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I Focus group, sia per la numerosità dei partecipanti in alcuni di essi, sia per i molti contenuti riportati, hanno portato alla luce molti elementi caratterizzanti le condizioni di lavoro dei Servizi sociali e socio-sanitari in relazione all’incontro con le culture diverse.

Tra i tanti elementi, spesso riportati nel precedente capitolo attraverso le parole effettivamente espresse dalle persone, si vuole porre l’attenzione su quelli che sono

apparsi più rispondenti alle domande poste dalla ricerca, più rappresentativi dei gruppi e degli operatori, e più significativi dal punto di vista della realtà vissuta dagli operatori.

Seguendo l’ordine delle dimensioni esplorate, si sottolineano quindi i seguenti risultati. a. Agli Enti cui afferiscono i Servizi coinvolti, sicuramente il tema dell’interculturalità non costituisce una novità: molti di essi in questi ultimi 20 anni hanno realizzato numerosi progetti, hanno effettuato ricerche, hanno organizzato momenti formativi per il personale. Il problema sollevato quindi, salvo qualche eccezione (Ministero della Giustizia – UEPE), non sembra essere quello di una mancanza di iniziativa sul tema, quanto le caratteristiche dell’investimento effettuato. La progettualità descritta infatti, appare a volte anche molto ricca, ma quasi sempre caratterizzata da una organizzazione fragile, legata alla sporadicità e frammentarietà della programmazione, ad un lavoro di co-progettazione che appare spesso più formale che sostanziale, ad una scarsa o del tutto assente capacità di rendere sostenibile l’intervento. Lo dimostra il fatto che nei Servizi le proposte progettuali molto spesso non sono condivise tra il livello politico, quello istituzionale e quello operativo, caratteristica di fondo di ogni progetto che si propone di essere efficace; che gli stessi operatori a volte non conoscono le iniziative presenti sul territorio in cui operano; che a volte a conclusione di un finanziamento si interrompono le attività, indipendentemente dai risultati raggiunti, che a volte neppure vengono valutati. Ciò che emerge è quindi una progettualità che difficilmente può essere considerata/diventare una risorsa per chi lavora nei Servizi.

b. L’atteggiamento degli Enti nei confronti della progettualità sui temi interculturali viene espresso in maniera analoga nei confronti della formazione offerta agli operatori dei Servizi, che è spesso descritta come occasionale, a volte organizzata su richiesta/sollecitazione del personale, in particolare quello dedicato ad alcuni specifici Servizi, ma mai in maniera strutturata, sistematica e universale.

c. Tale realtà appare in contrasto con una capacità riflessiva degli operatori che, nonostante una vaga e variegata formazione di base, è molto presente nella costruzione delle pratiche professionali e del lavoro quotidiano, e risponde a mandati deontologici ben precisi, imprescindibili per i professionisti «del sociale». Pur avendo professionalità diverse e scarsi studi a monte su temi interculturali, quasi tutti hanno espresso profonde riflessioni ed una ricerca di formazione che viene esplicitata tramite un grande interesse/esigenza di momenti formativi, di supervisione, di conoscenza, finalizzati a migliorare il rapporto con gli utenti e a rendere i propri interventi il più possibile efficaci. Per ovviare alla mancanza di una formazione strutturata, gli stessi cercano soluzioni alternative quali il confronto tra di loro, l’utilizzo di una formazione più

