5. Profili di criticità delle normative sui derivati In particolare, il conflitto di interessi
5.2. L’interferenza tra le regole di comportamento e le regole di validità nella prospettiva della
nella prospettiva della causa in concreto.
Orbene, occorre ora rilevare che il principio di non interferenza tra regole di
comportamento e regole di validità, il quale era già stato criticato da una parte della
dottrina
117ancor prima dell’intervento delle Sezioni Unite del 2007, non è stato
pacificamente recepito nel nostro ordinamento.
Non è certamente questa la sede per esaminare nello specifico le varie teorie sul
tema
118; è sufficiente rilevare che dette critiche muovono dalla medesima idea di fondo per
cui anche l’autonomia contrattuale è un mezzo per «l’adempimento dei doveri inderogabili
di solidarietà politica, economica e sociale» (art. 2 Cost.) e che il giudizio di
115 Trib. Firenze, 18 ottobre 2005, cit.
116 Sez. Un. Civ., 19 dicembre 2007, n. 26724, cit., p. 47. 117 F.G
ALGANO, Squilibrio contrattuale e malafede del contraente forte, in Contr. e impr., 1997, pp.
417 ss.
118 Cfr., ex multis, V.R
OPPO, Il contratto del duemila, cit., pp. 46-51 e, ID., La nullità virtuale del
contratto dopo la sentenza «Rordorf», in Danno e resp., 2008, 536; A.PLAIA, Diritto civile e diritti speciali:
il problema del’autonomia delle discipline di settore, Milano, 2008; R.NATOLI, Regole di validità e regole
di responsabilità tra diritto civile e nuovo diritto dei mercati finanziari, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, II,
pp. 165 ss.; R.LENER – P.LUCANTONI, Regole di condotta nella negoziazione degli strumenti finanziari
complessi: disclosure in merito agli elementi strutturali o sterilizzazione, sul piano funzionale, del rischio come elemento tipologico e/o normativo?, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, IV, pp. 369 ss.; A.TUCCI, La
negoziazione degli strumenti finanziari derivati e il problema della causa nel contratto, in Banca, borsa, tit. cred., 2013, I, pp. 68 ss. e in iusexplorer.it; G.PERLINGIERI, L'inesistenza della distinzione tra regole di
77
meritevolezza previsto dall’art. 1322, comma 2, c.c., deve avvenire anche alla luce del
principio di correttezza (art. 1175 c.c.). Di conseguenza, la buona fede sarebbe un criterio
di valutazione del comportamento dei contraenti che, se disatteso, può determinare
l’invalidità del contratto
119.
Si tratta, evidentemente, di un approccio antitetico rispetto a quello seguito dalle
Sezioni Unite del 2007, secondo cui «il suaccennato dovere di buona fede, ed i doveri di
comportamento in generale, sono troppo immancabilmente legati alle circostanze del caso
concreto per poter assurgere, in via di principio, a requisiti di validità che la certezza dei
rapporti impone di verificare secondo regole predefinite»
120.
Occorre ora rilevare che anche alcune pronunce di merito successive al sopraccitato
intervento delle Sezioni Unite hanno iniziato ha rimeditare il principio di non interferenza
tra regole di validità e regole di comportamento, muovendo dall’analisi della funzione
degli obblighi comportamentali a carico dell’intermediario e riconoscendo, nel caso della
loro inosservanza, rimedi ulteriori e/o diversi rispetto a quelli sopradescritti.
In questa cornice, proprio in materia di derivati otc, tra le pronunce immediatamente
successive alle Sezioni Unite del 2007 sono individuabili due orientamenti: quello che, pur
continuando a negare la possibilità di ricorrere a rimedi invalidanti, riconosce il diritto
dell’investitore alla risoluzione del contratto e quello che, al contrario, ammette la
possibilità di dichiarare la nullità del contratto «per il difetto, in concreto, della causa, ai
sensi dell'art. 1418, comma 2 c.c., e per la non meritevolezza, in concreto, degli interessi
119 «Lo squilibrio contrattuale, produttivo della inefficacia della clausola squilibrante, è posto in rapporto con la violazione, da parte del contraente che ha imposto la clausola (del professionista, quale contraente forte), del canone della buona fede nella formazione del contratto; sicché la norma mette capo al principio secondo il quale la violazione di questo canone può condurre alla caducazione del contratto concluso con mala fede». F.GALGANO, Squilibrio contrattuale e malafede del contraente forte, cit., p. 423.
