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D’après les statuts, l’entrée en apprentissage peut être considérée comme une chance offerte à quelques individus de faire partie de l’élite corporative. Au XVIe siècle, des corrections sont apportées par

66. BMCVe, ms. Classe IV 205, Oresi e zogielieri, f.o 22r.

67. BMCVe, ms. Classe IV 2, Luganegheri, f.o 24v.

68. BMCVe, ms. Classe IV 70, Specchieri, f.o 2.

69. BMCVe, ms. Classe IV 205, Oresi e zogielieri, f.o 33v.

70. Ibid.

les magistratures créées à cet effet et nombreuses sont les modifica-tions qui concernent le temps d’apprentissage :

Che ’l capitolo confirmato del 1498 el quale ordena che niun garzon possi intrar in la scuola per maistro se prima lui non sarà stato anni sette conti-nuamente al mestier con alcun maistro dell’arte, sia coretto in que//16r°//

sta forma, che tutti quelli garzoni che sono scritti e che da cetero si vorranno scriver con alcun maistro del’arte non possino intrar in la scuola se prima non compiranno il suo tempo, che si haveranno scritti ; e possino scriversi quando saranno d’accordo. Ma, compido che loro haveranno il suo tempo, sia in sua libertà d’intrar maistri quando a loro pareranno e piaceranno […]71

Cette révision issue de la mariegola des orfèvres-joailliers stipule que le temps d’apprentissage n’est plus fixé à sept ans. Autour des années 1520 on retrouve des corrections semblables effectuées par les Cinque Savi sopra le Mariegole dans deux corps : celui des lugane-gheri72 et celui des tisserands de soie et d’or.73 Elles stipulent toutes deux que la durée de l’apprentissage n’est plus déterminée par leurs propres statuts, mais par l’accord passé entre le maître et l’apprenti par le biais du contrat.74 Plus qu’une officialisation du recours aux contrats d’apprentissage, les magistratures reconnaissent l’acte écrit, le contrat comme éditeur de règles singulières s’adaptant aux indivi-dus. Il est alors possible de penser que la perception et l’exercice du métier s’inscrivent, à ce moment-là, dans des rapports plus person-nels entre le maître et son apprenti.

71. BMCVe, ms. Classe IV 205, Oresi e zogielieri, f.os 15v-16r.

72. BMCVe, ms. Classe IV 2, Luganegheri, f.o 36v.

73. BMCVe, ms. Classe IV 49, Testori de panni de seda e d’oro, f.o 37.

74. Quelques années plus tard cette même magistrature annule le chapitre ; cf. Ivi, f.o 43. Pour la guilde des miroitiers, à la fin du XVIe siècle, les Cinque Savi sopra le Mariegole établissent que le temps d’apprentissage est d’au moins trois années, voir ASVe, Giustizia Vecchia, b. 5, reg. 12, f.o 64v. Au sujet de la formation et des chan-gements de réglementation dans l’art des miroitiers et plus généralement dans le secteur verriers au XVIIe siècle, voir Trivellato, Fondamenta dei vetrai, cit., p. 164-169. Tandis qu’en 1601, la durée du garzonato dans la guilde des orfèvres-joailliers est réajustée à cinq ans, voir BMCVe, ms. Classe IV 205, Oresi e zogielieri, f.o 54r.

Michel Hochmann

(École Pratique des Hautes Études, Université PSL, Paris) Abstract

The apprenticeship of Venetian painters is explored through the Accordi di gar-zoni, the agreements between the masters and their apprentices preserved in the archive of the Giustizia Vecchia, that show a great variety regarding the duration of the training, the tasks and the ages of the young garzoni. In the majority of the workshops, the apprentices seem to have been very few. Vasari has asserted in his Vite that the education was unsatisfactory in Venice, since the painters did not learn how to draw, especially from the Antiques. Tintoretto has sometimes been presented as very innovative from that point of view. But some documents are here presented to question these ideas. The description of Titian’s studio by Agostino Amadi, a Venetian amateur of the end of the Sixteenth Century, shows that the artistic milieu of the city shared some ideals of the Florentine and Roman painters of that time.