specifica di qualche collega con cui condividere le proprie difficoltà (anche in modo informale), la ricerca personale di specifiche conoscenze (studi sulle culture), esperienze conoscitive basate sull’esperienza (viaggi di conoscenza), approfondimenti personalizzati tramite i mediatori culturali, ecc. Diversi operatori esprimono un livello importante di sofferenza e di frustrazione in relazione alla mancata capacità di comprensione delle realtà portate dagli stranieri (consapevoli di «non capire»), alla mancanza di risposte adeguate (necessità di una nuova lettura dei bisogni), o alla mancanza di interlocutori capaci di considerare adeguatamente le particolari condizioni socio-culturali presenti negli utenti stranieri o di minoranza. Nel tentativo di superare le difficoltà vissute nel quotidiano, esprimono un forte bisogno di condivisione attraverso il lavoro d’equipe, cui quasi tutti attribuiscono una grande importanza, trattandosi di una condivisione in gruppo, interprofessionale, che indubbiamente fornisce maggiori strumenti di lavoro e maggiore sicurezza nell’affrontare le situazioni a volte difficili e complesse. L’«abitudine al confronto» è un elemento che viene riportato frequentemente, come opportunità anche di superamento della solitudine, in particolare in alcune specifiche attività che vengono condotte da operatori singoli. Le attività di confronto, il lavoro d’equipe, la supervisione, sarebbero auspicate anche per sentirsi garanti di un’omogeneità ed uniformità degli interventi nei confronti di persone italiane e persone appartenenti ad altre culture, ed il mantenimento dei principi di uguaglianza nonostante le diversità socio-culturali di provenienza. Una preoccupazione riportata da alcuni operatori è legata alla possibilità, tuttavia, che anche qualora fossero strutturati, i momenti di confronto e di condivisione non diventino «più gestionali che riflessivi», preoccupazione legata ad alcune prassi in uso nel lavoro di rete finalizzata alla realizzazione di alcuni progetti. La formazione richiesta dagli operatori dei Servizi è una formazione specifica, improntata sulla «relazione», considerata l’espressione più importante nel lavoro sociale; infatti qualcuno esplicita il rischio di scambiare per formazione degli operatori solo la parte relativa agli aspetti prettamente culturali dei Paesi di origine delle persone, o agli aspetti normativi/amministrativi legati alla presenza degli stranieri in Italia, tipica di altre professionalità (avvocati, ecc.).

d. Un elemento più volte emerso nel corso dei Focus group è quello legato al rischio di incorrere nei pregiudizi o nelle generalizzazioni, nei quali si può più facilmente cadere in mancanza di un’adeguata formazione. A proposito di ciò, in alcuni Servizi è emersa con una certa enfasi la preoccupazione che pratiche operative o progettualità possano essere dettate dalla conoscenza di alcuni aspetti culturali che si potrebbero facilmente estendere a tutte le categorie di migranti o stranieri; inoltre è stata esplicitata la preoccupazione che alcuni operatori possano essere condizionati da politiche in atto di chiaro contrasto a

pratiche di accoglienza ed inclusive e, infine, è stata sottolineata l’importanza di una formazione non solo tecnico/professionale ma anche personale, onde evitare l’emergere di atteggiamenti «razzisti» di cui taluni operatori potrebbero essere intimamente portatori.

e. Il tempo è una variabile più volte rilevata, con diverse accezioni: a causa della costante insufficienza di risorse umane, a volte nei Servizi la mancanza di tempo porta a costruire una sorta di «economia di pensiero» nello sviluppo delle prassi quotidiane, a causa del quale è possibile non dedicarsi in maniera adeguata ad una corretta lettura dei bisogni e dei problemi; la mancanza di tempo porta inevitabilmente con sé il rischio di ridurre i momenti formativi

ritenendo prioritari quelli operativi a scapito del confronto,

dell’approfondimento, dello scambio di conoscenze.

f. Gli strumenti e le tecniche in uso presso i Servizi non trovano un riconoscimento preciso e formalizzato, elemento che non è legato esclusivamente al lavoro in campo interculturale, in quanto la tendenza chiaramente espressa dagli operatori è che in generale tendono ad operare secondo prassi acquisite nel tempo, che ormai fanno parte di un bagaglio di esperienza personale e del Servizio. In altri Servizi, invece, questo non riconoscimento di specifici strumenti e tecniche viene vissuto come una carenza formativa. La maggior parte dei Servizi riconosce e utilizza sostanzialmente la narrazione e le tecniche biografiche nel rapporto con l’utenza di origine straniera e, nei Servizi in cui vi è la figura dello psicologo, anche dei test, privilegiando quelle tipologie di test che permettono di superare la barriera linguistica (quindi non basati su domande o su aspetti culturali, ma su immagini, test proiettivi, ecc.). Talvolta vengono utilizzate le note etnografiche, come ricerca specifica in relazione a situazioni sulle quali viene rappresentata la necessità di un approfondimento, tramite letture di libri. In generale, tutti gli operatori esprimono un grande utilizzo degli strumenti tipici della relazione, quali i colloqui, l’ascolto, l’osservazione. Un Servizio sottolinea l’importanza della conoscenza di sé stessi e dei valori di cui si è portatori come strumento propedeutico alla conoscenza degli altri e delle culture diverse. g. Il lavoro di rete è considerato indispensabile da tutti i Servizi. Permette di

ampliare il confronto e di «formarsi» attraverso le altrui competenze e conoscenze. Il lavoro di rete si realizza a livello di Servizi, coinvolgendo tutti gli Enti del pubblico e del privato presenti sul territorio, ma anche permette di sviluppare la conoscenza e il coinvolgimento delle reti delle persone provenienti da Paesi esteri o appartenenti a minoranze. In questo modo i Servizi favoriscono la collaborazione con le Associazioni di stranieri, che riconoscono come potenziali interlocutori sia per aumentare le proprie conoscenze, sia per favorire percorsi di aiuto alle singole persone sia, infine, per implementare percorsi di sviluppo comunitario inclusivo.

