CAPITOLO 4 MODELLO DI STUDIO
4.1 Conurbazioni e partizioni territoriali Le discipline territoriali, al fine di poter pervenire ad un confronto più
rispondente alla realtà dei territori ed alla portata dei fenomeni, hanno, nel tempo, elaborato diversi criteri e metodologie per definire in termini omogenei lo spazio relazionale, funzionale o morfologico entro cui inquadrare una o più partizioni territoriali: esse possono caratterizzarsi sia in relazione al tipo di indagine, secondo la quale si considerano determinati aspetti di un'area: fisici, geografici, amministrativi, economici, funzionali, sia in relazione alla specifica finalità rispetto alla quale ci si propone di delimitare l'area: distribuzione della popolazione, consumo di suolo per usi urbani, preferenze residenziali e scelte tipologiche, patrimonio abitativo, densità insediativa o qualsiasi altra indagine connessa agli usi del suolo ed alle determinazioni prodotte dai patterns insediativi.
Il motivo di tali determinazioni è dovuto sostanzialmente alla necessità di usufruire di un campione statistico quanto più rappresentativo del fenomeno indagato, determinato in base quei requisiti di oggettività che consentano di trasporre la medesima base territoriale in altri contesti. L’inadeguatezza, sotto ogni punto di vista, della ripartizione amministrativa del territorio è palese ma parzialmente giustificata dal fatto che nelle indagini spaziali ogni tipo di
fenomeno definisce un proprio spazio relazionale: è la natura del fenomeno stesso a definire il campo di indagine. Da una osservazione generalizzata e sufficientemente ampia è possibile individuare porzioni di spazio dove più fenomeni coesistono e paiono estendere la medesima portata, questi spazi individuano le piattaforme territoriali necessarie alla costruzione del modello di indagine. E’ all'approccio economico funzionale che storicamente devono attribuirsi, come è ben noto, le esperienze più significative di definizione e delimitazione delle aree urbane e metropolitane. Di tali esperienze, due costituiscono ancor oggi un riferimento obbligato.
La prima, avviata negli USA fin dagli anni 50, ha consentito di mettere a punto un insieme di criteri che utilizzano congiuntamente indicatori di dimensione assoluta: soglia demografica minima di 50.000 abitanti per le "città centrali"; densità territoriale delle residenze e della occupazione e di integrazione economico - sociale tra la città centrale e le unità territoriali circostanti. Val la pena di ricordare che, attraverso successivi affinamenti, compiuti dall'Ufficio di Censimento degli USA, le aree così delimitate, e denominate prima Standard Metropolitan Areas (SMA, 1950) poi Standard
Metropolitan Statistical Areas (SMSA, dal 1960), costituiscono da oltre trenta
anni unità territoriali inserite nei Censimenti nazionali e che, per tener conto della crescita e diffusione urbana, e dei processi di saldatura tra diverse aree urbane, negli anni 70, è stata introdotta una ulteriore aggregazione territoriale, la Standard Consolidated Statistical Area (SCSA) che è costituita dalla aggregazione di due o più SMSA contigue.
La seconda esperienza, avviata alla fine degli anni 60 in Inghilterra, si è svolta soprattutto attorno ad una idea di area urbana come “spazio autocontenuto”, come territorio cioè entro il quale si svolgono i movimenti pendolari e le relazioni a carattere giornaliero: i Daily Urban System (DUS). Essa ha dato luogo ad un insieme di criteri essenzialmente fondati su indicatori della intensità degli spostamenti per motivi di lavoro tra la città centrale e le unità territoriali circostanti.
Tali criteri hanno consentito, attraverso successivi approfondimenti, di suddividere l'intero territorio nazionale in “Regioni Funzionali” e di delimitare, attraverso di esse, le aree urbane, in stretta correlazione con i mercati del lavoro locali. Le aree così individuate sono state largamente utilizzate nelle indagini finalizzate alla formulazione di politiche urbane, sia
nazionali che regionali e di politiche del lavoro P. Hall e D. Hay, Growth Centers in the European Urban System, London, Heinemann Educational Books, 1980
Nel corso dei primi anni '80 alcune importanti ricerche comparative a scala europea «The Costs of Urban Growth (CURB) Project», da L. Van Den Berg e al. e pubblicata nel volume Urban Europe, A study of Growth and Decline, London, Pergamon Press, 1982.], pur riferendosi alle due esperienze ricordate, ed in particolare utilizzando il concetto di area urbana come entità territoriale, costituita da una o più città centrali (core) e da una corona periferica (ring) ad essa funzionalmente integrata, hanno utilizzato aggregati territoriali Functional
Urban Areas (FUA's) delimitati secondo criteri meno univoci, che
consentissero però di tener conto delle esperienze e degli indicatori utilizzati in ciascun paese.
Anche in Italia, ove solo dal censimento dell'81, si è pervenuti ad una utilizzazione censuaria di entità territoriali di tipo urbano si è optato per un modello basato essenzialmente sulla analisi degli spostamenti giornalieri per lavoro, dando luogo ad una prima individuazione dei "Sistemi Locali del Lavoro"(SLL), in seguito ampliati, aggiornati e tuttora in uso. L'esperienza dei Sistemi Locali del Lavoro, sviluppata a partire dal 1986 da un gruppo di ricerca congiunto ISTAT-IRPET, utilizzando i dati sui flussi pendolari ricavati dai censimenti della popolazione, non era specificamente indirizzata allo studio delle dinamiche urbane nel territorio ma le finalità dichiarate dell'indagine erano più riconducibili alla messa a punto di strumenti analitici per la formulazione e gestione di politiche attive nel lavoro, in modo da delineare meglio la geografia dei mercati locali. Tale livello di aggregazione dei dati si è rivelato ugualmente utile nell'evidenziare i processi di dilatazione urbana di seguito occorsi.
