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oro, minas stimulataque corda remulce: prima di implorare clemenza (94 e nota ad loc.), Anfiarao invita il suo interlocutore ad

quality, the witnessing of which brings some kind of satisfaction and pleasure” (Theb 1 86 quod cupiam vidisse nefas) 105 a chi lo ha

93 oro, minas stimulataque corda remulce: prima di implorare clemenza (94 e nota ad loc.), Anfiarao invita il suo interlocutore ad

acquietarsi. corda remulcere (ripreso nell'invocazione finale: vedi 119 sed

pectora flectas) è analogo a espressioni come pectora mulcere (fin da Lucr.

DRN 5. 1317, 1390; Verg. Aen. 1. 153, 197; 5. 464, 816; Val. Fl. Arg. 1. 299

turbataque pectora mulcet [Iason] e Kleywegt ad loc.), che indicano l'effetto lenitivo di parole e/o lacrime sugli stati di eccitazione emotiva; mulceo è sostituito dal raro composto remulceo (prima di Stazio, solo in Verg. Aen. 11. 811ss. caudam remulcens, dove indica concretamente l'abbassamento della coda): il preverbo esprime, con condiscendenza rispetto ai toni dell'invettiva, l'idea che Dite dovrà compiere sforzi intensi e ripetuti per dominarsi, poiché la sua ira è molto grande; notevole è la ripetizione della littera canina fra inizio e fine di verso (sator oro … corda remulce). oro è una formula precandi colloquiale che intensifica l'imperativo: vedi LHS II 472s.; Fortgens a Theb. 6. 170s.

94 neve ira dignare hominem: per dignor con accusativo della persona a cui si concede e ablativo della cosa concessa, vedi Theb. 2. 686 consilio

dignata (scil. Tritonia virgo) virum; Verg. Aen. 2. 335; Val Fl. Arg. 1. 56

deferente dell'invocazione, l'ira del dio è presentata come un privilegio dal quale il vate chiede di essere escluso: insieme al garbo dell'espressione, la richiesta formale di clemenza non è priva di ironia.

ne/neve e l'imperativo (in luogo del congiuntivo; è un grecismo, modellato sulla proibizione di valore positivo: vedi Wackernagel 1926, 214ss.; Ronconi 1959, 150), per esprimere proibizione o divieto (specie con i verba affectuum: vedi LHS II 340) ovvero l'invito ad astenersi da un'azione o da un sentimento già in essere (Ernout-Thomas 1953, 233s.), è una movenza della lingua arcaica e colloquiale, introdotta nell'epica da Virgilio, vedi Aen. 6. 697s. da iungere dextram / ... teque amplexu ne subtrahe

nostro; Aen. 2. 48 equo ne credite, Teucri e Austin ad loc.; Servio ad Aen. 6. 544; Wackernagel cit., 214. neve, che coordina la frase al primo imperativo affermativo (remulce), in luogo del comune nec (ad esempio, Cic. ad Att. 12. 22. 3 habe tuum negotium ... nec existima), è una concessione alla maggiore libertà della lingua poetica (LHS, cit.).

95ss.: Anfiarao distingue la propria discesa agli Inferi dalle catabasi di Eracle e Teseo. I precedenti mitologici sono citati per legittimare la presenza del vivente agli Inferi anche da Orfeo (Ov. Met. 10. 21ss.) e dalla Sibilla (Verg. Aen. 6. 119ss.); come nella perorazione della Sibilla rispetto ai precedenti citati da Caronte, qui i modelli di catabasi rispondono a distanza agli exempla mitologici elencati da Dite, confutandone la pertinenza rispetto all'episodio (rivendicata invece dal dio); inoltre, essi contribuiscono a delineare la cornice epica di riferimento per la discesa del vate, vedi le note a 53ss.; introduzione, v ss. La probatio (nei discorsi a scopo persuasivo, la citazione di esempi a sostegno dell'argomentazione) si colloca, in genere, dopo l'esposizione dei fatti (narratio, qui ai vv. 104ss.), ma nel discorso di Anfiarao è anticipata, sull'onda della veemente minaccia di Dite (vedi Dominik 1994b, 118s.) che impone con urgenza di fornire le dovute giustificazioni e di mostrare disponibilità al chiarimento: per il carattere emotivo del discorso a scopo di giustificazione vedi Hofman-Ricottilli 1985, 264; Hofmann-Oniga 2002, 72s. I due enunciati parentetici (vedi nota seguente) indicano nel dettaglio le differenze fra la discesa agli Inferi di Anfiarao e i precedenti mitologici; per la parentesi in Stazio, vedi Brinkgreve ad Ach. 1. 309; per la parentesi nel discorso diretto epico, introdotta da Virgilio, vedi Austin a Verg. Aen. 6. 399; Horsfall a Verg.

