• Non ci sono risultati.

congredior, pereant agedum discrimina rerum: Dite risponde al presunto gesto di sfida di Giove invocando il caos universale, un tema

quality, the witnessing of which brings some kind of satisfaction and pleasure” (Theb 1 86 quod cupiam vidisse nefas) 105 a chi lo ha

37 congredior, pereant agedum discrimina rerum: Dite risponde al presunto gesto di sfida di Giove invocando il caos universale, un tema

favorito dai poeti di età Flavia per il suo potenziale espressivo e sovversivo (Gruzelier 1993, 95; McNelis 2007, 129). L'autoesortazione al male (congredior) è tragica e senecana, vedi introduzione, xx s. Il verbo

pereo, convenzionale in esecrazioni di questo tipo (vedi Sen. Thy. 48 et fas

et fides / iusque omne pereat; TLL 10.1. 1331, 62ss.), si trova qui nella forma enfatica del congiuntivo esclamativo, rafforzato da agedum (altrove, invece, l'esclamativa è introdotta da ut e il soggetto è espresso da un enunciato relativo [ut pereat qui ...], vedi TLL cit. 1332, 2ss.). discrimina

rerum evoca, in primo luogo, la dissoluzione dei confini naturali (Luc.

Bell. Civ. 4. 104s. rerum discrimina miscet / deformis caeli facies iunctaeque

rupissent elementa fidem), che si precisa qui come rimescolamento di Cielo e Inferi (vedi Verg. Aen. 12. 204s. non si tellurem effundat in undas / diluvio

miscens caelumque in Tartara solvat; Theb. 4. 507ss. mixtos caelique Erebique

sub unum funestare deos libet; Sen. Thy. 831ss.; vedi anche Luc. BC 1. 72ss.), quasi una minaccia alla συμπάθεια del cosmo stoico (vedi Cic.

Diu. 2. 34; ND 3. 28). Concepita da Dite come replica ad un assalto fratricida, la dissoluzione dei discrimina rerum proclama anche la caduta dei confini tra bene e male e la conseguente esasperazione del furor bellico, di cui il dio citerà esempi concreti nella sezione profetica del proprio discorso (69ss.), ricordando gli sconvolgimenti del mondo della tragedia senecana, “a world where evil comprehensively deranges natural order” (Feeney 1991, 347).

38s. me tertia victum / deiecit fortuna: alla spartizione del cosmo fra i figli di Saturno, Dite ottenne in sorte il dominio sugli Inferi (Il. 15. 185ss.; Ov. Met. 5. 368; Fast. 4. 584; Serv. ad Aen. 1. 139). Dal punto di vista del dio, il gesto di imparzialità della Fortuna si presenta come imposizione violenta e l'assegnazione degli Inferi come una sconfitta: il dio si definisce victum (Henderson 1993, 174: “the dejected Cronian brother”; Feeney 1991, 350; vedi Sen. Thy. 805s. aperto carcere Ditis / victi); deiecit, che nel lessico militare indica precisamente la sconfitta (TLL 5.1. 397s.), nel descrivere l'allontanamento di Dite dall'Olimpo evoca altre grandiose cadute mitologiche (Fetonte: Varr. At. Fr. 10 Morel (fr. 10 Blänsdorf) tum te flagranti deiectum fulmine Phaeton; i Giganti: Verg. Aen. 6. 581 fulmine deiecti fundo volvuntur in imo; Saturno: Manil. Astron. 2. 932

deiectus et ipse / imperio quondam mundi solioque deorum; Ov. Met. 3 303 quo

centimanum deiecerat igne Typhoea), ma anche Polinice, precipitato dalla dignità regale alla condizione di esule a causa del fratello, vedi Theb. 1. 322 sedisse (Eteoclen) superbo deiecto iam fratre putat. Per la rilettura della tripartizione del regno di Saturno alla luce della vicenda tebana e l'assimilazione del ruolo di Dite a quello di Polinice nel conflitto fraterno vedi introduzione, xxv ss. Il tono recriminatorio di Dite è imitato in Claud. DRP 1. 99ss.: nonne satis uisum quod grati luminis expers / tertia

supremae patior dispendia sortis / informesque plagas, etc.

