IL CONTESTO STORICO: L’EPOCA ROMANA
4.3 La necropoli romana della Stazione Centrale di Bologna
4.3.2 Il rituale funerario della necropoli AV di Bologna
Il complesso funerario risulta di notevole interesse in quanto il contesto di alcune inumazioni suggerisce la presenza di particolari rituali funerari. Alcune sepolture risultano particolarmente rappresentative per il tipo di deposizione dell’inumato, per la presenza di oggetti con una probabile funzione simbolica (chiodi e balsamari) e per le tracce presenti sulle ossa riferibili ad interventi sul cadavere (Milella et al, 2008). I trattamenti sono diretti solo alle inumazioni, il più antico rito funerario romano, infatti secondo Plinio l’uso dell’incinerazione si sarebbe diffuso nel mondo romano per timore della violazione dei sepolcri. Nelle varie aree funerarie sono attestati autoctoni e alloctoni appartenenti a diverse classi sociali, integrati in virtù di un’acculturazione. Agli inizi del I sec. d.C. pare fosse ormai giunto a compimento il processo di integrazione sociale delle varie componenti che costituivano la compagine civica locale, integrazione che si traduceva anche nell’identità delle scelte personali connesse al rito e al culto funerario (Cornelio Cassai e Cavallari, 2009bis).
Interessante risulta essere la tomba 76 dell’area A, inumazione in posizione isolata, a ovest della strada ed in pessimo stato di conservazione con alcuni grossi chiodi conficcati nelle ossa (Fig. 4.15- 4.16)(Cornelio Cassai e Cavallari, 2009). A distanze piuttosto regolari sono ubicate in analogo isolamento altre due sepolture: la tomba 16, un’incinerazione in cassa laterizia, rinvenuta priva di copertura e la tomba 1, un sarcofago, danneggiato dai vecchi lavori ferroviari del Dopoguerra, privo di copertura e dei resti del defunto (Cornelio Cassai e Cavallari, 2009bis). L’inumato era deposto in una fossa terragna, giaceva in posizione supina, con cranio rivolto a ONO e con gli arti inferiori piuttosto ravvicinati, congiunti all’altezza delle ginocchia e delle caviglie. La posizione degli arti inferiori e la sovrapposizione dei piedi, rendono plausibile l’utilizzo, all’atto della sepoltura, di un sudario o di un analogo mezzo fasciante, anche se non si può escludere che queste caratteristiche siano dovute alla deposizione del cadavere in una fossa particolarmente stretta. Sulla base delle connessioni anatomiche rilevate sembrerebbe che la sepoltura sia primaria, la deposizione del cadavere pare sia avvenuta in spazio pieno, senza il ricorso a strutture contenitive (Milella et al, 2009). Gli arti superiori erano incrociati sul petto e il polso destro era fissato allo sterno mediante un chiodo; altri chiodi, rinvenuti frammentari, erano conficcati nel cranio all’altezza del forame auricolare destro della cavità orbitale e della cervice. Presso la clavicola destra è stato recuperato un chiodo, mentre diversi frammenti relativi a uno o più chiodi erano presenti a livello dello sterno (Fig. 4.17). Un anello in ferro, fissato al terreno da due chiodi è stato individuato all’altezza della spalla destra. In assenza di elementi di corredo datanti e in via del tutto preliminare, tale sepoltura viene collocata cronologicamente entro il II sec. d.C. (Cornelio Cassai e Cavallari, 2009). L’assenza di reazioni infiammatorie in prossimità dei punti di entrata dei chiodi tendono ad escludere che l’individuo possa essere sopravvissuto ad un evento traumatico per un certo lasso di tempo antecedente il decesso. I chiodi potrebbero essere stati infissi peri
mortem, immediatamente prima o dopo il decesso. E’ possibile che le caratteristiche osservate si
riferiscano ad un intervento praticato sul cadavere non ancora scheletrizzato, probabilmente nell’ambito di comportamenti rituali che cercavano di immunizzare i vivi dalla nefasta influenza del morto o che tentavano di confinare nella sepoltura le cause che avevano portato al suo decesso. In questa sepoltura la volontà di bloccare il morto si esprime mediante un vero e proprio ancoraggio al terreno, come lascia supporre l’anello di ferro fissato con due chiodi al fondo della fossa, vicino alla spalla, con ogni probabilità utilizzato per trattenere un legaccio assicurato al collo del defunto (Ortalli, 2009). La posizione isolata di questa tomba rispetto alle altre presenti nella stessa area cimiteriale potrebbe essere connessa con questo tipo di credenze; posizionare una sepoltura in
una zona appartata può infatti essere un modo per sottolineare la particolarità di alcuni defunti (Milella et al, 2009).
FIG. 4.16 – Resti osteologici della tomba 76 (foto Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia
FIG. 4.17 – Particolare dei chiodi infissi nel cranio e nell’avambraccio dell’inumazione 76 (foto
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna) (Cornelio Cassai e Cavallari, 2009).
