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CONOSCERE IL PASSATO PER SALVARE IL FUTURO

TRA MONDO ANTICO E MONDO MODERNO

2.1 CONOSCERE IL PASSATO PER SALVARE IL FUTURO

Alla luce di tutto quello che era stato già proposto, spiegato e ribadito da Penty in diversi articoli sul The New Age, nel 1920, egli interpreta la storia dal punto di vista del movimento, dando così per la prima volta al socialismo delle gilde una propria identità78.

Egli fa degli eventi passati il filo conduttore per affrontare il problema sociale degli inizi del Novecento, nella convinzione che essi andranno ad influire nel futuro sia da un punto di vista positivo, sia negativo. E ancora una volta, egli enfatizza il Medioevo come epoca ideale al quale la società dovrà ispirarsi.

«E’ studiando il passato alla luce delle esperienze del presente e il presente alla luce del passato che noi possiamo ottenere una migliore comprensione tanto del presente che del passato»79. Lo studio del passato è importante affinché gli errori già verificati

78 Nel 1918 Penty aveva già pubblicato sul settimanale The New Age parte dei capitoli.

79 A. J. PENTY, A Guildsman’s Interpretation of History, George Allen & Unwin LTD, Londra, 1920,

39 precedentemente non vengano replicati nel futuro e la conoscenza di ciò che è stato possa servire a migliorare ciò che sarà.

Non è questo il pensiero isolato di Penty. Tanti altri filosofi dell’epoca lo condividevano, ad esempio G. K. Chesterton che scrisse: « il passato è come un gigante

con i piedi rivolti verso di noi, talvolta questi piedi sono di argilla […] ritengo che la storia inglese sia travisata»80.

Chesterton, così come Penty, riteneva il Medioevo l’età dell’oro per il popolo inglese, vedeva l’epoca come il trionfo di un individuo libero, e anch’egli volle raccontare la vera storia dell’Inghilterra senza falsi o pregiudizi.

All’esperienza del passato andava perciò restituita la giusta importanza. Penty lo rivendica con questa precisazione:

«Alcuni aspetti dell'industrialismo sono nuovi al mondo, e il passato non ci offre una soluzione pronta per essi, ma per capirli è necessario conoscere i principi medievali, perché i problemi medievali come quelli del diritto e della moneta, dello Stato e delle Gilde, stanno dietro all'industrialismo e hanno determinato il suo sviluppo peculiare»81.

In questa trattazione e ricostruzione storica, risultano marcate due critiche: la prima nei confronti dei socialisti, in quanto Penty non solo non condivide la loro concezione materialista ma li accusa di ignoranza storica perché offrivano un’immagine distorta del passato. I socialisti, non essendo a conoscenza della storia Medievale, si approcciavano

80 G. K. Chesterton, A short History of England, Chatto & Windus, London,1919, p. 173 81 Penty, A Guildsman’s Interpretation of History, cit., p. 5

40 con pregiudizi a questo periodo considerato come l’incarnazione della tirannia, della superstizione e della chiusura mentale, non a caso come “l’Età Buia”:

«Prendi in considerazione il modo in cui la parola Medioevo viene usata nella stampa quotidiana. In certi scrittori vi è l’abitudine a designare come medievale qualcosa che essi non capiscono o non approvano, indipendentemente dal fatto che sia effettivamente esistita nel Medioevo o meno»82.

Questo porta l’individuo a prendere le distanze dal passato, falsando gravemente la storia. Così Penty suggerisce un’unica soluzione per liberare l’uomo dai pregiudizi e dall’ignoranza: lo studio. Solo così l’individuo verrà a conoscenza dei veri fatti del passato e inoltre capirà che non è il Medioevo ma ciò che pone fine al Medioevo, la reintroduzione del diritto romano83, a produrre la nascita di quello che viene definito lo Stato Servile.

L’altra critica riguarda più particolarmentele teorie marxiste e coloro che le interpretano in modo errato: «le teorie sono false non a causa di ciò che dicono ma a causa di ciò

che lasciano intendere. Tali teorie, oggi, hanno credito perché il capitalismo ha minato tutte le grandi tradizioni del passato»84.

82

Ivi, cit. p. 85

83 Il diritto romano rimase in vigore fino alla caduta dell’Impero Romano a causa delle invasioni

barbariche. Venne poi ripristinato nel XVI secolo. In tutto questo tempo non scomparve del tutto ma di esso venne utilizzata solo una piccola parte. In proposito, A. Guarino, Storia del diritto romano, Editore Jovene, Napoli, 1990.