Venezia è stata talvolta presentata come una città conservatrice per quanto riguarda la formazione dell’artista: questa era in particolare la tesi del famoso articolo di David Rosand,1 secondo cui l’ambiente ar-tistico locale era rimasto a lungo isolato dalle evoluzioni che avevano segnato altri grandi centri artistici come Firenze e Roma, preferendo il vecchio sistema di organizzazione del mestiere e la sua Fraglia, rifiu-tando di creare un’accademia e ignorando il ruolo fondamentale del disegno nella formazione dell’artista. Solo alla fine del Cinquecento e all’inizio del Seicento, con il noto processo contro Giovanni Con-tarini e Pietro Malombra e la pubblicazione di vari libri sull’insegna-mento del disegno, la tradizione veneziana sarebbe entrata in crisi reagendo alle novità provenienti dalle accademie fiorentine, romane e bolognesi. Credo che le cose siano un po’ più complicate: un libro

1. David Rosand, «The crisis of the Venetian Renaissance tradition», L’Arte, 1970, 3, 11/12, p. 5-53.

famoso di Pevsner2 aveva già dimostrato le difficoltà incontrate dalle accademie nei loro primi anni e gli studi recenti hanno confermato che anche a Firenze e a Roma gli artisti fecero molta fatica a risponde-re ai programmi ambiziosi elaborati da Giorgio Vasari e, soprattutto, da Federico Zuccari.3 D’altra parte, l’Accademia di San Luca era nata per supplire alle difficoltà incontrate dai numerosi giovani presenti a Roma che faticavano a trovare un posto in una delle botteghe della città. Da questo punto di vista, sembra che la situazione veneziana fosse molto più favorevole: il corretto funzionamento delle botteghe veneziane come luogo di formazione potrebbe dunque anche spie-gare, insieme ad altri fattori, il fatto che i pittori locali erano meno ansiosi di creare dei luoghi specifici per la formazione dei giovani.

D’altra parte, credo che bisogna ancora indagare seriamente sulla formazione del pittore a Venezia prima di arrivare a conclusioni af-frettate. Sarebbe difatti strano che Venezia, uno dei principali centri per la pittura italiana durante la seconda metà del Cinquecento, sia stata così retriva e immobile e i suoi pittori tanto tradizionalisti nei loto metodi di formazione, mentre si mostravano così innovativi nel loro lavoro. Vorrei dunque riflettere di nuovo su questo problema, partendo da qualche documento già pubblicato e da qualche inedito.

Come dimostra il progetto Garzoni, i numerosi contratti d’ap-prendistato conservati negli archivi della Giustizia vecchia costitu-iscono naturalmente una fonte preziosa per cercare di capire in un modo concreto qualche elemento riguardante il mestiere del pit-tore. Non vorrei insistere troppo su questo aspetto, che è già stato trattato da Valentina Sapienza.4 Ma vorrei riassumere qualche dato

2. Nicolaus Pevsner, Academies of Art. Past and Present, Cambridge, Cambridge University Press, 1940.

3. Sull’Accademia del disegno Karen Edis Barzman, The Florentine Academy and the Early Modern State: the Discipline of Disegno, Cambridge, Cambridge University Press, 2000. Sull’Accademia di San Luca Isabella Salvagni, Da Universitas ad Accademia: la corporazione dei pittori nella chiesa di San Luca a Roma. 1478-1588, Roma, Campisano, 2012.

4. Valentina Sapienza, «“Tenendo quegli in casa un buon numero di Fiamminghi, quali occupava in far copie dei quadri di buoni maestri”. Riflessioni sul problema

che si può ricavare da tale materiale, in quanto ci fornisce un quadro molto più preciso e articolato che rimpiazza le scarse indicazioni in proposito della storiografia o le rare regole edite dalla Fraglia sulla questione della formazione dei giovani. Bisogna constatare innanzi-tutto, e ciò malgrado la standardizzazione delle formule del contrat-to, la grande diversità della casistica, per quanto riguarda l’età dei garzoni, la durata dell’apprendistato, le relazioni contrattuali con il maestro. Gli statuti prevedevano soltanto una durata minima di sei anni per l’apprendistato.5 Da questo punto di vista, i documenti di-mostrano che la regola era generalmente abbastanza rispettata: il bi-lancio per le due prime buste che vanno dal 1575 al 1592 dimostra che su 53 contratti riguardanti i pittori, abbiamo 21 casi (il 40%) con la durata legale di sei anni; poi 13 contratti sono di cinque anni (25%), cinque contratti di quattro anni e due contratti due anni.6 I contratti inferiori alla durata legale sono dunque in tutto il 37%