Aen. 11. 408: essa è un tratto espressivo e colloquiale che rafforza l'argomentazione, rivendica la credibilità del parlante e contribuisce alla vivacità della scena. Qui, la presenza di due parentetiche in due versi successivi conferisce un'armonica ripetitività alla costruzione retorica della probatio: collocate a breve distanza una dall'altra, le due parentesi occupano la medesima posizione nel verso (dopo la cesura

pentemimera), in sé relativamente rara (un esempio a Verg. Aen. 9. 465s.

quin ipsa arrectis (visu miserabile) in hastis / praefigunt); ciascuna contiene un dimostrativo con valore deittico che segnala il legame tra il segmento parentetico e il contesto e sottolinea la concreta evidenza degli argomenti addotti da Anfiarao.

95 ad Herculeos (unde haec mihi pectora?) raptus: Ercole era disceso agli Inferi per riportare Cerbero sulla terra, vedi nota a 55s. ad e l'accusativo in luogo del dativo finale per indicare lo scopo di intramus (97) si trova già in Vitr. 10. 2. 14 ut ad solvendum non esset (con gerundio); vedi TLL 1. 557, 78s.; LHS II 220; Löfsted 1942, I 187ss. L'interrogativa parentetica, usata dai poeti con parsimonia (ma vedi v. 100; esempi in Verg. Aen. 4. 296 at regina dolos (quis fallere possit amantem?); Aen. 12. 798), qui serve ad Anfiarao per negare che anch'egli possegga l'audacia propria degli assalitori degli Inferi. pectora, tramandato da ω (Pt hanno

proelia, per il quale vedi infra) e preferito da Hill (vedi anche Håkanson 1973, 55), indica non solo l'audacia di spirito e pensiero necessaria per concepire un assalto agli Inferi (SB: “how could I think of such”), ma anche l'ardimento e la prontezza d'azione propri di chi intraprende un'azione violenta e/o bellicosa: tutto ciò Anfiarao nega di possedere. In Stazio, pectora vale più volte “animo, coraggio per compiere un'azione ardita” (Theb. 5. 282-3 unde manus, unde haec Mauortia divae / pectora?; 12. 591s. non haec ego pectora liqui / Graiorum abscedens); il termine si è ormai affrancato dal suo significato concreto: inizialmente, pectus/pectora è associato per metonimia ad immagini che enfatizzano il coraggio, in contesti bellici, vedi Aen. 2. 348s. iuvenes, fortissima frustra pectora; Aen. 8. 150s. sunt nobis fortia bello / pectora, sunt animi; Aen. 9. 249s.; in seguito, con Ovidio, si registra l'uso di pectus per indicare il coraggio come dote in senso astratto, vedi Ov. Met. 13. 289ss. ut caelestia dona, / artis opus

tantae, rudis et sine pectore miles / indueret? Seguendo la traccia ovidiana, Stazio estende al plurale pectora il senso di ”coraggio”, modellato sui termini che indicano disposizioni dell'animo (amores, irae, metus: vedi Löfsted 1942, I. 44; Landgraf 1906, 74): qui pectora sintetizza, amplificandola, l'imponenza e la grandiosità dell'impresa di Ercole a cui Anfiarao paragona, in negativo, la propria. Per la comodità metrica del plurale vedi Norden ad Aen. 6, app. V; Löfsted cit. 46. Per haec=tales vedi

Theb. 3. 151 hosne ego complexus genetrix, haec oscula, nati; 369: gli episodi di audacia a cui Anfiarao allude assumono valore di prova evidente e concreta per il dio (vedi il corrispondente 96 his insignibus). La variante

proelia (“da dove per me simili battaglie?”) conservata da Pt, introduce una ridondanza rispetto agli Herculeos raptus della frase principale e priva il contesto del riferimento all'audacia blasfema su cui Anfiarao insiste (direttamente, vedi 96 inlicitam, ausi; e per contrasto: egli è pius:

vedi 94, 101, 116). La sequenza fonica e sintattico-lessicale che si determina con proelia (unde haec mihi proelia) ricorda, inoltre, il secondo emistichio del v. 36 uter haec mihi proelia (fratrum), relativamente vicino nel testo, e suggerisce che un'eco rimasto nell'orecchio del copista possa essere all'origine della variante; in alternativa, per la vicinanza a

raptus=“assalto, scontro” (di Ercole contro il dio), proelia potrebbe essere una glossa penetrata nel testo. Per Ercole come prototipo dell'eroe che esplora e supera ogni limite vedi Hardie 1993, 66s.

96 venerem inlicitam (crede his insignibus) ausi: Anfiarao cita