5. Profili di criticità delle normative sui derivati In particolare, il conflitto di interessi
5.1. Il conflitto di interessi tra regole di comportamento e regole di validità
validità.
Le suddette considerazioni sembrerebbero essere alla base dei più recenti interventi
giurisprudenziali in materia di derivati
94.
Al riguardo, sembra opportuno muovere dall’evoluzione giurisprudenziale relativa alle
conseguenze civilistiche
95derivanti dall’inosservanza degli obblighi di comportamento da
parte degli intermediari finanziari.
Torino, 31 marzo 2009; Trib. Palermo, 25 febbraio 2009; Trib. Parma, 18 marzo 2008; Trib. Roma, 11 ottobre 2007; Trib. Forlì, 19 giugno 2007; Trib. Catania, 23 gennaio 2007; Trib. Roma, 17 novembre 2005; Trib. Trani, 7 giugno 2005; Trib. Mantova, 5 aprile 2005; Trib. Mantova, 3 febbraio 2005; Trib. Monza, 16 dicembre 2004; Trib. Mantova, 18 marzo 2004.
93 «L’informazione, nel settore dell'intermediazione finanziaria, non è solo votata ad assumere un ruolo funzionale all'esigenza di contribuire a rendere chiaro il contenuto dei rapporti contrattuali, attribuendo loro maggiore certezza, ma è l'unico strumento attraverso cui l'investitore può effettuare la valutazione della rispondenza al proprio interesse dell'investimento effettuato. I dati necessari per una tale valutazione, infatti, sono in possesso dell'intermediario, il quale di fatto è l'unico in grado di amministrare il rapporto, nelle condizioni di decidere se e come far funzionare il regolamento d'interessi ed è il solo in grado di investire tempo e risorse nell'aggiornamento, anche tecnico, necessario a cogliere le pur minime fluttuazioni nel mercato e ad interpretarne gli effetti». F.GRECO, Rileggere le regole dell’informazione nel rapporto tra
intermediario e risparmiatore, in Resp. civ. prev., 2014, 3, pp. 931 ss. e in iusexplorer.it. V. anche Trib.
Milano, 13 febbraio 2014, secondo cui l’intermediario in conflitto di interessi «ha l’obbligo di illustrare al
cliente i rischi relativi allo specifico prodotto», posto che in assenza di dette informazioni «l’investitore non è in grado di formulare un giudizio di convenienza economica del derivato in termini di costo/rischio/beneficio».
94 In particolare, v. Corte d’Appello Milano, 18 settembre 2013, n. 3459.
95 Per quanto riguarda le conseguenze amministrativo-sanzionatorie a carico degli intermediari per
l’inosservanza degli obblighi in oggetto, v. Cass. Civ., S.U., 30 settembre 2009, n. 20933, in iusexplorer.it, secondo cui, rispetto ad una fattispecie perfezionatasi prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 (cosiddetto «nuovo processo societario»), «in tema di sanzioni amministrative per violazione delle
disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, i componenti del consiglio di amministrazione di una società, chiamati a rispondere, ai sensi dell'art. 190 d.lg. 24 febbraio 1998 n. 58, per la violazione dei doveri inerenti alla prestazione dei servizi di investimento posti a tutela degli investitori e del buon funzionamento del mercato, non possono sottrarsi alla responsabilità adducendo che le operazioni integranti l'illecito sono state poste in essere, con ampia autonomia, da un altro soggetto che abbia agito per conto della società, gravando a loro carico un dovere di vigilanza sul regolare andamento della società, la cui violazione
72
Si tratta di un problema che ha impegnato a lungo la dottrina e la giurisprudenza, per la
soluzione del quale sono state avanzate diverse proposte.
L’orientamento più remoto, risalente agli anni ’90, muoveva da un dato: quello
secondo cui alla violazione di regole di comportamento dovesse necessariamente
conseguire un’invalidità del contratto in termini di nullità, sia essa assoluta, in quanto
posta a tutela di interessi generali, o relativa, posta cioè a tutela del singolo cliente e per
ciò stesso solo da lui eccepibile
96.