41 L’analisi di Marx è, a parere di Penty, approssimativa per quanto riguarda i temi fondamentali. In concreto, egli comprese l’avvento di una forma di capitalismo già nell’Inghilterra del XVIII secolo ma non considerò i vari cambiamenti psicologici che gravavano sulla società conseguenti alla concorrenza sleale e spietata non solo tra industrie, ma soprattutto tra nazioni85. D’altra parte, con Marx, Penty condivideva diversi temi del lavoro: condannava l’alienazione dell’operaio all’interno della grande industria moderna; era favorevole al governo della classe del proletariato anche se, a suo parere, il fine ultimo del socialismo non doveva essere raggiunto necessariamente per via rivoluzionaria86. Non solo, ma Penty a differenza dei fabiani, riconosceva che Marx aveva avuto ragione a prevedere che il capitalismo, sotto un sistema di macchinari competitivi, avrebbe portato ad una grande e sempre più crescente massa di disoccupati, provocando la sua stessa crisi87.

Ma andiamo per gradi: Penty nella sua ricostruzione prende in esame un periodo molto vasto che va dal VII secolo a.C. fino alla situazione dell’Inghilterra contemporanea, con l’intento di dare giusto rilievo ai fatti storici utili a una interpretazione del passato coerente con il fine della restaurazione del sistema delle gilde.

85 Ivi, pp. 6-12

86 Per ulteriori approfondimenti vedere K. Marx, F. Engels, Manifesto del Partito Comunista, Einaudi,

Torino, 2005”

42

2.2 ANTICHE CIVILTA’ E PRIMI PROBLEMI ECONOMICI

Nel mondo antico, il commercio avveniva in modo naturale tramite il baratto, e lo scambio si considerava concluso nel momento in cui entrambe le parti entravano in possesso dei beni dell’altro.

A partire dal VII secolo a.C., vi fu una svolta fondamentale per l’economia, in quanto l’individuo per l’acquisizione di una merce non doveva più cedere un proprio bene ma doveva utilizzare i metalli; vi fu quindi l’introduzione della moneta come vero e proprio sistema di pagamento e unità di conto. Da qui nacque una concezione materiale della vita legata al guadagno88.

Quest’evoluzione comportò una serie di stimoli all’acquisto e della vendita dei beni e conseguentemente lo sviluppo del commercio estero. Importante fu anche la specializzazione del lavoro artigiano e delle arti in genere, a cui per altro si accompagnarono anche aspetti negativi89:

«Insieme a indubbi vantaggi che una moneta fissa ha portato con sé, è venuto un male ignoto alla società primitiva, il problema economico. L'introduzione di una moneta ha creato una rivoluzione economica, comparabile solo a quella che ha seguito l'invenzione del motore a vapore in tempi più recenti»90.

88 Penty, A Guildsman’s Interpretation of History, cit., p. 14 89 Ivi, p. 13

43 Vi fu dunque una rivoluzione nell’assetto economico e nella struttura stessa della società, anche perché proprio in questo periodo nacque la proprietà privata sulle terre:

«La società greca si divise in due classi distinte e ostili, da un lato vi erano i proprietari terrieri prosperosi, i mercanti e coloro che prestavano il denaro, dall’altro vi erano i contadini che si trovavano in debito con loro. Fino a quel momento nessuno aveva mai pensato di rivendicare la proprietà privata della terra, che non era mai stata trattata come merce da acquistare e vendere»91.

Prima dell’introduzione della moneta i terreni venivano tramandati di generazione in generazione: «ma ora un male ha cominciato a fare la sua apparizione ed è stato

determinato dall’azione degli usurai che hanno iniziato a prendere possesso della terra come sicurezza per il rimborso dei prestiti»92. In altri termini il contadino fu costretto a vendere le proprietà in cambio di denaro, utile per il sostentamento di tutta la famiglia. Nacque una nuova figura, quella degli “specialisti finanziari”, che altro non erano che i commercianti: «Sapevano meglio del contadino il valore di mercato delle cose, e quindi

trovarono poca difficoltà a trarne vantaggio. A poco a poco sono diventati ricchi e i contadini i loro debitori»93. La mancanza di regolamentazione della moneta portò

sempre più all’individualismo e alla fine della proprietà comune.

