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L’interferenza tra le regole di comportamento e le regole di validità nella prospettiva della

Nel documento La causa nei contratti derivati (pagine 80-89)

5. Profili di criticità delle normative sui derivati In particolare, il conflitto di interessi

5.2. L’interferenza tra le regole di comportamento e le regole di validità nella prospettiva della

nella prospettiva della causa in concreto.

Orbene, occorre ora rilevare che il principio di non interferenza tra regole di

comportamento e regole di validità, il quale era già stato criticato da una parte della

dottrina

117

ancor prima dell’intervento delle Sezioni Unite del 2007, non è stato

pacificamente recepito nel nostro ordinamento.

Non è certamente questa la sede per esaminare nello specifico le varie teorie sul

tema

118

; è sufficiente rilevare che dette critiche muovono dalla medesima idea di fondo per

cui anche l’autonomia contrattuale è un mezzo per «l’adempimento dei doveri inderogabili

di solidarietà politica, economica e sociale» (art. 2 Cost.) e che il giudizio di

115 Trib. Firenze, 18 ottobre 2005, cit.

116 Sez. Un. Civ., 19 dicembre 2007, n. 26724, cit., p. 47. 117 F.G

ALGANO, Squilibrio contrattuale e malafede del contraente forte, in Contr. e impr., 1997, pp.

417 ss.

118 Cfr., ex multis, V.R

OPPO, Il contratto del duemila, cit., pp. 46-51 e, ID., La nullità virtuale del

contratto dopo la sentenza «Rordorf», in Danno e resp., 2008, 536; A.PLAIA, Diritto civile e diritti speciali:

il problema del’autonomia delle discipline di settore, Milano, 2008; R.NATOLI, Regole di validità e regole

di responsabilità tra diritto civile e nuovo diritto dei mercati finanziari, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, II,

pp. 165 ss.; R.LENER – P.LUCANTONI, Regole di condotta nella negoziazione degli strumenti finanziari

complessi: disclosure in merito agli elementi strutturali o sterilizzazione, sul piano funzionale, del rischio come elemento tipologico e/o normativo?, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, IV, pp. 369 ss.; A.TUCCI, La

negoziazione degli strumenti finanziari derivati e il problema della causa nel contratto, in Banca, borsa, tit. cred., 2013, I, pp. 68 ss. e in iusexplorer.it; G.PERLINGIERI, L'inesistenza della distinzione tra regole di

77

meritevolezza previsto dall’art. 1322, comma 2, c.c., deve avvenire anche alla luce del

principio di correttezza (art. 1175 c.c.). Di conseguenza, la buona fede sarebbe un criterio

di valutazione del comportamento dei contraenti che, se disatteso, può determinare

l’invalidità del contratto

119

.

Si tratta, evidentemente, di un approccio antitetico rispetto a quello seguito dalle

Sezioni Unite del 2007, secondo cui «il suaccennato dovere di buona fede, ed i doveri di

comportamento in generale, sono troppo immancabilmente legati alle circostanze del caso

concreto per poter assurgere, in via di principio, a requisiti di validità che la certezza dei

rapporti impone di verificare secondo regole predefinite»

120

.

Occorre ora rilevare che anche alcune pronunce di merito successive al sopraccitato

intervento delle Sezioni Unite hanno iniziato ha rimeditare il principio di non interferenza

tra regole di validità e regole di comportamento, muovendo dall’analisi della funzione

degli obblighi comportamentali a carico dell’intermediario e riconoscendo, nel caso della

loro inosservanza, rimedi ulteriori e/o diversi rispetto a quelli sopradescritti.