40s. diris quin pervius astris / inspicitur: l'apertura della terra espone gli Inferi allo sguardo ostile degli astri. diris quin è congetturato da Garrod, a partire dalle testimonianze discordi dei codici: dirisque in di P è privo di senso; ω legge, invece, dirisque en (DNtO diris en). Da un lato, l'uso enfatico di en sarebbe appropriato al tono dell'invettiva di Dite ed è spesso usato da Stazio in discorsi emotivamente connotati (esempi in

Theb. 9. 653, 828; 10. 354, 903; per la ricorrenza di en nell'epica vedi H-T s.v. II. 370; Gruzelier 1993, 277); d'altra parte, la correzione di Garrod,

palmare dal punto di vista paleografico, introduce elegantemente nel testo un bel tratto di lingua poetica, il quin intensivo in proposizione indipendente (LHS II. 676s., Prop. 2. 10. 15 India quin, Auguste, tuo dat

colla triumpho; Verg. Aen. 1. 279s. quin aspera Iuno, / quae mare nunc terras

… metu caelumque fatigat, con Austin ad loc.; vedi anche Harrison a Verg.

Aen. 10. 23s.). L'emendamento, minimo, conferisce alla dizione un'enfasi più ricercata e consolida l'efficacia retorica dell'argomentazione: quin stabilisce una relazione diretta fra l'antecedente negativo (nec iste meus) e l'ulteriore affermazione del dio, che corrobora le proprie recriminazioni citando un fatto (la penetrazione della luce agli Inferi) con valore di prova; per un uso analogo di quin vedi Theb. 1. 76ss. quin ecce superbi / …

nostro … funere reges / insultant; 8. 11; Verg. Aen. 10. 23s. quin intra portas

atque ipsis proelia miscent / aggeribus murorum. dirus, attributo comune di

luoghi e personaggi dell'Oltretomba (TLL 5.1 1270, 31ss.; canonico in

Seneca tragico, vedi ad esempio Sen. HF 56, 771, 1221), è interessato qui da un cambio di prospettiva: Dite proietta sugli astri una caratteristica del proprio regno. La violenza compiuta dai dira astra sul mondo infernale è visiva (inspicitur, vedi nota a v. 33; introduzione xxxiii ss.): per l'idea che la luce sia gettata con prepotenza dentro agli Inferi, vedi Ov. Met. 5. 357s. ne pateat latoque solum retegatur hiatu / immissusque dies

trepidantes terreat umbras.

41s.: l'ira del re degli Inferi si rivolge esplicitamente contro Giove. Dopo la breve parentesi narrativa che ricorda la tripartizione del cosmo (38- 41), una nuova interrogativa rilancia l'enfasi del discorso, introducendo “the attempt to guess the opponent’s state of mind” (un elemento tipico delle tirate retoriche, vedi Gruzelier 1993, 105): Dite si figura le intenzioni tiranniche di Giove e la sua arroganza nello sfidare il fratello mettendone alla prova le forze. tumidus (“inflamed with fury”, vedi

Theb. 7. 527 e Smolenaars ad loc.) regnator proietta sul dio olimpico l'immagine dello stesso Dite (vedi sopra, 21ss.; introduzione, xxviii ss.), primo accenno all'identità fra i due fratelli e alla somiglianza di entrambi ai tiranni terreni: il volto tirannico e oscuro del potere, dominante nell'universo epico di Stazio (Dominik 1994a, 82) travalica la distinzione tra sfera mortale e sfera immortale per assumere contorni universali.