(cioè 20 contratti). Ma, come ha già osservato Valentina Sapienza, quelli più brevi riguardano generalmente garzoni di un’età avanzata, che completavano probabilmente un apprendistato già iniziato al-trove: è il caso per esempio di Lodovico Sender, tedesco di anni 15, che si iscrive con Hans Rottenhammer per tre anni (in altre città, questi apprendistati brevi consentivano ai pittori forestieri di poter poi iscriversi alla corporazione locale e di acquisire così il diritto di lavorare).7 Si trovano anche contratti di una durata più lunga di quella regolamentare, anche se sono piuttosto rari (tre contratti di sette anni e uno di otto anni). Si può citare, per esempio, quello, posteriore (18 aprile 1598), tra Leandro Bassano e Marco Antonio

della formazione artistica a Venezia alla fine del Cinquecento», in Carlo Corsato, Bernard Aikema (a cura di), Alle origini dei generi pittorici fra l’Italia e l’Europa intorno al 1600, Treviso, Zel, 2013, p. 22-37.

5. Elena Favaro, L’arte dei pittori a Venezia e i suoi statuti, Firenze, Olschki, 1975, p. 58.

6. Intendiamo il termine «pittore» nel senso lato che la parola poteva rivestire du-rante il Cinquecento, includendo, cioè, i «dipintori da casse» e i miniatori.

7. Archivio di Stato di Venezia (d’ora in poi ASVe), Giustizia vecchia, Accordi dei garzoni, b. 116, reg. 159, c. non numerata (6 aprile 1599).

Zamberlano, di anni 17, che si iscrive a star con il maestro per otto anni. In questo caso, però si tratta di una figura che non ha molto a che vedere con il tradizionale garzone, poiché Zamberlano si im-pegna a collaborare attivamente al lavoro della bottega, bozzando e riformando i quadri, e le sue mansioni sono più vicine a quelle di un lavorante.8 Per quanto riguarda l’età, anche qui le statistiche sono preziose. Secondo Sagredo, una regola avrebbe fissato l’età minima dei garzoni a dodici anni, ma tale documento non è mai stato ritro-vato.9 L’esame dei documenti della Giustizia vecchia dimostra una grande variabilità anche da questo punto di vista. Nei due registri già citati, l’età dei garzoni varia dagli 8 ai 24 anni, con la ripartizione seguente: dodici hanno 13 anni, nove 12 anni, sette 14 anni, quat-tro 15 anni, quatquat-tro 11 anni, quatquat-tro 10 anni, due 9, uno 18, uno 23 e uno 24. Si può dire, dunque, che la grande maggioranza dei garzoni, con qualche eccezione, aveva tra i dieci e i quindici anni, ma senza poter fissare un’età precisa per l’inizio dell’apprendistato.

Altra questione importante: quanti garzoni potevano trovarsi a operare all’interno della stessa bottega? La letteratura artistica affer-ma che Squarcione o Tiziano avrebbero avuto tantissimi allievi. Si conosce anche la celebre stampa di Odoardo Fialetti (fig. 1), dove si vede raffigurata la bottega di un pittore che somiglia molto a Pal-ma Giovane, nel quale un grande numero di discepoli è intento ad aiutare il maestro, a preparare i colori o a contribuire a dipingere le sue opere, ma anche a studiare. I giovani, di ogni età (uno sembra anche ancora un bambino), disegnano, studiano i modelli e i rilievi della bottega. Nel primo statuto della Fraglia, tuttavia, era consen-tito al maestro di poter tenere a bottega soltanto un garzone e due lavoranti, regola che sparì dagli statuti successivi.10

8. Sapienza, «“Tenendo quegli in casa”», cit., p. 22-37; Michel Hochmann,

«Drawing as a method of replication in Late-Cinquecento Venetian Workshops», in Una Roman d’Elia (a cura di), Rethinking Renaissance Drawings. Essays in Ho-nour of David McTavish, Montreal-Kingston-Londra-Chicago, McGill-Queen’s University Press, 2015, p. 137-146.

