del linguaggio e, ai fini della nostra trattazione, porterebbe prove empiriche a sostegno della plausibilità dell’idea del protolinguaggio complex-first (§ 3.2. e 3.3.). A seguito dell’evoluzione naturale (che nella nostra ipotesi, come abbiamo visto, avrebbe portato al perfezionamento della strategia olistica a partire dalle abilità comunicative nella pantomima e nel protolinguaggio), il linguaggio sarebbe andato incontro ad una nuova fase di convenzionalizzazione (di tipo culturale), il cui risultato sarebbe stata la dimensione composizionale. Nello specifico, ci concentreremo sulla breve presentazione recenti esperimenti incentrati, per l’appunto, sulla simulazione in laboratorio dei processi di evoluzione del linguaggio (Smith et. al, 2015).

Il framework generale delle situazioni sperimentali in questione, prevedeva che si chiedesse ai partecipanti di apprendere un mini-linguaggio artificiale per poi utilizzare i loro output come training per la “seconda generazione” di partecipanti che, a loro volta, subivano il percorso di apprendimento e i cui output venivano utilizzati con training per i partecipanti successivi, e così via, creando in questo modo una catena di trasmissione del mini-linguaggio artificiale (Kirby et al.,, 2008). Importante sottolineare, ai nostri fini, che il “primo linguaggio” non presentava alcuna proprietà strutturale, essendo creato piuttosto in maniera casuale - random start (Kirby, 2004) e come, invece, tali proprietà strutturali

composizionali risultino emergere attraverso l’intero percorso di evoluzione per trasmissione (Smith et al., 2015) attraverso le diverse generazioni.

Fig. 3.1. La catena di partecipanti e il mini-linguaggio artificiale (Kirby, et al.,2008)

Il mini-linguaggio artificiale proposto in apprendimento alla prima generazione era composto da forme colorate in movimento, associate a significati non conosciuti espressi in strane stringhe casuali. Nello specifico, si trattava di 3 forme, 3 colori e 3 tipi di movimento; per un totale di 27 possibili significati in questo linguaggio. I risultati di apprendimento linguistico ottenuti dalla prima generazione sono quindi serviti da input per la generazione successiva, e così via. Quanto è emerso è che, a partire dai risultati sconfortanti delle prime generazioni, il linguaggio diveniva progressivamente più facile da apprendere.

Fig. 3.2. Curva progressiva dell’apprendibilità Fig. 3.3. Lo stesso linguaggio dopo 10 generazioni del linguaggio (Kirby, et al., 2008) (Kirby, et al., 2008)

Altre occorrenze dello stesso esperimento (Fig. 3.4. e 3.5.) dimostrano come, attraverso il processo di iterated learning, la struttura composizionale si formi in 10 generazioni, attraverso un processo di trasformazione che, da espressioni associate a significati complessi, porta via via a una semplificazione.

Fig. 3.4. Altro esempio di linguaggio iniziale Fig. 3.5. Lo stesso linguaggio, 10 generazioni dopo, random (ivi) presenta una struttura composizionale.

Più nello specifico, si tratta della comparsa spontanea di una struttura composizionale in cui, precisamente, le diverse parti dei segnali corrispondono a diverse porzioni di significato (Scott-Phillips e Kirby, 2010).

Una possibile obiezione è che questa la comparsa della struttura composizionale sia dovuta al fatto che i partecipanti all’esperimento, possedendo già abilità linguistiche pienamente formate, siano stati portati per questo a “riprodurre” le caratteristiche proprie del loro linguaggio. In effetti, al fine di scongiurare questa possibilità, gli stessi esperimenti sono stati ripetuti in attività sperimentali di computer simulation: nonostante i partecipanti fossero delle macchine prive di alcun linguaggio pre-esistente, i risultati ottenuti sono esattamente analoghi (Kirby et. al, 2008).

Un’altra possibile obiezione risiede nel fatto che le stringhe del linguaggio iniziale possano sembrare eccessivamente artificiali. Per questa ragione, si è deciso di replicare la stessa situazione sperimentale utilizzando i movimenti iconici della pantomima come punto di inizio (Smith et al., 2015). Nello specifico, si chiedeva ai partecipanti di mimare i movimenti di una palla che, rimbalzando, segue diversi movimenti e diverse direzioni (Fig. 3.6.).

