Il ruolo dell'amministratore delegato E.H. è, per la Corte di merito, conclamato; anche in considerazione del fatto che egli tenne condotte non solo omissive ma anche commissive, concretizzatesi nello slittamento dell'utilizzo dei fondi straordinari. L'unico argomento addotto dalla difesa è costituito dalle deleghe conferite a M.D. e S.R.. Si tratta però di atti certamente imperfetti giacché il trasferimento di poteri era estremamente limitato a causa della ristrettezza del potere di spesa. Infatti il budget a firma singola di S. R. ammontava a non più di 30.000 euro, somma pacificamente insufficiente per qualunque seria prevenzione, considerando anche che il direttore dello stabilimento si asteneva dall'assumere iniziative autonome, limitandosi ad investire di ogni questione la sede ternana. D'altra parte l'AD aveva da ultimo rinunziato a qualunque attività di controllo, visto che dal settembre 2007 aveva smesso di visitare la sede torinese. Discorso non dissimile viene proposto quanto alla delega in favore dell'imputato M.D. . Costui era in realtà privo di autonomi poteri decisionali e di un budget corrispondente. Il tecnico, sebbene assai apprezzato, non aveva capacità decisionali proprie e si rapportava frequentemente con l'amministratore delegato e con l'intero board, come documentato da un grande numero di email. Di speciale, emblematico rilievo viene ritenuto lo scambio di comunicazioni tra M.D. ed il tecnico Pe., in tema di utilizzo dei fondi per la
prevenzione antincendio, ove si fa riferimento alla necessità di autorizzazione da parte dell'intero board, anche a costo di disturbarlo in continuazione.
Secondo la Corte di merito l'amministratore è pure venuto meno all'obbligo di nominare un responsabile del servizio di prevenzione e protezione competente, giacché l'imputato C.C. si è dimostrato persona priva di adeguata ed aggiornata competenza. Costui formò un documento di valutazione del rischio
completamente inadeguato rispetto al quale l'imputato non effettuò alcuni controllo.
Tale valutazione è con tutta evidenza saldamente fondata in fatto e conforme ai principi prima enunciati. Come si è visto, è invero principio basilare, consolidato nella prassi e da ultimo recepito nella disciplina di sistema, che la delega, per produrre l'effetto liberatorio che la caratterizza, deve trasferire insieme ai doveri tutti i poteri necessari all'efficiente governo del rischio. Il trasferimento può avere ad oggetto un ambito definito e non l'intera gestione aziendale, ma in tale circoscritto territorio il ruolo del soggetto delegato deve essere caratterizzato da pienezza di poteri, in primo luogo quelli di spesa. Il trasferimento dei poteri, inoltre, deve essere effettivo e non meramente cartolare.
Nel caso in esame tale situazione con tutta evidenza non si verifica in concreto. S. R. avevo un budget limitatissimo e si rapportava continuamente con la sede centrale in Terni per avere istruzioni sulle questioni di qualche rilievo. Analogamente, M.D. era un tecnico di indiscussa competenza e costituiva il referente più qualificato degli organi di vertice, ma tale pur importante ruolo non implicava di fatto poteri autonomi. A ciò è da aggiungere (ed è l'argomento più importante) che E.H. trattenne nelle proprie mani tutte le scelte aziendali; ed in primo luogo quella, che costituisce il fondamento delle imputazioni, di disporre il trasferimento delle strutture torinesi in Terni senza preoccuparsi di gestire la fase di trasferimento assicurandone la sicurezza.
questioni già confutate correttamente dalla Corte di merito; e chiaramente prive di pregio alla luce delle considerazioni esposte qui sopra.