91Ivi, p. 14

92 A. J. Penty, I. Greece and Rome, in: «The New Age», vol. 24 , n. 1 , 1918, p. 5 93 Penty, A Guildsman’s Interpretation of History, cit. p. 14

44 La solidarietà all’interno della comunità spariva lentamente. Così i legislatori delle civiltà antiche cercarono di risolvere il problema economico e sociale con l’introduzione di una soluzione azzardata e non appropriata: la limitazione dell’uso della moneta. Si creò comunque un gap marcato nelle società: da un lato, vi era una minoranza che possedeva la maggior parte del capitale; dall’altro, la gran parte della popolazione, il proletariato, ormai privo di proprietà. Per il quale l’unica soluzione possibile fu quella di lavorare per quella plutocrazia che soppiantò il potere dell’aristocrazia religiosa fino ad allora al governo a Roma e in Grecia.

E’ così che il capitalismo mise le proprie radici94

: « La sottomissione economica portò a

sconvolgimenti politici, lotte e ribellioni. […] Questo stato di cose andò dalla guerra del Peloponneso fino alla conquista romana che pone fine ai disordini politici»95. La

guerra del Peloponneso comportò disoccupazione e instabilità nel sistema sociale di tutti gli Stati della Grecia, mentre a Roma, con la fine delle guerre civili e con il trionfo di Augusto, vi fu il passaggio dalla Repubblica all’Impero, con il conseguente avvento di una forma di dominio rigoroso:

«Anche se le riforme di Augusto mantennero l'Impero per secoli, lo mantennero a scapito della sua vitalità, perché ciò che Augusto ha introdotto è essenzialmente quello che in questi giorni chiamiamo Stato Servile. Ha mantenuto l'ordine minando l'indipendenza e l'iniziativa dei cittadini»96.

94 Ivi, p. 19

95 Penty, I. Greece and Rome, cit., p. 5

45 Affinché il controllo governativo potesse estendersi in tutto l’Impero, vennero peraltro creati i Collegia97, che vanno nella direzione contraria, di passaggio da un potere

centralizzato ad uno decentralizzato.

I Collegia erano società organizzative divise in base al tipo di mestiere e destinati ad assumere funzioni di dominio pubblico, con garanzia di sostegno nei confronti dei lavoratori e di tutta la popolazione, a cui veniva garantita una fornitura adeguata di cibo. Penty è tentato di considerare i Collegia come un’anticipazione delle gilde medievali, ma le poche informazioni di cui riconosce di disporre non gli consentono alcuna certezza98.

Nell’Impero poi, vigeva il Diritto Romano:

«l'obiettivo della legge romana, diversamente dalla legge greca, non era quello di garantire la giustizia, ma di rafforzare una società corrotta nell'interesse dell'ordine pubblico. La moneta non controllata ha portato al capitalismo dando origine a disordini sociali, il Diritto Romano cercò di legalizzare ingiustizie per preservare l'ordine. Non era interessato a principi morali. Il suo scopo non era, come il diritto

97

I Collegia erano associazioni di individui che nacquero durante l’Impero di Augusto. Avevano una personalità giuridica di diritto privato e perseguirono prevalentemente due finalità: finalità sociali, tra l’altro occupandosi dell’organizzazione funeraria dei membri; finalità professionali, occupandosi delle arti e mestieri. Successivamente Augusto con una legge sciolse tutti i Collegia esistenti tranne quelli di vecchia costituzione e ne creò nuovi con un unico obbiettivo: svolgere una funzione di pubblica utilità. Cfr. C. Sanfilippo, curato e aggiornato da A. Corbino, A. Metro, Istituzioni di Diritto Romano, Rubbetti Editore, Soveria Mannelli, 2002, pp.63-64

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medievale, di permettere agli uomini buoni di vivere tra i cattivi, ma per permettere ai ricchi vivere tra poveri»99.

La società romana sconta così quella deriva materialistica che Platone aveva già previsto e che solo nel Medioevo sarebbe stata riscattata con l’istituzione del sistema della gilda, con la proibizione della contrattazione, e con l’attuazione del prezzo fisso100.

La causa finale che portò al fallimento delle civiltà antiche fu la devozione alla filosofia pagana come modello di vita, e più in generale il confronto tra paganesimo e buddismo, due vie di approccio alla fede e quindi stili di vita differenti. Nel caso del paganesimo vi era l’esortazione degli uomini a conquistare il mondo; mentre i buddisti sostenevano la rinuncia ad esso sulla base della negazione di aspetti di civiltà materiale e non morale. Due principi contrastanti ma entrambi destinati al fallimento101.

