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Al termine di questo percorso esplorativo vorrei richiamare alla memoria gli interrogativi dai quali esso ha preso avvio, al fine di poterli confrontare con i risultati della ricerca e verificare la misura in cui ad essi si è riusciti a dare una risposta soddisfacente.

La questione che è stata posta come centrale è tutta relativa al funzionamento delle opere letterarie: si è presupposto, in certa misura, che, perché queste non restassero mute e inefficienti, dovessero essere interpretate, ovvero se ne dovesse dare una lettura in grado di attribuire un significato sensato alla successione dei grafemi che costituiscono il testo dell’opera stessa. Tale convincimento ha fatto sì che l’interrogativo generale di cui si è detto assumesse una forma più specifica e si concentrasse sul rapporto che intercorre tanto tra un’opera e ciascuna delle sue interpretazioni quanto tra le diverse interpretazioni di un’unica opera. In particolare ci si chiedeva: «Che rapporto intercorre tra un’opera letteraria e le sue interpretazioni? Che cosa fa sì che la prima supporti la seconda in maniera tale che si possa dire che quest’ultima è un’interpretazione proprio di quell’opera e non di altre? Sulla base di quale principio possiamo discernere un’interpretazione valida da una che non lo è? Che cosa consente ad una stessa opera di supportare interpretazioni differenti e a volte tra loro incompatibili?»

Attraverso la disamina delle caratteristiche di quello che è lo strumento espressivo attraverso il quale le opere letterarie prendono forma, il linguaggio e le sue possibilità di significazione, è stato possibile confermare l’ipotesi secondo la quale le interpretazioni non sono accessorie rispetto alle opere, ma si configurano come loro necessari correlati, dal momento che il linguaggio naturale, nel quale le opere letterarie sono redatte, non è propriamente un sistema ma solo uno schema notazionale, che lascia, pertanto, indeterminata la propria dimensione semantica. Proprio di tale indeterminatezza si è avuto modo di parlare lungamente, anche grazie allo studio delle teorie di Quine e Davidson relative al processo referenziale e di significazione. Si è così scoperto che, nonostante l’assenza di un dato stabile di riferimento, nonostante la pluralità dei punti di vista possibili, benché attraverso il linguaggio possiamo costruire mondi differenti, le interpretazioni delle opere letterarie non determinano il proprio riferimento in maniera arbitraria e del tutto libera, dal momento che sono obbligate al rispetto del testo dell’opera, che è univocamente determinabile, attraverso l’identificazione della compitazione dei termini che costituiscono il testo stesso, e rispetto al quale devono essere tutte congruenti.

Ma, se il principio della congruenza è un principio fondamentalmente limitativo, se esso ci consente di evitare che ciascuna interpretazione possa essere interpretazione di un’opera qualunque, tuttavia esso non chiarisce in che modo, per quali vie l’interpretazione riesca a delineare una specifica visione significativa del mondo o di quella porzione di mondo che l’opera riguarda. Per questo motivo si è resa opportuna se non necessaria la valutazione e l’analisi delle vie referenziali che intervengono nelle opere letterarie e, in tale circostanza, ci si è imbattuti in una particolare modalità di funzionamento del linguaggio, la proiezione dei termini, che si è rivelata utilissima ai fini della determinazione del modo di operare delle

- 146 - interpretazioni rispetto alle opere. Attraverso la nozione di proiezione e quella correlata di proiettabilità si è infatti avuto modo di proporre una particolare concezione delle metafore, che è poi stata impiegata come chiave di lettura del funzionamento delle opere letterarie e delle relative interpretazioni. Leggere le metafore come proiezioni di regni del linguaggio su regni del linguaggio ha infatti dato modo di immaginare che le interpretazioni si configurino come proiezioni del regno dell’opera cui si riferiscono sul regno rappresentato dalla visione del mondo propria dell’interprete.