h. La mediazione - culturale e linguistica - è pure uno strumento molto utilizzato da tutti i Servizi; è importante non solo per le persone straniere in difficoltà nella comprensione della lingua e della cultura italiana, ma anche viceversa, perché consente agli operatori di approfondire ed interpretare quanto comunicato dalle persone straniere. Gli operatori hanno tuttavia rilevato che la mediazione culturale porta con sé alcune criticità: le persone infatti non sempre si fidano dei mediatori, soprattutto se appartenenti alla stessa comunità di origine, per timore che venga meno la riservatezza, sia nei confronti dei connazionali residenti in Italia, sia rispetto alle famiglie di origine che non si desidera vengano a conoscenza di questioni legate alla vita attuale (questioni relative a cambiamenti di stili di vita, alla perdita di tradizioni, a cambiamenti personali e culturali in atto nel Paese di destinazione). I Servizi, onde evitare queste difficoltà, prevedono e sollecitano una formazione adeguata e continua dei mediatori, ed anche il loro «utilizzo» mirato, cioè basato su alcune caratteristiche che possano effettivamente favorire e non scoraggiare il rapporto (ad esempio la loro scelta in base al genere). Purtroppo, la mediazione linguistica e culturale è soggetta a progettualità che dipendono dai finanziamenti degli Enti pubblici, e quindi il loro utilizzo è condizionato da una tempistica e da una frequenza vincolata alle scelte politiche e contestuali, e non sempre adeguata alle reali necessità.

i. Non risultano pratiche innovative nei Servizi interpellati: nessun Servizio infatti riconosce di aver effettivamente predisposto progettualità nuove, che siano state riprodotte in altre località.

j. La valutazione degli interventi nei Servizi viene descritta come carente, anche se gli operatori riconoscono in ciò una loro «debolezza»: senza ricerca, senza analisi dei risultati raggiunti e senza valutazione dell’efficacia dei propri interventi, gli operatori dimostrano minore capacità contrattuale con la classe dirigente e quella politica, in relazione alle eventuali richieste o proposte. La maggior parte degli operatori ne parla come di qualcosa di estemporaneo, a meno che non si tratti del monitoraggio sanitario nell’ambito dei Servizi socio- sanitari, ma trattasi in questo caso di una valutazione che ha altre finalità (il controllo sociale sullo stato di salute della popolazione o la riduzione dello stato di malattia sui singoli individui), oppure del monitoraggio sui programmi seguiti dall’Autorità Giudiziaria. In merito alla valutazione come parte del processo di lavoro nei Servizi, gli operatori ritengono che si dovrebbe effettuare, ma si interrogano sulle modalità da adottare, addirittura in relazione alle loro capacità/competenze di valutare le azioni realizzate. Esistono forme di monitoraggio e di valutazione abbastanza comuni, costituite dalla verifica dei cambiamenti nel tempo, ma solo quando le persone sono seguite su tempi lunghi o «ritornano» allo stesso Servizio a distanza di tempo. Più difficile quando le persone hanno raggiunto un certo livello di soddisfazione dei bisogni

