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2.1. Risultati dei Focus Group

2.1.2. Risultati qualitativi

Le interviste nei Focus group sono state organizzate per «dimensioni», e quindi si è scelto di effettuare la raccolta dei dati allo stesso modo. Il metodo discorsivo dell’intervista semi strutturata di per sé non permette una facile rilevazione delle risposte, anche perché gli intervistati si sono frequentemente «spostati» da una domanda all’altra, pur rimanendo dentro la medesima «dimensione». Talvolta alcune specifiche domande non sono state considerate, totalmente o in parte, per le caratteristiche del Servizio, o per l’assenza di quegli specifici elementi nell’ambito del Servizio. Il più delle volte, tuttavia, anche le domande non facilmente collegabili ai singoli Servizi hanno consentito uno spazio di riflessione, o qualche commento in merito all’impossibilità di fornire una precisa risposta.

In considerazione della grande mole di materiale raccolto, si è ritenuto opportuno sistematizzare le risposte – dentro le «dimensioni» - per aree tematiche, corrispondenti più o meno agli «indicatori» delle tre dimensioni sulle quali si è svolta l’indagine.

Dimensione della RIFLESSIVITÀ

 coinvolgimento istituzionale dell’Ente/Servizio di riferimento.

Tutti i Servizi coinvolti hanno riferito di avere avuto esperienza di una qualche forma di coinvolgimento del proprio Ente e/o personale, in tematiche relative all’interculturalità. Molti Enti, da quelli statali (Ministero della Giustizia) agli Enti Locali,

21,4 42,8 21,4 54,7 61,9 Formazione ricevuta Formazione universitaria Corsi specifici Attività precedenti Attività personali Lavoro attuale

nonché l’Azienda Sanitaria, hanno avuto modo di sviluppare diversificate progettualità sui temi interculturali.

Nello specifico, il Servizio Sociale dei Comuni dell’UTI del Friuli Centrale ha visto nascere, svilupparsi, consolidarsi o concludersi numerosi progetti, promossi non solo dagli Enti Locali, ma anche dal privato sociale o in partenariato tra pubblico e privato. É interessante, ad esempio, la lunga sequela di progetti che viene riferita dagli assistenti sociali del Servizio, per le diverse categorie o fasce di età (le donne, i minori), dove l’iniziativa è variegata: la possibilità di accesso ad un finanziamento, la segnalazione di un bisogno da parte di operatori sociali dell’Ente locale, del mondo della scuola, ma anche una spinta da parte del privato sociale organizzato, un bisogno espresso da un’Associazione o da alcuni gruppi informali di stranieri, ecc. Una miscellanea di opportunità provenienti dall’esterno (interventi in genere «top-down», meno «bottom-up»), di considerazioni e suggestioni, di bisogni (“…noi coglievamo le carenze dei bambini”) e di creatività, sembra essere alla base della costruzione di una lunga serie di progetti e di laboratori che hanno accompagnato, almeno dagli anni 2000, il Servizio Sociale del Comune di Udine. Le modalità di realizzazione sono state pure diversificate: dalla partecipazione ad un bando pubblico alla co-progettazione, che talvolta non è stata proprio tale perché più legata “…ad un’idea di uno che improvvisa”. Anche le finalità sono le più varie: l’obiettivo dell’integrazione (“supporto scolastico ai bambini ma con la finalità più ampia del dopo – scuola, da non confondersi con il doposcuola...”), quello del miglioramento delle attività economiche (“aiutare le donne in un’attività imprenditoriale che fungesse non solo per lo sviluppo economico, ma anche come miglioramento delle reti sociali, dei punti di riferimento…”), quello di rispondere alle esigenze di tipo abitativo, e così via. Ciò che emerge dalla narrazione del gruppo è un enorme investimento degli operatori, nelle varie fasi di realizzazione di questi progetti, a fronte di una grande frammentarietà degli interventi, sia dal punto di vista della realizzazione che della prosecuzione. Ciò, nonostante il Comune di Udine abbia un Servizio specifico, il Centro Servizi Stranieri che può essere considerato “…un punto di forza dell’Ente perché ha avuto e ha un Ufficio dedicato alla tematica, cosa che non esiste in tutti i Comuni…”. Emergono infatti carenze informative e di condivisione di tutte queste progettualità, non note neppure al gruppo dei partecipanti al Focus. Il gruppo degli operatori del Servizio Sociale dei Comuni sottolinea inoltre, condividendone il pensiero, che

…negli ultimi tempi c’è un cambiamento di atteggiamento e di orientamento in termini non inclusivi e di accoglienza, che rende più difficile il lavoro perché ci sono pochi servizi da offrire e pochi interventi da realizzare…(FD).

