• Non ci sono risultati.

Conclusioni: la prevalenza della disciplina sul trattamento di dati personali L’importanza nodale dell’informativa preventiva.

Regolamento europeo n 679/2016 (GDPR)

6. Conclusioni: la prevalenza della disciplina sul trattamento di dati personali L’importanza nodale dell’informativa preventiva.

Uno degli obiettivi della riforma dell’art. 4 (in particolare comma 3) è stato quello di affiancare ad una dimensione collettiva di tutela della riservatezza del lavoratore, fondata sull’intervento dei sindacati, una dimensione individuale di tutela, coerente con la natura personalissima del diritto alla riservatezza. Tale obiettivo è stato realizzato, innanzitutto, valorizzando la cognizione e la consapevolezza del lavoratore rispetto alle insidiosità e potenzialità di controllo sviluppatesi in un ambiente lavorativo d’avanguardia.

Infatti, il comma 3 dell’art. 4 St. lav. chiude i precetti in materia di controlli a distanza sancendo che, rispettate le condizioni previste dai commi 1 e 2, il datore di lavoro può utilizzare le informazioni raccolte solo se ha preventivamente dato ai lavoratori adeguata informazione sulle modalità di uso degli strumenti e sulle possibilità di effettuare i controlli126.

La preventiva informazione del lavoratore, quindi, realizza l’obbligo di trasparenza posto a carico del datore di lavoro, e salvaguarda l’interesse del lavoratore alla verificabilità del corretto procedimento di trattamento di dati personali.

126 In particolare il comma 3 recita “Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili

a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.”

L’ informativa specifica e preventiva genera, in sostanza, due tipi di effetti. Per quel che riguarda il datore di lavoro, essa crea un effetto dissuasivo verso il monitoraggio non giustificato dell’attività del dipendente.

Per quel che riguarda il lavoratore, essa realizza un effetto di consapevolezza, dando piena e formalizzata cognizione delle potenziali (o effettive) ipotesi di controllo.

D’altronde, la consapevolezza di essere soggetti ad un controllo e quindi l’accettare di essere legittimamente controllati rappresentano elementi necessari nelle dinamiche di potere tra datore e lavoratore, e contribuiscono a colorare la nozione stessa di subordinazione.

Orbene, prima dell’entrata in vigore del nuovo Regolamento europeo sulla privacy n. 679/2016 e, quindi, prima che venisse emanato il decreto attuativo n. 101/2018, le fonti normative che imponevano l’obbligo di adeguata informazione in capo al datore di lavoro erano sostanzialmente due: l’art. 4, comma 3 dello Statuto dei lavoratori e l’art. 13 del Codice privacy.

Oggi il decreto attuativo del GDPR ha abrogato l’art. 13 del Codice Privacy. Ciò non comporta assolutamente un vuoto normativo sull’argomento: il regolamento GDPR è direttamente applicabile negli stati membri, pertanto l’art. 13 sarebbe stato superfluo.

Il diritto dell’interessato da trattamento (e quindi del lavoratore) ad essere informato è oggi sancito direttamente dagli articoli 12, 13 e 14 del GDPR127.

Tali norme impongono che il titolare del trattamento adotti misure appropriate per fornire all’interessato tutte le informazioni sulle modalità e finalità del trattamento, comunicandole in maniera trasparente, intelligibile e con un linguaggio semplice e chiaro.

127 Il Regolamento qualifica l’informativa come un vero e proprio diritto dell’interessato. In

particolare, l’art. 12 tutela il diritto dell’interessato indicando come comunicargli le informazioni ed imponendo misure trasparenti per l’esercizio del suo diritto. Gli articoli 13 e 14, invece, dettano particolari requisiti dell’informativa e delle correlate misure di informazioni a seconda di se i dati personali vengano raccolti direttamente presso l’interessato oppure no.

La differenza tra l’informativa prevista dalla disciplina lavoristica e quella prevista in materia di dati personali sta essenzialmente in ciò: la seconda è posta a tutela di ogni qualificata ingerenza nella sfera personale del cittadino, la prima impone al datore di lavoro un obbligo di trasparenza più dettagliato ed articolato, riferito specificatamente al monitoraggio effettuato mediante gli strumenti di lavoro che incidono sulla sfera personale del lavoratore128.

