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itque reditque domos: l'interrogativa parentetica descrive l'incessante movimento di Mercurio tra le dimore celesti e quelle

quality, the witnessing of which brings some kind of satisfaction and pleasure” (Theb 1 86 quod cupiam vidisse nefas) 105 a chi lo ha

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infernali (Van Dam a Silv. 2. 1. 189-90; N-H ad Hor. Carm. 1. 10. 19 con bibliografia sulle fonti; Richardson a Hymn. Dem. 334ss. con bibliografia sulla tradizione figurativa che riguarda la funzione del dio come intermediario fra Cielo e Inferi). La sequenza dattilica itque reditque, per la quale vedi già Verg. Aen. 6. 121s. si fratrem Pollux alterna morte

redemit / itque reditque viam totiens (Polluce che fa avanti e indietro fra la terra e l'Ade), imprime al verso rapidità e scioltezza colloquiali, ma, rispetto alla raffinata sfasatura di pause metriche e sintattiche che comporta, nel modello virgiliano, l'isolamento dell'anapestico totiens al centro del verso (vedi Austin ad loc.), Stazio, più regolarmente, arresta lo slancio della sequenza sull'incisione mediana, facendolo coincidere con la fine della parentetica. L'andare e venire di Mercurio è identico a quello di Tisifone, vedi Theb. 1. 101s. neque enim velocior ullas / itque

reditque vias cognatave Tartara mavult, e fa parte dei continui scambi fra cielo e Inferi che caratterizzano l'azione del poema; l'immagine è poi applicata da Silio all'incessante andirivieni della morte, vedi Pun. 13. 560s. Mors ... / itque reditque vias et omnis portibus errat.

49s. utrumque tenebo / Tyndariden: Polluce, immortale, si alternava nell'Oltretomba al gemello Castore, mortale e figlio di Tindareo, vedi

Od. 11. 303s.; Luc. Dial. Mort. 10. 1; Servio a Verg. Aen. 6. 121.

50ss.: “the punishment of the great sinners ... forms a standard element of an inferorum descriptio ... and indeed is a favourite locus in Sen. Trag.”

(Zwierlein 1966, 186ss.). Issione e Tantalo costituiscono

progressivamente, insieme a Tizio e Sisifo, un vero e proprio canone di peccatori, vedi N-H ad Hor. Carm. 1. 18. 8; Fedeli a Prop. 1. 9. 20; Tarrant a Sen. Ag. 15ss. Nel discorso di Dite, l'elenco di peccatori fornisce anche gli exempla mitologici a sostegno dell'argomentazione del dio, distribuiti in quattro coppie: due dei e/o semidei in continuo movimento fra sfera superiore e sfera inferiore, che Dite minaccia di trattenere presso di sé (Mercurio e Polluce); due peccatori; quattro violatori degli Inferi (suddivisi in coppie: Teseo e Piritoo; Ercole e Orfeo), la categoria in cui rientra, secondo Dite, Anfiarao. Per il catalogo di precedenti mitologici

della catabasi, “to Statius … virtually de riguer”, vedi Vessey 1973, 263; per la funzione probatoria dell'exemplum, vedi Quint. Inst. 5. 11. 6; Austin a Verg. Aen. 6. 119ss.; per la tendenza di Stazio a costruire gli esempi mitologici in paia vedi Silv. 2. 1. 88ss.; 6. 25ss. e la nota di Van Dam a Silv. 2. 1. 184-8.

50s. avidis Ixiona frango / verticibus: come pena per avere attentato alla virtù di Giunone, Issione è legato a una ruota che gira eternamente su sé stessa (Verg. Georg. 4. 484; Sen. HF 750; Theb. 4. 539 caligantem longis

Ixiona gyris; Smith a Tib. 1. 3. 73-4; Austin a Verg. Aen. 6. 601); egli è ricordato fra i dannati dell'Oltretomba per la prima volta in Apoll. Rhod.

Arg. 3. 62 (in precedenza, la ruota era sospesa in aria, vedi Pind. Pyth. 2. 21). avidus si riferisce alla velocità caratteristica dello strumento di castigo (Sen. Phaed. 1236s. haec incitatis turbinibus ferat / nusquam resistens

orbe reuoluto rota; Thy. 8 aut membra celeri differens cursu rota; vedi Tarrant a Sen. Ag. 15s., con paralleli) e richiama la voracità implacabile di Ade e del suo regno (Sen. Oed. 164s. Mors atra auidos oris hiatus / pandit; 408ss.; Sen. Ag. 751 avidique regna Ditis; esteso alle pene del Tartaro già in Sen.