Spesso i progetti terminano per mancanza o per conclusione dei fondi; ma in questo ultimo periodo i fondi utilizzabili sono sempre di meno; riferiscono che sono rimasti

esclusivamente alcuni fondi per azioni ritenute obbligatorie (minori non accompagnati, ad esempio). Per quanto riguarda il Servizio Sociale dei Comuni, viene anche riferito che un problema del Servizio è legato agli aspetti organizzativi e gestionali dell’Ente, in quanto per alcuni aspetti il Servizio coincide con la UTI Friuli Centrale, ma non per tutti20

Da parte dell’Azienda Sanitaria vengono riferiti diversi progetti cui hanno partecipato soprattutto il Dipartimento delle Dipendenze ed il Dipartimento di Salute Mentale: in particolare viene segnalato da tutti gli operatori un progetto di accesso alla caserma “Cavarzerani” di Udine, in atto per 3 mesi nell’autunno 2018, che consentiva agli operatori – su richiesta della Croce Rossa Italiana che ne gestiva l’accoglienza - di svolgere un’azione informativa e di accompagnamento terapeutico o educativo, a seconda delle necessità. Come riferito dagli operatori del Ser.T., è stato “…un lavoro sicuramente interessante ma molto limitato…”, in cui il Servizio ha lavorato a stretto contatto non solo con gli operatori della CRI, ma anche con i mediatori di comunità, senza i quali si riconosce che il progetto non avrebbe potuto realizzarsi.

...quasi tutte queste persone all’inizio non avevano ben chiaro chi avevano davanti, un po’ per la lingua […], col mediatore culturale che un po’ traduceva; comunque c’era della diffidenza, ma dopo avergli spiegato che eravamo operatori sanitari si rilassavano un po’ e ci raccontavano della storia del viaggio, dei problemi che avevano avuto nei loro Paesi, storie tutte molto drammatiche, di perdite, situazioni di grande difficoltà a livello sociale, economico, quasi tutti avevano questo vissuto…(CC); …e anche rispetto all’uso di sostanze tendevano a negare, avevano paura che ammettendo l’uso di sostanze temevano di essere rimandati nei loro Paesi […] ma anche quelli più problematici li abbiamo visti non più di un paio di volte perché poi si sono spostate… (CA).

Gli operatori riferiscono infatti che, oltre alla conclusione dei fondi che ha bruscamente interrotto questo lavoro, c’era anche il problema dei continui spostamenti delle persone, che non permettevano un approfondimento o una continuità nell’accompagnamento, terapeutico o educativo che fosse. Il Dipartimento di Salute Mentale, rispetto al progetto presso la Cavarzerani, rileva che la proposta del progetto era partita proprio dal Servizio, che si trovava ad accogliere invii e

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Nel Sistema Locale dei Servizi Sociali, il Responsabile del Servizio Sociale dei Comuni è in diretta relazione con l’Assemblea dei Sindaci dell’UTI. Esistono tuttavia progettualità (anche in relazione alla gestione di finanziamenti per le persone immigrate) che sono di diretta competenza dei Comuni, ma non del Servizio Sociale. In questo caso il Servizio Sociale viene informato, può essere coinvolto e partecipare alla realizzazione di progetti, ma non avere un ruolo gestionale/valutativo. La conseguenza è che a volte progetti considerati positivi ed efficaci dal Servizio Sociale non vengono procrastinati o riprodotti, mentre altre volte il Servizio Sociale non viene neppure informato della loro esistenza e, indipendentemente dalla loro “bontà”, non vengono utilizzati dal Servizio Sociale.

sollecitazioni dalla Questura o dalla Prefettura per persone i cui problemi non erano stati precedentemente valutati. L’esperienza è stata

