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Anche in giurisprudenza il dolo intenzionale, viene caratterizzato dal suo connotato finalistico, che non è escluso dalla previsione dell'evento come meramente possibile, poiché l'incertezza sulla sua verificazione può derivare dal carattere indiretto dei mezzi usati, che non incide sull'intenzione effettivamente

Quanto al dolo diretto ed alla sua distinzione rispetto a quello eventuale vi è copiosa giurisprudenza di legittimità, purtroppo focalizzata quasi esclusivamente sulle problematiche della volontà omicida e del suo accertamento. Il tema è analizzato in modo puntuale in una pronunzia delle Sezioni Unite che propone una completa messa a punto della definizione dell'area di confine tra le diverse forme di dolo. La sentenza parte dalla critica dell'orientamento giurisprudenziale che tende a ridurre il dolo diretto al solo dolo intenzionale, inteso come volontà specificamente mirata a realizzare l'evento tipico, in diretta attuazione del movente; e che al contempo estende eccessivamente la categoria del dolo eventuale, comprendendovi tutti gli

atteggiamenti psichici caratterizzati dalla volontà dell'evento, certo o altamente probabile, ed escludendo la sola intenzione di perseguire l'evento. Tale indirizzo — si osserva — tende ad utilizzare il dolo eventuale come scappatoia per evitare difficoltà nell'accertamento e nella motivazione della volontà omicida. L'osservazione della realtà psicologica sottesa all'amplissima casistica giurisprudenziale consente di individuare e classificare livelli crescenti di intensità della volontà dolosa. Il dolo eventuale è caratterizzato dalla consapevolezza che l'evento, non direttamente voluto, ha la probabilità di verificarsi in conseguenza della propria azione, nonché dall'accettazione volontaristica di tale rischio. Nel caso di accettazione del rischio dell'evento si richiede all'autore una adesione di volontà, maggiore o minore, a seconda che egli consideri maggiore o minore la probabilità di verificazione dell'evento. Quando, invece, l'evento è ritenuto dall'agente altamente probabile o certo l'autore non si limita ad accettarne il rischio, ma accetta l'evento stesso, cioè lo vuole e con un'intensità evidentemente maggiore che nel dolo eventuale. In tale caso si ha dolo diretto. Se l'evento, oltre che accettato, è perseguito, la volontà si colloca in un ulteriore livello di gravità e potrà distinguersi fra un evento voluto come mezzo necessario per raggiungere uno scopo finale e un evento perseguito come scopo finale. Si tratta del dolo specifico. Nei casi ricorrenti di uso delle armi per sottrarsi alla reazione della vittima ovvero per sfuggire all'inseguimento della polizia, il tipo di arma, la reiterazione e la direzione dei colpi, la zona del corpo attinta, fanno ritenere certo o altamente probabile il verificarsi di eventi lesivi o mortali, accanto a quello primariamente perseguito dell'intimidazione del soggetto reagente ovvero accanto a quello di costringere l'inseguitore a fermarsi o a desistere. In tali casi, che maggiormente evidenziano l'esigenza repressiva, sarebbe ingenuo parlare di mera accettazione del rischio e di dolo eventuale, essendo evidenti gli estremi dell'accettazione di eventi certi o altamente probabili e quindi della volontà di essi, ovvero gli estremi della volontà, sia pure strumentalmente ad un fine ulteriore, di perseguire l'evento che connotano il dolo diretto in entrambi i casi (Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, Cassata, Rv. 195804).

Dunque, dalla pronunzia emergono alcune indicazioni di qualche interesse. In primo luogo, nel dolo eventuale occorre una situazione di probabilità dell'evento, che — tuttavia — deve essere riguardata sotto il profilo soggettivo, del modo cioè in cui il concreto agente ha ravvisato la possibilità di verificazione di un risultato della condotta. Oltre a tale probabilità per così dire soggettiva, occorre altresì un profilo

deliberativo, costituito dalla «accettazione volontaristica del rischio». Tale profilo volontaristico, tuttavia, riguarda non l'evento, ma il rischio dell'evento. Invece, nei casi in cui l'evento è certo o altamente

probabile, sempre nella prospettiva soggettiva dell'agente, vi è l'accettazione dell'evento medesimo e quindi la sua volizione. Qui non occorre — secondo la Corte — andare alla ricerca dell'atto deliberativo nel quale si estrinseca la direzione della volontà. La presenza del profilo volitivo del dolo è implicata dalla stessa elevata probabilità, sia pure sogguardata nella prospettiva dell'agente. Infine, la volontà di cui si parla va accertata sulla base di indicatori obiettivi connessi precipuamente alle modalità del fatto.