In questa cornice, proprio in materia di derivati otc, tra le pronunce immediatamente

successive alle Sezioni Unite del 2007 sono individuabili due orientamenti: quello che, pur

continuando a negare la possibilità di ricorrere a rimedi invalidanti, riconosce il diritto

dell’investitore alla risoluzione del contratto e quello che, al contrario, ammette la

possibilità di dichiarare la nullità del contratto «per il difetto, in concreto, della causa, ai

sensi dell'art. 1418, comma 2 c.c., e per la non meritevolezza, in concreto, degli interessi

119 «Lo squilibrio contrattuale, produttivo della inefficacia della clausola squilibrante, è posto in rapporto con la violazione, da parte del contraente che ha imposto la clausola (del professionista, quale contraente forte), del canone della buona fede nella formazione del contratto; sicché la norma mette capo al principio secondo il quale la violazione di questo canone può condurre alla caducazione del contratto concluso con mala fede». F.GALGANO, Squilibrio contrattuale e malafede del contraente forte, cit., p. 423.

120 Sulla possibilità di dichiarare la nullità del contratto per contrasto con una clausola generale, quale è

la regola della buona fede oggettiva, v. le recenti ordinanze “gemelle” della Corte Costituzionale (n. 77, 2 aprile 2014 e n. 248 del 24 ottobre 2013), secondo le quali il giudice, «a fronte di una clausola negoziale che

rifletta (come da sua prospettazione) un regolamento degli opposti interessi non equo e gravemente sbilanciato in danno di una parte», può rilevare d’ufficio la «nullità (totale o parziale), ex art. 1418 cod. civ., della clausola stessa, per contrasto con il precetto dell’art. 2 Cost. (per il profilo dell’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà), che entra direttamente nel contratto, in combinato contesto con il canone della buona fede, cui attribuisce vis normativa, “funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela anche dell’interesse del partner negoziale nella misura in cui non collida con l’interesse proprio dell’obbligato”». Cfr. F.ASTONE, Riduzione della caparra manifestamente eccessiva, tra riqualificazione in

termini di “penale” e nullità per violazione del dovere generale di solidarietà e di buona fede, in Giur. Cost., 2013, IV, pp. 3770 ss.

78

perseguiti, ai sensi dell'art. 1322, comma 2 c.c.», con conseguente «restituzione di tutti i

flussi negativi addebitati per effetto dei contratti di cui è causa»

121

.

Nella prima prospettiva, viene innanzitutto in rilievo la sentenza Tribunale Milano del

19 aprile 2011, n. 5443

122

, la quale, sul presupposto che «i derivati […] “costruiti” dalla

banca e ceduti fuori da ogni mercato, non sono stati oggetto di alcuna contrattazione e

sono stati unilateralmente propinati, in un contesto invece in cui la contrattazione su base

paritaria, al fine di individuare un prodotto realmente rispondente alle esigenze

dell’operatore commerciale, doveva essere di fondamentale importanza», ha affermato che

nel caso specifico la banca avrebbe dovuto tenere in particolare considerazione le effettive

esigenze del cliente, anche a prescindere dalla professionalità di quest’ultimo

123

, e farsi

«parte diligente per garantire la scelta di un prodotto adatto al cliente medesimo».

La stessa pronuncia entra poi nella specifica dinamica del rapporto intercorso tra le

parti, segnalando, tra le altre cose, che «l’alternativa non era tra acquistare un prodotto

più o meno adatto alle esigenze di redditività e/o speculative di un investitore (e quindi, ad

esempio, la scelta tra un titolo di stato europeo e un titolo di stato emergente), bensì tra

l’acquistare un prodotto idoneo o meno in relazione alle esigenze dell’impresa che

costituivano una sorta di “base comune” (altrimenti detta presupposizione) del

regolamento intercorso tra le parti» e che questo modus operandi sarebbe imposto proprio

dalle regole di comportamento predisposte dal tuf, le quali costituiscono «espressione

generale del principio di buona fede oggettiva proprio del diritto generale dei contratti

[…] che rappresenta un metro di comportamento per i soggetti (e di valutazione per il

giudice), il cui contenuto non è a priori predeterminato, ma necessita di un’opera