18. Le posizioni di P.G.e Pu.M..
Più complesso il discorso della pronunzia di merito a proposito del ruolo di garanzia dei consiglieri delegati P.G.e Pu.M.. La pronunzia confuta la tesi difensiva secondo cui il comitato esecutivo fu abolito
effettivamente e non solo formalmente; ed il board rimase come organo informale, con funzione ricognitiva e non decisionale in ordine alla gestione della società. In realtà, secondo la Corte, l'abolizione ebbe natura dissimulatoria alla stregua di diversi argomenti. In primo luogo vi era una forte motivazione all'interno della holding ad istituire organi collegiali al fine di coadiuvare e controllare l'operato
dell'amministratore delegato. Nel verbale del consiglio di amministrazione del marzo 2005 il comitato esecutivo è stato abolito senza alcuna motivazione; ma poco tempo dopo si è ribadito che rimangono ferme le modalità di esercizio dei poteri di rappresentanza e altri poteri conferiti ai consiglieri delegati. L'amministratore delegato non ha convincentemente spiegato le ragioni del cambiamento, facendo riferimento ad un obbligo di legge inesistente. In realtà, secondo la Corte di merito, l'esperienza giudiziaria inerente ad un incendio verificatosi nel 2002, che aveva coinvolto la responsabilità del comitato esecutivo, costituiva un valido argomento per abolire formalmente l'organo. A ciò si aggiunge la natura riservata delle riunioni attestata dalla classificazione dei suoi verbali; il contenuto degli stessi verbali dai quali risulta che i tre componenti mettono a fuoco i problemi gestionali in vari campi, anche quelli prevenzionali della sicurezza sul lavoro e decidono collegialmente così come aveva sempre fatto il comitato esecutivo. La pronunzia analizza numerosi verbali del board nei quali, tra l'altro si discute delle conseguenze della chiusura dello stabilimento di Torino, della situazione della sicurezza, del ripetersi di incidenti. La competenza dell'intero board nelle decisioni prodromiche all'inoltro delle richieste alla TKL della progettualità afferente alla prevenzione antincendio straordinaria è documentata dallo scambio di
corrispondenza. I tecnici discutono ed uno di essi, come si è accennato, manifesta il timore che il board sia troppe volte disturbato sul tema. M.D. risponde, inviando il documento per conoscenza all'AD, osservando che l'autorizzazione all'investimento di fire preventori è di estrema urgenza in quanto relativa ad attività strategiche per la sicurezza degli impianti e per la riduzione delle franchigie assicurative. E conclude che il board sarà disponibile ad essere disturbato anche più volte per consentire l'ottimale svolgimento del lavoro. Il documento tecnico finale che prevede lo slittamento dei fondi per Torino ad epoca successiva al trasferimento degli impianti in Terni, è inviato a E.H., a P.G.ed a Pu.M.. Non vi è dubbio, quindi del coinvolgimento dell'organismo. Né vi è dubbio che il board era informato di ogni cosa ed era presente in tutte le procedure gestionali.
La situazione gestionale è attestata anche dal responsabile del controllo di gestione Re., sottoposto a P.G.il quale ha spiegato che si era stabilita, per le spese superiori a 25.000 euro, l'approvazione dei tre consiglieri delegati. Anche il dirigente di TKL Ri. ha riferito di essere al corrente che il board italiano era composto dai tre consiglieri delegati, ma soprattutto che non vi era nessuna diversità di natura, competenze e
funzionamento del board italiano rispetto a quello delle altre società collocate in altre nazioni. Egli ha testualmente riferito che ogni società operativa ha il suo board. Anche il teste G., responsabile del controllo degli investimenti nello stabilimento di Terni, ha chiarito che egli continuava a seguire la procedura
gestionale tradizionale persistendo a sottoporre al board, come nel passato, i dati e gli investimenti. Le difese degli imputati, si aggiunge, sono inconsistenti; giacché essi ammettono di aver interloquito con l'amministratore delegato in ordine alle problematiche afferenti alla chiusura dello stabilimento di Torino e di aver fornito elementi utili alla decisione finale, centrale per l'intera società, ma si sono limitati a
dichiarare di averlo fatto in incontri a due e non a tre.
lascia margini di dubbio sulla persistenza effettiva dell'organo decisionale in cui venivano assunte collegialmente tutte le decisioni gestionali della società. L'effettività dei poteri di gestione e di spesa esercitata dai due imputati di cui ci si occupa attribuisce loro, secondo la Corte di merito, la qualifica di datore di lavoro e quindi di garante della sicurezza dello stabilimento di Torino.