Le indicate enunciazioni si rinvengono, sia pure con qualche lieve variante, in altre pronunzie delle Sezioni unite, tutte focalizzate sulla volontà omicida (Sez. U., n. 3428 del 06/12/1991, Casu, Rv. 189405; Sez. U., n. 3571 del 14/02/1996, Mele, Rv. 204167).

L'indirizzo in questione, che tende ad estendere l'area del dolo diretto legandola essenzialmente alla presenza di una rilevante, elevata probabilità di verificazione dell'evento, guardata dal punto di vista

dell'agente, è presente in numerose altre pronunzie (tra le tante, Sez. 1, n. 3277 del 29/01/1996, Giannette, Rv. 204188; Sez. 1, n. 3337 del 03/07/ 1996, Garbin, Rv. 205534; Sez. 1, n. 10795 del 25/06/1999, Gusinu, Rv. 214112; Sez. 1, n. 1367 del 26/10/2006, Biscotti, Rv. 235789; Sez. 1, n. 12954 del 29/01/2008, Li, Rv. 240275).

Rispetto a tali orientamenti riferiti a contesti classici, appare di particolare interesse la pronunzia delle Sezioni Unite in tema di ricettazione (Sez. U., n. 12433 del 26/11/2009, Nocera, Rv. 246323). La sentenza reca alcune notazioni e propone una soluzione che trovano la loro radice nelle peculiarità del reato cui si riferisce: quello di ricettazione in raffronto con la contigua fattispecie di incauto acquisto. In proposito si considera che il dolo eventuale non forma oggetto di una testuale previsione legislativa: la sua costruzione è rimessa all'interprete ed è ben possibile che per particolari reati assuma caratteristiche specifiche. Si è in effetti in un contesto inusuale nella giurisprudenza: non si tratta del classico reato di evento lesivo, ma di una fattispecie nella quale rileva anche il presupposto della condotta costituito dalla provenienza della cosa da delitto. La Corte chiarisce che la componente rappresentativa del dolo deve investire il fatto nel suo complesso, non solo l'evento ma tutti gli elementi della fattispecie. Inoltre, la peculiarità del contesto normativo, la necessità di una nitida linea di demarcazione tra le fattispecie induce a ritenere che il dolo eventuale richiede, nel reato di ricettazione, circostanze più consistenti di quelle che danno semplicemente motivo di sospettare che la cosa provenga da delitto, sicché un ragionevole convincimento che l'agente ha consapevolmente accettato il rischio della provenienza delittuosa può trarsi solo dalla presenza di dati di fatto inequivoci, che rendano palese la concreta possibilità di una tale provenienza. In termini soggettivi ciò vuol dire che il dolo eventuale nella ricettazione richiede un atteggiamento psicologico che, pur non

attingendo il livello della certezza, si colloca su un gradino immediatamente più alto di quello del mero sospetto, configurandosi in termini di rappresentazione da parte dell'agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto. Insomma perché possa ravvisarsi il dolo eventuale non basta un semplice dubbio, ma si richiede una situazione fattuale di significato inequivoco, che impone all'agente una scelta consapevole tra l'agire, accettando l'eventualità di commettere una ricettazione, e il non agire. Perciò, richiamando un criterio elaborato in dottrina per descrivere il dolo eventuale, può ragionevolmente concludersi che questo, rispetto alla ricettazione, è ravvisabile quando l'agente, rappresentandosi l'eventualità della provenienza delittuosa della cosa, non avrebbe agito diversamente anche se di tale provenienza avesse avuta la certezza.

La soluzione adottata evoca un antico suggerimento metodologico solitamente denominato come "prima formula di Frank", cui si è già fatto cenno in precedenza. Il tema sarà ripreso anche più avanti. Qui, indipendentemente dalle dispute sulla possibilità di applicazione estensiva della formula anche al di fuori della specifica incriminazione in esame, preme rimarcare che dalla pronunzia esce rafforzata la

valorizzazione della componente psicologica, volitiva, del dolo eventuale: il tratto di scelta consapevole. Occorre infine aggiungere che il dolo eventuale non è configurabile in tutte le fattispecie. La Corte suprema ha avuto occasione di escludere la compatibilità di tale figura con alcuni reati. Ad esempio, in tema di calunnia, ai fini dell'integrazione dell'elemento psicologico non assume alcun rilievo la forma del dolo eventuale, in quanto la formula normativa «taluno che egli sa innocente» risulta particolarmente pregnante e indicativa della consapevolezza certa dell'innocenza dell'incolpato (Sez. 6, n. 2750 del 16/12/2008,

Aragona, Rv. 242424; Sez. 6, n. 16645 del 18/02/2009, Russo, Rv. 243517). 45. La giurisprudenza sul confine tra dolo eventuale e colpa cosciente.