121 Corte d’Appello di Milano del 18 settembre 2013, n. 3459.

122 Nello stesso senso, v. anche Trib. Lecce, 9 maggio 2011, in ilcaso.it/giurisprudenza/archivio

/5292.pdf, secondo cui «nel complesso l’operazione appare “una scommessa insensata”, un’operazione

rovinosa e sbilanciata a tutto vantaggio della Banca, a causa di costi di transazione così elevati da assorbire gli eventuali guadagni lucrati dal cliente nel caso di andamento (a lui) favorevole dal mercato dei tassi, laddove le operazioni in strumenti derivati, anche quando effettuate per finalità diverse da quelle di copertura, dovrebbero almeno ex ante presentarsi come potenzialmente vantaggiose (per il cliente) nel caso di scenari (a lui) favorevoli. In presenza di tali dati di fatto, soltanto genericamente contestati dalla Banca (sulla quale pure gravava l’onere di provare di aver agito con la prescritta diligenza), è ragionevole ritenere che la stessa abbia agito in conflitto di interesse ed in contrasto con la regola di condotta che impone agli intermediari “di servire al meglio l’interesse dei clienti”».

123 «La trasparenza e l’equo trattamento nella gestione dei conflitti di interessi (conflitti che comunque, non a caso, per disposizione di legge vanno ridotti al minimo, e non possono pertanto diventare un comportamento generalizzato neanche nei confronti di operatori qualificati) costituiscono comportamenti basilari, alla cui osservanza l’intermediario è tenuto anche quando il cliente firmi la dichiarazione ex art. 27

79

valutativa di concretizzazione, in riferimento agli interessi in gioco e alle caratteristiche

del caso specifico, da compiersi alla stregua dei valori obiettivi riconosciuti

dall’ordinamento, tra cui in primo luogo quelli della Costituzione (solidarietà sociale,

libertà di iniziativa economica, tutela del risparmio».

Una volta appurata l’inosservanza da parte dell’intermediario delle speciali regole di

condotta

124

, la sentenza rileva che tale violazione non può essere considerata di scarsa

importanza ex art. 1455 c.c.

125

e che gli stessi obblighi di comportamento «pur essendo di

fonte legale, derivano da norme inderogabili e sono quindi destinati ad integrare a tutti gli

effetti il regolamento negoziale vigente tra le parti»; pertanto, sul presupposto che «non vi

sono limiti di alcun tipo per un rimedio che interviene ai fini del necessario ripristino delle

iniziali posizioni», conclude per la risoluzione del contratto-quadro e per il risarcimento

del danno al cliente in misura pari al saldo negativo dei differenziali maturati.

Nella stessa direzione sembra andare anche la pronuncia Trib. Milano, 4 aprile 2014

126

,

la quale ha dichiarato la risoluzione di uno swap rinegoziato

127

, stipulato da un Ente

Locale con un istituto di credito, posto in essere nell’ambito di una procedura negoziale

più complessa finalizzata alla «ristrutturazione della posizione di indebitamento in essere

con la Cassa Depositi e Presiti» in capo all’Ente medesimo, in quanto, nel caso concreto,

«il contratto derivato […] aveva la funzione precipua di rinviare al futuro le perdite più

che assicurare risparmi per la Provincia bilanciati dall’assunzione del rischio. Se ne

ricava che il contratto derivato […] proprio per la sua funzione di rimodulazione di

minusvalenze implicite nel precedente contratto, che comunque garantiva alla Provincia

Reg. Consob, ovvero anche quando il cliente sia un operatore qualificato». Trib. Milano, 19 aprile 2011, n.

5443, cit.

124 «A fronte di un prodotto non solo acquistato fuori dai mercati regolamentati, ma creato dalla controparte professionale, e derivante da una combinazione di strutture elementari, gli elementi informativi derivanti dagli scritti risultavano del tutto insufficienti, e finanche ingannevoli, se si dava lettura al solo contratto quadro, che non menzionava minimamente soglie di sbarramento, effetto leva, range di protezione, e quant’altro». Trib. Milano, 19 aprile 2011, n. 5443, cit.