In tale quadro la pronunzia reputa prudenziale l'impostazione accusatoria di non imputare ai due consiglieri di aver condiviso con l'amministratore le condotte decisionali commissive di slittamento dell'utilizzo dei fondi straordinari stanziati per Torino, individuando in capo ai due consiglieri almeno il dovere di segnalazione della necessità che tale slittamento non avvenisse. La Corte torinese, preso atto di tale approccio che ritiene limitato e prudenziale, non dubita che almeno questo profilo subordinato si riconnette pienamente alla posizione di garanzia che i due rivestivano nell'ambito dell'assetto gestionale della società.
Tale approccio è immune da censure sia in fatto che in diritto. Gli argomenti probatori in ordine alla sopravvivenza in fatto del comitato esecutivo sono plurimi ed altamente significativi. Le fonti testimoniali, di decisivo significato probatorio, sono convergenti e molto qualificate. Esse non sono oggetto di alcuna seria confutazione. La ricognizione in ordine alle fonti documentali ed al reale funzionamento dell'azienda è parimenti argomentata, persuasiva ed immune, nel suo nucleo, da vizi di sorta.
Le dissertazioni difensive sull'esatto significato delle dichiarazioni di E.H. sono francamente di scarso interesse nell'ottica decisoria, a fronte di un così corposo costrutto probatorio. La Corte territoriale spiega bene che l'approccio collegiale all'amministrazione era una caratteristica diffusa in tutte le articolazioni della holding e che, dunque, non vi era alcuna pregnante, oggettiva ragione che giustificasse una reale deroga rispetto a tale uniforme modo di condurre la gestione delle diverse sedi nazionali. Appare probabile l'ipotesi che la concentrazione formale dei poteri in capo al solo amministratore delegato sia stata frutto del proposito di limitare le responsabilità personali anche alla luce di pregresse esperienze giudiziarie; ma non è decisivo ricostruire la ratio della scelta di occultare il reale andamento gestionale, quanto piuttosto constatare la effettività dell'andamento dell'organizzazione che, come si è visto, coinvolgeva a pieno titolo l'intero board. D'altra parte le questioni afferenti al trasferimento della sede torinese in Terni ed alle sue modalità operative, connesse con delicati problemi finanziari e di bilancio, coinvolgevano di necessità tutti i tre componenti del board. Si trattava di scelte gestionali e finanziarie di fondo che trascendevano le stesse problematiche strettamente inerenti alla sicurezza sul lavoro, riguardavano la complessiva organizzazione aziendale, e interessavano quindi gli imputati che, indubbiamente, ricoprivano il ruolo datoriale. Ed è impensabile che su tali questioni, vitali per l'azienda, gli imputati non abbiano interloquito.
Giova rimarcare che la valutazione in fatto compiuta dalla Corte territoriale è persuasiva ed apprezzabile oltre che pienamente conforme ai principi sopra esposti. Infatti, il ricco apparato testimoniale di cui si è dato conto descrive in dettaglio il reale funzionamento dell'organizzazione, al di là dei dati cartolari. Viene cosi rispettata l'enunciazione proposta qui sopra a proposito della necessità di acquisire elementi di giudizio sulla reale conformazione dei poteri gestionali. Né va dimenticato quanto esposto sopra in via generale: datore di lavoro è il dominus di fatto dell'organizzazione ed il detentore dei concreti poteri decisionali: organizzazione, gestione, controllo e spesa. E non vi è dubbio che i ricorrenti contribuissero a gestire tali poteri.
A fronte di tali complessive considerazioni appaiono irrilevanti le deduzioni difensive, come quella in ordine all'invio o meno di alcuna email ad uno dei consiglieri.