A proposito del controverso confine tra dolo eventuale e colpa cosciente, si rinvengono in giurisprudenza diverse sfumature che, in modo più o meno marcato, ripetono quelle presenti in dottrina. In alcune

pronunzie la linea di demarcazione è individuata nel diverso atteggiamento psicologico dell'agente che, nel primo caso accetta il rischio che si realizzi un evento diverso non direttamente voluto, mentre nel secondo,

nonostante l'identità di prospettazione, respinge il rischio, confidando nella propria capacità di controllare l'azione, sicché esso non è voluto e non è accettato per il caso che si verifichi. Comune è, pertanto, la previsione dell'evento diverso da quello voluto, mentre ciò che diverge è l'accettazione o l'esclusione del rischio relativo. Si tratta di atteggiamenti psicologici che vanno ricostruiti affidandosi agli elementi sintomatici evidenziati dal comportamento del soggetto (Sez. 4, n. 11024 del 10/10/1996, Boni, Rv. 207333). È in sostanza la consapevole accettazione di tale possibilità che trasferisce nella volontà ciò che era nella previsione (Sez. 1, 12/11/1987, Pelissero, Rv. 177455).

In altre pronunzie, invece, la linea di confine tra dolo eventuale e colpa cosciente è più orientata verso il profilo rappresentativo: nel primo la verificazione dell'evento si presenta come una concreta possibilità e l'agente, attraverso la volizione dell'azione, ne accetta il rischio; mentre nell'altra la verificabilità dell'evento rimane un'ipotesi astratta che nella coscienza dell'agente non viene concepita come concretamente

realizzabile e pertanto non è in alcun modo voluta. Si tratta della trasposizione puntuale della dottrina che distingue tra la previsione astratta della colpa cosciente e la previsione concreta del dolo eventuale (Sez. 1, n. 2192 del 26/06/1987, Arnone, Rv. 177670; Sez. 1, n. 7382 del 03/06/1993, Piga, Rv. 195270; Sez. 1, n. 4583 del 24/02/1994, Giordano, Rv. 198272; Sez. 1, n. 832 del 08/11/1995, Piccolo, Rv. 203484). Nella colpa cosciente compare, quindi, una controvolontà che invece non è presente nel dolo eventuale (Sez. 1, n. 13260 del 20/10/1986, Amante, Rv. 174405; Sez. 1, n. 8211 del 21/04/1987, De Figlio, Rv. 176382). Il dolo eventuale si ha quando gli esiti previsti siano probabili e anche solo possibili se, malgrado ciò, perseverando nella sua azione, l'agente ne accetta il rischio, così dando un'adesione di volontà al loro verificarsi e pur se egli speri il contrario. Il limite del dolo eventuale è dato dalla certezza del non verificarsi degli eventi possibili rappresentati (Sez. 1, n. 5786 del 17/03/1980, Siniscalchi, Rv. 145219). In tale imputazione non vi è una finzione giuridica, bensì una realtà psicologica che assimila al dolo diretto l'atteggiamento di chi agisce accettando il rischio della verificazione dell'evento, così trasferendo nel raggio della volontà ciò che era solo nella previsione (Sez. 1, n. 9699 del 30/05/1980, Milan, Rv. 146043).

Incerta appare in giurisprudenza la possibile rilevanza dell'atteggiamento interiore a sfondo emotivo costituito dalla speranza, cui si è fatto ampio riferimento, come si è visto, nella pronunzia in esame. In qualche sentenza la si ammette: la rappresentazione delle conseguenze delle proprie azioni probabili o solo possibili in modo apprezzabile configurano il dolo eventuale, a meno che l'agente abbia agito nel

ragionevole convincimento o almeno nella speranza di una sua mancata realizzazione (tra le tante, Sez. 1, n. 1264 del 24/05/1984, Albergo, Rv. 165106; Sez. 4, n. 27 del 08/01/1988, Margheri, Rv. 177326; Sez. 1, n. 4916 del 07/04/1989, Parrella, Rv. 180981).