9. Favaro, L’arte dei pittori, cit., p. 57.

10. Ivi, p. 25-26, 65-66.

I documenti della Giustizia vecchia sono difficili da utilizzare per studiare questo aspetto, in quanto sono naturalmente incompleti (tanti giovani non venivano registrati). Si può però constatare che Leandro Bassano, che aveva probabilmente una delle più grandi botteghe della città, figura tra i maestri più presenti con tre contrat-ti, ma su un periodo lungo (il primo contratto è del 12 marzo 1592, il secondo del 18 aprile 1598, e il terzo del 1 novembre 1609).11 Questi tre garzoni non sono quindi mai stati insieme nella bottega, se si fa fede al periodo previsto per il loro apprendistato. Andrea Vi-centino è un altro pittore che ricorre frequentemente alla Giustizia vecchia, con quattro garzoni registrati, il primo nel 1583, il secondo nel 1595, il terzo nel 1598, e il quarto nel 1610, e ancora una volta i diversi periodi di apprendistato non si soprappongono12. Il caso di

11. ASVe, Giustizia vecchia, Accordi dei garzoni, b. 114, reg. 155, c. non numerata;

b. 115, reg. 158, c. non numerata; b. 117, reg. 161, c. 78r.

12. Ivi, b. 112, reg. 152, c. 139v, 25 febbraio 1582 (m. v.) ; b. 114, reg. 156, c.

Fig. 1

Giovanni Contarini, che il 19 aprile 1597 dichiara un garzone per tre anni e un altro per cinque anni il 9 novembre dello stesso anno, è dunque eccezionale.13 Possiamo anche utilizzare i libri dei conti per cercare informazioni più precise: quello di Lotto è senz’altro il più interessante da questo punto di vista, ma si conoscono i rapporti difficili che il pittore aveva con i suoi allievi, al punto di dichiarare al governatore della Santa Casa, alla fine della sua vita, che non voleva

«alevar più garzoni, che mi stiano ingrati».14

Molti dei contratti che annotò nel suo libro furono dunque rotti pochi mesi dopo essere stati stabiliti: così, il 29 gennaio 1547, si accordò con Piero, figlio di donna Orsola, per tre anni, ma già il 26 settembre 1548, il pittore dispensò il giovane dallo stare presso di sé «per non potersi comportar l’uno con l’altro pacificamente»;

il giorno seguente Lotto assunse un altro garzone.15 Il pittore vene-ziano non è tuttavia il solo ad avere dei conflitti con i suoi garzoni e la rottura di questo tipo di contratto è piuttosto frequente, come dimostrano anche i documenti della Giustizia vecchia. Lotto non sembra tuttavia aver mai avuto più di un garzone nello stesso tem-po, semmai utilizzava altri tipi di collaborazione e se arruolava vari lavoranti perché lo assistessero nel suo lavoro.

Ho dunque l’impressione (ma bisognerebbe estendere ancora l’in-dagine) che, in maniera generale, il numero dei garzoni fosse molto ridotto nelle botteghe dei pittori. Quelli che compaiono nei registri degli Stati delle anime hanno generalmente, anche loro, un garzone al massimo. Bisogna tuttavia tenere conto della forte componente familiare delle botteghe veneziane: si sa che spesso i figli venivano associati al lavoro del padre e dunque ricevevano l’insegnamento direttamente da lui. Si trova così, nei registri degli Stati delle anime,

non numerata, 5 gennaio 1594 (m.v.); b. 117, reg. 161, c. 53r, 10 ottobre 1609.