41s. meas ... / explorat vires? SB “is ... spying out my strenght”, ma qui

vires=exercitus (OLD 2076, 24; in poesia, vedi Luc. Bell. Civ. 4. 723 ipse [scil. Iuba] cava regni vires in valle retentat; Val. Fl. Arg. 5. 284s. illinc non

viribus aequis / apparat Aeetes aciem), le truppe con cui Dite minaccia di assaltare i cieli, ovvero le schiere di Titani e Giganti, vedi infra.

forze al suo attivo, citando in primo luogo i Giganti, inchiodati in catene nel Tartaro, vedi Luc. Bell. Civ. 6. 665 et vincti terga gigantes; Sen. Thy. 805s. numquid aperto carcere Ditis / victi temptant bella Gigantes? vincula, complemento diretto di habeo, è separato con enjambement dalla specificazione Gigantum, un ordo verborum che ricorda la presentazione delle mostruose creature nel corrispondente quadro di Theb. 4. 534s.

solidoque intorta adamante Gigantum / uincula: l'attenzione per il particolare minuto e descrittivo (il materiale delle catene del mostro infernale, vedi anche Sen. HF 807s. monstri colla ... / adamante texto vincit), pertinente al tono descrittivo della necromanzia, è sostituita dalla menzione di un gesto energico (quassa), che traduce in azione la veemenza verbale di Dite. Le catene, scosse dai Giganti con prontezza quasi simultanea al richiamo del dio (iam quassa; ma vedi SB che intende

habeo iam etc.= “I have enough trouble on my hands”), esprimono l'impazienza incontenibile di fronte alla potenziale rivalsa sui celesti; il frastuono dei quassa vincula risponde all'enfasi dell'invettiva di Dite (simile effetto a Sen. Oed. 580s. ira furens / triceps catenas Cerberus movit

graves; per il clangore come sonorità infernale vedi 25 e nota). “The motif of freeing prisoners from the underworld to help in the overthrow of the current regime is seen in Jupiter's own overthrow of Saturn” (Fitch a Sen. HF 965-67): la minaccia di Dite accentua la sua somiglianza al fratello celeste.

43s. cupidos exire sub axem / Titanas: per il desiderio incontrollabile di violare l'ordine costituito (e attraversare lo Stige) vedi Verg. Aen. 6. 373

unde haec, o Palinure, tibi tam dira cupido?; 671 quae lucis miseris tam dira

cupido (il desiderio delle anime di tornare indietro). Per cupidus con infinito della cosa desiderata vedi TLL 4. 1426, 76ss.; Bömer ad Ov. Met. 14. 215 mortemque timens cupidusque moriri; tale costruzione dell'aggettivo piace a Stazio, che la adopera anche a Theb. 8. 728 (Tydea) cupidum bellare; 10. 457; 11. 686 cupidus parere satelles e Venini ad loc.; Silv. 1. 2. 85 inmiti

cupidum decurrere campo / Hippomenen; 2. 2. 11 flectere iam cupidum gressus. Qui, i Titani sono annoverati fra le forze in potere di Dite; in Esiodo, invece, essi si oppongono dal monte Othrys agli dei Olimpici: da notare Hes. Teog. 665 πολέμου δ' λιλαίετο θυμἐ ὸ dove la bramosia di battaglia ς, che qui appartiene ai Titani è attribuita agli dei celesti, contro i Titani. Per la conflazione nella poesia romana di Titanomachia, Gigantomachia e altri assalti agli dèi vedi N-R a Hor. Carm. 3. 4. 42-3; per la Gigantomachia nella poesia Romana vedi Williams a Theb. 10. 849s.

44 miserumque patrem: Saturno è incatenato agli Inferi (Il. 8. 478ss. ο δ'ὐ ε κε τ νείατα πείραθ' κηαι /γαίης κα πόντοιοἴ ὰ ἵ ὶ , ν' άπετός τε Κρόνοςἵ Ἰ τε / μενοι ο τ' α γ ις περίονος λίοιο /τέρποντ' ο τ' νέμοισι, βαθ ςἥ ὔ ὐ ῆ Ὑ Ἠ ὔ ἀ ὺ

δέ τε Τάρταρος μφίςἀ ; 14. 203ss., 273s.; Hes. Theog. 851; Aesch. Prom. 219ss.; Ov. Met. 1. 113; Cic. ND 2. 64) insieme ai Titani, ai quali “is naturally associated ... as their one-time leader and ruler” (Fitch a Sen.