primari o di inclusione sociale. In alcuni Servizi la valutazione emerge addirittura in termini di recidiva, quando cioè persone che sono già state seguite da uno dei Servizi del Ministero della Giustizia, rientra nel servizio (o passa dall’USSM all’UEPE) in seguito alla commissione di nuovi reati; ciò tuttavia fa capire che, secondo alcuni operatori, si tende a fare una valutazione esclusivamente quando le situazioni evolvono in termini negativi, mentre si è meno attenti a cercare i risultati positivi più ampi del lavoro sociale (cambiamenti culturali); la riflessione portata dall’USSM evidenzia un «sottobosco» di pregiudizi nei confronti degli stranieri e dei ROM, per cui sussisterebbe spesso una valutazione a monte di sfiducia e di indisponibilità ad investire per loro una parte dell’impegno sociale; questa situazione, rilevata dall’USSM, non proviene tanto dai Servizi del Ministero della Giustizia o dalla Magistratura, essendo le Istituzioni a ciò dedicate, ma soprattutto dalle Istituzioni del territorio, quelle stesse Istituzioni che dovrebbero definire le risorse per le persone residenti, comprese quelle straniere e ROM. Altre volte, nell’ambito dei Servizi socio-sanitari, ci si rende conto che un risultato positivo non può essere considerato in sé una misura dell’efficacia dell’intervento, perché i fattori che hanno concorso al raggiungimento di quell’obiettivo sono numerosi e differenti tra di loro (pensando ad esempio al tema della sicurezza sul lavoro, o della sicurezza alimentare, ecc.). Si è a conoscenza che la popolazione straniera è in una condizione di rischio tendenzialmente più elevato, rispetto alla mortalità per incidenti sul lavoro, ma lo si sa fondamentalmente attraverso i dati nazionali dell’INAIL; mentre valutazioni a livello locale, in particolare sulle condizioni che determinano a monte l’aumento per gli stranieri del rischio di incidenti, non ce ne sono. Inoltre gli operatori rilevano che effettivamente non si possono ancora realizzare studi longitudinali/intergenerazionali sulla popolazione di origine straniera perché è ancora «troppo presto»; rispetto invece alle minoranze linguistico/culturali (popolazione ROM) non si accenna a possibili studi valutativi, che pur potrebbero essere interessanti, anche per la grossa presenza a Udine di una Comunità ROM, insediatasi da oltre mezzo secolo, l’unica specifica rispetto ai ROM è legata infatti alla fase progettuale, ma non della valutazione. Una valutazione funzionale, quando c’è, è quella che viene svolta a livello di rete, tra i vari Servizi che si sono occupati della specifica situazione.

k. A fronte di una scarsità generale di strumenti e indagini valutative, emerge la consapevolezza che difficilmente i Servizi sono in grado di seguire i risultati dei processi di inserimento ed integrazione individuali. Le difficoltà sono dovute al costante lavoro su bisogni o situazioni emergenziali, ma poi frequentemente le persone si spostano sul territorio, ed è difficile seguirle nel tempo, a parte quelle che hanno un monitoraggio sanitario specifico, dove tuttavia l’attenzione è spostata quasi solo sui cambiamenti a livello di comportamento/stile di vita. Il

processo di integrazione è difficile da valutare anche perché gli strumenti di integrazione sono ancora in fase embrionale, come segnalato dal Consultorio familiare, che a partire da situazioni concrete, sta cercando di avviare un miglioramento delle comunicazioni tra operatori.

l. Vengono segnalati cambiamenti culturali che, tuttavia, non sono necessariamente collegati a processi operativi in atto nei Servizi pubblici. Ad esempio, sul territorio si vedono ormai sempre più persone di origine straniera o di minoranza linguistica/culturale che avviano attività imprenditoriali, inizialmente lavorando in maniera individuale e in seguito assumendo persone della stessa nazionalità. In realtà alcuni Servizi, riconoscendo un ruolo culturale ed una azione di sviluppo delle comunità di stranieri, ha favorito l’inserimento in tali attività di connazionali tramite lo strumento della borsa di lavoro. Queste attività imprenditoriali incominciano a svolgere un loro ruolo culturale, anche finanziando specifiche azioni di natura culturale, oltre che sociale. Inoltre, esistono i mediatori culturali, che promuovono azioni di sviluppo culturale sul territorio, ed emerge che i mediatori «più bravi» sono quelli che sono stati a loro volta sostenuti in percorsi di accoglienza (SPRAR o CAS); tutte le Associazioni di mediatori culturali hanno tra i loro dipendenti degli stranieri che sono stati precedentemente «accolti e supportati». Sui cambiamenti socio- culturali, gli operatori faticano a riconoscere eventuali processi di cambiamento negli stili di vita, al di fuori delle specifiche ragioni per le quali le persone si approcciano al Servizio. Infatti, qualche operatore azzarda che un autentico monitoraggio in termini di risultato/efficacia dovrebbe essere realizzato quando la persona ha già soddisfatto i cosiddetti bisogni primari.

m. Per quanto riguarda la trasparenza, la chiarezza e la condivisione all’interno dei Servizi, si evidenzia che in generale queste riguardano più facilmente gli interventi da realizzare che gli strumenti da utilizzare; inoltre non sempre è possibile raggiungere la condivisione, in particolare quando le équipes son o multiprofessionali e coesistono nello stesso Servizio professioni sociali con quelle mediche. Ciò comporta che a volte gli operatori del sociale debbano «lottare» per riuscire a costruire rapporti di chiarezza e condivisione. Anche in altri Servizi non vi è sufficiente condivisione, ad esempio laddove l’Ente predispone progetti a favore di stranieri, ma della cui esistenza molti operatori non sono a conoscenza.

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