Particolarmente significativa per gli aspetti rituali risulta la tomba 109 dell’area D (Fig. 4.18), un’inumazione femminile di adulto giovane o maturo (Milella et al, 2008): la fossa era delimitata da due corsi di frammenti laterizi disposti lungo la base dei lati lunghi, ed era coperta da 4 tegole piane con le alette unite da un frammento di tegola e da due coppi disposti orizzontalmente (Fig. 4.19). Due frammenti, collocati quasi al centro della fossa, fungevano da fondo parziale della struttura e su di essi poggiava il bacino dell’inumata. Questa tomba fu scavata a una profondità maggiore di quasi un metro, rispetto alle adiacenti sepolture del nucleo sepolcrale dell’area D; è affiancata a est e a sud da due inumazioni infantili (tombe 101 108) durante lo scavo della fossa furono intercettate due incinerazioni (t.105 e 107), di cui fu ricomposto parzialmente il corredo danneggiato; sono inoltre individuabili altre manomissioni. L’inumata giaceva in posizione supina, con il braccio destro disteso lungo il corpo e l’avambraccio sinistro posto sopra l’addome; il cranio era ripiegato in una posizione innaturale, in modo tale che il viso era rivolto in alto e la nuca arrivava quasi a toccare l’omero destro. I piedi si trovavano,
verosimilmente recisi prima della deposizione, allineati ognuno a nord della tibia relativa, quello destro posto con il tallone girato verso l’alto, quello sinistro con il tallone rivolto verso il basso (Fig. 4.20-4.21-4.22). La connessione anatomica delle parti dello scheletro indica il carattere primario di questa sepoltura (Milella et al, 2008). All’interno della tomba sono stati recuperati diversi oggetti, tra i quali alcuni elementi del corredo (spillone in bronzo, spilloni in osso) databili al I sec. d.C., e diversi chiodi di ferro (13 in tutto) che giacevano in posizione orizzontale o un poco obliqua, con le punte rivolte verso la testa dell’individuo; un chiodo si trovava invece conficcato quasi completamente nel cranio del defunto (Cavallari, 2008). Tutte le parti del cranio interessate dalla lesione presentano lo stesso colore del resto della superficie del cranio, attestando l’antichità della frattura; la lesione potrebbe essere riferita ad un evento traumatico avvenuto un certo tempo dopo la morte dell’individuo, a scheletrizzazione completa o quasi completa. Non sembra dunque possibile che il chiodo abbia causato la morte dell’individuo (Milella et al, 2008). Altre lesioni si sono riscontrate a carico dello scheletro postcraniale, in particolare a livello delle vertebre cervicali, della scapola destra, di alcuni frammenti costali, di entrambe le fibule e della tibia destra. Tutte queste lesioni si presentano come fratture dalle rime regolari, quasi rettilinee, con margini netti e con le superfici di taglio lisce e levigate e fanno pensare ad interventi intenzionali di taglio sull’osso fresco, ricco di fibre di collagene e in presenza dei tessuti molli (Milella et al, 2008). Sembra dunque che tutte le lesioni della t.109 siano riconducibili ad interventi praticati un certo tempo dopo la morte, a scheletrizzazione relativamente avanzata; il particolare posizionamento di cranio e piedi, associati ai chiodi, potrebbe essere compatibile con un tentativo di inabilitare il defunto onde impedirne il ritorno (Milella et al, 2008). Tutti questi espedienti evocavano l’idea dell’impossibilità di movimento, imponendo al morto la permanenza all’interno della sepoltura. Il trattamento post mortem riservato a questo soggetto presso il quale erano ubicate le tombe di due infanti, uno dei quali neonato o di pochi mesi, entrambi inumati secondo la pratica funeraria riservata ai bambini, sembra in qualche modo riconducibile alla maternità della defunta e alla volontà del nucleo famigliare di bloccare la donna, impedendole di nuocere (Cornelio Cassai e Cavallari, 2009bis).
FIG. 4.18 – Planimetria della tomba 109, area D (inumazione femminile) (Cavallari, 2008)
FIG. 4.19 – Copertura laterizia della tomba 109 (foto Soprintendenza per i Beni Archeologici
FIG. 4.20 – Tomba 109 da nord (foto Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna)
(Cavallari, 2008).
FIG. 4.21 – Tomba 109 da ovest, particolare delle ossa dei piedi (foto Soprintendenza per i Beni
FIG. 4.22 – Tomba 109 da sud, particolare del cranio, (foto Soprintendenza per i Beni Archeologici
dell’Emilia Romagna) (Cavallari, 2008).
