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In relazione alle complesse deduzioni difensive in materia occorre dar conto, sia pure sinteticamente, delle molte pagine che la sentenza dedica all'analisi dei profili di colpa eziologicamente rilevanti emersi nel corso del processo. Si assume che è agevole riscontrare l'esistenza del nesso di causalità tra il non agire

contestato agli imputati e gli eventi, secondo lo standard consolidato della giurisprudenza di legittimità dell'alto grado di credibilità razionale.

Le principali carenze cautelari vengono evocate. Aver proceduto nelle lavorazioni senza aver ancora ottenuto il certificato di prevenzione incendi. Non aver correttamente valutato i rischi e provveduto alla loro eliminazione o riduzione. Non avere il datore di lavoro, in collaborazione con il RSPP, valutato adeguatamente i rischi per la sicurezza dei lavoratori ed adottato un documento di valutazione dei rischi con l'indicazione delle misure di tutela appropriate, fra cui il sistema di rivelazione e spegnimento automatico delle fiamme. Non aver dato istruzioni ai lavoratori di mettersi immediatamente al sicuro in caso di pericolo grave. Non averli allertati attraverso una adeguata informazione sui rischi specifici cui

erano esposti. Non averli adeguatamente formati in materia di sicurezza ed in particolare non aver curato che quelli incaricati della prevenzione e lotta antincendio fossero adeguatamente formati attraverso corsi durante l'orario di lavoro. Non aver fornito attrezzature idonee ai fini della sicurezza, sottoposte a verifiche periodiche. Non aver definito la linea APL5 a rischio elevato di incendio. Non aver valutato il rischio di incendio alla luce del d.m. 10 marzo 1998.

Per la Corte di merito «il tragico parallelismo fra le cause di produzione e l'elenco delle norme appena citate non potrebbe essere più netto nell'indicare un chiaro nesso causale fra le omesse condotte doverose e gli eventi». E si rammenta che la verifica del nesso causale potrà ritenersi raggiunta anche sulla base della prova di apprezzabili, significative probabilità che le condotte doverose avrebbero hanno avuto di

scongiurare il danno.

La pronunzia mette in luce le gravi carenze dell'impianto e le pone in stretta connessione con le iniziative assunte a Terni. Si cita la modifica del contratto di pulizia, da quello che prevedeva personale fisso a quello che lo prendeva a chiamata. All'obiezione che l'esborso finale non è cambiato, si risponde che il costo avrebbe dovuto semmai aumentare in considerazione delle operazioni di trasferimento che si svolgevano nello stabilimento in fase di smobilizzo. Nel dicembre 2007 la situazione di sporcizia era diffusa con

presenza massiva di carta ed olio; e riguardava l'intero stabilimento, come riscontrato dagli organi ispettivi. Contrariamente a quanto ritenuto dalle difese, le carenze riguardavano anche gli impianti ancora

funzionanti, come riferito dagli ispettori.

Inoltre la riduzione dei corsi di formazione fino al loro arresto nel febbraio 2007, e la tolleranza dell'azienda in ordine all'assenteismo da parte degli operai erano la diretta conseguenza del fine di risparmio ben esplicitato nella relazione al bilancio 2007, nella quale si evoca candidamente la circostanza che lo stabilimento è destinato alla chiusura. Tale decisione si ricollega all'idea di utilizzare anche l'elemento umano con elasticità, come riferito da alcuni testimoni che venivano distolti dai corsi per tornare sugli impianti. Inoltre i corsi medesimi, in spregio alla legge, erano tenuti fuori dall'orario di lavoro, cioè di fatto senza alcun obbligo di frequentazione. Di qui derivò il risultato, secondo la Corte torinese davvero

indifendibile, rappresentato dalla attribuzione della responsabilità più alta nell'emergenza al lavoratore Ro. M. che non aveva neppure completato un corso antincendio.