125 «Al contrario, esse sono risultate essere di natura tale da compromettere del tutto l’equilibrio del rapporto negoziale. Avevano in effetti riguardo alla diligenza nella protezione dell’interesse fondamentale per cui era nato il contratto tra le parti, ed alla trasparenza ed equità di trattamento in un contesto di gestione di un rapporto in conflitto di interessi: si tratta di aspetti non certo accessori e secondari in relazione all’attitudine a tutelare l’equilibrio del contratto, e che in concreto hanno impedito lo svolgersi di un corretto rapporto sinallagmatico». Trib. Milano, 19 aprile 2011, n. 5443, cit.

126 Il testo integrale della sentenza è reperibile all’indirizzo dirittobancario.it/sites/default/files/allegati/

trib unale_di_milano_04_aprile_2014.pdf

127 «Era stato il significativo ed imprevisto peggioramento dei tassi di interesse a rendere necessaria tale rimodulazione e non una scorretta strutturazione del secondo derivato». Trib. Milano, 4 aprile 2014, n.,

80

copertura sull’aumento dei tassi di interesse che gravava sull’indebitamento a tasso

variabile della Provincia, non può ritenersi coerente»

128

.

La pronuncia da ultimo citata, peraltro, dopo aver precisato, rispetto al suddetto swap

rinegoziato, che «l’accoglimento della domanda risolutoria […] rende superfluo l’esame

della domanda di nullità della causa relativa allo stesso negozio», perviene al rigetto della

domanda di nullità proposta da parte attrice nei confronti degli altri swap posti in essere

nell’ambito della medesima operazione complessa, affermando che gli stessi

«presentavano certamente una causa concreta e del tutto efficiente» e che «l’emergenza

del risparmio per la Provincia unitamente all’incasso dell’up front nel primo contratto

denotano tutt’altro che squilibrio dell’alea».

È importante evidenziare che la sentenza appena richiamata perviene alle suddette

conclusioni muovendo proprio dell’analisi degli obblighi comportamentali: più

esattamente, viene affermato che l’indagine sulla congruità del contratto deve essere

necessariamente svolta in relazione all’interesse del cliente «rilevante ai sensi dell’art. 21

tuf»

129

.

Nella seconda prospettiva, invece, si colloca la già menzionata pronuncia della Corte

d’Appello di Milano del 18 settembre 2013, n. 3459

130

.

In relazione al ruolo dell’intermediario nella contrattazione in derivati – e,

segnatamente, sugli obblighi di comportamento su di esso gravanti e sulle conseguenze

derivanti dalla loro inosservanza –, la Corte d’Appello, in primo luogo, richiama

l’opinione dominante in dottrina e giurisprudenza secondo cui «ai sensi dell'art. 21 TUF, è

dovere inderogabile dell'intermediario finanziario agire, nella sostanza, quale

cooperatore del cliente e nel suo esclusivo interesse, secondo il modello proprio della

causa mandati (e non della causa vendendi, con conseguente inoperatività del canone

128 Giova segnalare che il giudice, nel motivare la sentenza sul punto, richiama pedissequamente le

risultanze della consulenza tecnica.

129

«Ad avviso del giudicante, pertanto, l’unico profilo concernente l’accertanda violazione di doveri

informativi attiene alla congruenza dei contratti conclusi con l’odierna parte convenuta rispetto agli obbiettivi manifestati dalla Provincia, proprio perché in una tale prospettiva rileva la completa, esauriente e puntuale informativa che [la banca] avrebbe dovuto fornire alla controparte; e tale informativa ha significativi riflessi in ordine alla tipologia di contratti offerti e conclusi, il tutto nel perimetro designato dall’art. 23 TUF […]. Occorre quindi, analizzare sinteticamente la struttura di ogni contratto derivato per valorizzarne gli aspetti tecnici dirimenti quanto alla risposta circa la congruità con gli obiettivi di cui alla delibera [della Provincia], posto che nella stessa è condensato , appunto, l’interesse del cliente rilevante ai sensi dell’art. 21 TUF». Trib. Milano, 4 aprile 2014, n., cit.

