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Conflitto di interessi e remunerazioni

2. LA DIRETTIVA MIFID 1

2.4. C ONSULENZA IN TEMA DI INVESTIMENTI E GESTIONE DEI PORTAFOGLI

2.4.1. Conflitto di interessi e remunerazioni

Il mercato finanziario è un ambiente commerciale in cui non è raro ravvisare possibili situazioni di conflitto di interesse. La direttiva MiFID non aspirava secondo questo schema ad eliminare i conflitti, ma piuttosto a sterilizzarli, ossia a rimuovere quantomeno gli effetti negativi degli stessi in un’ottica di difesa degli investitori89. La disciplina europea

assegnava quindi un ruolo di primo piano agli aspetti organizzativi90 atti a neutralizzare

le ricadute negative da conflitto di interesse nella prestazione dei servizi di investimento (e quindi anche della consulenza, considerata come una delle aree più a rischio91). Tutto

ciò indicando alcune situazioni in cui l’intermediario (o un soggetto rilevante, o un soggetto che controlla o è controllato dall’intermediario) si trovava in evidente conflitto di interesse. Secondo l’art. 21 della direttiva di secondo livello queste sono circostanze in cui:

89 Così infatti si esprimeva il CESR sull’argomento: “The obligation for the firm under Article 13(3)

of the Directive is not to prevent conflicts of interest from arising, it is for the firm to take all reasonable steps to prevent conflicts adversely affecting the interests of its clients” (CESR/05- 024c. CESR’s Technical Advice on Possible Implementing Measures of the Directive 2004/39/EC on Markets in Financial Instruments, 2005).

90 Crf. Art. 22 MiFID di secondo livello.

91 Considerando 26 MiFID 1 di secondo livello: “Nell’adempiere al proprio obbligo di elaborare

una politica di gestione dei conflitti di interesse conformemente alla direttiva 2004/39/CE, che identifichi le circostanze che costituiscono o possono dare luogo ad un conflitto di interesse, l’impresa di investimento deve prestare particolare attenzione alle attività di ricerca e consulenza in materia di investimenti, negoziazione per conto proprio, gestione del portafoglio e prestazione di servizi finanziari alle imprese, ivi compresi la sottoscrizione o la vendita nel quadro di un’offerta di titoli e i servizi di consulenza in materia di fusioni e di acquisizioni. In particolare, tale attenzione è appropriata quando l’impresa o un soggetto che è collegato all’impresa, direttamente o indirettamente, da una relazione di controllo svolgono due o più attività predette”.

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a) è probabile che l’impresa o tale soggetto realizzino un guadagno finanziario o evitino una perdita finanziaria, a spese del cliente;

b) l’impresa o tale soggetto hanno nel risultato del servizio prestato al cliente o dell’operazione realizzata per conto di quest’ultimo un interesse distinto da quello del cliente;

c) l’impresa o tale soggetto hanno un incentivo finanziario o di altra natura a privilegiare gli interessi di un altro cliente o gruppo di clienti rispetto a quelli del cliente interessato;

d) l’impresa o tale soggetto svolgono la stessa attività del cliente;

e) l’impresa o tale soggetto ricevono o riceveranno da una persona diversa dal cliente un incentivo, in relazione con il servizio prestato al cliente, sotto forma di denaro, di beni o di servizi, diverso dalle commissioni o dalle competenze normalmente fatturate per tale servizio.