Le società dovevano rinascere e dovevano affrontare i problemi con un’altra concezione di vita. Finì il dualismo religioso nel momento in cui si diffuse un modo differente di pensare grazie al cattolicesimo con nuovi principi morali basati sulla salvezza dell’uomo e sulla sua felicità futura. Questo coincise con la distruzione dell’Impero Romano a causa delle invasioni barbariche102, con la chiusura del periodo antico, e con l’avvio dell’ equilibrio sociale di una nuova era: il Medioevo.

99 Ivi, cit. p. 32 100 Ivi, p. 15 101 Ivi, p. 34-36

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2.3 IL MEDIOEVO AL DI LA’ DEI PREGIUDIZI

Il lungo periodo medievale, durato un millennio, fu caratterizzato da una tendenza a considerare tutto da un punto di vista assoluto, superiore, trascendente, ma fu anche un’epoca di vera e propria transizione, una combinazione di due elementi: quello romano e quello barbarico.

L’elemento barbarico, che si protrae nella società medievale, fu l’acquisizione di un principio fondamentale, consistente nella libertà dell’individuo, ovvero nell’immagine di un uomo che sa bastare a se stesso. Mentre l’elemento romano fu l’acquisizione dell’efficacia del Diritto Romano che nel Medioevo non scomparve completamente ma fu in qualche misura mantenuto anche dal clero, sia nell’insegnamento che nella pratica, per quegli aspetti che collimavano con il Diritto canonico.

In particolare, l’organizzazione sociale si basava sull’influenza ecclesiastica destinata nel corso degli anni ad acquisire un potere decisionale molto forte103. Di certo, la fede religiosa, in quanto ambiziosa di salvezza e di speranza per gli individui, era elemento essenziale di felicità di uguaglianza. La dottrina cattolica, in particolare, si basava sui rapporti comunitari all’interno della società.

Non era concepito il guadagno privato, in quanto la brama della ricchezza personale era vista come peccato. Qualsiasi tipo di bene doveva essere comune, o comunque tutti dovevano essere in condizione di fruirne. E’ vero che: «i cristiani si riconciliarono con

103 U. Benigni, Storia sociale della Chiesa, Vol. IV TOM. I , Casa Editrice DOTTOR FRANCESCO

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l'idea di proprietà privata; ma con una differenza: il possesso non è più considerato assoluto. La proprietà è privata e l’uso è comune. […] In alcuni casi di necessità "tutte le cose diventano comuni”»104

. Simile condivisione incarnava, agli occhi di Penty,

ideali di contenuto democratico, destinati a sviluppare nelle città il sistema della gilda:

«La gilda era una società in parte cooperativa ma per lo più formata da detentori di capitale privato che si univano in modo autogestito con funzione di controllo della competizione fra i suoi membri. Preposto a prevenire la crescita dell’uno ai danni dell’altro, inoltre salvaguardava la divisione della proprietà. Ogni nuovo membro della gilda doveva fare un periodo di apprendistato, durante il quale lavorava presso un padrone. Col tempo però anche egli diventava un padrone»105.

Queste prime corporazioni erano associazioni esclusivamente volontarie che avevano in comune delle proprietà da cui ricavavano i fondi da utilizzare a beneficio della collettività e per fini caritatevoli e di mutuo aiuto; inoltre fornivano un supporto legale a tutti i loro membri. Ma soprattutto si basavano su un convinto credo di adesione alla religione cattolica, ciò che corrisponde alla stessa forte fede di Penty106.

Successivamente, le corporazioni, per prima le corporazioni dei mercanti iniziarono ad assumere funzioni economiche. Era regola della loro costituzione che il privilegio di esserne membri fosse legato al possesso di terre. E se in un primo momento ogni

104 Penty, II. From Rome to the Guilds, cit., p. 39

105 H. Belloc, Lo Stato Servile, Liberi Libri, Macerata, 1993,. p. 33 106 Penty, II. From Rome to the Guilds, cit., p. 39

49 borghese le possedeva, con il passare del tempo si sviluppò una nuova classe sociale, quella degli artigiani, privi di possedimenti e di conseguenza esclusi e critici del sistema corporativo. Le lotte che allora divamparono non devono peraltro essere intese come «testimonianze di uno spirito tirannico delle gilde» ma «come testimonianza dello

spirito di libertà»107, ossia come estensione della rivendicazione dei propri diritti da

parte degli uomini del Medioevo. Fatto è che alla fine, dopo quasi cento anni, nacque l’istituzione delle Gilde di Mestiere dove ognuno fu ben rappresentato.