La manutenzione degli impianti non seguiva ormai più alcuna programmazione perché si era dimesso l'ing. Lc. che organizzava ed eseguiva le ispezioni periodiche. Viste le condizioni dell'impianto si può dubitare addirittura che tali ispezioni siano continuate, come dimostrato dall'assenza dei relativi verbali. La situazione di assoluta carenza di manutenzione è fotografata con spietatezza dalle condizioni miserevoli riscontrate sulla linea nel rapporto della Asl del settembre 2007. Anche la mancata manutenzione è il risultato di politiche di risparmio e disinvestimento centrali, visto che le carenze più gravi venivano proprio dal rimescolamento e accorpamento di mansioni, senza formazione dei manutentori che rimanevano nella fabbrica; e dal risparmio negli acquisti dei pezzi di ricambio.

La sentenza rimarca pure la mancata attuazione di importanti cautele che furono invece tempestivamente adottate in Terni, come l'installazione degli estintori a lunga gittata e l'introduzione di un'efficiente

autobotte; la mancata installazione di sistemi antincendio pur minimi usciti dalla trattativa con la società assicuratrice, ricollegabili alla decisione di non sprecare denaro per lo stabilimento prossimo al trasloco. Lo dicono gli imputati E.H. e M.D. quando spiegano il doppio slittamento dei fondi: è lo stesso amministratore che nel marzo 2007 informa ufficialmente il consiglio di amministrazione che lo stabilimento di Torino è destinato a chiusura e che in esso si erano fatti investimenti antinfortunistici solo fino al 2006.

Tutte le centrali decisioni di risparmio si incrociavano e divenivano più pericolose per l'altrettanto centrale decisione di chiudere lo stabilimento. Si trattava di una decisione del tutto legittima, ma che creava ricadute in termini di assottigliamento del personale formato e dunque nuova ripartizione di mansioni fra chi inesperto rimaneva: lo aveva segnalato la stessa Asl nel settembre 2007, tanto da richiedere un

aggiornamento del documento di valutazione dei rischi.

Insomma, per la Corte di merito non vi è alcuna soluzione di continuità fra le direttive di risparmio e le gravissime carenze prodottesi a Torino che causarono l'incendio. Ne è definitiva conferma la estrema ristrettezza del budget a firma singola del direttore torinese che nella concretezza dei suoi poteri non poteva né assumere altro personale, né acquistare o sottoporre a seria manutenzione gli impianti, né organizzare corsi di formazione, né scegliere le opere antincendio da far slittare. E' conseguentemente dimostrato non solo il nesso di concausalità fra le varie norme violate e gli eventi, ma anche che la loro violazione è rapportabile a scelte di carattere gestionale centrale, che riguardavano i più alti gradi dell'ente. Ma l'aspetto più importante degli addebiti ruota intorno al documento di valutazione dei rischi del 2006, ed al documento di valutazione dei rischi di incendio del 2007 con annesso il piano di emergenza ed

evacuazione, che coinvolge direttamente E.H., S. R. e C.C. .

Si assume che i documenti sono stati formati in maniera distorta e cioè enunciando solo formalmente criteri di valutazione corretta, ma poi rapportandoli ad elementi non corrispondenti alla realtà, trascurando le esperienze acquisite nelle concrete modalità operative dell'attività svolta. Il risultato è stato di ritenere medio il rischio di incendio della linea APL5, mentre esso era in realtà alto, col risultato di non rendere palesi le conseguenti, doverose iniziative prevenzionali, fra cui l'installazione di un sistema di rivelazione e spegnimento automatico di incendio, che avrebbero azzerato o ridotto al minimo possibile il rischio letale. Tale impostazione dei documenti reca violazione del d.lgs. n. 626 che attribuisce al datore di lavoro l'obbligo preliminare di valutare egli stesso il rischio e di approntare misure atte ad azzerarlo o ridurlo al massimo.

Le difese hanno negato che il piano avesse totalmente ignorato la zona di ingresso della linea ed i rischi alti che in tale sito si manifestavano. La confutazione di tale tesi emerge dalla stessa intitolazione del capitolo relativo; ed è lo stesso C.C. nel suo esame ad ammettere sostanzialmente di aver inserito nel documento la valutazione del forno che era ritenuto la parte più a rischio. Dunque, secondo la Corte di merito, il

documento di valutazione del rischio omise totalmente di esaminare la zona degli aspi svolgitori.