13. Ivi, b. 115, reg. 157 e reg. 158, cc. non numerate.

14. Lorenzo Lotto, Libro di spese diverse, edizione e trascrizione a cura di Floriano Grimaldi e Katy Sordi, Loreto, Delegazione Pontificia per il Santuario della Santa Casa di Loreto, 2003, c. 95v-96v.

15. Ibid.

nella parrocchia di San Gemignano, un Antonio depentor, presso cui risiede un garzone ma anche «Stefano suo nepote».16

C’è anche una forte variazione nelle condizioni che venivano of-ferte ai giovan,i della quale è difficile capire la causa. Spesso il ma-estro non dava nessun salario al suo garzone, talvolta lo vestiva e lo alloggiava. Talora il maestro veniva anche pagato dai genitori per il suo insegnamento: così Zuane Guerino bergamasco si iscrive a star con Giacomo e Carlo pittori al ponte di Melloni per sei anni;

i maestri gli pagano il vito e l’alloggio, ma il padre del garzone in cambio corrisponde quaranta ducati (una somma importante) per-ché insegnino l’arte al figlio.17 Si potrebbe pensare che i maestri più noti potessero facilmente farsi pagare l’insegnamento: per esempio, il tutore di Donato, figlio di Donati da Brescia, s’impegna a dare ogni anno al maestro pittore Camillo Ballini trenta scudi d’oro di moneta bresciana, una somma ancora più importante che nel caso precedente.18 Il 3 giugno 1594, Vincenzo, figlio di un marangon, si accorda con Francesco Montemezzano, che gli fa le spese, e che riceve cinquanta ducati dal padre del garzone per gli otto anni del suo apprendistato.19 Eppure altri maestri ben noti non percepisco-no alcun compenso: così, il 21 marzo 1584, Nicolò, un garzone di circa dieci anni, s’iscrive a star per sei anni nella bottega di Pa-olo de’ Franceschi, e questo sostiene per lui tutte le spese di vitto e alloggio.20 L’8 luglio 1591, Paolo, di 16 anni, entra nella bottega di Gaspar Rem, che non gli dà salario, ma che non viene neanche pagato dal padre del garzone.21 Si incontrano anche casi opposti, in cui è il maestro a corrispondere uno stipendio al garzone. Qualche volta ciò dipende plausibilmente dall’età avanzata del giovane, che è

16. Archivio della Curia Patriarcale di Venezia, Curia sezione antica, Status anima-rum, San Geminiano.

17. ASVe, Giustizia vecchia, Accordi dei garzoni, b. 112, reg. 152, c. 99, 3 ottobre 1582.

18. Ivi, b. 113, reg. 2, 11 marzo 1584.

19. Ivi, b. 114, reg. 156, c. 14v.

20. Ivi, b. 113, reg. 2, c. 23 r.

21. Ivi, b. 113, reg. 3, c. non numerata.

ovviamente piuttosto un lavorante, un collaboratore, come nel caso di Alvise quondam Zuane de’ Schozzi da Miran, che, a 22 anni, si iscrive a star per un anno solamente col suo maestro per 37 scudi l’anno (uno stipendio abbastanza elevato).22

I dettagli riguardanti l’insegnamento sono piuttosto scarsi in maniera generale: Menego entra al servizio di Zuanne de Ravelli, miniador, per sei anni e mezzo.23 I primi cinque anni non doveva ricevere niente, ma l’ultimo anno, avrebbe avuto uno stipendio di 36 ducati. La cosa più interessante è che il documento predispone che il maestro deve «lasar andar ogni zorno esso puto a tior esem-pio per spatio de meza ora al zorno per fino che l’averà imparato».

