Lo scavo di una tomba a cremazione segue i criteri generali dello scavo archeologico basato sulla stratigrafia. La presenza di questo tipo di tombe è evidenziata da una chiazza di terreno scuro o carbonioso costituito dai resti del rogo funebre adagiati sul fondo del pozzetto prima della deposizione dell'urna. Si delimita quindi il perimetro della fossa tombale e si procede nello scavo con l'individuazione delle varie fasi di riempimento.
I resti ossei possono essere conservati in urne o in altri contenitori, o ritrovarsi direttamente sul terreno, a volte nel luogo stesso di combustione chiamato ustrino.
I resti ossei cremati possono essere ritrovati (Brothwell, 1981): all'interno o a fianco dell'urna cineraria;
disperse in ceneri nel suolo;
mescolate a frammenti di ossa animali, anch'esse cremate;
mescolate a ossa umane non combuste, entrambe intere o spezzate in frammenti di taglia simile;
all'interno di tumuli sepolcrali in campi aperti o in focolari domestici.
L’osservazione dei reperti in situ, quando vengono ritrovati sul terreno, può contribuire a valutare se si trovino nel luogo stesso dove avvenne il rito crematorio, in questo caso la disposizione dei frammenti seguirà quella anatomica, anche se nel corso dell’incinerazione o in seguito possono essere avvenute delle dislocazioni, alcune parti infatti possono deflagrare perché le alte temperature possono generare delle forti pressioni delle sostanze gassose interne (Borgognini Tarli e Pacciani, 1993). Inoltre anche l’osservazione diretta dei materiali contenuti nelle urne può evidenziare o meno una certa sistematicità nella raccolta. Bisogna tenere in considerazione anche il fatto che soggetti combusti contemporaneamente possano poi essere deposti in urne cinerarie differenti, in questo caso eventuali mescolanze possono provare la concomitanza della cremazione.
Gli elementi del rito, come la quantità e la qualità del legno impiegato nella formazione della pira, la loro disposizione, l’uso di unguenti e profumi e il tempo di combustione, influenzano direttamente la temperatura e gli effetti della combustione; inoltre il tipo di contenitore in cui sono stati deposti i resti può influenzarne la conservazione e la sua forma può aver avuto un ruolo nelle eventuali fratture per l’inserimento dei resti nel contenitore stesso.
Associato alla qualità del materiale vi è il grado di combustione, fattore che influisce indirettamente sulla conservazione delle ossa che vengono ritrovate (Holck, 1997).
Vi è poi un ultimo fattore da tenere in considerazione, cioè i fattori fisico-chimici di giacitura: infatti, la pressione dei terreni può causare rotture nell’urna e fratture del materiale osseo, anche il pH delle acque percolanti è causa di modificazioni nella conservazione dei resti, come pure la presenza di copertura vegetale con formazione di acidi umici, tutto ciò agisce sulla conservazione dei resti (Borgognini Tarli e Pacciani, 1993).
L'acidità del suolo influisce notevolmente sul deterioramento dei ritrovamenti; essa si misura in pH con una serie che va da 1 a 14. Valutazioni superiori a 7 indicano un pH basico, mentre stime inferiori a 7 segnalano un pH acido. La maggior parte dei suoli e dei sedimenti presentano un pH compreso tra 3,5 (molto acido) e 8,5 (basico) presente in suoli gessosi (Mays, 1998).
Le condizioni geologiche e naturali sono significative per la preservazione delle tombe, per la frequenza con cui vengono ritrovate e per la quantità di materiale riportato alla luce. I movimenti del terreno dovuti alle radici delle piante, ai fenomeni di gelo e disgelo all'interno del terreno facilitano la dispersione dei resti e ne causano il danneggiamento (Holck, 1997).
E’ stato notato comunque che le ossa cremate tendono a conservarsi meglio delle ossa non combuste all’interno del suolo, inoltre hanno maggiore robustezza meccanica delle ossa inumate, ciò dipende dal fatto che le ossa non combuste sono soggette a decomposizione da parte di microrganismi che attaccano la parte organica delle ossa e rilasciano un prodotto acido che causa la dissoluzione della parte minerale. Le ossa combuste invece essendo prive della parte organica non attraggono questi microrganismi, questo spiega la loro migliore resistenza all‘interno del suolo. Inoltre le ossa cremate sono più resistenti alla dissoluzione da parte degli acidi del suolo, la motivazione non è ancora molto chiara ma si presuppone sia dovuta ai cambiamenti strutturali della parte minerale dell‘osso causati dal calore (Mays, 1998).