Arricchente ma… triste per la verità; arricchente ma emotivamente pesante…(DD); …desolante […] certo c’è un vissuto legato alla sofferenza, che uno deve affrontare rispetto ad una prospettiva completamente diversa, magari per le storie personali che le persone portano, quindi c’è una sofferenza che ha delle caratteristiche peculiari, ma anche per difficoltà ad accettare anche un potere iatrogeno che i Servizi hanno e quanta impreparazione che abbiamo noi nel singolo ma anche una concentrazione di persone in una situazione come quella delle condizioni della Cavarzerani; il fatto stesso che è stato oggetto di discussione anche da parte nostra di entrare in un posto del genere piuttosto che far uscire le persone, ci ha messo molto in discussione; per quanto rimane filtro, però è un modo per non permettere alle persone di integrarsi, da un certo punto di vista, e trovare situazioni che sono non accettabili, perché chiamano le persone per numero, per codice, che quindi rispetto ad una idea di accoglienza qui sono al livello più basico in una valutazione della consulenza psichiatrica, si tratta della relazione che c’è all’interno di una struttura come questa; questo vedere che uno è chiamato per AZ… per me […]. E vedere che gli operatori [della CRI] ci portassero gli elenchi con i codici, è qualcosa che richiama altro. E una cosa che mi è rimasta molto impressa è una persona di cui ci è stato detto che non parla, è ritirato, non vuole parlare, è lì da mesi, probabilmente l’hanno seviziato, non ha la lingua; aprendo la bocca, la lingua c’è, era muto dalla nascita… Ecco, questo colpisce molto, su come il Servizio in generale affronta le situazioni (DG). Oppure: …Mi è capitato di vedere quale è il pregiudizio dell’operatore per una scarsa conoscenza, per cui l’intervento formativo […] è stato molto utile per dare indicazioni di massima sul permesso di soggiorno, sulle informazioni basiche per l’operatore che non sa, dal momento in cui si realizza la scheda di primo contatto, di cosa si sta parlando; il pregiudizio legato alla storia della migrazione, abbiamo imparato a conoscere i flussi migratori, le storie anche devastanti, per cui anche tutti i sintomi somatoformi come mal di testa, abusi di farmaci, le confusioni, questi pastrocci, che poi gli utenti fanno dal momento in cui gli si dà il farmaco, comunque, ci ha aiutato a capire un po’ meglio le storie, la sofferenza, e il pregiudizio degli operatori che lavorano all’interno di questi Servizi. Era venuto da noi a fare tirocinio un

medico di medicina generale che lavora al CARA21 di Gorizia che raccontava come queste persone mistificano o falsificano le loro storie, dando per scontato come sempre che si tende ad andare al di là per non vedere il problema, affrontare le questioni. E poi nel Servizio la grossa paura nel momento in cui c’è stata l’emergenza prima che si aprisse la Cavarzerani, e quindi queste persone che vivevano in strada, per cui noi come Servizio nella gestione delle persone senza fissa dimora […] e poi ho il ricordo della pressione della Prefettura anche rispetto a trovare delle soluzioni per persone con disagio, pressione nell’aprire strutture specifiche per persone con disagio, con determinati posti letto, anche in economia di custodia, di controllo sociale (DB). …Poi si valutava se ci doveva essere un invio al CSM o se era un disturbo o un disagio che poteva essere gestito da loro, con l’aiuto di farmaci o… Sicuramente una volta è capitato che l’operatore di CRI aveva interpretato l’isolamento di una persona come un segnale di depressione, quando invece abbiamo parlato col ragazzo, lui era un pastore, abituato a vivere da solo con le sue capre, e quindi questo era il suo modo di essere…(DD).

Oltre al progetto presso la Caserma Cavarzerani, il Dipartimento di Salute Mentale ha una collaborazione con CIVIFORM22, che ospita persone richiedenti asilo, “…anche se non c’è un vero e proprio protocollo specifico di presa in carico e di attività […], ma c’è una collaborazione sul caso, anche spesso con mediatori culturali ed interventi educativi che vengono attivati sul territorio dagli educatori delle cooperative con cui collaboriamo”. Al Dipartimento delle Dipendenze un altro progetto che viene segnalato è quello dei