I punti b), c) ed e) sono emblematici di come la disciplina delle remunerazioni e degli inducements si sovrapponga a quella dei conflitti di interesse. La più classica situazione è la raccomandazione, da parte di un intermediario non indipendente, di sottoscrivere strumenti finanziari emessi o collocati dallo stesso intermediario, o da una società terza in rapporti d’affari con lo stesso. In un caso siffatto, vi è il concreto rischio che il consiglio non sia “per servire al meglio gli interessi dei loro clienti” (art. 19 MiFID 1), ma bensì distorto dai maggiori vantaggi che l’intermediario riceve dalla sottoscrizione del suddetto strumento. Si ravvisano questi incentivi ad esempio nei c.d. rebates percepiti dai promotori/consulenti, invisibili al cliente fino al recepimento della MiFID 2, come anche nel consiglio di obbligazioni emesse da un soggetto indebitato con lo stesso intermediario. I recenti casi di banche italiane92 che hanno indotto i propri clienti ad acquistare azioni ed

obbligazioni subordinate delle stesse, è indicativo di come il correttivo previsto dal legislatore MiFID 1 in caso di conflitto di interesse, ovvero la mera comunicazione al cliente dello stesso, non fosse sufficiente ad evitare situazioni negative per il contraente debole.

Sembra di percepire quindi che, pur non vietando espressamente la possibilità per soggetti non indipendenti di svolgere l’attività di consulenti finanziari, l’impianto normativo puntasse quantomeno a dividere il servizio di consulenza in tre livelli di

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servizio, a seconda di come variassero i potenziali conflitti di interesse tra intermediari e clienti. Questa divisione ricalca ancora la realtà odierna, in attesa dei cambiamenti che potenzialmente produrrà la nuova Direttiva MiFID 2.

Vi è quindi un primo livello, in cui la consulenza è strumentale alla vendita del prodotto. Questa è agita particolarmente nei confronti dei clienti retail93 dagli intermediari

polifunzionali, i quali spesso abbinano un servizio di consulenza al collocamento di strumenti finanziari, meglio se della casa. Il ruolo di consulente e collocatore sono confusi e, nonostante il test di adeguatezza obbligatorio, è facilmente percepibile che l’intensità del conflitto di interesse è massima94 e il valore aggiunto dalla consulenza minimo:

proprio per questo nella maggior parte dei casi al cliente non è richiesto nessun corrispettivo per il servizio di consulenza, che risulta quindi niente più che uno strumento di marketing al fine della vendita del prodotto.

Alzando un po’ l’asticella, vi è un modello più evoluto, riservato dagli intermediari polifunzionali per clienti di fascia più alta, in cui la consulenza (e quindi l’adeguatezza) è rivolta all’intero portafoglio del cliente, anche in ottica di lungo periodo95. In questo caso

il consiglio è più complesso, ed è di norma pagato separatamente dal collocamento dei prodotti, abbassando anche se non eliminando il conflitto di interesse. Questo infatti persiste in quanto gli intermediari sono tentati tramite rebates dalle case produttrici a raccomandare servizi più remunerativi per loro.

Vi è infine la consulenza “indipendente”, in cui il conflitto di interesse è annullato dalla totale estraneità tra il consulente e le società prodotto. Questo tipo96 di consulenza si può

considerare ad alto valore aggiunto, in quanto l’advice è pagato interamente dal cliente, e l’intermediario riceve la fee esclusivamente per la raccomandazione, che perciò deve essere il più possibile aderente al miglior interesse per il cliente pagante. Questo schema,

93 Principalmente per operazioni sporadiche e spot.

94 L’intermediario è spinto infatti a raccomandare (legittimamente) gli strumenti che saranno in

grado di fargli raggiungere un guadagno.

95 Attraverso ad esempio il monitoraggio continuo della corrispondenza obiettivi-prodotti. 96 Zitiello & Mocci, (2014), op. cit. p. 32, delineano tre caratteristiche minime perché si possa

parlare di consulenza indipendente:

I. Centralità assegnata al cliente e alle sue reali necessità di investimento tramite un’accurata profilazione e un’accorta attività di asset allocation;

II. Costruzione di un portafoglio modello costantemente aggiornato e monitorato;

III. Profondità del consiglio, vertente su una gamma molto ampia di prodotti/strumenti finanziari.

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denominato fee-only negli Stati Uniti, rappresenta la consulenza pienamente evoluta, che sarà ancora più premiata dall’applicazione della nuova normativa europea MiFID 2.