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CAPITOLO 3 FATTORI DI SVILUPPO DELLE DINAMICHE ANTIURBANE

3.1 Condizionamenti negativi della città compatta

FATTORI DI SVILUPPO DELLE DINAMICHE ANTIURBANE

3.1 Condizionamenti negativi della città compatta

Fino agli anni settanta lo sviluppo delle città è stato identificato con la crescita demografica. E’ infatti in seguito ai primi fenomeni di arresto demografico che si è iniziato a parlare di declino delle città. Questo modello interpretativo è andato in crisi con la fase del decentramento, momento in cui ha iniziato a manifestarsi lo scollamento tra le due tendenze. Come è noto infatti la crescita fisica delle città non si è arrestata; nonostante l’attenuarsi delle dinamiche demografiche i principali contesti metropolitani hanno continuato a espandersi ed è costantemente cresciuto lo spazio occupato dagli insediamenti. Sono proprio i contesti ad urbanizzazione più matura, come abbiamo visto, a registrare le dinamiche demografiche più negative e al contempo le maggiori crescite insediative; questa tendenza rilevabile a scala nazionale e internazionale ha raggiunto contorni più evidenti in quei contesti dove i processi di urbanizzazione si sono manifestati con un certo anticipo: Inghilterra, Olanda, Stati Uniti. La complessità degli esiti territoriali prodotti, il superamento della dicotomia città - campagna, la natura pluridimensionale dei fattori locali, hanno danno luogo ad un’ampia produzione lessicale che tenta di inscrivere questi fenomeni all’interno di nuove categorie analitiche e interpretative (urban sprawl, città dispersa, metropolizzazione diffusa, ecc.).

Diverse teorie hanno cercato di fornire una interpretazione plausibile per un fenomeno tanto presente quanto eterogeno nei suoi fattori scatenanti.

Tra le cause della controurbanizzazione, Berry indica “la libertà di movimento, gli individualismi, la tradition of privatism, il timore della violenza nelle città centrali che spinge alla ricerca di aree sicure, il rifiuto alla integrazione forzata con altri gruppi conseguentemente al fallimento del modello "melting pot” (Martinotti, 1993). Tuttavia altri fattori, altrettanto validi ma non appartenenti all'ambito sociale giocano un ruolo decisivo nel determinare un processo, che per sua natura e diffusione appare come una fase inevitabile nel ciclo di sviluppo delle città. Più in generale è la crescita del reddito pro-capite, registratasi nell'occidente urbanizzato, a giocare il ruolo più importante, senza cui le preferenze insediative, maturate in seguito ad una visione antiurbana degli stili di vita, non si sarebbe potuta concretizzare. E' ampiamente dimostrato, infatti, come le prime quote di popolazione ad uscire dai centri urbani fossero composte da famiglie, prevalentemente giovani e con figli, appartenenti a fasce di reddito medio alte. L’illusione di vivere in un ambiente più salubre, a contatto con la natura, in un contesto di assoluta

privacy ha finito per imporre lo stereotipo della casa unifamiliare con

giardino, come modello insediativo. La conseguente infrastrutturazione periurbana, la costruzione di strade e collegamenti veloci, oltre ad incentivare tali preferenze ha fornito l’opportunità di raggiungere migliori condizioni abitative anche a coloro i quali non riuscivano a trovare collocazioni adeguate al proprio reddito, all'interno dei nuclei urbani. L'equivoco dell'insediamento diffuso ha inoltre incoraggiato le amministrazioni locali a perseguire uno sviluppo a bassa densità, ritenendo che essa potesse essere associata ad un basso impatto. Affermazione, questa, non del tutto sbagliata se riferita alla singola unità immobiliare, ma devastante per tutto ciò che le sta intorno ed assolutamente inefficiente per il funzionamento di tutto il sistema insediativo. La città compatta inquinata e congestionata è, paradossalmente, meno impattante di un mucchio di case sparse sul territorio. I processi di suburbanizzazione sono stati associati nel tempo a molteplici cause, esistono anche alcune teorie interpretative, come abbiamo visto, in realtà non sufficientemente onnicomprensive rispetto al fenomeno analizzato. Nel 1993 la "Teoria dell’evoluzione naturale", (Natural Evolution Theory) elaborata da due economisti americani Mieszkowsky e Mills si propone di sintetizzare gli

aspetti salienti delle dinamiche antiurbane. Analizzando il sistema metropolitano statunitense1 tale teoria afferma che quando l’occupazione si concentra nel centro di una città, lo sviluppo residenziale tende ad espandersi secondo un modello inside-out, ovvero dal centro verso l’esterno. Per ridurre i tempi casa lavoro si edificano prima le aree più centrali e man mano che queste si saturano, l'urbanizzazione tende ad espandersi verso quelle più esterne. Esse vengono generalmente occupate dai gruppi sociali più abbienti, in grado di permettersi abitazioni più grandi e moderne. Le abitazioni centrali più piccole e vecchie, realizzate quando i redditi medi erano più bassi, vengono occupate dai ceti meno abbienti. Questo comportamento del mercato immobiliare tende a produrre inevitabilmente dei sobborghi fortemente stratificati sotto il profilo socio economico, caratterizzati dalla esclusiva presenza di ceti economicamente agiati, in contrapposizione della maggiore incidenza di quelli più sfavoriti che è possibile rilevare nelle parti centrali delle città. Un' altra teoria invece nota come Flight from Blight (fuga dal degrado) attribuisce gran parte delle cause ad aspetti socio-economici.