120 Sulla possibilità di dichiarare la nullità del contratto per contrasto con una clausola generale, quale è
la regola della buona fede oggettiva, v. le recenti ordinanze “gemelle” della Corte Costituzionale (n. 77, 2 aprile 2014 e n. 248 del 24 ottobre 2013), secondo le quali il giudice, «a fronte di una clausola negoziale che
rifletta (come da sua prospettazione) un regolamento degli opposti interessi non equo e gravemente sbilanciato in danno di una parte», può rilevare d’ufficio la «nullità (totale o parziale), ex art. 1418 cod. civ., della clausola stessa, per contrasto con il precetto dell’art. 2 Cost. (per il profilo dell’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà), che entra direttamente nel contratto, in combinato contesto con il canone della buona fede, cui attribuisce vis normativa, “funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela anche dell’interesse del partner negoziale nella misura in cui non collida con l’interesse proprio dell’obbligato”». Cfr. F.ASTONE, Riduzione della caparra manifestamente eccessiva, tra riqualificazione in
termini di “penale” e nullità per violazione del dovere generale di solidarietà e di buona fede, in Giur. Cost., 2013, IV, pp. 3770 ss.
78
perseguiti, ai sensi dell'art. 1322, comma 2 c.c.», con conseguente «restituzione di tutti i
flussi negativi addebitati per effetto dei contratti di cui è causa»
121.
Nella prima prospettiva, viene innanzitutto in rilievo la sentenza Tribunale Milano del
19 aprile 2011, n. 5443
122, la quale, sul presupposto che «i derivati […] “costruiti” dalla
banca e ceduti fuori da ogni mercato, non sono stati oggetto di alcuna contrattazione e
sono stati unilateralmente propinati, in un contesto invece in cui la contrattazione su base
paritaria, al fine di individuare un prodotto realmente rispondente alle esigenze
dell’operatore commerciale, doveva essere di fondamentale importanza», ha affermato che
nel caso specifico la banca avrebbe dovuto tenere in particolare considerazione le effettive
esigenze del cliente, anche a prescindere dalla professionalità di quest’ultimo
123, e farsi
«parte diligente per garantire la scelta di un prodotto adatto al cliente medesimo».
La stessa pronuncia entra poi nella specifica dinamica del rapporto intercorso tra le
parti, segnalando, tra le altre cose, che «l’alternativa non era tra acquistare un prodotto
più o meno adatto alle esigenze di redditività e/o speculative di un investitore (e quindi, ad
esempio, la scelta tra un titolo di stato europeo e un titolo di stato emergente), bensì tra
l’acquistare un prodotto idoneo o meno in relazione alle esigenze dell’impresa che
costituivano una sorta di “base comune” (altrimenti detta presupposizione) del
regolamento intercorso tra le parti» e che questo modus operandi sarebbe imposto proprio
dalle regole di comportamento predisposte dal tuf, le quali costituiscono «espressione
generale del principio di buona fede oggettiva proprio del diritto generale dei contratti
[…] che rappresenta un metro di comportamento per i soggetti (e di valutazione per il
giudice), il cui contenuto non è a priori predeterminato, ma necessita di un’opera
121 Corte d’Appello di Milano del 18 settembre 2013, n. 3459.
122 Nello stesso senso, v. anche Trib. Lecce, 9 maggio 2011, in ilcaso.it/giurisprudenza/archivio
/5292.pdf, secondo cui «nel complesso l’operazione appare “una scommessa insensata”, un’operazione
rovinosa e sbilanciata a tutto vantaggio della Banca, a causa di costi di transazione così elevati da assorbire gli eventuali guadagni lucrati dal cliente nel caso di andamento (a lui) favorevole dal mercato dei tassi, laddove le operazioni in strumenti derivati, anche quando effettuate per finalità diverse da quelle di copertura, dovrebbero almeno ex ante presentarsi come potenzialmente vantaggiose (per il cliente) nel caso di scenari (a lui) favorevoli. In presenza di tali dati di fatto, soltanto genericamente contestati dalla Banca (sulla quale pure gravava l’onere di provare di aver agito con la prescritta diligenza), è ragionevole ritenere che la stessa abbia agito in conflitto di interesse ed in contrasto con la regola di condotta che impone agli intermediari “di servire al meglio l’interesse dei clienti”».