In particolare, in una delle prime sentenze di merito, emanate nella vigenza della l. 2
gennaio 1991, n. 1 («disciplina dell'attività di intermediazione mobiliare e disposizioni
sull'organizzazione dei mercati mobiliari», nota anche come «legge SIM»), le norme
relative alle regole di comportamento venivano qualificate imperative, «in quanto non può
revocarsi in dubbio che le stesse siano poste a tutela di interessi generali che trascendono
quelle del singolo contraente»
97.
Pertanto, secondo questa giurisprudenza, gli obblighi di forma scritta, di indicazione
della natura dei servizi e dei criteri di calcolo della loro remunerazione, nonché quello di
operare informando adeguatamente il cliente sui rischi
98, erano posti non già a tutela del
singolo contraente, bensì a presidio dello «svolgimento di attività economiche rilevanti»
99.
Da tale circostanza, i giudici deducevano che dalla violazione delle norme sugli
obblighi di informazione, in quanto imperative, dovesse discendere la «probabile nullità
e/o annullabilità del contratto»
100.
Si tratta di un’impostazione che viene sostanzialmente confermata anche nelle sentenze
di merito immediatamente successive pronunciate in tema di contratti derivati
101.
Nondimeno, nel corso degli anni 2000, tale impostazione è stata progressivamente
rimeditata da alcune pronunce di merito.
Ad esempio, nel 2005 è stato affermato che la violazione degli obblighi informativi
non determinerebbe, di per sé stessa, l’invalidità dell’atto, ricadendo semmai sul piano
della responsabilità per inadempimento; tuttavia, qualora tale inadempimento sia «di non
comporta una responsabilità solidale, ai sensi dell'art. 6 l. 24 novembre 1981 n. 689, salvo che non provino di non aver potuto impedire il fatto».
96
R. COSTI, Il mercato mobiliare, cit., p. 150.
97 Trib. Milano, 11 maggio 1995, in Giur. comm., 1996, II, p. 83, con nota di S
QUILLACE.
98 Cfr. art. 6, comma 1, lett. c), e) e g) della l. n. 1 del 1991. 99
Trib. Milano, 11 maggio 1995, cit., p. 84.
100 Trib. Milano, 11 maggio 1995, cit., p. 84.
73
scarsa importanza», si dovrebbe ammettere la risolubilità del contratto ex artt. 1453 e 1455
c.c.
102.
Le Sezioni Unite della Cassazione, con una importante pronuncia
103, hanno poi
radicalmente respinto le teorie invalidanti e ripristinato un principio del diritto dei contratti
ritenuto «tradizionale»
104, ossia la distinzione tra regole di comportamento, la cui
violazione è fonte di responsabilità, e regole di validità del contratto
105.
Anzitutto, viene osservato che gli obblighi di comportamento cui si riferiscono le
disposizioni sopra richiamate sono tutti finalizzati al rispetto della «clausola generale» di
cui all’art. 21 tuf, consistente nel «dovere dell’intermediario di comportarsi con diligenza,
correttezza e professionalità nella cura dell’interesse del cliente», e si collocano in parte
nella fase che precede la stipulazione del contratto di intermediazione finanziaria
(cosiddetta fase prenegoziale), in parte nella fase della sua esecuzione
106.
La Suprema Corte, inoltre, osserva che le norme in questione hanno sì carattere
imperativo, ma tale rilievo non è tuttavia sufficiente, da solo, a dimostrare che la
violazione di una o più di queste norme comporti la nullità del contratto: «è ovvio che la
loro violazione non può essere, sul piano giuridico, priva di conseguenze, ma non è detto
che questa sia necessariamente la nullità del contratto»
107.
102
Trib. Firenze, 18 ottobre 2005, in ilcaso.it. Escludono espressamente la nullità, ammettendo eventualmente l’annullabilità del contratto ex art. 1394 o 1395 c.c. per essere stato lo stesso concluso in conflitto di interessi, Cass. Civ. 29 settembre 2005, n. 19024 (v. infra) e Trib. Rovereto, 18 gennaio 2006, mentre Trib. Milano 9 marzo 2005 ritiene «dubbia la praticabilità di un’azione di nullità con riferimento
all’ipotesi di conflitto di interessi non segnalato».