…due gruppi psicoeducativi in carcere, che sono molto eterogenei per età dei partecipanti, provenienza culturale perché provengono da varie parti del mondo, d’Europa e d’Italia, e cittadini ROM […]; noi tendiamo a valorizzare le diversità, e fare in modo che diventino occasione di apprendimento per gli altri […]. Sono volutamente molto diversificate le componenti dei gruppi: età, provenienza e problematica, perché l’obiettivo è quello di valorizzare la diversità per suggerire possibilità di apprendimento per la soluzione del problema; per esempio il problema della solitudine in carcere, chiediamo a tutti come lo affrontano in base alla cultura, alla pratica religiosa, al loro

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CARA: Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo, introdotti nel 1998 dalla Legge Turco-Napolitano (L.286/98)

22 CIVIFORM: Ente di Cividale del Friuli e formalmente accreditato dalla Regione Friuli - Venezia Giulia,

che opera nella formazione per avvicinare nuove professionalità al mondo del lavoro e qualificare ulteriormente le competenze di chi già lavora, grazie a una rete di relazioni ormai profondamente radicata nel territorio circostante.

convincimento, al loro modo di essere, e queste espressioni diventano occasione per gli altri di comprendere nuovi modi di affrontare il problema (CE).

In altri Servizi le progettualità in campo interculturale vengono riportate in modo più sfumato: ad esempio presso il Consultorio Familiare sono stati/vengono effettuati interventi di gruppo per minori non accompagnati sul tema dell’educazione alla sessualità, esiste uno «spazio giovani» che si confronta sui temi dell’affettività, si realizzano incontri di sensibilizzazione sul tema della violenza di genere. Recentemente è stato proposto un questionario ai ragazzi che frequentano questi gruppi ed “…erano emersi desideri di maggiore approfondimento”; i risultati del questionario verranno utilizzati per la programmazione delle attività dei mesi a venire. Inoltre, all’interno del Servizio si è discusso di affrontare altre tematiche, come i corsi di preparazione alla nascita (fino ad ora frequentati quasi esclusivamente da persone italiane perché “…le donne straniere accedono di più agli interventi post nascita…” e il tema degli “…affidi per bambini stranieri, perché abbiamo pensato che famiglie di culture diverse fanno difficoltà a consentire che i loro bambini vengano accolti da famiglie italiane…”. Ma queste ultime considerazioni costituiscono una nuova “…lettura del bisogno…”, per il Servizio, che si propone di “…lavorare con i mediatori culturali […] cominciare ad aprire un po’ la discussione…”.

Presso l’Azienda ospedaliera “S. Maria della Misericordia”, gli operatori rilevano che …l’Azienda Sanitaria ha una specifica attenzione verso il tema […] Non ho promosso iniziative di carattere interculturale, ho fatto interventi nella gestione di casi, ma a livello di gruppi di lavoro, piuttosto che organizzare serate o conferenza, era proprio una gestione del caso dove ho lavorato molto con altri Servizi e coi mediatori culturali (GB).

L’Azienda ospedaliera, tuttavia, ha istituito una struttura residenziale chiamata “Casa Mia”, per i familiari dei pazienti oncologici,

…perché qua siamo un centro a livello nazionale e non si poteva pretendere che i parenti di chi fa un ciclo oncologico si pagassero l’albergo per più giorni ma in realtà ora viene utilizzata anche per pazienti ostetriche che sono in gravidanza e che vivono a Codroipo e sono senza macchina, e qui l’hanno fatta da padrona soprattutto pazienti straniere, che abitano a Codroipo o nelle Valli del Natisone, dimesse, in gravidanze, e dovevano fare delle visite […] o comunque semplicemente erano sempre sole a casa e abbiamo attivato la convivenza lì; certo ci sono determinate regole di convivenza, il problema è che il 100% delle volte il marito non accetta che le donne

vengano a vivere lì; il marito non ci può vivere perché ci vivono solo le donne che dormono insieme, come una sorta di B&B con aree in comune, però l’uomo non entra in questa struttura anche per mantenere una sorta di decoro […] Il problema è che la donna dice ok si potrebbe: ne parlo con mio marito. Poi vanno a casa, e poi tornano e ci dicono che non è possibile, vado a casa; dici allora anche al marito: guardi che lei durante il giorno può essere vicino a sua moglie, ma non accettano la donna da sola anche se con altre donne, se non c’è l’uomo di casa, fondamentalmente (GA).