Ag. 18 ubi tondet ales avida fecundum iecur). La combinazione dell'aggettivo con vertex (=ruota, un significato che compare per la prima volta in Stazio, vedi OLD 2042) suggerisce, soprattutto, l'immagine del “gorgo/vertice che con azione rapida e implacabile sembra inghiottire la vittima” (Rosati) e rimanda a Verg. Aen. 1. 116s.:

illam ter fluctus ibidem / torquet agens circum et rapidus vorat aequore vertex. La descrizione del castigo si distingue per la forte espressività barocca.

51 cur non expectant Tantalon undae? Tantalo è condannato a fame e sete eterne (vedi Od. 11. 583ss.; nella poesia latina i due supplizi sono spesso combinati, vedi Theb. 6. 280s. Tantalus inde parens, non qui

fallentibus undis / inminet aut refugae sterilem rapit aera silvae) o alla perenne minaccia di una roccia pendente sopra il suo capo (vedi Smith a Tib. 1. 3. 77-8; Tarrant a Sen. Ag. 19ss.). Descrivendo qui il supplizio, Stazio propone una rappresentazione umanizzata della natura: il movimento delle undae, soggetto dell'azione, sembra rispondere a una sorta di autodeterminazione, come suggerisce l'impiego di expectant, che presuppone nel soggetto capacità di scelta e volizione. Il modello è Sen.

Thy. 169ss. stat miser obuios / fluctus ore petens, quos profugus latex / avertit

sterili deficiens uado / conantemque sequi deserit, con Tarrant ad loc.: “the water possesses a will that overrules its natural course”.

52s. anne profanatum totiens Chaos hospite vivo / perpetiar? la catabasi è un oltraggio alla sacralità dell'Ade da parte di creature ancora viventi: il concetto è espresso in termini generali prima di essere

illustrato dai quattro exempla mitologici (vedi nota a 50ss.). L'ordine delle parole rispecchia lo slancio patetico del discorso: totiens, al centro del verso, serrato tra due pause metriche (il modello per la disposizione dell'avverbio è Virgilio, vedi nota a v. 49) e incorniciato dalla coppia participio-sostantivo a cui si riferisce, pone la massima enfasi sulla frequenza e la ripetitività della catabasi, evento – ed episodio epico - che è oggetto delle lamentele di Plutone. Il verbo principale perpetiar, allitterante (in p e in t) e in enjambement, catalizza la tensione del verso precedente, sottolineando il doloroso risentimento del dio costretto a subire la continua violazione del proprio regno. Per l'ablativo semplice che esprime la nozione d'agente, poetico, vedi K-S II.1, 378; in Stazio, vedi Silv. 4. 4. 27 nimio possessa Hyperione; 5. 2. 101 succintaque iudice

multo; Ach. 1. 497 ora possessa deo; 607s. Dite inquadra (erroneamente) la discesa di Anfiarao nella cornice offerta dal patrimonio mitico tradizionale, rivelando una comprensione distorta dell'evento e manifestando, di conseguenza, una reazione inappropriata, vedi introduzione, vi ss.

53s. Pirithoi temerarius ardor / temptat: Piritoo, re dei Lapiti, figlio naturale (Ov. Met. 12. 210; Ps. Apollod. Bibl. 1. 8. 2) o putativo (Il. 14. 317s.) di Issione, era disceso agli Inferi con l'intento di sedurre Persefone: Stazio lo presenta come il principale responsabile dell'empia azione (vedi nota seguente). Il lungo aggettivo temerarius è di gusto ovidiano, vedi Ov. Met. 5. 8; 8. 824; Fast. 2. 751; Tr. 4. 3. 63; Mart. Epigr. 6. 25. 5

causa sit ut virtus nec te temerarius ardor; per ardor con il genitivo soggettivo vedi TLL 2. 490 81ss., 491; Hor. Carm. 3. 3. 2 civium; Ov. Met. 8. 469 cumque ferus lacrimas animi siccaverat ardor. L'allitterazione in t imprime al verso una cadenza appropriata alla durezza delle recriminazioni di Dite.

54 audaci Theseus iuratus amico: caratteristiche di Piritoo sono