Placca Africana
2.3 Modelli interpretativi dell’evoluzione e attuale configurazione geodinamica dell’area Ellenica
La zona del Mediterraneo Orientale rappresenta, un limite convergente attivo tra le placche Africana e Egea e mostra particolari caratteristiche che la distinguono da un canonico sistema arco-fossa.
Riassumendo, la particolarità di quest’area geodinamica è legata a:
1. morfologia angolata della zona di subduzione, con due bracci a diversa curvatura; 2. inclinazione differenziale del piano di Wadati-Benihoff tra la parte occidentale ed
orientale dell’arco;
3. attività vulcanica bassa da un lato e attività sismica molto alta dall’altro (con ipocentri fino a 200km);
4. esistenza di una zona praticamente asismica nella parte interna, a nord della zona di subduzione;
5. esistenza di zone con regime geodinamico compressivo alternate a zone con regime distensivo;
6. presenza di una zona di faglia trasforme, attiva, nella parte settentrionale della micro- placca Egea: Faglia Nord Anatolica;
7. elevate velocità di spostamento orizzontale (rilevate con misurazioni GPS) lungo il margine settentrionale, correlate principalmente all’azione della faglia trasforme Nord-Anatolica; elevate velocità di convergenza lungo il margine meridionale, tra le placche Africana e Egea, in direzione NE-SO (circa 4 cm/a, Papazachos et al., 2005);
8. sviluppo di faglie sismo genetiche, sia normali, a cui sono associati i terremoti nelle zone con regime distensivo, che trasformi, cui sono correlati i terremoti nella zona della NAF;
Molti modelli e interpretazioni sono state proposte per spiegare il complesso assetto strutturale e deformativo che contraddistingue la zona Ellenica, alcuni coinvolgono unicamente le spinte generate dalla principale convergenza fra i margini Africano, Europeo ed Arabico, altri sottolineano l’importanza dell’azione di motori aggiuntivi, come ad esempio le forze indotte dallo sprofondamento delle porzioni litosferiche durante il processo di subduzione (Mantovani, 1997).
Boccaletti et al. (1974), furono i primi a interpretare l’Egeo Centrale come un bacino marginale, o di retro-arco, in considerazione della presenza di un a crosta assottigliata, dell’alto flusso di calore e del complesso regime de formativo, di carattere distensivo, che la contraddistingue. Tali caratteristiche rappresenterebbero, secondo questi autori, l’effetto dell’azione combinata del movimento verso ovest del blocco Anatolico e di quello verso sud-ovest dell’Egeo Meridionale insieme alla presenza di un ampia risalita astenosferica
Autori come Dewey & Seigor (1979), hanno proposto un modello evolutivo che implica la presenza di numerose microplacche. Secondo questi autori, fino al Miocene la dinamica della zona era regolata unicamente dalla spinta verso Nord della Placca Africana, in subduzione sotto la placca Egea. Nel Miocene Superiore, poi, la tettonica sarebbe mutata da compressiva in trasforme, determinando un inizio di movimento verso SO della placca Anatolica e la concentrazione della compressione sulla parte occidentale della fossa. L’andamento della faglia Anatolica in questa ipotesi agirebbe come guida al movimento. La differenza, in profondità, rilevata fra i segmenti occidentali e orientali della fossa, nonché il loro diverso orientamento, sarebbero il risultato dell’applicazione di stress compressivi lungo il tratto occidentale della fossa stessa. La chiusura ad ovest, nella zona della Macedonia, del movimento indotto dalla faglia trasforme sinistra, porterebbe alla formazione delle strutture compressive dell’Egeo settentrionale. Gli stessi autori ipotizzano una suddivisione della placca Egea in due microplacche, quella Macedone e quella Peloponnesica e la presenza di una ulteriore microplacca Cretese in movimento verso est. Secondo questi autori l’origine della dorsale Mediterranea dovrebbe essere precedente al Miocene Superiore.