Ulteriori frammentazioni delle ossa possono avvenire come conseguenza di spostamenti delle ossa ancora calde perciò più fragili sulla pira funebre. L'osso potrebbe rompersi a causa del collasso della pira in uno stadio avanzato della cremazione, oppure riposizionando sulla pira ossa che erano cadute, o come conseguenza di piccoli movimenti dovuti alla riossigenazione della pira (McKinley, 1994).
I movimenti dovuti al raffreddamento uniforme delle ossa e quelli dovuti alla raccolta delle ossa, ne aumentano la frammentazione specialmente se queste sono ancora calde. Da tenere in considerazione inoltre il fatto che in alcuni casi poteva avvenire uno spegnimento voluto della pira (non attribuibile però ad una abbreviazione del processo di cremazione) attraverso acqua e vino che raffreddavano rapidamente le ossa provocando rotture lungo le linee di fessurazione (McKinley, 1994).
Nelle sepolture archeologiche è raro ritrovare una cremazione che contenga tutto l'ammontare delle ossa, anche se non ci sono evidenze di perdita dovute a disturbi post-
deposizionali nella sepoltura. Le ossa cremate possono venire distrutte all'interno del suolo, anche se esse sono più resistenti alla distruzione di quelle incombuste che sono soggette invece all'erosione superficiale a causa del suolo (Mays, 1998).
Di solito nell'area in cui le urne cinerarie vengono seppellite non vi sono tracce di bruciature nel terreno, la pira funebre doveva perciò venire eretta al di fuori di quest'area. La perdita di ossa perciò può verificarsi nel momento in cui esse venivano raccolte dalla pira per essere collocate all'interno dell'urna per la sepoltura. Alcune cremazioni possono contenere frammenti di carbone generalmente in piccole quantità, suggerendo che le ossa potessero essere frantumate fuori dalla pira e poi messe nelle urne; se fossero state frantumate sulla pira, insieme ad esse si dovrebbero ritrovare maggiori quantità di frammenti di carbone (Mays, 1998).
Nella maggioranza delle sepolture le ossa ritrovate sono poche e non rappresentano l'intero scheletro. Ciò può essere dovuto alla limitata capacità dell'urna nel contenerle, anche se in molti casi le urne non sembrano essere completamente piene; l'ammontare delle ossa ritrovato all'interno di esse è in genere molto inferiore a quello che avrebbero potuto contenere. Probabilmente vi era la tendenza a lasciare dello spazio per evitare la rottura dell'urna causata dalla possibile presenza all'interno di essa di qualche frammento di legno o di tessuto molle incombusto, sopravissuto alla pira e che si sarebbe poi decomposto. Benché questa eventualità non possa essere completamente esclusa, la presenza di tali materiali sembrerebbe molto strana in relazione alla completa combustione della maggioranza dei resti ossei e all'apparente cura con cui essi venivano raccolti (Mays, 1998). Per verificare se la dimensione dei contenitori poteva influenzare la quantità delle ossa raccolte, Mays (1998) fece degli esperimenti per osservare se esisteva una relazione tra la quantità di ossa e il volume del vaso che le conteneva, ma non è stata riscontrata nessuna evidenza di tale rapporto, indicando pertanto che il volume del recipiente non era da mettere in relazione alla quantità delle ossa raccolte. E' possibile che un ammontare di circa 750-1000g fosse sufficiente da collocare all'interno dei vasi funebri e la tendenza a ritrovare in media questa quantità di ossa nella maggior parte delle urne dimostra che ciò rappresentava una pratica funeraria. In caso contrario, se non ci fosse stata nessuna regola fissa, sarebbe più probabile ritrovare quantitativi variabili di materiale osseo (Mays, 1998).
Dallo studio effettuato da McKinley (1994), le dimensioni dei frammenti delle ossa cremate dipendono principalmente dal modo con cui esse sono ritrovate e dal loro tipo di conservazione. Attraverso questo studio si ipotizza che le dimensioni dei frammenti che si ritrovano nelle sepolture dipenda dallo scavo, non coincidendo necessariamente con la dimensione dei frammenti
deposti. Si suppone cioè che i frammenti ossei combusti che venivano seppelliti ai tempi della cremazione del corpo potessero avere dimensioni maggiori e che una causa di frammentazione ossea derivi proprio dai metodi utilizzati per recuperarli (McKinley, 1994).