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LA LIBERALIZZAZIONE DELLE ATTIVITÀ DI SERVIZI

5.2. Le comunicazioni commerciali

Le misure nazionali che vietano o limitano il ricorso alle comunicazioni commerciali possono costituire una restrizione alla libera circolazione dei servizi. Esse, infatti, nel privare gli operatori della possibilità di utilizzare determinate tecniche per farsi pubblicità e contattare potenziali clienti che si trovano in altri Stati membri, condizionano direttamente l'accesso al mercato dei servizi224.

La Direttiva Servizi definisce “comunicazione commerciale” qualsiasi forma di comunicazione destinata a promuovere, direttamente o indirettamente, beni, servizi, o l’immagine di un’impresa, di un’organizzazione o di una persona che svolge un’attività commerciale, industriale o artigianale o che esercita una professione regolamentata; da

223 Proposal for a directive of the European Parliament and of the Council amending Directive 2005/36/EC on the recognition of professional qualifications and Regulation on administrative cooperation through the Internal Market Information System, Brussels, 19 December 2011, COM(2011) 883 final.

questa nozione sono escluse le informazioni che permettono l’accesso diretto all’attività dell’impresa, dell’organizzazione o della persona, in particolare un nome di dominio o un indirizzo di posta elettronica e le comunicazioni relative ai beni, ai servizi o all’immagine dell’impresa, dell’organizzazione o della persona elaborate in modo indipendente, in particolare se fornite in assenza di un corrispettivo economico (articolo 4, par. 1, n. 12, direttiva 2006/123; art. 8, d. lgs. n. 59/2010). Sono, dunque, comunicazioni commerciali tutte le forme di promozione dei servizi o dell’immagine di un prestatore, compresa la pubblicità tramite stampa, televisione, radio, internet, così come i semplici biglietti da visita.

La Direttiva Servizi ha imposto la rimozione del divieto assoluto di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate (articolo 24, direttiva 2006/123; art. 34, d. lgs. n. 59/2010). Per divieti assoluti si intendono quelle norme che, in generale e per una determinata professione, proibiscono una o più forme di comunicazione commerciale, ad esempio il divieto di pubblicità attraverso determinati mezzi di comunicazione. Prescrizioni relative al contenuto o alle modalità delle comunicazioni commerciali sono ammesse a condizione che siano non discriminatorie, giustificate da motivi imperativi di interesse generale e proporzionate; disposizioni restrittive in materia di comunicazioni commerciali possono, in particolare, essere giustificate da motivi deontologici, come l’obiettivo di assicurare la dignità, il segreto professionale, l’integrità e l’indipendenza delle professioni regolamentate, nel rispetto delle specificità di ciascuna di esse.

Come evidenziato dalla Corte di giustizia, l’intenzione del legislatore dell’Unione è non soltanto quella di porre fine ai divieti assoluti, per gli esercenti una professione regolamentata, di ricorrere alla comunicazione commerciale, in qualunque forma, ma anche di eliminare i divieti di ricorso a una o più forme di comunicazione commerciale, quali, in particolare, la pubblicità, il marketing diretto e le sponsorizzazioni; pertanto, la normativa che vieta in modo assoluto di effettuare atti di

promozione commerciale diretta e ad personam dei propri servizi è incompatibile con la Direttiva e non può essere giustificata anche se è non discriminatoria, fondata su un motivo imperativo di interesse generale e proporzionata225.

Per quanto riguarda il contenuto e le modalità delle comunicazioni commerciali, gli operatori del settore, specialmente ordini, organismi o associazioni professionali, sono incoraggiati a elaborare codici di condotta a livello comunitario. I codici di condotta dovrebbero includere, a seconda della natura specifica di ogni professione, norme per le comunicazioni commerciali relative alle professioni regolamentate e norme deontologiche delle professioni regolamentate intese a garantire l’indipendenza, l’imparzialità e il segreto professionale, mentre gli Stati membri dovrebbero adottare misure di accompagnamento per incoraggiare gli ordini, gli organismi e le associazioni professionali ad applicare a livello nazionale questi codici di condotta adottati a livello comunitario226.

Sul tema delle comunicazioni commerciali, il legislatore italiano è intervenuto a più riprese, anche anteriormente al recepimento della Direttiva Servizi. Già nel 2006, l’articolo 2, comma 1, lett. b) del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223227, aveva disposto l’abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall’ordine.

225 Corte di giustizia, sentenza 5 aprile 2011, causa C-119/09, Société fiduciaire nationale

d'expertise comptable, non ancora pubblicata in Racc., punti 29, 45 e 46. La decisione è stata

commentata da TASSONI G., La pubblicità commerciale tra autogoverno degli Ordini professionali e

regole del mercato dei servizi, in Riv. dir. ind., 2011, 3, 209. 226 Considerando 100 e 114, direttiva 2006/123/CE.

227 Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale (in G.U. 4 luglio 2006, n. 153), convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 (in G.U. 11 agosto 2006, n. 186, S.O. n. 183).

Successivamente al recepimento della Direttiva Servizi, l’articolo 3, comma 5, lett. g), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, ha indicato nella libertà della pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l’attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni, uno dei principi per la riforma degli ordinamenti professionali. Inoltre, le informazioni devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigratorie.

In attuazione di questo principio, l’articolo 4, d.P.R. 7 agosto 2012, n. 137228, ammette con ogni mezzo la pubblicità informativa avente ad oggetto l’attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni. La pubblicità deve essere funzionale all’oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l’obbligo del segreto professionale e non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria; in caso di inosservanza di queste prescrizioni, sarà configurabile un illecito disciplinare, oltre che una violazione del Codice del consumo229 e delle norme in materia di pubblicità ingannevole230.