Questa menzione è molto ellittica, ma lascia pensare che il tempo lasciato a disposizione al giovane per imparar l’arte fosse veramente poco. Qualche precisazione sui doveri del garzone si trova anche in uno dei contratti redatti da Lorenzo Lotto: il 9 settembre 1550, il pittore veneziano accoglie presso la sua bottega un garzone che in cambio dell’insegnamento ricevuto dovrà «aparechiar e tenir netto et cocinar». Ma questi servizi sono dovuti solamente durante i primi tre anni della permanenza dell’allievo, che deve svolgere le sue man-sioni prima di «studiar a imparar». Invece gli ultimi tre anni avrebbe dovuto essere «più libero del studiar l’arte».24

Naturalmente bisogna guardare ad altri documenti per avere un’i-dea della realtà dell’insegnamento nelle botteghe venete. Un caso molto celebre in tal senso è quello della bottega di Jacopo Tintoretto, il cui materiale pedagogico si è in grande parte conservato. Si sa che Jacopo cominciò la sua carriera disegnando da modelli tratti da Mi-chelangelo, da altri scultori del suo tempo e da opere antiche celebri come il famoso busto di Vitellio; e questo stesso metodo il pittore trasmise ai suoi famigliari e allievi. Il ricco materiale di modelli e di calchi fu preziosamente conservato dai suoi eredi ed è significativo che Domenico Tintoretto, secondo Carlo Ridolfi, «hebbe pensiero

22. Ivi, b. 114, reg. 156, c. 73r (5 ottobre 1594).

23. Ivi, b. 113, reg. 3, c. non numerata (19 agosto 1591).

24. Lotto, Libro di spese diverse, cit., c. 81v.

di lasciar dopo di se à pittori la propria casa con lo studio di rilievi, disegni e modelli che teneva del padre, acciò vi si formasse un’Acca-demia, ove ognuno potesse studiare […]».25 Naturalmente ai tempi di Domenico la situazione era diversa rispetto a quella conosciuta dal padre all’epoca della sua formazione e l’idea di creare un’accademia era probabilmente condivisa da più pittori della città. Bisogna poi sottolineare i punti comuni tra l’insegnamento proposto da Jacopo e quello che era offerto nelle accademie fiorentine e romane. Lo studio di Michelangelo e, in particolare, delle sculture della Sagrestia nuova di San Lorenzo era, come si sa, al centro del programma dell’Acca-demia del Disegno. Per quanto riguarda l’idea di disegnare le scul-ture alla luce di una candela, il paragone è ovvio tra le pratiche della bottega del Tintoretto e le celebri stampe raffiguranti l’accademia di Baccio Bandinelli. Valentina Sapienza mi ha giustamente fatto notare che quello che distingue un’accademia da una bottega è la presenza di quello che potremmo chiamare un progetto pedagogico. Nel caso di Tintoretto, mi sembra che le cose sono abbastanza chiare da questo punto di vista. Il maestro era cosciente dell’importanza del disegno nella formazione dell’artista; ma non si trattava di una forma di dise-gno qualsiasi, di una semplice imitazione della tradizione fiorentina.

di lasciar dopo di se à pittori la propria casa con lo studio di rilievi, disegni e modelli che teneva del padre, acciò vi si formasse un’Acca-demia, ove ognuno potesse studiare […]».25 Naturalmente ai tempi di Domenico la situazione era diversa rispetto a quella conosciuta dal padre all’epoca della sua formazione e l’idea di creare un’accademia era probabilmente condivisa da più pittori della città. Bisogna poi sottolineare i punti comuni tra l’insegnamento proposto da Jacopo e quello che era offerto nelle accademie fiorentine e romane. Lo studio di Michelangelo e, in particolare, delle sculture della Sagrestia nuova di San Lorenzo era, come si sa, al centro del programma dell’Acca-demia del Disegno. Per quanto riguarda l’idea di disegnare le scul-ture alla luce di una candela, il paragone è ovvio tra le pratiche della bottega del Tintoretto e le celebri stampe raffiguranti l’accademia di Baccio Bandinelli. Valentina Sapienza mi ha giustamente fatto notare che quello che distingue un’accademia da una bottega è la presenza di quello che potremmo chiamare un progetto pedagogico. Nel caso di Tintoretto, mi sembra che le cose sono abbastanza chiare da questo punto di vista. Il maestro era cosciente dell’importanza del disegno nella formazione dell’artista; ma non si trattava di una forma di dise-gno qualsiasi, di una semplice imitazione della tradizione fiorentina.