123 «La trasparenza e l’equo trattamento nella gestione dei conflitti di interessi (conflitti che comunque, non a caso, per disposizione di legge vanno ridotti al minimo, e non possono pertanto diventare un comportamento generalizzato neanche nei confronti di operatori qualificati) costituiscono comportamenti basilari, alla cui osservanza l’intermediario è tenuto anche quando il cliente firmi la dichiarazione ex art. 27
79
valutativa di concretizzazione, in riferimento agli interessi in gioco e alle caratteristiche
del caso specifico, da compiersi alla stregua dei valori obiettivi riconosciuti
dall’ordinamento, tra cui in primo luogo quelli della Costituzione (solidarietà sociale,
libertà di iniziativa economica, tutela del risparmio».
Una volta appurata l’inosservanza da parte dell’intermediario delle speciali regole di
condotta
124, la sentenza rileva che tale violazione non può essere considerata di scarsa
importanza ex art. 1455 c.c.
125e che gli stessi obblighi di comportamento «pur essendo di
fonte legale, derivano da norme inderogabili e sono quindi destinati ad integrare a tutti gli
effetti il regolamento negoziale vigente tra le parti»; pertanto, sul presupposto che «non vi
sono limiti di alcun tipo per un rimedio che interviene ai fini del necessario ripristino delle
iniziali posizioni», conclude per la risoluzione del contratto-quadro e per il risarcimento
del danno al cliente in misura pari al saldo negativo dei differenziali maturati.
Nella stessa direzione sembra andare anche la pronuncia Trib. Milano, 4 aprile 2014
126,
la quale ha dichiarato la risoluzione di uno swap rinegoziato
127, stipulato da un Ente
Locale con un istituto di credito, posto in essere nell’ambito di una procedura negoziale
più complessa finalizzata alla «ristrutturazione della posizione di indebitamento in essere
con la Cassa Depositi e Presiti» in capo all’Ente medesimo, in quanto, nel caso concreto,
«il contratto derivato […] aveva la funzione precipua di rinviare al futuro le perdite più
che assicurare risparmi per la Provincia bilanciati dall’assunzione del rischio. Se ne
ricava che il contratto derivato […] proprio per la sua funzione di rimodulazione di
minusvalenze implicite nel precedente contratto, che comunque garantiva alla Provincia
Reg. Consob, ovvero anche quando il cliente sia un operatore qualificato». Trib. Milano, 19 aprile 2011, n.
5443, cit.
124 «A fronte di un prodotto non solo acquistato fuori dai mercati regolamentati, ma creato dalla controparte professionale, e derivante da una combinazione di strutture elementari, gli elementi informativi derivanti dagli scritti risultavano del tutto insufficienti, e finanche ingannevoli, se si dava lettura al solo contratto quadro, che non menzionava minimamente soglie di sbarramento, effetto leva, range di protezione, e quant’altro». Trib. Milano, 19 aprile 2011, n. 5443, cit.
125 «Al contrario, esse sono risultate essere di natura tale da compromettere del tutto l’equilibrio del rapporto negoziale. Avevano in effetti riguardo alla diligenza nella protezione dell’interesse fondamentale per cui era nato il contratto tra le parti, ed alla trasparenza ed equità di trattamento in un contesto di gestione di un rapporto in conflitto di interessi: si tratta di aspetti non certo accessori e secondari in relazione all’attitudine a tutelare l’equilibrio del contratto, e che in concreto hanno impedito lo svolgersi di un corretto rapporto sinallagmatico». Trib. Milano, 19 aprile 2011, n. 5443, cit.
126 Il testo integrale della sentenza è reperibile all’indirizzo dirittobancario.it/sites/default/files/allegati/
trib unale_di_milano_04_aprile_2014.pdf
127 «Era stato il significativo ed imprevisto peggioramento dei tassi di interesse a rendere necessaria tale rimodulazione e non una scorretta strutturazione del secondo derivato». Trib. Milano, 4 aprile 2014, n.,
80
copertura sull’aumento dei tassi di interesse che gravava sull’indebitamento a tasso
variabile della Provincia, non può ritenersi coerente»
128.