130 La sentenza integrale è reperibile in iusexplorer.it, nonché all’indirizzo ilcaso.it/giurisprudenza/

81

caveat emptor), cosicché appare, già in astratto, del tutto irrilevante il dato che il cliente

sia, in ipotesi, dotato di esperienza professionalmente qualificata (circostanza che, si

ripete, è da escludersi nel caso di specie e rispetto alla quale qualsiasi dichiarazione

autoreferenziale costituisce mera presunzione semplice), atteso che l'intermediario

conserva "intatti" i doveri delineati nell'art. 21 TUF anche in presenza della dichiarazione

ex art. 31 Reg. Interm.».

Ciò premesso, e sempre nella prospettiva del rapporto tra cliente e intermediario, la

Corte d’Appello individua due modalità di contrattazione ben distinte, nell’ambito delle

quali le suddette regole di comportamento sembrerebbero operare in modo differente.

Da un lato, vi è la fattispecie in cui «l'intermediario si limita ad acquistare il prodotto

sul mercato quale mero mandatario del proprio cliente».

In tale ipotesi, la tutela ispirata al principio di non interferenza tra regole di

comportamento e regole di validità, così come sancito dalla pronuncia delle S.U. del 2007,

sembrerebbe conservare la sua efficienza.

Infatti, la Corte d’Appello rileva che gli obblighi informativi attengono «alla

esplicitazione dei contenuti del contratto e dell'alea in esso contenuta (che devono essere

conosciuti e riversati nel contratto)» e la loro omissione «non involge profili di nullità, ma

costituisce solo un inadempimento regolato dai principi che governano le conseguenze

della violazione delle norme di condotta dettate dal TUF, ormai definite dagli arretés delle

Sezioni Unite».

Al riguardo, la novità rispetto alle precedenti pronunce sul punto è costituita proprio

dalla rilevanza attribuita alla standardizzazione del contratto, la quale assume i caratteri di

un vero e proprio parametro di valutazione – della meritevolezza del contratto, ex ante; del

comportamento dell’intermediario, ex post – a disposizione del giudice: «nei derivati

uniformi, la verifica (giurisdizionale) del rispetto regole di condotta dell'intermediario

dettate dal TUF e dalla normativa secondaria costituisce l'unica forma di controllo della

correttezza delle contrattazioni. Trattandosi di compravendite di strumenti finanziari

circolanti sul mercato, e già quotati, non si pone per essi il problema della "misurabilità"

dell'alea in essi contenuta e della consapevole condivisione del rischio, ma unicamente un

problema di adeguatezza/appropriatezza del prodotto rispetto al profilo di rischio

dell'investitore, ovvero di assenza di eventuali conflitti di interesse (secondo il regime ante

o post Mifid). Aspetti, questi, che transiteranno negli obblighi informativi (attivi e passivi)

cui è tenuto l'intermediario».

82

Ma l’aspetto più innovativo della pronuncia in esame riguarda la seconda fattispecie

rilevante, ossia quella relativa alla specifica contrattazione in derivati over the counter, in

cui «l'intermediario è sempre controparte diretta del proprio cliente e "condivide",

pertanto, con esso l'alea contenuta nel contratto».

È proprio in relazione a quest’ultima ipotesi, infatti, che il conflitto di interessi tra

cliente e intermediario assumerebbe proporzioni abnormi e, finanche, patologiche.

Come si è infatti già segnalato, i derivati finanziari traggono la loro disciplina dal

regolamento negoziale elaborato dalle parti: questo è vero sia per i derivati uniformi – in

quanto originano comunque dalla prassi –, sia, a maggior ragione, per quelli non

standardizzati, rispetto ai quali il rapporto contrattuale si presenta particolareggiato

131

.