Altra tomba di particolare interesse risulta essere la tomba 161 dell’area A-D (Fig. 4.23- 4.24), sepoltura in fossa terragna di forma rettangolare che conteneva il corpo completo di un inumato adulto giovane di sesso maschile (Milella et al, 2008) in posizione prona con la testa rivolta verso SE e reclinata verso sud, gli omeri distesi lungo il torace e gli avambracci ripiegati (il sinistro sotto il petto, il destro sotto il bacino), le gambe distese e i piedi sovrapposti. Nel bacino (ileo destro) è stato rilevato in fase di scavo un foro circolare ed è stato recuperato un chiodo in ferro, collocato tra le ossa del bacino e la cassa toracica (Fig. 4.25); presso il cranio sono stati rinvenuti 45 ribattini in ferro (Fig. 4.26), interpretabili ipoteticamente come chiodi di calzature. Direttamente sullo scheletro poggiava una copertura piana, caratterizzata da tegole. La tomba pur restando inalterata nella struttura è stata tagliata da una sepoltura ad incinerazione (t.160) collocata circa all’altezza delle tibie dell’inumato della tomba 161 (Fig. 4.27). Al di fuori del limite della tomba e in parte al si sopra, sono stati rinvenuti alcuni oggetti frammentari, interpretabili come possibili offerte rituali: la parte inferiore di un contenitore fittile contenente ossa combuste (US 1365), una porzione di legno carbonizzato e una lucerna fittile (I sec. d.C.) (Cavallari, 2008). Le ossa sono state rinvenute in connessione anatomica, indicando che si tratta di una sepoltura primaria. Sembra che il soggetto fosse un individuo giovane quotidianamente sottoposto ad
attività fisica gravosa come si attesta dall’analisi dell’alto sviluppo delle entesi (Milella et al, 2008). Nell’Inghilterra romana, la sepoltura prona è stata talvolta rinvenuta in associazione con scheletri decapitati, potendosi dunque interpretare come un ultimo segno di disprezzo nei confronti di eventuali criminali giustiziati ma esse sono state anche ricondotte ad un comportamento atto ad impedire un possibile ritorno del defunto, la positura ribaltata indirizzava il defunto verso il sottosuolo e l’oltretomba infero (Milella et al, 2009; Ortalli, 2009); inoltre la posizione dei ribattini in ferro, presso il cranio, implica il posizionamento delle calzature lontano dai piedi, a sostegno dell’ipotesi di un impedimento del defunto di tornare tra i vivi, si può inoltre ipotizzare che i piedi fossero legati (Milella et al, 2008).
FIG. 4.24 – Tomba 161 da sud (foto Soprintendenza dei Beni Archeologici dell’Emilia Romagna)
(Cavallari, 2008).
FIG. 4.25 – Particolare del bacino dell’inumazione della tomba 161 con foro circolare nell’ileo
FIG. 4.26 – Concentrazione di chiodi in ferro interpretabili come resti di calzature (foto
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna) (Cavallari, 2008).
FIG. 4.27 – Planimetria delle tombe 160 (incinerazione) e 161, area A-D (inumazione con copertura in laterizi) (Cavallari, 2008).
Inoltre anche la tomba 244 dell’area B, viene considerata una sepoltura anomala (Fig. 4.28): si tratta di una tomba isolata costituita da un’inumazione femminile adulta giovane (Milella et al, 2008), in posizione prona, è stata rinvenuta incompleta, è ipotizzabile una violazione della tomba, infatti dello scheletro si conserva solo la porzione inferiore, dal bacino ai piedi, deposta obliqua rispetto al fondo di giacitura in laterizi, mentre la parte superiore è stata quasi completamente asportata (Fig. 4.29). Il corredo della tomba è costituito da due contenitori fittili, un astragalo, una moneta di bronzo e 3 balsamari in vetro, uno dei quali inserito in un foro circolare praticato nell’ileo del bacino (Fig. 4.30) (Cavallari, 2008). La tipologia tombale (cassa laterizia) presuppone per questa sepoltura una decomposizione del corpo in spazio vuoto, anche se le osservazione dei resti sono più compatibili con una deposizione in spazio pieno, o rapidamente riempito dall’infiltrazione di sedimenti all’interno della tomba. La lesione dell’ileo recante il balsamario potrebbe essere il risultato di un intervento postumo sulla sepoltura, realizzato a scheletrizzazione avvenuta. Anche in questo è possibile ipotizzare che i piedi fossero legati come tentativo di impedire un ritorno del defunto (Milella et al, 2008). L’ipotesi che si può formulare riguardo questa peculiare deposizione è l’esito di un episodio negromantico: cerimoniale che alla violazione del sepolcro e all’appropriazione dei resti umani, da impiegare in qualche pratica di magia divinatoria, associa il dono del balsamario come simbolico atto di espiazione, considerando la positiva valenza che nei cerimoniali funebri normalmente assumeva il contenitore degli unguenti (Ortalli, 2009).
FIG. 4.28 – Tomba 244 area B con corredo (foto Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna) (Cavallari, 2008).
FIG. 4.29 – Struttura della tomba 244 da sud, tegole di copertura e piano di deposizione (foto Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna) (Cavallari, 2008).
FIG. 4.30 – Tomba 244, particolare del balsamario in vetro inserito nell’ileo dell’inumato (foto Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna) (Cavallari, 2008).