Nelle nuove costituzioni, mercantili e artigiane, il potere decisionale passò dalle mani del comune alle corporazioni, che iniziarono ad acquistare materie prime e a commercializzare le loro merci108.

All’interno delle corporazioni fu garantita l’uguaglianza tra i membri; fu attuato un sistema di regolazione e di disciplina commerciale; vennero svolte funzioni religiose, artistiche ed economiche, con l’impegno a favorire la cura dei più poveri e l’educazione dei giovani.

In particolare, l’attenzione era focalizzata sull’individuo in quanto tale, sia dal punto di vista morale sia sociale, perché solo questa duplice dimensione consentiva di recuperare il senso di fratellanza e solidarietà, a parere di Penty, scomparso sotto l’Impero Romano con l’opposizione del capitalismo. Non a caso l’intero sistema delle gilde si basava sulla dottrina del Giusto Prezzo, con forme di regolamentazione dell’economia monetaria in grado di mantenere l’ordine sociale109; con l’ordine sociale, la realizzazione di un ideale morale di giustizia voluto dal vangelo e sostenuto dalla Chiesa, atto a garantire un commercio onesto a vantaggio di entrambe le parti: l’acquirente e il venditore.

107 Idid.

108 Penty, A Guildsman’s Interpretation of History, cit., pp. 41-42 109 Ivi, pp.38-40

50 Grazie all’istituzione delle gilde il Giusto Prezzo poté divenire Prezzo Fisso perché le corporazioni erano in possesso del monopolio sul commercio:

«per mantenere il Giusto Prezzo, le gilde dovevano essere organi privilegiati aventi l’intero monopolio dei loro rispettivi commerci sulle aree di una città; Perché solo con il monopolio si poteva mantenere un prezzo fisso, […] E soltanto con l’esercizio di autorità sui suoi membri la Gilda potè impedire il profitto, nelle sue forme di prevenire, scoraggiare, ingannare e adulterare. Gli abusi commerciali di questo tipo furono soppressi spietatamente nel Medioevo»110.

Se un membro della gilda avesse violato una delle regole, sarebbe stato multato o espulso dalla corporazione, perdendo anche il suo mestiere111.

Questo stato di cose funzionò perfettamente all’interno delle città ma non al di fuori, in quanto, nelle zone rurali, non vi era nessun tipo di controllo economico, civile o militare, nessuna costituzione di gilda agricola. Nessun Giusto Prezzo poteva essere attuato, anche perché nelle campagne non vi era la diffusione della moneta, e lo scambio avveniva esclusivamente con il baratto112.

110 Ivi, p. 39

111 Penty, Guild, Trade andAgriculture, cit., pp. 56-57 112 Ivi, p.60

51 Per adempiere a questo vuoto di controllo venne creato il sistema feudale113: il Re decentralizzò il proprio potere nella persona dei signori, con il compito di garantire una più efficace organizzazione e disciplina di tutto il territorio.

Si instaurò un rapporto di reciproco rispetto tra il signore e il proprio vassallo: quest’ultimo cedeva al primo metà del proprio lavoro, ricevendo in cambio protezione. Non vi erano abusi di potere, in quanto si instaurò un rapporto umano tra i due. E lo schiavo divenne uomo libero grazie al lavoro:

«L'Inghilterra feudale, immagino, era qualcosa di simile, e non l'orribile incubo ricercato dai mentiti storici, interessati a dipingere il passato il più nero possibile, per rendere le condizioni moderne all’apparenza tollerabili al confronto. Dove c'era un buon signore, la vita sarebbe stata piacevole, perché il servo viveva in abbondanza»114.

Con queste parole Penty vuol sottolineare che nei testi di storia il feudalesimo è stato mal rappresentato, interpretato come un sistema basato sullo sfruttamento e sulla schiavitù, mentre in realtà, nel Medioevo, quel reciproco rispetto che caratterizzava i rapporti feudali si estendeva alla relazione tra il monarca e i suoi sudditi. Il vero potere a cui tutti dovevano inchinarsi era quello divino: Dio sopra ogni cosa, nel senso che tutto

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