Altri autori, invece, hanno utilizzato modelli di comportamento plastico-rigido della litosfera continentale: Le Pichon & Angelier (1979) prevedono che la collisione anatolica determini uno spostamento verso SO del blocco plastico Egeo-Anatolico occidentale, il quale si tradurrebbe nella subduzione della placca Africana, in corrispondenza della fossa ellenica occidentale, e nel movimento trascorrente in corrispondenza dei segmenti orientali della fossa stessa (Tapponier, 1977; Boccaletti & Dainelli, 1982).
Il modello geodinamico proposto da Boccaletti & Dainelli (1982) inserisce la subduzione, in corrispondenza dell’arco Egeo, in un modello di deformazione plastico- rigida nel quale l’assottigliamento della crosta nel Mare Egeo risulta di fondamentale importanza. Infatti, gli autori propongono che la spinta verso N-NO della placca Arabica (in movimento con quella Africana) determini uno spostamento centrifugo della litosfera della zona Egeo-Anatolica-Caucasica. Il blocco anatolico occidentale, guidato dalla faglia Nord Anatolica e dal fascio trascorrente Isparta-Ankara, situato nell’Anatolia Centro- meridionale, si sposta verso O-SO. Il movimento plastico di questa zona è favorito dalla
libertà di movimento conferita al sistema dallo scarso spessore della crosta del Mare Egeo, a sud del qual gli stress sfociano nella subduzione. Ad est, invece, il movimento centrifugo della litosfera è limitato dalla presenza di litosfera più spessa, per cui il movimento rotazionale viene impedito e gli stress relativi alla spinta arabica portano alla formazione di sistemi di faglie e alla subduzione nell’arco Makran.
Nonostante i differenti approcci e spiegazioni fornite, in tutti i modelli proposti risulta dominante il ruolo della faglia Nord Anatolica, che imprime un movimento verso SO alla placca Egea.
Più recentemente, è stato proposto un modello alternativo, in cui le condizioni di deformazione presenti nell’area Egea centrale e la causa del regime estensionale instauratosi, vengono attribuite all’azione di movimenti di convergenza differenziali tra le placche in subduzione (Doglioni et al. 2002, Ranguelov, 2005). Questi movimenti differenziali, sarebbero causati, secondo questi autori, da differenti velocità di movimento dell’Africa, verso NE (5-10 mm/a, Papazachos et al., 2005), rispetto a quelle della placca Eurasiatica sovrascorrente, traducendosi a loro volta in movimenti differenziali tra le microplacche Egea (in movimento verso SO a 20 mm/a, Papazachos et al., 2005) e Anatolica (in movimento verso ovest circa 30-35 mm/a, Papazachos et al., 2005). L’effetto di questi movimenti differenziali, sarebbe quello di creare una suddivisione dell’arco in più transetti, praticamente indipendenti l’uno dall’altro, che individuano i diversi campi vulcanici, determinandone le particolarità e caratteristiche peculiari del magmatismo e permettono di accomodare gli stress deformativi.
Anche per quanto riguarda l’inizio e le modalità di subduzione, sono state avanzate diverse ipotesi.
Secondo Purcaru & Berckhemer (1978) i primi stadi compressivi nel Mediterraneo Orientale hanno determinato un sovrascorrimento passivo della litosfera Egea al di sopra di quella Africana, con la formazione dell’arco sedimentario. Successivamente la stessa litosfera Africana, per l’aumento di densità, dovuto alla trasformazione delle fasi mineralogiche, avrebbe iniziato a spingere verso il basso, innescando una vera e propria subduzione.
Secondo Genthon & Souriau (1987) l’inizio della subduzione della placca Africana al di sotto di quella Egea sarebbe innescato dalla presenza di una porzione di litosfera, appartenente alla placca Africana, più fredda e densa che inizierebbe a sfondare all’interno dell’astenosfera al contatto con la placca Egea. Questa porzione litosferica con caratteristiche anomali si sarebbe sviluppata al fine di bilanciare l’instabilità gravitazionale prodotta in seguito alla formazione della dorsale Mediterranea, (Genthon e Sourieu, 1987).