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1 IL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI

3.9 Conclusioni

Il patto di famiglia si presenta, come fin qui evidenziato, come un contratto a carattere endo-familiare a struttura complessa. Considerando l’importanza e la consistenza che l’azienda o le partecipazioni sociali possono rivestire all’interno dell’intero patrimonio del disponente, si potrebbe inquadrare il contratto in

questione come una sorta di successione anticipata, perlomeno parzialmente.

Effettivamente il patto di famiglia è stato introdotto nel nostro ordinamento con un inciso, “Fatto salvo quanto disposto dagli articoli

768-bis c.c.…”, che lascia intendere l’adozione del patto quale deroga

al generale divieto di patti successori fissato dall’articolo 458 c.c.. Come analizzato in precedenza, il patto di famiglia nella sua configurazione standard prevede la partecipazione di tre categorie di soggetti a loro modo coinvolte nella vicenda: il disponente, colui/coloro ai quali viene trasferita l’azienda o le partecipazioni, infine i legittimari non assegnatari.

Osservando il patto di famiglia dalle diverse prospettive dei soggetti interessati, dal punto di vista del disponente si potrebbe intravedere nel contratto in esame un patto successorio istitutivo. Ma come specificato nel primo capitolo, il patto successorio istitutivo è l’unico dei patti successori configurabile come atto mortis causa, viceversa il patto di famiglia come sostenuto98 da i più va considerato necessariamente un atto inter vivos.

A sostegno di tale tesi è stato evidenziato come il trasferimento sia immediato, e non posticipato all’evento morte: carattere che connota invece gli atti mortis causa99. Inoltre l’evento morte incide negli atti

mortis causa riguardo alla determinazione dell’entità, esistenza e modo

di essere dell’oggetto della disposizione, nonché sull’individuazione del beneficiario il quale deve essere esistente in quel momento. Qualora una delle due condizioni venga a mancare, l’atto non può considerarsi a causa di morte.

98 C.CACCAVALE, op.cit., pag. 296; G.VOLPE, op.cit., pag. 15; G.PETRELLI,

op.cit., pag. 408: G.OBERTO, op.cit., pag. 47.

99 G.PETRELLI, op.cit., pag. 408.

Nel patto di famiglia, la valutazione del bene, come visto in precedenza, è fatta sulla base del valore rivestito da esso al momento della stipula del contratto, e non sulla base di quello che sarà al momento dell’apertura della successione, eventuali successive modifiche nella consistenza o valore saranno irrilevanti.

Va sottolineato a tal proposito, come non ha mancato di fare parte della dottrina100, che i beneficiari delle assegnazioni sono individuati con riguardo al momento della stipula del contratto; da ciò ne consegue che in caso di premorienza dell’assegnatario al disponente, i beni vanno considerati come già facenti parte della sfera patrimoniale del primo, pertanto cadranno così nella di lui successione.

Per queste diverse ragioni, la dottrina101 è incline ad escludere la configurabilità del patto di famiglia quale patto successorio istitutivo.

Dal punto di vista dei legittimari esclusi dall’assegnazione potrebbe invece prospettarsi la stipula di patto successorio dispositivo o rinunciativo.

L’accettazione della liquidazione potrebbe considerarsi un atto di alienazione della loro quota di legittima, sui beni oggetto di trasferimento.

Per quanto riguarda la rinuncia, in tutto o in parte che sia poco importa ai fini di questo studio, tenendo conto del fatto che non è la

quantità ma la qualità della stessa che interessa approfondire, essa

potrebbe rappresentare una rinuncia alla quota di legittima.

Ma in realtà è il contratto stesso a disciplinare, in maniera alternativa, quelli che sarebbero i diritti successori, spettanti ai non assegnatari sui beni oggetto del patto di famiglia, l’esclusione da

100 G.PETRELLI, op. cit., pag. 408.

101 C.CACCAVALE, op.cit., pag. 294, 301; G.VOLPE, op.cit., pag. 15

riduzione e collazione è un effetto legale tipico del patto di famiglia, in quanto previsto direttamente dall’articolo 768 quater ultimo comma.

È la stessa disciplina codicistica a prevedere la conversione della “quota di legittima” in “quota di liquidazione”; partecipando, i legittimari non assegnatari, semplicemente “acconsentono” sin da subito a tale conversione, hanno la possibilità di partecipare attivamente alla valutazione del bene azienda/partecipazione, nonché ulteriore aspetto fondamentale ne traggono la nascita di un diritto attuale ad ottenere tale liquidazione.

Tale ragionamento è confermato dalla sistematicità del resto della disciplina. Come abbiamo avuto modo di precisare, coerentemente con la ratio del patto di famiglia, l’atteggiamento ostruzionistico da parte dei non assegnatari non può inficiare il patto né impedirlo, ed è ben ipotizzabile un patto di famiglia concluso tra i soli disponente ed assegnatario. In tale ipotesi, i legittimari non assegnatari che non hanno intenzionalmente voluto partecipare al patto pur essendo stati convocati, ricevono lo stesso trattamento riservato dalla disciplina ai legittimari sopravvenuti: la legge riserva loro il diritto al pagamento della somma

prevista dal secondo comma dell’articolo 768 quater aumentata degli interessi legali. Essi pertanto pur non avendo partecipato alla stipula

vedrebbero in ogni caso modificati i loro diritti successori.

La dottrina maggioritaria102 ritiene che dal contratto nasca un diritto di credito nei confronti dell’assegnatario, e pertanto i non assegnatari chiedendo il pagamento della somma o rinunciandovi dispongono di tale diritto e non della loro quota di legittima; escludendo così che si tratti di un patto successorio dispositivo o rinunciativo.

A seguito di tali osservazioni pare evidente come in realtà il patto di famiglia non possa considerarsi un patto successorio, pertanto nonostante il rinvio dell’articolo 458 c.c. alla relativa disciplina, è da escludere che esso sia una vera e propria deroga al divieto sancito dall’articolo 458 c.c.

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