Capitolo III I presupposti ed i criteri di liquidazione del danno a titolo di Risarcimento
3.2 L A CONDOTTA DEL SOGGETTO DANNEGGIATO NEL GIUDIZIO PREPOSTO PER LA CONDANNA AL RISARCIMENTO DEI DANNI
§3.2.1 Forma & Termine di prescrizione della domanda risarcitoria.
Secondo la tesi di F. Caringella, la domanda di risarcimento, “è diretta
a ristorare il soggetto dalle conseguenze dannose che gli derivano da un provvedimento amministrativo senza incidere in alcun modo su di esso, quantomeno allorché è richiesta la riparazione per equivalente.”27
Iniziamo questo paragrafo col dire che, un soggetto privato, che si consideri parte danneggiata da un atto lesivo proveniente da un organo della pubblica amministrazione e che intenda formulare una richiesta di risarcimento per liquidazione del danno subito, deve attivarsi formulando relativa domanda risarcitoria proposta con ricorso, notificato e depositato nei modi ordinari.
Per il rispetto del principio del contraddittorio tra le parti, garantito
27 F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo. Profili sostanziali e processuali, Giuffrè Editore, 2011, cit. pag. 601.
fortemente anche in questo modello di processo, la Giurisprudenza concorda, infatti, sulla tassativa inammissibilità di una eventuale domanda risarcitoria non ritualmente notificata alla controparte.
Secondo poi le tesi del Consiglio di Stato, ci “si porrebbe in contrasto
con i valori espressi dall'art.24 della Costituzione e con le regole generali sulla notifica dei ricorsi giurisdizionali amministrativi, applicabili per qualsiasi domanda e senza alcuna eccezione”28
C'è da chiedersi, in riferimento al contenuto della domanda di risarcimento, se ad essa debbano riferirsi le norme del procedimento di annullamento degli atti della pubblica amministrazione, in particolar modo l'obbligatoria deduzione di specifici motivi attraverso il provvedimento che si intende impugnare.
Per chiarire meglio quest'ultimo concetto, è da segnalare una pronuncia fatta dal TAR Puglia, con sede a Bari, con la sentenza n. 1401 del 4 aprile 2000, in cui una parte, formulata richiesta di risarcimento del danno subito, in maniera autonoma dalla domanda di annullamento dell'atto impugnato, “risulta strettamente correlata alla deduzione dei
vizi del provvedimento. Pertanto, si è esclusa la necessità che la domanda risarcitoria venga articolata come autonomo motivo di ricorso indicante le ragioni della pretesa: essa, trovando il suo fondamento nelle stesse censure che sorreggono la separata, ma
28 Consiglio di Stato, sez. VI, decisione n. 805 del 15 febbraio 2000; nello stesso senso: Tar Lombardia, Milano, sent. n. 6265 del 6 novembre 2000; sent. n. 6044 del 20 ottobre 2000 e sent. n. 4600 del 23 giugno 2000; Tar Lazio, Roma, sent. n. 4424 del 29 maggio 2000; Tar Reggio Calabria, sent. n. 16 del 18 gennaio 2000.
contestuale domanda di annullamento e che si configurano quindi come causa petendi - potrebbe essere contenuta anche nelle sole “conclusioni”. E' dunque erroneo pretendere che detto petitum implichi la deduzione di un autonomo vizio - motivo, in quanto non è configurabile un diverso titolo che lo sorregga.”29
Prendendo spunto dal Codice del processo amministrativo, in particolare all'articolo 35, la Giurisprudenza è concorde nel sostenere che tale disposizione consenta alla parte ricorrente un'emendatio libelli, ferma restando l'obbligatorietà della determinazione del quantum della richiesta di risarcimento in corso di giudizio a fronte di ricorso introduttivo che specifica solo l'an.
Da precisare, dunque, che una domanda generica di condanna, ai sensi dell'articolo 278 c.p.c., deve essere letta e interpretata alla stregua di una domanda di risarcimento in base ai criteri dell'art.35 c.p.a.
Un'ulteriore problema giurisprudenziale, è dato dall'eventuale proposizione della domanda di risarcimento nel corso del giudizio. La tendenza della Giurisprudenza più moderna, a tal proposito, sembra ammettere la proponibilità della domanda risarcitoria dalla parte ricorrente, successivamente alla proposizione del ricorso contro l'atto amministrativo considerato lesivo.