HF 965-7 ); il miser pater, relegato nell'Ade, appare come una controfigura di Edipo, ansioso di fomentare la partita d'odio tra i figli: per Edipo miser, vedi Theb. 2. 435 non indignati miserum dixisse parentem

Oedipoden; 11. 607 vincis io miserum, vincis, Natura, parentem! La menzione di Saturno, bramoso di riscattarsi dalla sconfitta cosmica, ricorda la minaccia di Ercole, che promette di riaprire la lotta fra le generazioni divine qualora gli venga rifiutato l'accesso all'Olimpo, in Sen. HF 965ss.

vincla Saturno exuam / contraque patris impii regnum impotens / avum resolvam; bella Titanes parent, me duce furentem; vedi, ancora, Dite in Claud. DRP 1. 114 Saturni veteres laxabo catenas.

44s. otia maesta / … et implacidam quietem: l'intrusione di Giove impedisce a Dite il godimento del suo inospitale confino. Il dicolon

abundans, formato da due “oxymoric noun-adjective pairings” (Harrison a Verg. Aen. 10. 745-6), descrive la mestizia della torpida atmosfera infernale (per la quale vedi Theb. 2. 2ss. [Mercurio arriva nell'Ade]

undique pigrae / ire vetant nubes et turbidus implicat aer, / nec Zephyri rapuere gradum, sed foeda silentis / aura poli; Sen. HF 676 pronus aer urguet

atque avidum Chaos) accostando alla coppia otium / quiesque determinazioni peggiorative. maestus, pertinente nelle rappresentazioni degli Inferi (vedi TLL 8. 48, 47ss.; Culex 273; Ps.-Sen. HO 1705 maesta

nigri regna conterrent Iovis) capovolge il valore positivo di otia adattandolo a descrivere la plumbea atmosfera infernale (vedi già Sen.

HF 863 silentis / otium mundi) e ricorda che la sovranità sull'Ade causa a Dite disappunto e angoscia (TLL cit. 49, 6ss. per maestus=maerori

efficiens). Per implacidus=ingrato, irrequieto, vedi TLL 7.1. 626s.; il nesso

implacidam quietem ricalca, capovolgendoli in ossimoro, i pleonasmi del tipo placida quies (vedi Bömer a Ov. Met. 9. 469, per la frequenza della

iunctura), tranquilla quies (Luc. Bell. Civ. 1. 250; Sen. Tr. 993, Hillen 1989, 7), sul modello di Verg. Aen. 4. 5 nec placidam ... quietem (il sonno agitato di Didone); 9. 187; vedi anche Theb. 5. 244 fremibunda quies; per

quies=“absence of activity, idleness, inaction” vedi OLD 1386, n.4: l'inesorabile immobilità del regno infernale è intollerabile per il dio inquieto. L'inquietudine di Dite è poi imitata in Claud. DRP 1. 109ss. ast

ego deserta maerens inglorius aula / inplacidas nullo solabor pignore curas? / non adeo toleranda quies (dove quies può essere inteso sia come “sottomissione, obbedienza” alla condizione di scapolo, sia come la triste quiete di una dimora regale priva di una consorte e, possibilmente, di eredi). I due nessi ossimorici richiamano per contrasto non solo le immagini di vita serena e ritirata a cui si riferiscono di norma i rispettivi

nomi (TLL 9.2. 1180, 65ss.; per la tranquilla quies e gli otia del ritiro vedi Verg. Georg. 2. 467ss.; Silv. 3. 5. 85 pax secura locis et desidis otia vitae et

numquam turbata quies; Sen. HF. 159s., 175 e Billerbeck ad loc.), ma anche, più specificamente, il placido otium della divinità epicurea (vedi Cic.

