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IL CONTESTO STORICO: L’EPOCA ROMANA

4.1 L’occupazione del territorio

Tra III e II sec. a.C. i Romani occuparono il territorio padano, tappe fondamentali della conquista furono la fondazione della colonia di Ariminum (268 a.C.), la definitiva vittoria sulle tribù celtiche dei Boi (191 a.C.), la fondazione delle colonie di Bononia (189 a.C.) e Mutina (183 a.C.) e il tracciamento di una nuova rete viaria sulla via Aemilia (187 a.C.) realizzata da Emilio Lepido che collegava Ariminum (Rimini) a Placentia (Piacenza) (Magnani, 2003).

La rete stradale crebbe contribuendo alla conquista; le strade (Fig. 4.1) erano infatti un importante strumento di controllo del territorio, facilitando i movimenti delle legioni e favorendo i contatti fra i vari territori conquistati. In questo periodo viene impostata la centuriazione, ovvero la suddivisione razionale del territorio in maglie quadrate di 20 actus di lato (circa 170 metri), dette centuriae, ottenute mediante l’incrocio di assi ortogonali tra loro, i kardines in direzione nord-sud e i decumani in direzione est-ovest. Ogni centuria era suddivisa all’interno da assi

intercisivi, che delimitavano campi separati da muretti, fossati, filari di alberi, siepi e sentieri.

L’orientamento delle centurie poteva avvenire secundum coelum o secundum naturam ossia seguire precisi calcoli astronomici oppure tenere conto delle caratteristiche naturali del terreno, tendenza quest’ultima che in genere sembra prevalere.

Fig. 4.1 - Costruzione di una strada romana (Immagine: Museo Archeologico Ambientale S.Giovanni in Persiceto)

Il territorio, disboscato e bonificato, veniva distribuito ai coloni, che gestivano i lotti agricoli già dotati di un sistema viario, con canali e fossati per il deflusso delle acque e l’irrigazione. In territorio bolognese numerose sono gli insediamenti rurali detti villae, collocati all’interno della ripartizione centuriale. In genere le villae (Fig.4.2) sono singole abitazioni costituite da pochi vani e appartenenti a piccoli e medi proprietari terrieri con un buon tenore di vita. Le testimonianze archeologiche datano questi insediamenti tra la fine del I secolo a.C e gli inizi del I secolo d.C. in età triumvirale o augustea. Questo sistema cominciò ad entrare in crisi, come dimostra la progressiva diminuzione delle evidenze archeologiche, a partire dal III secolo d.C., momento in cui l’Italia sembra subire sempre più la concorrenza delle province dell’impero.

Durante l’età imperiale si ha lo sviluppo di una agricoltura specializzata che necessita di edifici in cui trasformare e immagazzinare i prodotti. Le abitazioni dovevano essere inizialmente di piccole o medie dimensioni, costruite con materiali deperibili come legno e argilla, con coperture ad embrici e coppi. Dal I secolo d.C. anche i muri venivano innalzati in laterizio, impiegando il mattone sesquipedale manubriato, di un piede e mezzo di lato (30x45cm), dotato di un incavo che ne facilitava presa e trasporto; questi mattoni erano di produzione locale, ad opera delle fornaci (Fig. 4.3) che spesso si ritrovano nei siti e che sfruttavano le locali cave di argilla. Le

pavimentazioni, che di solito erano in terra battuta, nelle villae erano realizzate in mattonelle fittili di forma esagonale, romboidale o rettangolare; solo in alcuni casi i pavimenti erano rivestiti di mosaici. Nei locali come cantine e magazzini, deputati allo stoccaggio e alla conservazione dei prodotti agricoli, il pavimento era in terra battuta, il quale permetteva l’inserimento di grandi contenitori di derrate come dolii e anfore.

Fig. 4.2 - Casa colonica romana (Immagine: Museo Archeologico Ambientale S. Giovanni in Persiceto).

Fig. 4.3 - Ricostruzione di una fornace per laterizi (Immagine: Museo Archeologico Ambientale S. Giovanni in Persiceto).

Tra gli oggetti di uso quotidiano (Fig. 4.4), il vasellame fine da mensa in ceramica a vernice nere costituiva il tipo più diffuso in età repubblicana; la produzione era quella di tazze o coppe usate nei banchetti, con decorazioni a stampiglia o a incisione. Dalla metà del I secolo a.C. si diffuse la cosiddetta terra sigillata, con decorazioni e bolli che spesso riportavano il nome del proprietario dell’officina e/o dell’artigiano decoratore, essa andò a sostituire parte della produzione ceramica a vernice nera. La ceramica a pareti sottili (3-5 mm di spessore) era presente fino al III secolo d.C., essa venne impiegata per piccoli contenitori: bicchieri, coppette e boccali. La ceramica comune invece era riservata all’uso quotidiano, sotto forma di piatti, scodelle, brocche, bottiglie, boccali e bicchieri. La rozza terracotta invece veniva usata come ceramica da fuoco, piuttosto resistente per via dell’inserimento di inclusi nell’impasto.

I contenitori per la conservazione e lo stoccaggio di alimenti erano i dolii e le anfore, che ospitavano prodotti come: vino, miele, olive, grano, frutta secca, salsa di pesce (garum).

Fig. 4.4 - Particolare dell’interno di una casa colonica romana (Immagine: Museo Archeologico Ambientale S. Giovanni in Persiceto).

Nel territorio bolognese doveva essersi sviluppata una vivace economia, caratterizzata da un’intensa attività agricola, dall’allevamento, da attività produttive e da commerci favoriti da una rete stradale capillare ed efficiente.

4.1.1 Il paesaggio naturale e antropico in epoca romana

I romani instaurarono un’attività agricola intensiva e variamente diversificata grazie al miglioramento delle condizioni climatiche che hanno permesso la coltivazione di nuove specie come l’olivo. La presenza di olivo e leccio testimonia infatti l’optimum climatico iniziato già durante l’età repubblicana e caratterizzato da un clima mite e temperato.

La zona del suburbio di Bononia durante l’epoca era caratterizzata da zone aperte e incolte (Fig. 4.5). Il bosco è caratterizzato dal querceto, dominano le latifoglie decidue: querce caducifoglie in particolare farnia (Quercus robur) (Fig.4.6), frassini (Fraxinus), carpino comune (Carpinus betulus) e olmo (Ulmus). Discreta è la presenza inoltre di aree coltivate a cereali alternate a prati e pascoli; ben attestate sono anche le zone ad orto (Curina et al, 2010)

Le coltivazioni presenti nel territorio comprendevano: cereali (grano tenero, grano grosso, spelta, farro e piccolo farro, segale, orzo, avena , miglio, panico), leguminose (fava, lenticchia, pisello, cicerchia), piante tessili (lino e canapa) e ortive (cicoria, carota, fragola pastinaca, porcellana, zucca da vino), alberi da frutto (ciliegio, fico, gelso bianco e nero, mirabolano, noce, olivo, pero, pesco, pino da pinoli, susino) e vite. I campi, percorsi da una rete di canali e fossati di irrigazione, dovevano essere divisi da arbusti e alberi da confine, alternandosi al bosco e a prati e pascoli, con aree a maggese. Infatti accanto alla pratica agricola vi erano attività legate ai terreni boschivi, incolti e paludosi, come la raccolta del legname, il pascolo e la pesca.

Dal III secolo d.C. avviene un regresso dell’organizzazione agricola, a causa di un deterioramento delle condizioni climatiche, con alluvioni e impaludamenti che si manifesteranno maggiormente durante il periodo tardoantico.