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Pattuizioni accessorie

1 IL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI

3.8 Pattuizioni accessorie

Il patto di famiglia, come più volte ripetuto, si presenta come un contratto il cui scopo precipuo è quello di garantire il passaggio generazionale dell’impresa, lasciando la possibilità alle parti, nel rispetto dei limiti di legge, di dare ingresso alle loro ragioni individuali arricchendo così il contenuto negoziale con elementi non essenziali ma accidentali.

a) Dalla nozione dell’art.768 bis c.c. si ricava che beni oggetto del trasferimento possono essere l’azienda e le partecipazioni sociali, in tutto o in parte. Bisogna soffermarsi ancora una volta sul concetto di parte, è stata avanzata l’opinione che non si tratti solamente di un concetto quantitativo ma anche qualitativo. Inoltre il legislatore nulla specifica riguardo alla natura dei diritti che vengono trasferiti.

Nel silenzio legislativo è avanzata così in dottrina95 la convinzione che oltre al diritto di proprietà,

94 G.VOLPE, op. cit., pag. 233.

95 Così in G.PETRELLI, La nuova disciplina del “patto di famiglia” pag.420.

il disponente possa decidere di trasferire solo la nuda proprietà riservandosi il diritto di usufrutto. Effettivamente tale convinzione rimane coerente con la

ratio dell’istituto. L’imprenditore avrebbe così la

possibilità di stabilire sin da subito ed in via definitiva quelle che saranno le sorti dell’azienda; in più conseguirebbe il vantaggio, continuando a gestire egli stesso l’attività fino all’estinzione del diritto di usufrutto, di non esporre l’azienda a nessun trauma nell’immediato. Non si intravedono ostacoli inoltre alla possibilità che il disponente decida di trasferire la nuda proprietà ad un discendente ed il relativo diritto di usufrutto ad un altro. Parlando la disciplina di “discendenti” e non semplicemente di legittimari (facendo riferimento ai destinatari del trasferimento) offre all’imprenditore l’opportunità di trasferire la nuda proprietà al nipote ex

filio, ma di affidarne la gestione nel frattempo al figlio

mediante usufrutto, realizzando così un doppio passaggio generazionale.

Sorgono dubbi nell’ipotesi del trasferimento del solo diritto di usufrutto. Come visto pocanzi può essere oggetto di attribuzione, anche se a ben vedere bisognerebbe valutare l’utilità dell’operazione nel complesso. Supponendo che il disponente si riservi la nuda proprietà e decida di trasferire ad un discendente l’usufrutto, è pur vero che non viene compromessa la continuità dell’attività di impresa, ma dall’altro lato non è detto che venga assicurata la definitività del passaggio

generazionale dell’azienda, essendo il diritto di usufrutto un diritto per sua natura destinato ad estinguersi.

b) L’imprenditore potrebbe decidere di apporre elementi accidentali che incidono sul trasferimento, subordinandolo all’adempimento dell’obbligo di liquidazione da parte dell’assegnatario. In tale ipotesi il patto di famiglia rimane coerente con quella che è la ratio della disciplina, viene rafforzata la tutela dei legittimati non assegnatari la cui tacitazione è un elemento imprescindibile dello schema negoziale. Tale elemento accidentale comporta una maggiore responsabilizzazione dei discendenti assegnatari i quali debbono rigorosamente provvedere al pagamento delle somme, pena il mancato trasferimento aziendale.

c) È discussa invece in dottrina la compatibilità del patto di famiglia con un eventuale condizione di reversibilità dei beni trasferiti in caso di cattiva gestione da parte dell’assegnatario. Occorre precisare che una tale condizione pare trovare giustificazione normativa nella stessa disciplina del patto di famiglia che all’articolo 768 septies, 1° comma n. 2 c.c. prevede la possibilità di sciogliere o modificare il contratto mediante recesso, se espressamente previsto nel patto stesso, attraverso una dichiarazione agli altri partecipanti certificata da notaio.Attraverso tale clausola l’imprenditore avrebbe la possibilità di trasferire l’azienda conservando la possibilità di ritornare nella titolarità del bene in caso di cattiva gestione. Nulla contrasta con la ratio del patto il quale oltre che mirare

ad un trasferimento definitivo, ha come intento quello di assicurare al bene impresa il mantenimento della sua produttività e della sua funzionalità. Nel momento in cui queste aspettative vengono meno a causa di una gestione poco oculata da parte dell’assegnatario, l’imprenditore disponente, operando tale clausola di reversibilità, ritornerebbe nella titolarità dell’impresa e avrebbe nuovamente la possibilità di decidere le sorti dell’impresa. I problemi nei confronti di una tale previsione convenzionale, sorgono piuttosto, circa i criteri oggettivi per la valutazione della gestione dei beni produttivi da parte dell’assegnatario, onde evitare abusi del diritto da parte del disponente consapevole di poter tornare nella disponibilità ogni volta lo ritenga opportuno96.

d) È possibile apporre una clausola secondo la quale il patto di famiglia, già stipulato, in caso di nascita di un nuovo legittimario, si considera come se non fosse mai stato stipulato. In realtà, come visto in precedenza, l’articolo 768 sexies c.c. disciplina compiutamente l’ipotesi di legittimari sopravvenuti stabilendo che al momento dell’apertura della successione questi possano chiedere ai beneficiari del contratto il pagamento della somma prevista all’art. 768 quater c.c. aumentata degli interessi.

Secondo la stessa dottrina97 che ne ammette la compatibilità con il patto di famiglia, bisognerebbe valutare, di volta in volta, quanto effettivamente l’evento della nascita di un nuovo legittimario sia in grado di mettere in discussione l’assetto di interessi regolato attraverso la stipula del patto.

e) Il disponente potrebbe decidere di inserire nel contratto in esame, un divieto di alienazione. È ben comprensibile che l’imprenditore desideri, almeno per certo periodo di tempo, consolidare nelle mani dell’assegnatario quel passaggio generazionale attuato attraverso il patto di famiglia. Non vi sono problemi di legittimità nei confronti di una tale clausola, il divieto però deve avere necessariamente un limite temporale tale da non pregiudicare definitivamente la posizione dell’assegnatario.

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