La pronunzia confuta la tesi difensiva secondo cui non esistevano rischi prevedibili di incendio e di flash fire nella specifica zona. Nella vicenda processuale viene contestato di aver omesso di approntare una serie di misure di prevenzione primarie e secondarie fra cui l'impianto di rivelazione e spegnimento automatico nel tratto interessato dell'incendio. Tale condotta era doverosa alla stregua del dovere di autonormazione che regola la materia. L'obbligo giuridico si accompagna a colpa specifica attestata al livello della mera

prevedibilità dell'evento dannoso. In quest'ottica ciò che sarebbe stato prevedibile applicando i criteri e le leggi di settore, rimane addebitabile a tutti coloro che rivestivano posizioni di garanzia, cioè a tutti gli imputati, giacché fra i loro doveri vi erano anche quelli di conoscenza della realtà della fabbrica e di applicazione ed aggiornamento delle norme tecniche accreditate.

Questa preliminare valutazione di mera astratta prevedibilità degli eventi, assume la Corte di merito, è travolta ed assorbita dalla verifica della colpa contestata a tutti come cosciente. Per ritenere dimostrata tale aggravante è necessario condurre la verifica solo sul patrimonio di conoscenze effettive di ciascuno degli imputati. Questa precisazione vale a rispondere all'obiezione formulata dalle difese appellanti circa la sommatoria indifferenziata di conoscenze e posizioni che sarebbe stata invece arbitrariamente effettuata nella prima sentenza.

Analoga censura coglie il piano di emergenza ed evacuazione. La sentenza pone in luce che l'indicazione di "palese gravità" che esonera i lavoratori dall'intervenire direttamente sull'incendio in atto, era ambigua, non chiara e responsabilizzava eccessivamente i dipendenti che non avevano ricevuto alcuna formazione rispetto ad una scelta di importante rilievo. Sta di fatto che gli addetti erano sempre intervenuti per primi tenendo sotto controllo la situazione, senza essere stati però informati dei rischi e senza essere stati dotati di materiale idoneo. Quanto alla disposizione di usare il pulsante di emergenza, essa non solo non era

inserita chiaramente ma si può anche ritenere che fosse vietata, poiché comportava prolungati blocchi dell'impianto, mentre gli operai tendevano sempre ad andare avanti con le lavorazioni, come riferito da fonti testimoniali. Ma l'aspetto più rilevante del documento non risiede soltanto nella caoticità, opinabilità, pratica inapplicabilità, quanto nel suo mancato aggiornamento nel 2007 rispetto ai cambiamenti che si erano verificati in fabbrica. Si fa riferimento all'accorpamento della responsabilità dell'emergenza in capo a chi aveva già quella della produzione, che rendeva di fatto impossibile al capoturno di occuparsi

dell'emergenza: situazione tragicamente documentata dalla morte del capoturno Ro. M. che non potè attivare la pur caotica procedura, perché fu tra i primi a morire essendo impegnato nella funzione di produzione. Inoltre la diminuzione e la mancata formazione del personale addetto alle squadre di

emergenza comportò il completo fallimento, la notte dei fatti, della procedura. Soprattutto, tutte le notizie che erano arrivate alla dirigenza in ordine al pericolo del flash fire a seguito del cedimento dei flessibili non fecero modificare il piano, che continuava ad attribuire agli operai il compito di avvicinarsi al fuoco con estintori a corta gittata, ignari che il rischio maggiore per la loro vita non veniva dalle fiamme ma da un'improvvisa onda di fuoco che li avrebbe potuti improvvisamente colpire senza scampo.

Conclusivamente, per il giudice di merito il documento di valutazione del rischio del maggio 2007 fu confezionato nella consapevole e volontaria dissimulazione degli elementi di rischio reali della lavorazione, dissimulazione orientata al fine di indicare rischi di incendio inesistenti o minori rispetto al reale, il tutto preordinato a non dover indicare misure precauzionali tra cui l'installazione del sistema di rivelazione e spegnimento anche e proprio nel tratto di linea in cui si verificò il sinistro.