Nat. Deor. 1. 51; Lucr. DRN 2. 1093s. pro sancta deum tranquilla pectora pace

/ quae placidum degunt aevum vitamque serenam; Sen. ep. 73, 11 quanti

aestimamus hoc otium quod inter deos agitur; Traina 1965, 74ss.). otium fa anche pensare al regno di Plutone come ad una nuova e oscura versione del pigro regno di Saturno (Claud. DRP 3. 20ss. saturnia … / otia et ignavi

senium cognovimus aevi; / sopitosque diu populosque torpore paterno), la cui inattività lo aveva fatto oggetto della disapprovazione e dell'assalto di Giove: vedi Verg. Georg. 1. 121ss.; Val. Fl. 1. 500 patrii neque … probat otia

regni; per la disapprovazione di Giove e il suo desiderio di eliminare “the idleness of his father reign”, vedi Hardie 1993, 83; Feeney 1991, 330- 5; Gruzelier a Claud. DRN cit. impacidam quietem, infine, introduce sullo sfondo della rappresentazione di Dite le ansie del potere, che accomunano il dio ai sovrani terreni, vedi Sen. Ag. 60 numquam placidam

sceptra quietem / certumve sui tenere diem? Il gioco di nozioni contrastanti si completa con perfero, propriamente “to suffer or submit to (hardships), endure, undergo” (OLD 1337s., n. 7): Dite sopporta a fatica i propri

otium quiesque.

46 amissumque odisse diem: la nostalgia di Dite per il giorno perduto (vedi 33 e nota ad loc., introduzione, xxv s.; per dies=sol caelum solis

splendor, vedi TLL 5.1. 1027, 56ss.; Bömer ad Ov. Met. 5. 536ss.; il sostantivo è sempre maschile in Stazio al di fuori del nominativo, vedi Fraenkel 1917, 67) diventa apertamente odio. amissum diem ricorda che Dite non appartiene più al mondo superiore (Theb. 11. 446 amisso veniet

in Tartara caelo) e identifica il dio con i defunti sui quali regna, per antonomasia “coloro che hanno perso la luce”, vedi CLE 496. 3 amisi

lucem; Cic. Dom. 105; CLE 902. 2 credite victuras anima remeante favillas /

rursus ad amissum posse redire diem; 466. 3 rapta est mihi lux gratissima vitae; interessante anche l'uso di amitto per descrivere il confino in Acc. tr. fr. 543 Dangel (275 Ribbeck2) ita et fletu et tenebris obstinatus speciem amisi

luminis / conspiciendi insolentia (Eneo rievoca la prigionia e le tenebre inflittegli dal fratello Agrio). Dite escluso dalla luce del giorno ricorda Edipo eiectus die (Theb. 4. 617; SB: “cast out from the light of day”) e suggerisce l'accostamento fra la perdita del giorno del dio e la cecità del sovrano, vedi Theb. 1. 236-8 ille … / proiecitque diem, nec iam amplius

aethere nostro / vescitur e introduzione, xxxi ss.

47 Stygio praetexam Hyperiona caelo: Dite minaccia di velare il sole con il cupo cielo infernale. L'oscuramento del giorno celeste (un'altra

violenza di natura ottica) è ricorrente per significare il totale sconvolgimento del cosmo, vedi Sen. Oed. 35 obtexit arces caelitum ac

summas domos / inferna facies (la peste a Tebe); imitazione in Claud. DRP 1. 115s. obducam tenebris solem, compage soluta / lucidus umbroso miscebitur

axis Averno. Hyperion è detto del sole già a Od. 1. 24; Il. 19. 398; vedi anche Roscher LM I 2, 2842; Bömer ad Ov. Met. 15. 406s.

49 itque reditque domos: l'interrogativa parentetica descrive