Pertanto, con specifico riguardo a questi ultimi, è il contraente forte a definire il contenuto

del contratto di cui egli stesso è parte.

In questa logica, la quantità e, soprattutto, la qualità delle informazioni fornite

dell’originator sulla concreta operazione contrattuale posta in essere rifluiscono

immediatamente sull’oggetto dell’accordo (nella specie, sulla consapevolezza che di

questo ne abbia il cliente), e, mediatamente, sulla meritevolezza (e quindi sulla validità)

del contratto.

Invero, proprio rispetto al suddetto assunto, la pronuncia in esame presenta profili di

contraddittorietà, laddove in un primo momento esclude la sussistenza di un rapporto

logico-consequenziale tra la violazione delle regole di condotta e la nullità del contratto

132

,

salvo poi precisare che «non si tratta, bene inteso, di negare rilevanza al ruolo

dell'informazione, quale prioritario dovere di condotta dell'intermediario (nel superiore

interesse della tutela della fiducia e della integrità dei mercati) ma, com'è proprio del

soggetto professionale che predispone i termini della scommessa legalmente autorizzata,

di trasferire all'interno della stessa struttura del contratto derivato la rilevanza dei dati

che ne caratterizzano l'alea e che contribuiscono a definire, oltre che l'oggetto, la causa,

secondo il giudizio di meritevolezza implicitamente formulato dal legislatore della

materia».

131 Si pensi, ad esempio, ai «contratti derivati OTC personalizzati ad hoc (bespoke derivatives) che sono difficilmente standardizzabili», i quali, nella logica del Reg. EMIR, «non dovranno necessariamente adeguarsi agli standards di trasparenza richiesti dal legislatore». L.SASSO, L’impatto sul mercato, cit.

132 «La nullità dei contratti di interest rate swap - per il rilevato difetto, in concreto, della causa, ai sensi dell'art. 1418, comma 2 c.c., e per la non meritevolezza, in concreto, degli interessi perseguiti, ai sensi dell'art. 1322, comma 2 c.c. - non rappresenta, quindi, una nullità per violazione di regole di condotta

83

Al netto delle contraddizioni, la Corte d’Appello afferma che il giudizio di

meritevolezza ha ad oggetto una struttura contrattuale nell’ambito della quale è il soggetto

professionale a selezionarne e definirne ex ante gli elementi qualificanti.

Il conflitto di interessi tra intermediario e cliente, pertanto, deve interessare l’interprete

non solo rispetto al momento che precede la conclusione del contratto, ma anche rispetto

alla fase successiva alla stipulazione del medesimo.

Invero, nel ragionamento della Corte d’Appello la questione relativa al rapporto tra le

regole di condotta e le regole di validità presuppone la risoluzione di un problema

preliminare: quello relativo alla definizione della natura giuridica del contratto derivato

otc, in quanto «solo la sua qualificazione giuridica consentirà di chiarire quali elementi

appartengano alla causa del negozio e, conseguentemente, stabilire se e quale difetto degli

elementi caratterizzanti il contratto valga ed inficiarne la causa, in termini di vizio

genetico, ovvero si risolva in una mera violazione delle regole di condotta

dell'intermediario».

In questo senso, i giudici della Corte d’Appello di Milano dichiarano di aderire ad una

«recente ed autorevole dottrina specialistica» che qualifica il contratto derivato come una

«scommessa legalmente autorizzata la cui causa, ritenuta meritevole dal legislatore

dell'intermediazione finanziaria, risiede nella consapevole e razionale creazione di alee

che, nei derivati c.d. simmetrici, sono reciproche e bilaterali».

Il prosieguo del presente studio, pertanto, avrà ad oggetto proprio le conseguenze

derivanti dalla riconduzione dei derivati otc speculativi nello schema astratto della

scommessa legalmente autorizzata, posto che la questione, a dispetto di quanto asserito

dalla stessa Corte d’Appello

133

, non si pone rispetto ai derivati aventi finalità di

Nel documento La causa nei contratti derivati (pagine 80-89)