Fig. 3.6. Starting-point linguaggio

pantomimico (Smith et. al, 2015)

Le diverse strategie di pantomima cui ricorrevano le prime generazioni sperimentali hanno, anche in questo caso, mostrato un percorso evolutivo orientato alla semplificazione, a partire da movimenti olistici e scomponibili. Le strategie pantomimiche rivelatesi più efficaci, infatti, si sono stabilizzate nel corso delle generazioni conducendo alla formazione di una struttura sistematica di gesti scomposti in sotto-significati (ivi). I movimenti pantomimici iniziali, olistici e complessi, hanno perso progressivamente il loro carattere iconico, divenendo sempre più convenzionali.

Conclusioni

All’interno di questo lavoro abbiamo concentrato l’attenzione su quei processi evolutivi che, da forme primordiali hanno condotto al linguaggio moderno pienamente dispiegato, prendendo una convinta posizione di distanza rispetto ai modelli saltazionisti (cfr. Cap. 1) e rispetto al modello sintetico di protolingauggio (cfr. Cap. 2). I primi, strettamente collegati all’idea di linguaggio associata alla tradizione del cognitivismo classico e vicini alla tesi del generativismo chomskyano, negano la necessità di ipotizzare un graduale sviluppo delle capacità sottostanti l’elaborazione linguistica. Questa, infatti, sarebbe affidata al funzionamento del parser sintattico, un meccanismo cognitivo specializzato per il linguaggio, e sarebbe ascrivibile quindi al lavoro della Grammatica Universale, unico vero motore essenziale del linguaggio. In questa prospettiva, quindi, il linguaggio viene a coincidere con un organo comparso in maniera improvvisa e inaspettata nel bagaglio genetico umano. Tale visione catastrofica, come abbiamo visto, è sposata anche dal modello protolinguistico sintetico proposto dal linguista Derek Bickerton (cfr. Cap. 2). Se da un lato il linguista si fa promotore di una critica all’impianto teorico chomskyano, dall’altro sembra incorrere pienamente negli stessi errori. Il suo modello di protolinguaggio, basandosi sul funzionamento di un bio-programma linguistico, non dà conto di come i singoli simboli (astratti e amodali) possano agganciarsi al contesto extra-linguistico (requisito indispensabile per una comunicazione che non possa far affidamento su codici ben formati e condivisi) e resta invischiata in un pre-formismo paradossale: le unità minime di protolinguaggio sarebbero infatti unità minime lessicali analoghe ai nomi e verbi del linguaggio moderno. Una situazione in cui, per dirla con Arbib, «Syntax predates syntax!». Evidenziate le difficoltà dell’approccio sintetico di protolinguaggio, ci siamo occupati di analizzare la proposta olistica

avanzata da Wray (cfr. Cap. 3). Sebbene appaia certamente più adatta a fornire una spiegazione evolutiva naturalisticamente fondata, presenta anch’essa delle limitazioni che ci siamo proposti di superare.

La nostra proposta di protolinguaggio, come abbiamo visto, supera il problema di dar conto del grounding dei simboli, sostenendo che le unità protolinguistiche abbiano trovato avvio dai quei sistemi cognitivi deputati all’azione complessa goal-oriented, vale a dire a partire dalla strategia elaborativa olistica che sottende la capacità di pantomima. Nello specifico, all’interno del nostro modello pragmaticamente fondato (protolanguage communic-action), le unità protolinguistiche sarebbero state caratterizzate da una strategia elaborativa olistica che è rintracciabile nelle moderne occorrenze delle espressioni formulaiche (cfr. Cap. 3). Confortati dai dati empirici provenienti dalle patologie, ci sentiamo legittimati a sostenere la nostra definizione delle unità olistiche di protolinguaggio (fondate sulle abilità pantomimiche) nei termini di “comportamenti comunicativi complessi orientati a uno scopo”. Le Prove di evoluzione in laboratorio, infine, sembrano essere un buon sostegno all’idea che dà il titolo a questo lavoro: “Dal complesso al semplice”.

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