Tuttavia, non è chiaro, e risulta di matrice lacunosa, eventuali limiti temporali entro cui proporre tale domanda e se, in caso di superamento
29 F. CARINGELLA, cit. sulla sentenza del TAR Puglia, con sede a Bari, n. 1401 del 4 aprile 2000 in www.giustizia-amministrativa.it
dei termini, vi sia applicabile il regime delle preclusioni prescritto dal Codice di procedura civile.
Tuttavia, questo argomento è stato battuto arduamente dal Consiglio di Stato, che con le sentenze n.805 del 15 febbraio 2001 e n.913 del medesimo anno, ha ribadito la possibilità per la parte ricorrente, che si è già attivata in una richiesta di impugnazione di un determinato provvedimento amministrativo considerato lesivo, rispettando i tempi prescritti a pena di decadenza, adendo al giudice amministrativo, di porre all'attenzione del giudice una successiva domanda risarcitoria senza attendere l'esito del giudizio di annullamento.
La ragione di questa linea di tendenza da parte del Consiglio di Stato è da ricercare nella connessione delle domande e nelle esigenze sempre più forti di economia dei giudizi.
Viene, invece, valutata come inammissibile l'eventuale formulazione della domanda con il ricorso in appello, per il rispetto del principio del doppio grado di giudizio considerato limite invalicabile alla formulazione per la prima volta in appello la domanda, ma di questo parlerò nel prossimo capitolo di questo elaborato.
Per quanto riguarda, invece, i termini di prescrizione per la proponibilità della domanda risarcitoria, bisogna operare una distinzione nel caso un cui un soggetto privato, in posizione di danneggiato a causa di un atto lesivo per mano della pubblica amministrazione proponga contestualmente domanda di annullamento
e domanda di risarcimento per il medesimo atto, nel termine di decadenza, l'azione risarcitoria rimane inevitabilmente soggetta al termine di prescrizione e non di decadenza.
Non esiste in questa fattispecie specifica, infatti, l'obbligatorietà della proposizione contestuale della domanda di risarcimento del danno nel termine di decadenza, ma deve necessariamente rispondere ai termini di prescrizione indicato dall'articolo 2947 c.c. , di cinque anni, se si ritiene la responsabilità della pubblica amministrazione di natura extra contrattuale.
Nel caso contrario, invece, di responsabilità contrattuale della pubblica amministrazione, bisogna prendere come riferimento il termine di prescrizione ordinario di dieci anni.
Il dies a quo dal quale inizia a decorrere il termine di prescrizione della domanda risarcitoria è la data della dichiarazione in via definitiva della illegittimità dell'atto lesivo.
§3.2.2 La competenza territoriale
Il legislatore del Codice del processo amministrativo, per quanto riguarda la competenza territoriale per l'esercizio della funzione giurisdizionale nei giudizi risarcitori innanzi al giudice amministrativo, non ha previsto una specifica disciplina; pertanto, fino a poco tempo fa è stato motivo di discussione l'alternanza dell'applicazione a tali
giudizi, ora delle norme previste dal Codice di procedura civile, ora dei criteri previsti dalla legge Tar.
Su tale questione, abbiamo assistito alla pronuncia dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in data 19 gennaio 2004, che con l'ordinanza numero 137, ha attribuito alla tipologia risarcitoria dei giudizi instaurati, una regola di competenza di connessione nel caso in cui sia stato previamente adito il giudice amministrativo per un giudizio di annullamento, che in quest'ottica andrebbe a configurarsi come giudizio principale.
Tale regola vale, dunque, sia nel caso di instaurazione congiunta del giudizio di annullamento e di quello di risarcimento, sia nel caso in cui si riscontri nel giudizio di risarcimento un suo antecedente necessario nel giudizio di annullamento, e ciò , alla luce della parte di Giurisprudenza a favore della necessarietà della c.d. Pregiudizialità amministrativa.
Infine, per concludere il discorso sulla competenza del giudice amministrativo, è doveroso richiamare in questo elaborato la Giurisprudenza formatasi sugli artt. 2 e 3 della legge Tar, “ai sensi
della quale, in caso di atti di organi periferici dello Stato, l'unico criterio attributivo di competenza è quello della sede dell'organo, a prescindere della sfera di efficacia dell'atto.
La giurisprudenza aveva, infatti, affermato che non riveste alcun rilievo, ai fini della determinazione del giudice competente, la
circostanza che un ente, pur avendo sede in una circoscrizione ed ivi esercitando tutta la sua attività, abbia posto in essere anche atti ad efficacia territorialmente non limitata.