In una pronunzia, tuttavia, si afferma che in presenza della concreta rappresentazione della probabilità di verificazione dell'evento, quando malgrado ciò si persevera nell'azione, accettandosene il rischio e dando così adesione di volontà al verificarsi dell'evento, il dolo eventuale non è escluso dalla speranza che il risultato non abbia luogo (Sez. 5, n. del 27/04/1984, Bottelli, Rv. 135360).

In altra giurisprudenza la speranza è stata ritenuta rilevante quando presenti il carattere della

ragionevolezza. Si è infatti affermato che sussiste il dolo eventuale e non la colpa aggravata dalla previsione dell'evento se l'agente, pur non volendo l'evento, ne accetta il rischio di verificazione come risultato della sua condotta, anche a costo di determinarlo. La Corte ha precisato che l'agente risponde, invece, a titolo di colpa con previsione se, pur rappresentandosi l'evento come possibile risultato della sua condotta, agisce nella ragionevole speranza che esso non si verifichi (Sez. 1, n. 4912 del 07/04/1989, Calò, Rv. 180978; Sez. 5, n. 13274 del 17/10/1986, Asquino, Rv. 174418; Sez. Fer., n. 40878 del 24/07/2008, Dell'Avvocato, Rv. 241984).

Occorre prendere atto che le formule giurisprudenziali di cui si è doverosamente dato conto risultano scarsamente significative nella loro astrattezza. Per comprendere realmente quale sia la configurazione giurisprudenziale del dolo eventuale è indispensabile riferirsi ai casi più problematici ed alle soluzioni

concretamente adottate. Pertanto, nel prosieguo saranno esaminati alcuni casi difficili, che hanno dato luogo a risposte contrastate e dibattute, e che hanno messo alla prova le generiche enunciazioni di principio. Tali soluzioni applicative saranno poi riconsiderate alla luce dei principi in tema di accertamento del dolo eventuale.

46. Il dolo eventuale e le attività lecite di base. La speranza tra dolo e colpa. Lo storico caso Oneda. Come si è prima accennato, il conflitto tra rappresentazione dell'evento e verace, profonda speranza che esso non si verifichi costituisce uno degli aspetti più difficili nella ricerca del confine tra dolo eventuale e colpa cosciente. Si tratta di una situazione che si riscontra speso nei casi di nuova emersione connessi, come si è ripetutamente accennato, a condotte che si collocano entro attività di base lecite.

La delicata problematica è esaminata in una storica pronunzia che presenta speciale interesse ai fini che qui interessano (Sez. 1, n. 667 del 13/12/1983, Oneda, Rv. 162316). Il caso riguardava una piccola talassemica, bisognevole, per poter sopravvivere, di continue trasfusioni di sangue. I genitori diedero corso di buon grado alle pratiche emotrasfusionali sino a quando non aderirono alla fede religiosa dei testimoni di Geova che, come è noto, vieta tale terapia. In un primo momento le trasfusioni poterono proseguire regolarmente avendo il servizio sociale ospedaliero segnalato la situazione al Tribunale per i minorenni, che adottò provvedimenti per imporre la cura in forma coatta. Nel prosieguo, invece, si verificarono problemi dovuti anche ad una grave carenza delle strutture sanitarie che, dopo un iniziale attivismo, si disinteressarono del caso, nonostante il Tribunale dei minori avesse emesso un provvedimento per risolvere in maniera

definitiva il problema concernente l'assistenza terapeutica della minore. In conseguenza, le trasfusioni furono fortemente rallentate e ciò comportò un degrado biologico degli organi vitali che divenne letale. La Corte di legittimità non dubita che l'inerzia delle pubbliche strutture non vale ad esimere da

responsabilità i genitori quali portatori di uno specifico obbligo giuridico di assistenza verso la prole, ma reputa che si imponesse la valutazione dell'incidenza dei provvedimenti autoritativi sull'elemento

psicologico del reato, potendo essi determinare per così dire l'affidamento, la speranza che, per effetto di una volontà diversa dalla loro, potessero essere praticate le cure dovute, così evitando un loro attivo interessamento, ritenuto peccaminoso. Alla stregua di tali considerazioni la pronunzia della Corte di merito, che aveva ritenuto l'esistenza di dolo eventuale, è stata cassata con rinvio.

Come si vede, lo spazio così offerto alla disamina delle più profonde motivazioni dei genitori discende da una lettura del dolo eventuale in cui viene fortemente valorizzato il profilo volitivo.