La prima delimitazione operata su una porzione aggregata di territorio, segnatamente finalizzata alla definizione delle aree metropolitane italiane si deve a Cafìero e Busca, due studiosi che nel 1970 svilupparono per conto della SVIMEZ una ricerca, che rimane ancora oggi l'opera di riferimento. Definendo le aree metropolitane come "sistemi complessi di funzioni interrelate"1, i due autori ricorsero ad alcuni indicatori di tipo prossimale,
indicatori cioè che approssimano un parametro dei cui valori non si dispone
1
direttamente, al fine di quantificare i fattori generatori delle relazioni stesse. Il metodo è stato in seguito aggiornato ed integrato con l'introduzione di altri indicatori, sia di tipo quantitativo che funzionale, ovvero parametri dimensionali e gravitazionali utili alla definizione delle città centrali e dei sub-poli metropolitani.
La SVIMEZ (Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno), pur riferendosi alle esperienze internazionali più consolidate, teneva conto delle specifiche caratteristiche dei processi di urbanizzazione nel nostro paese e della disponibilità di dati statistici sufficientemente disaggregati. Secondo tale criterio venivano considerate aree urbane, quei comuni, o insieme di comuni contigui, che, oltre a superare una determinata dimensione demografica (100.000 abitanti residenti) raggiungessero una dimensione e una densità di attività extragricole (oltre 35.000 attivi rilevati dal censimento della popolazione con una densità di oltre 100 per kmq) tali da presupporre la presenza e la reciproca integrazione di funzioni urbane: cioè di quelle funzioni che richiedono una dimensione sufficiente di mercato e di economie esterne, non offerte dai centri minori. (Cecchini) Oggi, la rilevanza dei processi di decentramento produttivo e di diffusione insediativa verificatisi anche nel nostro paese, le tendenze alla redistribuzione di attività e funzioni all'interno delle singole aree urbane o metropolitane, hanno suggerito di integrare tali criteri, rivelatisi comunque ancora significativi. Si è perciò associato al criterio della densità degli attivi extragricoli, censiti nei loro luoghi di residenza, quello della densità degli addetti extragricoli, cioè dei posti di lavoro rilevati nelle imprese dai censimenti per attività industriali: ciascun comune dell'intero territorio nazionale è stato quindi valutato anche in relazione ad opportune soglie di densità dei posti di lavoro extragricoli. "Essendosi convenuto, per ovvi motivi di significatività nella analisi dinamica, di mantenere fissa la soglia di 100 attivi/kmq ai censimenti 1971 e 1981, i valori per gli addetti sono risultati rispettivamente pari a 70,4 add/kmq e 92,8 add/kmq"( Cecchini) e, se con densità superiore a tali soglie, inserito nelle aree urbane o metropolitane.
Quanto alla valutazione della distribuzione delle attività e funzioni all'interno delle singole aree, si sono introdotti criteri che consentono di individuare la presenza, al loro interno, di "città centrali" cioè di poli o sub-poli urbani con funzioni attrattive o preminenti, nei confronti del resto dell'area: si sono
quindi definite come "città centrali" tutti i comuni interni alle aree urbane o metropolitane che, oltre ad avere una popolazione superiore a 50.000 abitanti, soddisfano almeno una delle seguenti condizioni: un rapporto tra posti di lavoro (addetti) e attivi extragricoli superiore ad uno, oppure superiore al valore dello stesso rapporto per l'intera area (indici di attrazione);
una popolazione superiore alla metà di quella dell'intera area (indice di preminenza).
Nell'esame qualitativo delle relazioni demografiche ed urbane tra le aree insediate e il resto dei territori limitrofi, si è tenuto conto della numerosità e della distribuzione dei centri, con una popolazione compresa tra 50.000 e 100.000 abitanti, esterni alle aree stesse. I criteri indicati nell' esperienza citata hanno naturalmente un carattere convenzionale. Essi non si pongono una esatta individuazione dei confini delle aree urbane o metropolitane: molte di esse ad un esame localmente più approfondito, o soprattutto ad una delimitazione finalizzata ad obiettivi di diversa natura (pianificatori, di attuazione di politiche o finalizzata alla misurazione del consumo di suolo) potrebbero risultare, in qualche misura, diversamente configurate. Alcuni criteri adottati, tuttavia, sono risultati adeguati agli obiettivi di questa ricerca che, si ricorda, sono anch'essi strumentali ad analisi funzionali dell'entità, delle caratteristiche, delle tendenze del fenomeno urbano in Italia e nella valutazione dei diversi problemi che esso pone nella definizione di modelli urbani e di uso del suolo sostenibile.
Figura 1 Mappa aggiornata dei sistemi metropolitani e urbani in Italia (elaborazioni Cresme: Centro Ricerche Economiche, Sociologiche e di Mercato su dati ISTAT, 2007)
4.2 Modelli di studio per il rilevamento degli usi del suolo e dello spazio