103 Sez. Un. Civ., 19 dicembre 2007, n. 26724, in Guida dir., 2008, 5, p. 41; v. anche Sez. Un. Civ., 19
dicembre 2007, n. 26725, in Resp. civ. prev., 2008, 3, p. 547, con nota di GRECO.
104
Si esprimono in questi termini sia la pronuncia delle Sezioni Unite in esame, sia la relativa ordinanza di rimessione (Cass., Sez. I, 16 febbraio 2007, ord. n. 3683).
105 V. R
OPPO, Il contratto del duemila, cit., p. 46.
106
Alla fase prenegoziale attengono l’obbligo di consegnare al cliente il documento informativo e il dovere dell’intermediario di acquisire le informazioni necessarie in ordine alla situazione finanziaria del cliente, per adeguare la successiva operatività. Alla fase successiva alla stipulazione del contratto, al fine della sua corretta esecuzione, l’intermediario deve sempre porre il cliente in condizione di valutare appieno la natura, i rischi e le implicazioni delle singole operazioni di investimento/disinvestimento, nonché di ogni altro fatto necessario a disporre con consapevolezza dette operazioni, nonché comunicare per iscritto eventuali situazioni di conflitto; ha inoltre l’obbligo di tenersi informato sulla situazione del cliente (obbligo peraltro funzionale al dovere di curare diligentemente e professionalmente gli interessi di quest’ultimo). Si osservi che tale obbligo persiste durante l’intera fase esecutiva, stante la suscettibilità della situazione del cliente di evolversi nel tempo. A ciò si aggiungano i cosiddetti doveri negativi sempre a carico dell’intermediario, consistenti nel non consigliare e non effettuare operazioni di frequenza e/o dimensioni eccessive. Sez. Un. Civ., 19 dicembre 2007, n. 26724, cit., pp. 43 e 44.
74
Il punto da cui muovere per risolvere la questione è, come è già stato accennato, quello
della tradizionale distinzione tra norme di comportamento dei contraenti e norme di
validità del contratto.
Si tratta di un principio ribadito anche dalla prevalente dottrina
108, fortemente radicato
nei principi del codice civile e pertanto – a detta delle Sezioni Unite -
«difficilmente
contestabile»
109; né si può affermare che il legislatore abbia in questo caso voluto
derogarvi.
Anzi, quest’ultimo avrebbe espressamente previsto alcune ipotesi di nullità solo
quando lo ha ritenuto opportuno: si pensi, ad esempio, alle norme sulla forma (art. 23 tuf).
Lo stesso non potrebbe invece essere affermato in ordine alla violazione delle regole di
comportamento previste in tema di informazione al cliente e gravanti sull’intermediario:
queste ultime, infatti, sono contemplate dal legislatore soltanto per i loro eventuali risvolti
in tema di responsabilità, posto che viene previsto a carico dell’intermediario l’onere della
prova di aver agito con la necessaria diligenza, ex art. 23, comma 6, tuf
110.
Non sarebbe inoltre da condividere nemmeno il ragionamento secondo cui la nullità
del contratto discenderebbe dall’imperatività della norma (in particolare, l’art. 6, comma 2,
tuf), la quale sarebbe tale in quanto posta a presidio dello «svolgimento di attività
economiche rilevanti», posto che alla tutela del buon funzionamento dell’intero mercato
108 V. R
OPPO, Il contratto del duemila, cit., p. 46.
109
«Per persuadersene è sufficiente considerare come dal fondamentale dovere che grava su ogni
contraente di comportarsi secondo correttezza e buona fede - immanente all'intero sistema giuridico, in quanto riconducibile al dovere di solidarietà fondato sull'art. 2 della Costituzione, e sottostante a quasi tutti i precetti legali di comportamento delle parti di un rapporto negoziale (ivi compresi quelli qui in esame) - il codice civile faccia discendere conseguenze che possono, a determinate condizioni, anche riflettersi sulla sopravvivenza dell'atto (come nel caso dell'annullamento per dolo o violenza, della rescissione per lesione enorme o della risoluzione per inadempimento) e che in ogni caso comportano responsabilità risarcitoria (contrattuale o precontrattuale), ma che, per ciò stesso, non sono evidentemente mai considerate tali da determinare la nullità radicale del contratto (semmai eventualmente annullabile, rescindibile o risolubile), ancorché l'obbligo dì comportarsi con correttezza e buona fede abbia indiscutibilmente carattere imperativo. E questo anche perché il suaccennato dovere di buona fede, ed i doveri di comportamento in generale, sono troppo immancabilmente legati alle circostanze del caso concreto per poter assurgere, in via di principio, a requisiti di validità che la certezza dei rapporti impone di verificare secondo regole predefinite». Sez. Un. Civ., 19 dicembre 2007, n. 26724, cit., p. 45.
