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Placca Africana

2.2 Configurazione geodinamica attuale dell’area Ellenica

L’attuale configurazione geodinamica dell’area Ellenica è schematizzata in figura 2.3.

Figura 2.3: Configurazione geodinamica attuale dell’area Ellenica (modificato da Gautier et al.,1999); le frecce rosse indicano le direzioni di movimento delle placche; l’area in rosso identifica la distribuzione spaziale del SAAVA, mentre l’area grigia contornata in nero indica la distribuzione spaziale dell’Arco Ellenico Sedimentario. Il riquadro in alto a destra illustra schematicamente i segmenti che compongono la Fossa Ellenica, insieme alle direzioni di movimento differenziali di subduzione (da Huchon et al., 1982).

Matap an G ortys Pliny Stra bo F os sa E llen ica Placca Africana Placca Africana Micro-placca Egea Arco Ellenico Sedimentario SAAVA NATA 20-25 mm/a 5-10 mm/a 30 mm/a

La microplacca Egea risulta delimitata a nord dalla faglia, trascorrente, sinistra, Nord Analtolica (NAF), a sud dall’Arco Vulcanico Attivo dell’Egeo Meridionale (SAAVA), ad ovest da un sistema di graben orientati Est-Ovest, mentre ad est non è definito un limite ben preciso.

Il regime tettonico attuale si è instaurato a partire dal Serravalliano-Tortoniano, 13-10 Ma fa (Mercier et al., 1987; Kastens, 1991) e, secondo McKenzie (1972), la placca Egea ha subito uno spostamento di circa 300 km verso SO, relativamente all’Africa, in conseguenza della subduzione.

I cambiamenti di assetto nella zona Ellenica sono, quindi, regolati sia dal moto delle due placche principali, la placca Africana e quella Eurasiatica, che da quello delle microplacche Egea, Balcanica e Anatolica (o Turca), comprese nella fascia di deformazione fra le due placche principali.

Nella zona esterna all’arco, lo stile tettonico compressivo che la caratterizza è diventato stabile a partire dal Pliocene; mentre, nella zona interna all’arco, attualmente caratterizzata da regime distensivo, si sono registrate variazioni nel regime di stress, articolate in due diversi cicli compressivi: il primo fra il Miocene superiore e il Pliocene inferiore e il secondo fra il Pleistocene inferiore e medio (McKenzie, 1972; Mercier et al., 1987). A testimonianza del più recente regime distensivo sono i numerosi graben, allungati in direzione E-O e delimitati da faglie normali attive, distribuiti nell’Egeo Orientale e nell’Anatolia Occidentale.

Le strutture in cui si articola un tipico ambiente di subduzione, e che caratterizzano anche l’area Ellenica, possono essere individuate a partire dalla costa libica procedendo verso nord. Si osservano, infatti, la dorsale Mediterranea, la fossa Ellenica, a sud di Creta, e i due archi, quello sedimentario, o arco Ellenico, e quello vulcanico (SAAVA), (Fytikas et al., 1984), (Fig. 2.3).

1) La dorsale Mediterranea (fuori carta di fig. 2.3), è caratterizzata da una sommità piatta e da una larghezza molto superiore alla sua elevazione dalla piana abissale. Rispetto ad un normale prisma di accezione è, quindi, molto più larga e bassa. Le Pichon et al. (1982), in base alla presenza e distribuzione delle pieghe all’interno della dorsale, hanno stabilito che questa subisce un forte raccorciamento a causa della tettonica compressiva, attribuendo l’ampiezza anomala all’azione di un processo di scollamento, attivo lungo una superficie rappresentata da strati evaporitici Messiniani. Seguendo gli strati evaporitici, gli stessi autori hanno ricavato inoltre indicazioni sull’età della subduzione che dovrebbe essere iniziata in un intervalli di tempo compreso fra il Serravalliano e il Messiniano.

2) La Fossa Ellenica, si trova fra la dorsale Mediterranea e l’arco sedimentario (fig.2.3), ha una forma angolata e una lunghezza complessiva di circa 1000 km. La parte ovest di Creta è definita fossa Ionica ed è costituita da due segmenti consecutivi, denominati Matapan e Gortys, mentre la porzione orientale è costituita da due segmenti paralleli, chiamati Pliny e Strabo. Le profondità maggiori (5000-5500 m) sono raggiunte nel segmento Matapan, (Huchon et al., 1982).

