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Capitolo 2 L’opera letteraria: un linguaggio dell’arte 4

IV. Pluralità di mondi 43

Il punto che lascia maggiormente perplessi nel discorso di Davidson sembra essere proprio quello iniziale, ovvero la convinzione che la nozione di verità sia necessaria e sufficiente a rendere conto del processo di significazione del nostro linguaggio e di sensatezza del nostro mondo. Benché si tratti di un aspetto fondamentale della sua riflessione, tuttavia, sarebbe desiderabile riuscire a porlo tra parentesi o a metterlo da parte senza perdere per intero il ragionamento davidsoniano e in particolare senza rinunciare a quegli elementi, che sono appena stati posti in evidenza, che da tale rsgionamento emergono e che si sono rivelati indispensabili nell’ambito della riflessione che si sta qui portando avanti.

La scelta di considerare il concetto di verità come basilare e primitivo rispetto a quello di significato sembra vacillare, o risultare per lo meno arbitrario, di fronte alla constatazione che è possibile definire la verità stessa in termini di credenza, di modo che una nozione semantica verrebbe ad essere a fondamento della nozione di verità, la quale dovrebbe rendere conto della significanza degli enunciati.

Ma la verità non può essere definita o sottoposta ad esame in base all’accordo con ‘il mondo’; infatti, non solo ci sono verità diverse per mondi diversi, ma la natura di questo accordo tra una versione e un mondo è, se si prescinde da quest’ultimo, notoriamente nebulosa. Piuttosto […]una versione la si considera vera quando non infrange nessuna credenza sostanziale e nessuno dei suoi stessi precetti.41

- 44 - Si istituirebbe in tal modo, evidentemente, un circolo vizioso, che pretenderebbe di spiegare l’explanandum tramite l’explanans e viceversa, la credenza tramite la verità e la verità tramite la credenza.

La nozione di verità, d’altra parte, si configura come problematica non solo perché non sembrano esserci evidenze a favore della sua considerazione come più primitiva rispetto a quella di significato, per cui la decisione di intenderla come tale sarebbe da considerare come una scelta arbitraria, ma presta anche il fianco ad altre critiche. Se consideriamo che le vie attraverso le quali accediamo al mondo sono molteplici e che lo strumento linguistico è solo una delle forme simboliche che informano di sé la nostra conoscenza e la nostra esperienza, ci rendiamo facilmente conto di come la nozione di verità sia estremamente restrittiva, essendo applicabile solo al linguaggio. D’altra parte, pur volendo prendere in considerazione la sola forma linguistica, la verità sarebbe ancora un criterio di sensatezza troppo stretto, dal momento che essa può applicarsi solo agli enunciati assertivi ed esclusivamente al loro impiego letterale. Tutto il resto delle espressioni linguistiche, che pure hanno tanta parte nel rendere conto della nostra visione e costituzione del mondo e della nostra conoscenza, tutti quegli usi che travalicano l’impiego letterale del linguaggio e per il quali il predicato esssere vero non può trovare un’applicazione sensata, verrebbero a qualificarsi come irrilevanti, proprio perché per essi non possono essere stabilite quelle condizioni di verità che nella teoria davidsoniana fungono da base per la significazione. Al fine di discriminare tra elaborazioni sensate e costruzioni del mondo che non funzionano, la verità si rivela così essere un criterio inadatto o almeno limitato e si presenta pertanto la necessità di rintracciare una nozione più efficace e comprensiva. Caratteristiche adeguate sembra presentare la nozione di correttezza, che, da una parte non è legata all’uso letterale del linguaggio, dall’altra si adatta bene anche a forme e sistemi simbolici differenti da quello linguistico.

La correttezza può riguardare qualunque forma di funzione referenziale, dal momento che essa è relativa alla rilevanza, alla forza, all’adattabilità di quanto viene da ciascuna di esse rivelato. La nozione di correttezza non è più, come quella di verità, una nozione che pretende di rendere conto di un rapporto di corrispondenza tra una formulazione simbolica e una situazione extrasimbolica: tutto ciò che riguarda la correttezza è interno alla forma, al sistema, alla formulazione simbolici.

