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Conclusioni sul diritto applicato dalla Commissione

Come si è visto, l’opera di ricostruzione del confine da parte della Commissione è stata piuttosto complessa: era questo però il quadro in cui era obbligata a muoversi in base all’Accordo di Algeri, che, lo ricordiamo, vietava una valutazione ex aequo et bono.

La base della delimitazione era necessariamente costituita dai tre trattati di epoca coloniale: le parti volevano infatti una decisione strettamente giuridica e gli unici strumenti esistenti erano i trattati confinari. Anche il

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par 6.30 della Decisione

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richiamo alla Risoluzione dell’OUA del 1964 sembra voler semplicemente ribadire la volontà di ristabilire l’assetto confinario della colonia di Eritrea, quasi come se il nuovo stato fosse nato da un comune processo di decolonizzazione.

Durante il procedimento, tuttavia, le parti si sono rese conto che il confine coloniale non coincideva con la realtà di fatto e che diverse zone sottoposte alla rispettiva sovranità ricadevano nel territorio della controparte. Ogni Stato ha allora cercato di giustificare una delimitazione diversa da quella coloniale sulla base dell’effettiva sovranità esercitata.

E’ stata questa probabilmente la ragione che ha portato la Commissione a dare una particolare interpretazione al “applicable international law” contenuto nell’art.4 par.2 dell’Accordo. Sebbene fosse ragionevole supporre che, nell’intenzione originaria delle parti, il riferimento fosse limitato alle regole di interpretazione, la previsione del diritto internazionale come fonte di diritto applicabile ha permesso alla Commissione di valutare, anche se con una certa prudenza, eventuali variazioni che il tracciato coloniale aveva subito nel corso degli anni per effetto della condotta delle parti.

In particolare, la Commissione ha fatto spesso riferimento all’acquiescenza, per affermare che una determinata situazione confinaria si era stabilizzata nonostante la diversa previsione del trattato pertinente. La condotta successiva delle parti è stata allora analizzata sia in quanto strumento interpretativo della concreta applicazione dei trattati, sia in quanto elemento costitutivo di istituti riconosciuti dal diritto internazionale consuetudinario.

La possibilità di ammettere variazioni del tracciato coloniale deve essere vista, però, anche alla luce della data critica stabilita come dies ad quem per la delimitazione. La Commissione, infatti, interpretando il riferimento alla Risoluzione dell’OUA del 1964 contenuto nell’Accordo di Algeri, ha posto come data critica per determinare la delimitazione il giorno in cui l’Eritrea ha conseguito l’indipendenza, ovvero il 27 aprile del 1993. E’ quindi vero che dopo quella data la Commissione non poteva prendere in considerazione

ulteriori variazioni del confine (ovvero quelle intervenute a seguito della guerra 1998-2000), ma è altrettanto vero che era tenuta a valutare ogni comportamento delle parti rilevante fino a quella data.

A questo punto però la ricostruzione della Commissione lascia spazio a diversi dubbi. La condotta successiva delle parti, almeno fino al 1952, anno in cui l’Eritrea è stata federata all’Etiopia e i trattati sono stati dichiarati invalidi171, può essere considerata sia come strumento interpretativo dei trattati, sia come attività rilevante in base al diritto internazionale (è da sottolineare che la Commissione, dopo la formale distinzione iniziale, nel corso della decisione non spiega sotto quale profilo prende in considerazione la condotta degli Stati e quasi sempre parla genericamente di acquiescenza). Ma dopo il 1952 l’Eritrea ha perso la propria soggettività internazionale: non si capisce allora bene come la Commissione abbia potuto valutare la prassi rilevante successiva a tale data, dato che non esisteva più un confine internazionale. Ammettere però che la rilevanza della condotta delle parti si fermi al 1952 significa di fatto fingere che il confine di allora coincidesse con quello realmente esistente nel 1993, e svuotare di significato la fissazione della data critica da considerare.

E’ anche vero, però, che se la Commissione avesse dato piena applicazione al principio contenuto nella risoluzione dell’OUA e avesse giudicato determinanti i confini amministrativi esistenti al momento dell’indipendenza, avrebbe rischiato di disattendere le indicazioni fornite dall’Accordo che volevano le frontiere di epoca coloniale come base della delimitazione.

Dalla Decisione non si evince a quando risalgano le attività delle parti, né la Commissione distingue temporalmente la condotta successiva delle parti, perciò è difficile comprendere se abbia affrontato questo problema172.

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A meno che i trattati non si considerino già estinti nel 1935. Vedi retro paragrafo 11

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Tuttavia è certo che l’Etiopia abbia portato prove della propria attività nella zona di Badme successive all’annessione. Cfr. par 5.94

La Decisone appare dunque ambigua su questo punto e non è chiara l’esatta portata del principio del mantenimento dei confini e l’utilizzo del diritto internazionale consuetudinario. L’impressione è che la Commissione abbia inizialmente cercato di svincolarsi dalla ricostruzione del confine strettamente basata sui trattati, che era stata delineata dall’Accordo di Algeri, e che sia poi tornata sui propri passi limitando le variazioni del tracciato ai casi in cui fosse palese un’accettazione, anche implicita, delle parti in tal senso.

E’ interessante comunque sottolineare come la ricostruzione del confine coloniale fosse possibile solo attraverso la soluzione arbitrale della controversia: non solo perché i trattati dovevano essere scelti espressamente dalle parti, ma anche perché era necessaria una interpretazione giuridica di un organo terzo imparziale. Seppur nei limiti delle previsioni dell’Accordo di Algeri, il tribunale arbitrale ha avuto ampi margini di discrezionalità nel determinare la posizione del confine, potendo introdurre nuovi elementi e non limitarsi ad una interpretazione letterale dei trattati.

L’intera delimitazione deve allora essere vista come il risultato dell’operare congiunto dell’Accordo, che ha sancito la diretta volontà delle parti, e della Commissione, che ha applicato norme strettamente giuridiche173.