3) A ridosso della fossa si trova l’arco più esterno, ovvero l’Arco Ellenico, che si estende ad anfiteatro dal Peloponneso a Rodi. Le rocce che lo costituiscono sono di natura sedimentaria e di età Mesozoica (Hall et al., 1984). Secondo Purcaru & Berckhemer (1978), questo arco si sarebbe formato durante la fase compressiva, all’inizio della subduzione vera e propria, quando la crosta mediterranea settentrionale sarebbe stata

coinvolta nel sovrascorrimento, determinando la formazione di una struttura a falde sovrapposte, tipica di un prisma di accrezione.

4) L’arco vulcanico vero e proprio (Arco Vulcanico Attivo dell’Egeo Meridionale – SAAVA-) si sviluppa dal centro eruttivo di Suzaki, fino alle isole di Kos e Nisyros, in prossimità delle coste turche, ad una distanza di circa 150 km dal prisma di accrezione. Questo arco presenta una forma ad anfiteatro piuttosto anomala, con due distinti archi di curvatura nella parte occidentale e in quella orientale. Di questo arco verrà più approfonditamente discusso in seguito (paragrafo 2.4).

Procedendo verso nord si riconoscono inoltre:

1) una zona, interna rispetto al SAAVA e corrispondente all’Egeo Centrale, contraddistinta dalla presenza di crosta continentale assottigliata e alto flusso di calore. Quest’area è stata interpretata da Boccaletti et al. (1974) come un bacino di retroarco, associato alla subduzione attiva tra la placca Africana e la micro-placca Egea. Inoltre, le caratteristiche osservate sono state messe in relazione con la presenza di una ampia risalita astenosferica (Gautier et al., 1993), anche se non è stata osservata una vera e propria formazione di crosta oceanica.

2) una cintura vulcanica di epoca terziaria, legata alla fase orogenetica precedente all’attuale compressione attiva, che si estende in direzione E-O, dalla Grecia continentale (Tracia) fino all’Anatolia Centrale, passando dall’Egeo Centrale (Innocenti et al., 1982a). 3) un sistema di faglie trasformi, destre, che si estende dalla zona di Bitlis fino alla zona di Eubea-Skiros, in direzione ENE-OSO, incurvandosi verso sud nel tratto Egeo (Boccaletti & Dainelli, 1982), che delimitano a nord la micro-placca Egea. Questo sistema di faglie è denominato genericamente come Faglia Nord-Anatolica (NAF) e costituisce un limite particolarmente attivo, con intensa attività sismica.

2.2.1 Caratteristiche strutturali, sismiche e cinematiche

Nell’area Ellenica, lo spessore medio della crosta risulta essere di circa 22.6 km; in particolare, al di sotto dell’Arco Egeo, tale spessore è di 30 km, mentre, procedendo verso sud, nelle aree esterne all’arco, la Moho si trova a profondità che variano da 15 km, nella piana abissale ionica, a 23, km fra Cipro e Israele. Le profondità massime (46 km) si osservano, invece, in corrispondenza dell’arco Ellenico sedimentario (Genthon e Souriau, 1987). Nella parte settentrionale lo spessore medio della crosta è maggiore, con valori di circa 40 km nonostante il regime distensivo instauratosi a partire dal Neogene (Makris, 1977).

Dal punto di vista sismico, l’area Egea è caratterizzata da terremoti superficiali, con magnitudo fino a 8.3, nella fascia di convergenza delle due placche (o fossa Ellenica), da terremoti con profondità intermedie, di magnitudo fino a 7.6, localizzati nella parte superiore dello slab Mediterraneo subdotto, e da terremoti superficiali, con magnitudo fino a 7.5, nella microplacca Egea sovrascorrente (Papazachos & Papazachou, 2003). La maggior parte dei terremoti superficiali (<60 km) si registra, quindi, in corrispondenza dell’Arco Ellenico sedimentario (Wortel et al., 1990; Papazachos et al., 2003, 2005), mentre, sismi progressivamente più profondi (>100 km), si registrano in corrispondenza del SAAVA. I terremoti profondi sono comunque complessivamente meno frequenti e gli ipocentri non superano i 200 km di profondità. Più a nord, la zona del Mare Egeo risulta essere, invece, relativamente asismica; mentre in corrispondenza del margine

settentrionale della micro-placca Egea, si registrano terremoti superficiali con magnitudo fino a 7.8, imputabili alle deformazioni legate all’azione della Faglia Nord Anatolica.