Perché una simile affermazione sia accettabile dopo quanto è stato sostenuto circa la dissoluzione del riferimento, sembra d’obbligo una precisazione sul modo in cui, abolito il ricorso alla verità, si debbano intendere le funzioni referenziali cui si è fatto cenno e sul senso in cui la correttezza è da considerare del tutto interna alla simbolizzazione. Nessuna delle funzioni referenziali deve essere più pensata come un ponte tra uno schema concettuale e il contenuto empirico, come una via attraverso la quale una cornice di riferimento fornisce i parametri per rilevare i dati esperienziali, ma ciascuna di esse deve essere intesa come un processo costitutivo della realtà della quale rende conto, come la fabbricazione di un mondo. Se il riferimento si è dissolto, esso lo ha fatto nel senso che non si dà più un unico mondo. D’altra parte, però, si è già visto come non rappresenti una buona alternativa la concezione relativistica, fintanto che essa venga intesa in senso tradizionale come coesistenza di punti di vista differenti, dal momento che anche in questo caso si

- 45 - continua a presupporre una realtà unica di fondo e si implica, probabilmente, la possibilità di porsi in una posizione privilegiata e neutra che consenta di qualificare ogni altra posizione come relativa. La possibilità di salvare la funzione referenziale delle nostre forme simboliche risiede nell’idea che il riferimento non muova verso l’esterno delle varie formulazioni simboliche, ma resti, per così dire, all’interno di ciascuna di esse. Ciò è possibile se qualunque espressione simbolica viene intesa non come un meccanismo di scoperta della realtà e un tentativo di adesione ad essa, ma come un procedimento di creazione, di produzione della stessa.

Il mondo svanisce non appena si riflette su un aspetto curioso di alcune coppie di enunciati a prima vista contraddittori: se uno dei due è vero, anche l’altro lo è. “La Terra è in movimento” e “La Terra è ferma” sono in apparente contraddizione, ma sono entrambi veri. Un enunciato nasce sempre da una contraddizione. Dunque, salvo essere disposti a riconoscere come vero qualsiasi enunciato, in casi del genere occorre in qualche modo dissipare l’apparenza di contraddizione.

Perché non limitarsi a concludere che gli enunciati in conflitto appartengono a descrizioni diverse del mondo? […] Secondo una descrizione, la Terra è in movimento; secondo un’altra ugualmente vera essa è ferma. Poiché entrambe le descrizioni sono vere, la loro combinazione è una descrizione secondo la quale la Terra è sia in movimento sia ferma. E da questa descrizione deriva ogni enunciato.

La contraddizione non si può risolvere ascrivendo gli enunciati inconciliabili a diverse cornici di riferimento. […]Ammettere la verità di rappresentazioni matematiche in reciproca contraddizione non è meno problematico che ammettere la verità di rappresentazioni verbali in reciproca contraddizione. La soluzione è la seguente: gli enunciati contraddittori, se sono veri, lo sono in mondi diversi. Un mondo dove la Terra è in movimento non è lo stesso di uno in cui la Terra è ferma. Tali mondi, inoltre, dipendono sensibilmente dalle descrizioni che ne diamo. Una cornice di riferimento, o un altro tipo di sistema rappresentazionale, è obbligatoria per rappresentare qualunque cosa ed è possibile costruirne una vasta gamma. L’errore consiste nel pensarle come strumenti per rappresentare una realtà che esiste a priori. All’opposto, nel fissare le categorie con cui va descritto un campo, un sistema rappresentazionale fissa anche i tipi di cose di cui consiste il suo mondo42.

Se questo modo di concepire le cose è ragionevole, se il mondo svanisce, che cosa accade per le opere letterarie? Resta ancora valida l’idea che un’opera letteraria è identificata dall’identità di compitazione del suo testo? Un testo può ancora fungere da punto di riferimento invariante, in grado di tenere insieme diverse interpretazioni della stessa opera? Le parole, quando identificate dalla loro identità di compitazione, possono fungere da

riferimento, possono sopravvivere alle cose?