Anche al Dipartimento di Prevenzione, costituito da diversificate aree tematiche, emerge che

“…progetti non ce n’è, ma esiste una rete informale, poi ci sono gruppi di lavoro formalizzati, non solo intra aziendali, ma anche con associazioni di volontariato, CARITAS, ecc., per cui c’è un passa parola, una rete per cui arriva la CARITAS… La CARITAS da sempre si occupa delle fasce deboli, migranti o no, della popolazione che rimane ai margini, c’è sempre stato uno scambio reciproco; a seconda dei bisogni noi diamo alla rete e la rete se intercetta dei bisogni sanitari, sapendo che abbiamo anche un ambulatorio per le persone non in regola che quindi non hanno diritto alla tessera ecc., sanno che possono inviarlo. É vero che non è un progetto, ma è una cosa più informale […], si basa sulle conoscenze delle persone… (EC).

Il Ministero della Giustizia non risulta aver realizzato direttamente progetti specificamente orientati all’interculturalità; sia gli UEPE che gli USSM, Servizi sociali del Dipartimento di Giustizia Minorile e di Comunità, peraltro, operano sui rispettivi territori in stretta collaborazione con gli Enti Locali e con gli altri Enti pubblici e del privato sociale, usufruendo delle risorse messe a disposizione da questi ultimi e costruite in partenariato tramite un fitto lavoro di rete e di co-progettazione. Gli operatori dell’USSM, tuttavia, ricordano come negli anni ‘90 ci furono

… dei pensieri interni al Servizio, che abbiamo coltivato, soprattutto all’interno, nel senso che ci siamo detti su queste aree che hanno una specificità soprattutto legate all’accoglienza, minori non accompagnati, che erano in qualche modo problemi emergenti di quel periodo, paradossalmente - socialmente parlando - se ne parla di più adesso ma quella volta erano appena arrivate non c’erano le risposte che oggi si sono strutturate; lo stesso mondo dei Rom, di tutto il nomadismo ecc. abbiamo fatto un pensiero dentro l’USSM, con anche l’idea che chi aveva un interesse più specifico vi si dedicasse, coi Servizi esterni ovviamente. Se parliamo di progetti veri e propri di

queste problematiche, con nome e cognome, forse c’è stato quello organizzato dal Comune di Udine, il progetto Europeo ROMANET […]: era molto specifico sull’area ROM… era un percorso di un programma europeo (fine anni 90, inizio 2000) […] con l’obiettivo di costruire un programma europeo condiviso… diciamo che gli anni 90 sono stati molto ricchi…(HB). … fino a fine anni 90; il Ministero aveva fatto dei corsi triennali, dopo. In realtà dal mio punto di vista, perché sono stati gli anni in cui si era pensato di più a questo tipo di problematica: la diversità = straniero, perché sono stati gli anni in cui il Ministero aveva investito in corsi di formazione molto robusti, che duravano un tempo lungo, annuali, noi ne abbiamo fatti tre, coinvolgendo anche la Magistratura, che aveva partecipato, che poi si era focalizzato solo su alcuni operatori che in Ufficio portavano avanti il tema, però il Ministero aveva investito, a Castiglione [delle Stiviere], ma tutto fino al 2000; dopo non c’è stato molto, sì, qualcosa, perché io ho partecipato due anni fa ad un corso sull’etnopsichiatria…(HB). …abbiamo partecipato anche a delle ricerche, sui territori anche del FVG, legate ai corsi (Gruppo Abele)… Ma vorrei dire che dal 2000 tutto questo è scemato e il culmine di tutto questa cosa è stato il progetto ROMANET che era il primo momento in cui l’Ente Locale si è fatto carico, perché prima avevamo tutto un attivismo, la partecipazione del Ministero, le microricerche organizzate tramite i corsi del Ministero anche a livello locale, sempre su stranieri e nomadi, il tentativo di riuscire a coinvolgere l’Ente Locale, perché ad esempio a Castiglione partecipavano i colleghi dell’Ente Locale, […] tramite il Gruppo Abele che organizzava. Quello è stato un corso molto importante, fatto molto bene. Quelli sono stati anni molto ricchi. Poi la cosa è scemata ma non credo perché è venuto meno l’interesse dentro l’Ufficio, ma un po’ perché in quegli anni il tema era nuovo, come un’ondata di qualcosa che era arrivata e bisognava attrezzarsi, poi è rientrato in una dimensione per cui […] non

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