Una simile concezione consente da una parte di conservare intatto il criterio di identificazione delle opere letterarie basato su caratteristiche esclusivamente sintattiche, dall’altra di non rinunciare alla considerazione di tutti quegli elementi, quali la dimensione storica, quella psicologica, quella sociologica e quant’altro, che sono tradizionalmente considerate come strettamente connesse all’opera e alla sua possibilità di comprensione, tanto da essere state a volte considerate come indispensabili anche per l’identificazione dell’opera stessa. Essa inoltre consente di chiarire tanto l’efficacia creativa delle opere letterarie, dal momento che queste ultime risultano capaci di riorganizzare e rinnovare la nostra versione del mondo, quanto la possibilità della molteplicità di interpretazioni adeguate per una stessa opera. La creatività, infatti, risulta spiegata dalla capacità di operare un rimodellamento catastrofico della versione del mondo di partenza, in quanto quest’ultima viene a riorganizzarsi in ragione della lettura che viene data dell’opera e dell’interazione che si instaura tra le diverse interpretazioni; la possibilità che queste ultime siano molteplici, a sua volta, risulta spiegata per via della possibilità di effettuare proiezioni diverse, possibilità garantita tanto dall’indeterminatezza del riferimento quanto dal peso che le visioni originarie hanno sul modo in cui l’opera viene vista e sulla determinazione della via che questa segue nell’essere proiettata sulle visioni originarie stesse.

Diverse interpretazioni di una stessa opera, pertanto, si sono rivelate non semplicemente possibili e ugualmente adeguate, nonostante la possibilità di una loro contrapposizione, ma anche capaci di interazione: esse non si prospettano semplicemente come alternative e l’adozione di una di esse non implica la dissoluzione di tutte le altre, ma instaurano tra loro un rapporto tale per cui la scelta di una di esse si configura come selettiva rispetto alle altre (o almeno ad alcune delle altre) e, pertanto, continua a richiamarle e a giocare con quelle a distanza, alimentando l’arricchimento di significato cui l’opera va in tal modo soggetta. La lettura che è stata così proposta delle opere letterarie e del rapporto che esse intrattengono con le proprie interpretazioni, oltre a dare una risposta plausibile agli interrogativi di partenza, sembra delineare alcune delle caratteristiche specifiche di quella simbolizzazione cui le opere letterarie danno luogo, mostrandone in pari tempo la portata, l’estensione e la potenza. Si tratta, come si è cercato di mostrare, di una modalità di simbolizzazione che interviene in una maniera peculiare tanto a livello pratico, quanto a livello ontologico e gnoseologico, coinvolgendo, così, almeno tre degli aspetti fondamentali della dimensione umana, ai quali possono esserne senz’altro aggiunti degli altri, che meriterebbero di essere a pieno titolo affiancati a quelli citati, sebbene non siano stati presi in esame in questa sede. Uno di questi è certamente la dimensione dell’emotività, dal momento che difficilmente si possono coinvolgere la componente cognitiva e quella pratica senza toccare quella emotiva. Il riconoscimento di quelle stesse caratteristiche che si qualificano come specifiche della simbolizzazione delle opere letterarie ha preso forma,

- 147 - almeno in parte, attraverso la sottolineatura delle differenze che intercorrono tra l’uso ordinario del linguaggio e quello letterario, differenze tali che la riduzioni di questo a quello risulta pressoché impossibile. Questa impossibilità, per altro, dovrebbe di per sé essere piuttosto rassicurante circa l’effettiva peculiarità delle opere letterarie come forma di simbolizzazione, tuttavia, a maggiore conferma di ciò interviene la non misurabilità dell’azione delle opere in questione: il fatto che non siano misurabili attraverso gli strumenti e i parametri di misurazione dei quali siamo ad oggi in possesso, mostra come ciò che le opere letterarie fanno non è riducibile all’ambito scientifico, se è vero, come è vero, che tutto ciò che può essere ascritto all’alveo della simbolizzazione scientifica è misurabile. Sebbene la consapevolezza della specificità delle opere letterarie nel creare senso e nel costituire orizzonti di significanza risuoni spesso tanto tra i filosofi, quanto tra i letterati, gli psicologi e intellettuali vari, lo studio di tale ambito della cultura mostra ancora margini molto ampi di miglioramento, verso il quale il presente lavoro si augura di aver offerto un contributo.

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