Ai sensi della stessa giurisprudenza, solo nel caso di atti emessi da organi centrali dello Stato, il criterio attributivo di competenza è quello della sfera dell'efficacia dell'atto. (…)
Deve anche essere segnalato che la giurisprudenza che ha dato una peculiare interpretazione del criterio di individuazione fondato sugli effetti dell'atto, nei casi dei c.d. Atti plurimi. In tale caso, il criterio in questione è stato applicato in relazione alla scindibilità o alla non scindibilità (cioè sia possibile individuare una pluralità di determinazioni ciascuna delle quali impugnabile senza interessarlo nella sua interezza) o inscindibilità dell'atto.
Nel primo caso, sarebbe competente il Tar periferico, nel secondo caso, il Tar del Lazio.”30
30 GIANFRANCESCO FIDONE, L'azione per l'efficenza nel processo amministrativo: dal
§3.2.3 L'onere della prova dell'an e del quantum del danno.
Su tale aspetto istruttorio del processo amministrativo, interviene il Consiglio di Stato, con l'ordinanza numero 4460 del 5 agosto 2003, con cui postula la necessarietà che il privato ricorrente e domandante un determinato risarcimento del danno subito, fornisca una prova piena e completa di tale danno, ne deriva contestualmente, l'insufficienza di mere lamentele sulla presunta illegittimità dell'atto oggetto del ricorso, o semplici deduzioni di principio di prova.
Di qui, riporto uno stralcio dell'ordinanza ora presa in analisi, sugli oneri che gravano sulla parte ricorrente: “In tema di responsabilità
dell’amministrazione per attività provvedimentale illegittima, la giurisprudenza di questa Sezione , pur dissentendo dalla ricostruzione che ha fatto applicazione dei principi che presiedono alla responsabilità contrattuale per inadempimento al fine di giustificare l’affermazione della presunzione relativa di colpa e l’ascrizione all’amministrazione dell’onere di dimostrare la propria incolpevolezza, ha già precisato come le condivisibili esigenze di semplificazione probatoria sottese a detta impostazione possono essere parimenti soddisfatte restando all’interno dei più sicuri confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, che rivelano una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell’illecito extracontrattuale con i caratteri oggettivi
della lesione di interessi legittimi e con le connesse esigenze di tutela, ma utilizzando, per la verifica dell’elemento soggettivo, le presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c.
In tale ottica, il privato danneggiato, ancorchè onerato della dimostrazione della “colpa” dell’amministrazione, risulta agevolato dalla possibilità di offrire al giudice elementi indiziari - acquisibili, sia pure con i connotati normativamente previsti, con maggior facilità delle prove dirette - quali la gravità della violazione, qui valorizzata quale presunzione semplice di colpa e non come criterio di valutazione assoluto, il carattere vincolato dell’azione amministrativa giudicata, l’univocità della normativa di riferimento ed il proprio apporto partecipativo al procedimento.31
Per quanto riguarda, invece, gli oneri spettanti alla pubblica amministrazione convenuta, si elencano l'allegazione di elementi annoverabili nella categoria dell'errore scusabile cosicché il giudice possa escludere la colpevolezza della stessa ed eventualmente rigettare la richiesta della parte ricorrente.
31 Consiglio di Stato, sez. VI - Ordinanza 5 agosto 2003 n. 4460, cit. http://manovraeconomicabis2011.diritto.it/
§3.2.4 Le pronunce di chiusura del giudice amministrativo sulla determinazione del danno e la questione del giudizio di ottemperanza.
L'articolo 35, comma 2 del d.lgs. 31 marzo 1998, numero 80, disciplina una peculiare procedura per la determinazione del danno subito dal soggetto ricorrente, indicando la competenza del giudice amministrativo adito per il ricorso, nella eventuale quantificazione del danno, o in alternativa, la facoltà di indicare i criteri con cui si assicura al soggetto danneggiato una proposta risarcitoria da parte dell'amministrazione pubblica soccombente, entro un dato termine. Nella probabilità del mancato raggiungimento di un accordo tra parte privata e pubblica amministrazione, il primo può successivamente adire al giudice amministrativo perché si pronunci sulla formulazione della somma dovutagli a titolo di risarcimento, esercitando il proprio potere giurisdizionale nelle forme del giudizio di ottemperanza.
Da richiamare in questo caso, l'attenzione sulla natura di tale istituto con la cui pronuncia viene a costituirsi titolo esecutivo verso sentenze del processo amministrativo, in caso di posizione di inadempimento da parte della pubblica amministrazione convenuta.