19. La posizione di M.D. .
Il ruolo di garanzia di M.D. viene dalla Corte di merito connesso alla sua veste di dirigente con riferimento a specifici compiti affidatigli. Tra essi ve n'erano due che riguardavano la prevenzione degli infortuni nello stabilimento di Torino e specificamente l'adozione di presidii contro il verificarsi di incendi. Egli era infatti a
capo di due aree che si occupavano rispettivamente di attività di progettazione, preventivazione dei contratti di appalto e poi di coordinamento delle attività in cantiere per assicurare la qualità delie
prestazioni, i costi e gli aspetti di sicurezza. Egli era inoltre responsabile della manutenzione delle macchine e dei locali. Era stato delegato dall'amministratore delegato in tema di igiene e sicurezza con un'ampiezza di mandato che comprendeva le aree acquisti, approvvigionamenti, impianti, servizi, materie prime, materiali anche di Torino. La pronunzia dà conto dei riscontri effettivi, afferenti alla intensa attività svolta in continuo contatto con S. R. e C.C. in tema di opere prevenzionali. L'imputato ha interloquito su tutte le questioni afferenti alla sicurezza in relazione alle richieste dell'ente assicurativo AXA; era informato direttamente dall'amministratore delegato dei progetti di intervento antincendio dopo il disastro di Krefeld; fu richiesto di fornire il suo contributo tecnico per operare le scelte fra i progetti; era presente alle riunioni in cui si discuteva dell'utilizzo dei fondi straordinari antincendio; fu d'accordo con l'amministratore delegato nel far slittare l'utilizzo dei fondi straordinari ad epoca successiva al trasferimento degli impianti in Terni. Sul punto l'imputato è confesso ma non si tratta di novità dibattimentale giacché tale circostanza risulta da numerose email. Si tratta di dirigente cui l'amministratore delegato confida fin dal 2005 il progetto riservato di chiusura dello stabilimento torinese e dal quale ottiene nel 2007 collaborazione per perseguire al meglio questo obiettivo, spiegando nelle sedi interne alla holding la necessità di tener conto del fatto che lo stabilimento torinese chiuderà. Si da atto che l'imputato ha negato tale ruolo di tramite fra
l'amministratore delegato ed il responsabile di TKR ma la circostanza è documentata da un una lunga serie di email.
Anche tale apprezzamento è immune da censure. Non vi è dubbio, alla stregua della argomentata prospettazione di cui si è dato conto, che M.D. fosse un dirigente di altissimo livello, dotato di tutte le conoscenze e competenze tecnico-scientifiche necessarie all'assunzione delle determinazioni spettanti al board; e che egli abbia esercitato tale essenziale funzione di collaborazione proprio in vista delle
determinazioni afferenti al trasferimento degli impianti torinesi, dalle quali è scaturito l'intero processo. Ed è davvero difficilmente sostenibile che un tecnico tanto competente ignorasse il fenomeno del flash fire. La apprezzata competenza del tecnico è d'altra parte dimostrata dal fatto che egli contribuì a progettare e seguì in ogni fase la realizzazione dell'impianto di spegnimento in Terni.
Tale complesso di acquisizioni colloca la condotta dell'imputato nella sfera di cooperazione colposa di cui si dirà più avanti. Ma sì può sin d'ora concludere che il ruolo dirigenziale di cui si discute e soprattutto
l'ammessa attività di "consulenza" che costituisce esplicazione del ruolo professionale ed istituzionale demandatogli, configura in modo indubitabile un ruolo di garanzia, idoneo a basare l'attribuzione degli esiti antigiuridici delle condotte omissive contestate. E le deduzioni difensive di dettaglio non scalfiscono tale valutazione sul ruolo del professionista.
20.La posizione di S.R..
Per S. R. la posizione di garanzia discende dal ruolo dirigenziale di direttore dello stabilimento, con delega in ordine alla sicurezza del lavoro. D'altra parte tale ruolo e tale sfera di responsabilità non è per nulla
incompatibile, secondo la Corte di merito, con quella concomitante dell'amministratore delegato. Il ruolo altamente dirigenziale prospetta in modo indubitabile la contestata posizione di garanzia; a prescindere dalla portata delle delega attribuitagli. Valgono qui le medesime considerazioni svolte a proposito di M.D. .
Si è visto, infatti, che compete alla figura del dirigente di attuare le direttive del datore di lavoro, organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa, in virtù di competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli. Il dirigente è tenuto a cooperare con il datore di lavoro nell'assicurare l'osservanza della disciplina legale nel suo complesso; e, quindi,
nell'attuazione degli adempimenti che l'ordinamento demanda al datore di lavoro. Tale ruolo, nella fattispecie è chiaramente assai ampio in considerazione dell'importante incarico di direttore dello stabilimento.