110 Sez. Un. Civ., 19 dicembre 2007, n. 26724, cit., p. 47. L’art. 23, comma 6, tuf dispone infatti che
«nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di
quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l'onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta».
75
sono preordinati il sistema dei controlli e delle sanzioni facenti capo alle Autorità di
Vigilanza
111.
Dopo aver svolto le suddette precisazioni, la Corte di Cassazione procede infine alla
ricostruzione della disciplina.
In primo luogo, vengono considerate le violazioni degli obblighi informativi che
gravano sull’intermediario nel momento antecedente la stipula del contratto-quadro
112. Il
riferimento è in particolare ai più volte richiamati obblighi di trasparenza e ai doveri di
correttezza previsti dall’art. 21 tuf e precisati dall’art. 6, comma 2, lett. a) e b), tuf.
Al riguardo, la Suprema Corte afferma che le violazioni in esame non possono mai
comportare nullità, ma, al limite, l’annullabilità del contratto per vizio del consenso;
potranno, inoltre, essere fonte di responsabilità precontrattuale, dalla quale discende
l’obbligo per l’intermediario di risarcire gli eventuali danni subiti dal cliente
113.
Più esattamente, le Sezione Unite, richiamandosi ad un orientamento giurisprudenziale
consolidato
114, precisano che la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede
nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto rileva sia in caso di
rottura ingiustificata delle trattative, sia nel caso in cui venga stipulato un contratto
invalido o comunque inefficace, sia quando il contratto, pur essendo valido, «tuttavia
risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima del comportamento scorretto».
In tale ultima ipotesi, il risarcimento del danno deve essere commisurato in base al
«minor vantaggio, ovvero al maggior aggravio economico prodotto dal comportamento
tenuto in violazione dell'obbligo di buona fede, salvo che sia dimostrata l'esistenza di
ulteriori danni che risultino collegati a detto comportamento da un rapporto
rigorosamente consequenziale e diretto».
111 Sez. Un. Civ., 19 dicembre 2007, n. 26724, cit., p. 47; cfr. Trib. Milano, 11 maggio 1995, cit., p. 84. 112
Con l’espressione «contratto-quadro» ci si vuol riferire all’atto negoziale con cui le parti regolano singole ed eventuali operazioni future, senza tuttavia vincolarsi a porle in essere. Cfr. R. COSTI, Il mercato
mobiliare, cit., p. 147; A. SIROTTI GAUDENZI, Swap e responsabilità dell’operatore finanziario, cit., p. 61. Alcuni autori considerano il contratto-quadro una specie del più ampio genere «contratto normativo», ossia il contratto con cui le parti definiscono le clausole di contratti futuri e si obbligano ad apporle a questi ultimi,
se e quando saranno conclusi. In particolare, V. ROPPO, Il contratto, cit., pp. 496 ss., distingue tra contratto normativo interno, concluso dalle stesse parti che andranno a concludere i futuri contratti, e esterno, quando il futuro contratto vedrà la partecipazione anche di un terzo. Inoltre, il contratto-quadro, il quale prevede solo qualche clausola e lascia perciò alcuni margini operativi a successive manifestazioni di volontà, va tenuto distinto dal cosiddetto «contratto tipo», nel quale viene previsto l’intero regolamento negoziale e, pertanto, l’unico atto che residua concerne la volontà di concluderlo o meno.
113 Sez. Un. Civ., 19 dicembre 2007, n. 26724, cit., p. 47. 114 Cass., Sez. I, 29 settembre 2005, n. 19024.