Nell'analisi di questa fase finale del processo amministrativo di primo grado innanzi ai giudici dei Tribunali Amministrativi Regionali, non resta che accingersi a capire quali siano i reali presupposti della
possibilità di avvalersi dell'espediente dell'ottemperanza.
Requisiti fondamentali per tale tipologia di giudizio sono espressi in un binomio sistematicamente logico e, mi permetto di asserire, funzionalmente strumentale nelle sue componenti: si tratta, dunque, del duo di prerogative composto da passaggio in giudicato della sentenza per cui la parte ricorrente chieda l'ottemperanza e dalla natura di non autoapplicatività della sentenza stessa.
Nella prassi, a causa della prima caratteristica necessaria per l'utilizzo del giudizio di ottemperanza, e cioè sul passaggio in giudicato della sentenza di cui il ricorrente richiede l'ottemperanza, si sono verificate diverse questioni dal momento che l'art. 33 della legge Tar ne prescrive l'automatica esecutività, e per le quali non è previsto il ricorso al giudizio di ottemperanza.
Un correttivo è stato applicato alla fattispecie, con l'emanazione della legge 205/2000 con cui il legislatore conferisce al Tribunale poteri analoghi al giudice dell'ottemperanza riguardo a tali sentenze.
Il secondo criterio per il ricorso al giudizio di ottemperanza,di poi, prescrive che la pretesa del ricorrente non sia di per sé soddisfatta dalla semplice sentenza.
Una tipica fattispecie di quanto appena esposta in queste ultime righe, è quella data dal caso in cui un soggetto privato, considerandosi leso da un atto amministrativo, formuli valida richiesta per l'annullamento
dello stesso: in caso di accoglimento della domanda e sentenza dunque favorevole al soddisfacimento della propria pretesa, il giudizio di ottemperanza diverrebbe un provvedimento vano, un ancora già predisposta su un fondale marino senza possibilità di manutenzione.
L'utilità del giudizio di ottemperanza è strettamente funzionale a una sentenza con pronuncia non solo di annullamento, ma di prescrizione di un obbligo di fare o non fare alla pubblica amministrazione che deve attivarsi per la soddisfazione della pretesa attorea.
Tuttavia, “è necessario fare chiarezza su quale sia il giudizio di
ottemperanza sul quale si discute: quello previsto dal citato art. 35, secondo comma, è uno specifico giudizio di ottemperanza in relazione alla domanda di risarcimento del danno; altra questione è il giudizio di ottemperanza relativo al giudicato formatosi sulla domanda principale (…).
In ogni caso è sempre necessario un previo giudizio di cognizione sull'an, sia perchè nella predetta procedura il giudice deve dettare i criteri in base ai quali operare la quantificazione in sede di ottemperanza, sia perchè il giudicato deve contenere anche una pronuncia sul risarcimento per poter operare una esecuzione anche sotto tale profilo.
L'opposto orientamento, al contrario, si basa sul fatto che la domanda di risarcimento (per equivalente) è necessariamente subordinata alla
verifica, in sede di ottemperanza, di una esecuzione del giudicato più ampiamente satisfattiva degli interessi del ricorrente tramite una tutela ripristinatoria che escluderebbe alla radice la produzione di un danno patrimoniale. (…) Una posizione intermedia è stata, inoltre, espressa dal Consiglio di Stato che ammette la proposizione della domanda risarcitoria per la prima volta in sede di ottemperanza, purchè in primo grado, onde sia rispettato il principio del doppio grado, e nel rispetto del contraddittorio.”32
Tuttavia, è utile esplicare in questa sede, il frutto del lavoro della Giurisprudenza che ha ben determinato i casi in cui risulti possibile, e soprattutto, ammissibile, per la parte ricorrente, avanzare domanda di risarcimento per equivalente in sede di ottemperanza:
sia il caso in cui la parte abbia già adito al giudice della cognizione con domanda di condanna alla reintegrazione in forma specifica, la cui esecuzione diventi impossibile per cause sopravvenute al giudicato; ancora sia il caso in cui la domanda risarcitoria venga formulata in sede di ottemperanza dalla parte che abbia subito un danno cagionato non da un determinato provvedimento amministrativo lesivo ma da condotte inerti, elusive o violative del giudicato posti in essere dalla pubblica amministrazione in seguito alla formazione di quest’ultimo; e ancora sia il caso in cui di pronuncia, da parte del giudice
32 LUIGI TRAMONTANO, La Tutela risarcitoria dell'interesse legittimo, Wolters Kluwer Italia, 2008 , cit. pag.198
amministrativo, di una sentenza di condanna generica al risarcimento del danno.