La pronuncia da ultimo citata, peraltro, dopo aver precisato, rispetto al suddetto swap
rinegoziato, che «l’accoglimento della domanda risolutoria […] rende superfluo l’esame
della domanda di nullità della causa relativa allo stesso negozio», perviene al rigetto della
domanda di nullità proposta da parte attrice nei confronti degli altri swap posti in essere
nell’ambito della medesima operazione complessa, affermando che gli stessi
«presentavano certamente una causa concreta e del tutto efficiente» e che «l’emergenza
del risparmio per la Provincia unitamente all’incasso dell’up front nel primo contratto
denotano tutt’altro che squilibrio dell’alea».
È importante evidenziare che la sentenza appena richiamata perviene alle suddette
conclusioni muovendo proprio dell’analisi degli obblighi comportamentali: più
esattamente, viene affermato che l’indagine sulla congruità del contratto deve essere
necessariamente svolta in relazione all’interesse del cliente «rilevante ai sensi dell’art. 21
tuf»
129.
Nella seconda prospettiva, invece, si colloca la già menzionata pronuncia della Corte
d’Appello di Milano del 18 settembre 2013, n. 3459
130.
In relazione al ruolo dell’intermediario nella contrattazione in derivati – e,
segnatamente, sugli obblighi di comportamento su di esso gravanti e sulle conseguenze
derivanti dalla loro inosservanza –, la Corte d’Appello, in primo luogo, richiama
l’opinione dominante in dottrina e giurisprudenza secondo cui «ai sensi dell'art. 21 TUF, è
dovere inderogabile dell'intermediario finanziario agire, nella sostanza, quale
cooperatore del cliente e nel suo esclusivo interesse, secondo il modello proprio della
causa mandati (e non della causa vendendi, con conseguente inoperatività del canone
128 Giova segnalare che il giudice, nel motivare la sentenza sul punto, richiama pedissequamente le
risultanze della consulenza tecnica.
129
«Ad avviso del giudicante, pertanto, l’unico profilo concernente l’accertanda violazione di doveri
informativi attiene alla congruenza dei contratti conclusi con l’odierna parte convenuta rispetto agli obbiettivi manifestati dalla Provincia, proprio perché in una tale prospettiva rileva la completa, esauriente e puntuale informativa che [la banca] avrebbe dovuto fornire alla controparte; e tale informativa ha significativi riflessi in ordine alla tipologia di contratti offerti e conclusi, il tutto nel perimetro designato dall’art. 23 TUF […]. Occorre quindi, analizzare sinteticamente la struttura di ogni contratto derivato per valorizzarne gli aspetti tecnici dirimenti quanto alla risposta circa la congruità con gli obiettivi di cui alla delibera [della Provincia], posto che nella stessa è condensato , appunto, l’interesse del cliente rilevante ai sensi dell’art. 21 TUF». Trib. Milano, 4 aprile 2014, n., cit.
130 La sentenza integrale è reperibile in iusexplorer.it, nonché all’indirizzo ilcaso.it/giurisprudenza/
81
caveat emptor), cosicché appare, già in astratto, del tutto irrilevante il dato che il cliente
sia, in ipotesi, dotato di esperienza professionalmente qualificata (circostanza che, si
ripete, è da escludersi nel caso di specie e rispetto alla quale qualsiasi dichiarazione
autoreferenziale costituisce mera presunzione semplice), atteso che l'intermediario
conserva "intatti" i doveri delineati nell'art. 21 TUF anche in presenza della dichiarazione
ex art. 31 Reg. Interm.».
Ciò premesso, e sempre nella prospettiva del rapporto tra cliente e intermediario, la
Corte d’Appello individua due modalità di contrattazione ben distinte, nell’ambito delle
quali le suddette regole di comportamento sembrerebbero operare in modo differente.
Da un lato, vi è la fattispecie in cui «l'intermediario si limita ad acquistare il prodotto
sul mercato quale mero mandatario del proprio cliente».
In tale ipotesi, la tutela ispirata al principio di non interferenza tra regole di
comportamento e regole di validità, così come sancito dalla pronuncia delle S.U. del 2007,
sembrerebbe conservare la sua efficienza.