La distribuzione spaziale dei piani focali, in corrispondenza del margine meridionale della micro-placca Egea, mostra profondità che aumentano progressivamente da sud verso nord (fig.2.4), indicando la presenza di un piano di Wadati-Benioff, immergente verso NE, con un angolo medio di 25° (Papazachos et al., 2005). Questo piano di subduzione, possiede profondità di 20 km nella parte più esterna, in corrispondenza dell’arco sedimentario (Peloponneso occidentale, Creta meridionale, Rodi sudorientale), e immerge verso la zona di retroarco, raggiungendo una profondità di circa 150 km sotto il SAAVA (Barberi et al., 1974; Papazachos & Comninakis, 1978; Papazachos et al., 2005). Ciò, costituisce una chiara evidenza della reale esistenza di una subduzione, tra la placca Africana e la micro-placca Egea, espressione del generale processo di collisione con la placca Eurasiatica (Papazachos & Comninakis, 1978; Papazachos et al., 2005). Inoltre, la presenza di un piano di Wadati-Benioff a tali profondità, in corrispondenza del SAAVA, è indicativa dell’importanza del ruolo giocato dalla subduzione nella genesi dell’arco magmatico (Innocenti et al., 1981; Manetti, 1997; Pe-Piper & Piper, 2002). Il margine Mediterraneo Orientale rappresenta, in questo quadro, la porzione in subduzione, al di sotto della microplacca Egea, il cosiddetto slab, caratterizzato da uno spessore di circa 80 Km (Papazachos 1968; Papazachos & Nolet, 1997), con una crosta oceanica di circa 7 km (Bohnhoff et al., 2002).

Figura 2.4: Mappa schematica illustrativa delle variazioni nella profondità degli ipocentri dei terremoti che caratterizzano la parte meridionale della micro- placca Egea, individuando un piano di Wadati-Benihof immergente verso NE (da Papazachos et al., 2003, 2005).

Sulla base di indagini sismiche, Spakman (1990), ha messo in evidenza, anche la presenza di litosfera a profondità di circa 600 km, nella zona di retroarco, ben oltre la profondità massima dei terremoti registrati. La presenza di una litosfera a tali profondità, costituisce una caratteristica tipica di ambienti compressivi in stadi avanzati dell’evoluzione (con età superiori a 70-80 Ma), come il Mediterraneo Orientale. il fatto che tale profondità, non sembri corrispondere a quella raggiunta dall’attuale placca immergente, è stato interpretato da Wortel et al. (1990) come una testimonianza del

fatto che il sistema Egeo, costituisce un ambiente estremamente dinamico, caratterizzato da strutture di subduzione che si modificano nel tempo, con velocità di convergenza variabili. Questa ipotesi, implica che ci siano stati, nel tempo, più piani di subduzione diversi (almeno due), con una migrazione verso SO della subduzione, e che tale processo possa essere tuttora valido per spiegare le due principali sorgenti sismiche osservate a profondità diverse. Questo concorderebbe con quanto calcolato da Spakman (1990) a proposito dell’età dell’attuale subduzione Ellenica: questo autore, infatti, in funzione della cinematica delle placche ha calcolato che la durata della subduzione Ellenica dovrebbe essere come minimo di 26 Ma, al massimo 40 Ma. Tuttavia, secondo Papazachos et al. (2005) i dati presenti non sono sufficienti ad affermare nè escludere un simile scenario.

Dal punto di vista cinematico, l’area dell’Egeo Meridionale rappresenta uno dei margini compressivi a più alta velocità di subduzione. Misurazioni GPS recenti, hanno messo in evidenza che, il margine meridionale della micro-placca Egea presenta tassi di movimento relativamente elevati, risultanti da velocità e direzioni di movimento differenziali delle placche coinvolte. La litosfera del Mediterraneo Occidentale (cioè il margine occidentale della placca Africana), si muove, infatti, verso N con una velocità di 5-10 mm/a rispetto all’Europa (McClusky et al., 2000), mentre la litosfera dell’Egeo Meridionale, registra movimenti verso SO, sovrascorrendo sulla precedente, a una velocità di 30 mm/a (Papazachos, 1999). Ciò, risulta in un tasso di subduzione massimo pari a 4 cm/a in direzione NNE (Papazachos et al., 2005).

Il margine settentrionale, presenta ugualmente velocità di movimento elevate, con valori di circa 20-25 mm/a (Ranguelov, 2005), lungo la zona di deformazione trascorrente della N.A.F.

2.3 Modelli interpretativi dell’evoluzione e attuale configurazione geodinamica