La differenza non riguarda la ratio dell’informativa ma il grado di dettaglio del suo contenuto, e si giustifica rilevando che l’elevata capacità di incisione del singolo strumento di controllo sulla sfera personale del lavoratore impone un un’informativa più tecnica e dettagliata sui luoghi di lavoro.

Posto che le due informative disciplinate non rappresentano una duplicazione (essendo volte a realizzare lo stesso obiettivo), il datore di lavoro potrà predisporle nel medesimo documento, scegliendo le modalità che ritiene più opportune per una efficace comunicazione.

Nessun requisito è prescritto dalle fonti normative riguardo alla forma.

È però opportuno precisare che i lavoratori destinatari della comunicazione dovranno essere individuati in base all’impiego dello strumento da questi utilizzato. Infatti, siccome gli strumenti utilizzati dai lavoratori sono differenti e differenziati, una comunicazione che si rivolga genericamente a tutto il personale dipendente potrebbe generare confusione.

Per quel che riguarda il contenuto dell’informativa, il comma terzo dell’art. 4 richiede espressamente che si faccia riferimento alle “modalità d’uso degli strumenti” e l’ “effettuazione dei controlli”. Il datore di lavoro quindi dovrà indicare in concreto come e quando l’uso dello strumento renda possibile l’acquisizione e il trattamento di dati personali. È preferibile che l’informativa faccia riferimento ad ogni strumento e ad ogni sua correlata potenzialità di

128 In questo senso anche A. STIZIA, Il controllo (del datore di lavoro) sull’attività dei lavoratori: il

nuovo art. 4 St. lav. e il consenso del lavoratore, cit., p. 91; A. MARESCA, Jobs Act, come conciliare il

potere di controllo e tutela della dignità e riservatezza del lavoratore, in Ipsoa Quotidiano, 22 febbraio

2016; M. TALARICO, Art. 4, co. 3, l. 300/1970: sulle condizioni di utilizzabilità dei dati derivanti da

impianti audiovisivi e strumenti di controllo, in Pers. e lav., 2016, n. 3, p. 15.; M. MARAZZA, Dei poteri

controllo, e non, in maniera generica, a tutti gli strumenti complessivamente considerati.

Dubbi permangono sulla necessità di una conferma dell’avvenuta ricezione dell’informativa da parte del lavoratore e sulla necessità di un suo espresso consenso ai sensi degli artt. 6 lettera a) e 7 del GDPR.

Per quel che riguarda il primo dubbio pare potersi affermare che una generalizzata comunicazione ai dipendenti, documentabile e tracciabile, formulata con un linguaggio chiaro e specifico, sia sufficiente. Non sembra necessario dover avere un riscontro formale della avvenuta ricezione della informativa da parte di ogni singolo dipendente se la stessa viene affissa in un luogo accessibile a tutto il personale o se la stessa viene comunicata singolarmente ad ogni lavoratore mediante posta elettronica o altri sistemi di comunicazione aziendali.

Per quel che riguarda il secondo dubbio, a parere di chi scrive, non sembra né utile né necessario alcun consenso del lavoratore ai sensi della normativa in materia di dati personali. Infatti, l’atto di predisposizione dell’informativa non configura l’esercizio di un potere unilaterale che incide sulla situazione giuridica soggettiva del lavoratore al punto da rendere necessario un suo consenso. Non sembra utile operare un distinguo tra lo status di lavoratore e lo

status di soggetto interessato da trattamento di dati personali, dal momento che

l’informativa e il consenso hanno la medesima ratio e finalità di garantire i diritti fondamentali del lavoratore-persona.

Inoltre il consenso non trova ragion d’essere laddove il trattamento è giustificato dal dover eseguire il contratto di lavoro (art. 6 lett b) GDPR) o da un legittimo interesse del datore di lavoro (art. 6 lett c) GDPR).

Il consenso, allora, potrebbe trovare un suo autonomo spazio solo se il trattamento di dati personali viene effettuato oltre il perimetro (e quindi per finalità diverse) del rapporto di lavoro129.

129 Si veda Garante Privacy in: Linee Guida per il trattamento dei dati dei dipendenti privati, 23

novembre 2006, doc. web n. 1364099, in www.garanteprivacy.it; Autorizzazione al trattamento dei dati sensibili nei rapporti di lavoro n. 1/2014, cit., Linee Guida per il trattamento

Outline

Documenti correlati