Infatti, la Corte d’Appello rileva che gli obblighi informativi attengono «alla
esplicitazione dei contenuti del contratto e dell'alea in esso contenuta (che devono essere
conosciuti e riversati nel contratto)» e la loro omissione «non involge profili di nullità, ma
costituisce solo un inadempimento regolato dai principi che governano le conseguenze
della violazione delle norme di condotta dettate dal TUF, ormai definite dagli arretés delle
Sezioni Unite».
Al riguardo, la novità rispetto alle precedenti pronunce sul punto è costituita proprio
dalla rilevanza attribuita alla standardizzazione del contratto, la quale assume i caratteri di
un vero e proprio parametro di valutazione – della meritevolezza del contratto, ex ante; del
comportamento dell’intermediario, ex post – a disposizione del giudice: «nei derivati
uniformi, la verifica (giurisdizionale) del rispetto regole di condotta dell'intermediario
dettate dal TUF e dalla normativa secondaria costituisce l'unica forma di controllo della
correttezza delle contrattazioni. Trattandosi di compravendite di strumenti finanziari
circolanti sul mercato, e già quotati, non si pone per essi il problema della "misurabilità"
dell'alea in essi contenuta e della consapevole condivisione del rischio, ma unicamente un
problema di adeguatezza/appropriatezza del prodotto rispetto al profilo di rischio
dell'investitore, ovvero di assenza di eventuali conflitti di interesse (secondo il regime ante
o post Mifid). Aspetti, questi, che transiteranno negli obblighi informativi (attivi e passivi)
cui è tenuto l'intermediario».
82
Ma l’aspetto più innovativo della pronuncia in esame riguarda la seconda fattispecie
rilevante, ossia quella relativa alla specifica contrattazione in derivati over the counter, in
cui «l'intermediario è sempre controparte diretta del proprio cliente e "condivide",
pertanto, con esso l'alea contenuta nel contratto».
È proprio in relazione a quest’ultima ipotesi, infatti, che il conflitto di interessi tra
cliente e intermediario assumerebbe proporzioni abnormi e, finanche, patologiche.
Come si è infatti già segnalato, i derivati finanziari traggono la loro disciplina dal
regolamento negoziale elaborato dalle parti: questo è vero sia per i derivati uniformi – in
quanto originano comunque dalla prassi –, sia, a maggior ragione, per quelli non
standardizzati, rispetto ai quali il rapporto contrattuale si presenta particolareggiato
131.
Pertanto, con specifico riguardo a questi ultimi, è il contraente forte a definire il contenuto
del contratto di cui egli stesso è parte.
In questa logica, la quantità e, soprattutto, la qualità delle informazioni fornite
dell’originator sulla concreta operazione contrattuale posta in essere rifluiscono
immediatamente sull’oggetto dell’accordo (nella specie, sulla consapevolezza che di
questo ne abbia il cliente), e, mediatamente, sulla meritevolezza (e quindi sulla validità)
del contratto.
Invero, proprio rispetto al suddetto assunto, la pronuncia in esame presenta profili di
contraddittorietà, laddove in un primo momento esclude la sussistenza di un rapporto
logico-consequenziale tra la violazione delle regole di condotta e la nullità del contratto
132,
salvo poi precisare che «non si tratta, bene inteso, di negare rilevanza al ruolo
dell'informazione, quale prioritario dovere di condotta dell'intermediario (nel superiore
interesse della tutela della fiducia e della integrità dei mercati) ma, com'è proprio del
soggetto professionale che predispone i termini della scommessa legalmente autorizzata,
di trasferire all'interno della stessa struttura del contratto derivato la rilevanza dei dati
che ne caratterizzano l'alea e che contribuiscono a definire, oltre che l'oggetto, la causa,
secondo il giudizio di meritevolezza implicitamente formulato dal legislatore della
materia».
131 Si pensi, ad esempio, ai «contratti derivati OTC personalizzati ad hoc (bespoke derivatives) che sono difficilmente standardizzabili», i quali, nella logica del Reg. EMIR, «non dovranno necessariamente adeguarsi agli standards di trasparenza richiesti dal legislatore». L.SASSO, L’impatto sul mercato, cit.
132 «La nullità dei contratti di interest rate swap - per il rilevato difetto, in concreto, della causa, ai sensi dell'art. 1418, comma 2 c.c., e per la non meritevolezza, in concreto, degli interessi perseguiti, ai sensi dell'art. 1322, comma 2 c.c. - non rappresenta, quindi, una nullità per violazione di regole di condotta