Nonostante le forti motivazioni che spingono i flussi di popolazioni lontano dalle aree centrali bisogna pur dire che condizionamenti negativi della città compatta, sono ad ogni modo secondari rispetto agli enormi vantaggi che apportano le agglomerazioni urbane dense: il cosiddetto "vantaggio urbano", per tale motivo, una volta raggiunto un certo gradiente di disurbanizzazione, il processo inevitabilmente si stabilizza o addirittura si inverte per poi riposizionarsi in una situazione di apparente equilibrio. Il complesso delle criticità, che invece spinge alcune realtà a subire fenomeni di controurbanizzazione, nettamente più evidenti rispetto ad altre è consequenziale due ambiti definiti, bisogna considerare un gruppo di fattori che qui classificherò come locali, ed altri più generali di tipo globale. I primi sono impossibili da elencare, in quanto strettamente associati al contesto studiato, dipendono spesso da caratteristiche morfologiche o particolari situazioni che attengono alla realtà economica, produttiva e sociale di singoli casi di studio. I secondi di carattere più generale, sono presenti, sebbene in

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Mieszkowsky, Mills (1993), “The causes of Metropolitan Suburbanization”,

misura estremamente variabile, in gran parte dei centri disurbanizzati e comprendono fattori:

- Inquinamento ambientale e acustico: determinato prevalentemente dall'uso ricorsivo delle automobili, dall'assenza di adeguati filtri di aree verdi, dalla presenza, in alcuni casi, di impianti industriali.

- Congestione veicolare, causata dal numero delle automobili e dei mezzi pubblici che si riversano nelle città compatta dalle aree limitrofe, carenza cronica di spazi di sosta e crescita esponenziale dei tempi di percorrenza. - Obsolescenza del patrimonio edilizio, problema che caratterizza sopratutto le città storiche, ma che non è strettamente legato alla data di costruzione degli edifici, quanto alla scarsa adattabilità delle tipologie e dei servizi connessi rispetto alle preferenze insediative degli abitanti.

- Spillover e svantaggi della eccessiva concentrazione di popolazione in aree

limitate, sovraffollamento, sottodimensionamento di servizi e standard. - Degrado sociale e problematiche connesse alla sicurezza.

- Costo di acquisto degli immobili e costi di locazione troppo onerosi,

-Costi di manutenzione, ripristino e ristrutturazione degli edifici esistenti, elevati o superiori al valore stesso degli immobili.

Nelle grandi città oramai il costo della casa assorbe fino ai tre quarti di uno stipendio medio, mentre l'ANCE (Associazione Nazionale Costruzioni Edili) ha stimato nel 2008, per l'Italia, che l'incidenza del canone di locazione sui redditi compresi tra 10 mila e 20mila euro (che interessano il 43% delle famiglie) passerebbe, per le famiglie in affitto che volessero cambiare casa all'interno della stessa città, dal 20 al 58%. Ancora, tra il 2000 ed il 2002 i canoni di locazione nel settore privato sono aumentati mediamente del 39%,

con punte anche ben più elevate proprio nelle grandi città.

Contemporaneamente i prezzi di vendita di abitazioni ed uffici sono cresciuti del 20%. Così, i maggiori oneri di costruzione e ricostruzione del patrimonio immobiliare in aree centrali rispetto a quelle esterne e l'elevato costo degli immobili stessi, per effetto anche della terziarizzazione, dovuta alle maggiori

rendite consentite, determinano una ridotta possibilità di accesso al mercato per molte fasce della popolazione. Ciò le porta a preferire gli elevati standard abitativi offerti nelle aree suburbane rispetto alla città, percepita come luogo inefficiente, inquinato, scarsamente vivibile ed altamente costoso, ed a scambiare la centralità con

lo spazio, nel senso che a parità di costi, o anche a costi inferiori, è possibile acquistare più spazio in un'area suburbana rispetto ad una zona più centrale.

- Terziarizzazione del centro urbano determinata dalla concentrazione di attività afferenti a settori di servizi specializzati che occupano fabbricati ed abitazioni di pregio nelle aree più centrali, contribuendo, in virtù di questa domanda a far lievitare il prezzo di affitti ed immobili.

- Monocentrismo gerarchico accentuato dalla eccessiva concentrazione di popolazione e funzioni nella città centrale rispetto alle aree circostanti: è infatti dimostrato, anche nella differenze tra Europa e Stati Uniti come un policentrismo strutturale o una moderata polarizzazione gerarchica dei centri contribuisca positivamente a mitigare le dinamiche disurbanizzanti.

- Frammentazione amministrativa delle aree urbanizzate: spesso il tessuto urbano si espande in territori limitrofi a causa di una ridotta superficie amministrata dalla città centrale. Oltre al dato statistico, che attribuisce una quota di popolazione ai comuni limitrofi, si generano difformità in funzione dell’assenza di pianificazione intercomunale e per di più si instaura una competizione di tipo espansionistico tra comuni limitrofi.

3.2 Esternalità negative delle urbanizzazioni periferiche e nella città

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